Title | Camillo Sbarbaro |
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Course | Letteratura italiana |
Institution | Università degli Studi di Genova |
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Camillo Sbarbaro...
CAMILLO SBARBARO “Ora che sei venuta” a che sei venuta,
Ma te la mia inquietudine cercava
che con passo di danza sei entrata
quando ragazzo
nella mia vita
nella notte d’estate mi facevo
quasi folata in una stanza chiusa –
alla finestra come soffocato
a festeggiarti, bene tanto atteso,
che non sapevo, m’affannava il cuore.
le parole mi mancano e la voce
E tutte tue sono le parole
e tacerti vicino già mi basta.
che, come l’acqua all’orlo che trabocca, alla bocca venivano da sole,
Il pigolio così che assorda il bosco
l’ore deserte. quando s’avanzavan
al nascere dell’alba. ammutolisce
puerilmente le mie labbra d’uomo
quando sull’orizzonte balza il sole.
da sé, per desiderio di baciare…
E’ una poesia lirica, di timbro leopardiano, scritta in endecasillabi sciolti (senza la rima), con due quinari (vv. 3 e 12) e un settenario: l’incipit, splendido. Ci sono molti iperbati (inversione del normale ordine delle parole), per rallentare il, peraltro esile e delicato. Nella prima parte troviamo l’epifania, manifestazione, apparizione della donna, e l’intensa emozione del poeta al suo apparire, al punto da non riuscire a parlare. Nella terza strofa, una analessi o flash-back, coi verbi in imperfetto durativo, l’attesa, inquieta e inconsapevole del poeta adolescente, che sentiva la pulsione sessuale, ma non sapeva come placarla. In mezzo la seconda breve (3 versi) strofa è una similitudine: il pigolio dei pulcini nel nido, che tace al sorgere del sole, è come il silenzio del poeta all’arrivo della donna. Tutta la prima strofa descrive la donna, che arriva leggera, quasi portatrice di salvezza (Beatrice) a un uomo triste e depresso, che tuttavia l’attende; da quanto tempo? La seconda strofa esprime la consonanza con la natura di Sbarbaro, che ha trascorso tutta la vita passeggiando nell’entroterra ligure a cercare i licheni, oltre a scrivere, dare lezioni private, e tradurre classici greci, latini e narratori francesi.
EUGENIO MONTALE “I limoni” La poesia “I Limoni” fu scritta tra il 1921 e il 1922 da Montale. “I Limoni” è una poesia simbolica, o meglio è una poesia poli simbolica perché i Limoni del titolo hanno più significati. Infatti, i Limoni simboleggiano innanzitutto la possibilità che ha l’uomo di potersi raccogliere in meditazione per iniziare il viaggio verso il soprannaturale. Gli altri significati dei Limoni sono: la ricerca di scoprire la verità sull’universo e il significato della vita attraverso momenti solitari a contatto con la natura. Ma la natura resta muta e non comunica all’uomo i suoi segreti per cui il tentativo della scoperta ricomincia di nuovo in un nuovo tentativo più conscio e più aperto. L’altra grande novità della poesia riguarda il linguaggio poetico. Esso è aspro ed irto di suoni duri e molto vicino al linguaggio parlato, ma solo apparentemente, perché in effetti il linguaggio della poesia è altamente poetico ed aulico, benché pieno di espressioni linguistiche vicine al parlato comune. La poesia esprime tutto il pessimismo razionale del poeta e si ricollega al celebre canto di Giacomo Leopardi “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”. In questo canto il Leopardi chiede alla Luna di dirgli il significato della vita, ma questa rimane silenziosa e muta. Allo stesso modo Montale chiede alla Natura di svelare i suoi segreti, ma essa resta muta e silenziosa, lasciando l’umanità priva di una finalità che rimane nascosta. Ma gli uomini hanno la possibilità di ritentare, in un continuo ed estenuante tentativo di ricerca, fino a carpire i segreti della natura. Forse un domani questo tentativo non sarà vano ma risulterà utile. I limoni rappresentano la forza e il coraggio degli uomini di continuare nella ricerca del significato della vita. I limoni rappresentano anche un momento religioso espresso dal poeta nei versi 34 – 36: “Sono i silenzi in cui si vede/in ogni ombra umana che si allontana/qualche disturbata Divinità”. I limoni sono anche il simbolo della razionalità dell’uomo che pur costretto a vivere in una natura ostile ha a disposizione la mente che “indaga accorda disunisce/nel profumo che dilaga/quando il giorno più languisce” (Versi 31 -33). Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
qualche disturbata Divinità.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
mezzo seccate agguantano i ragazzi
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
Qualche sparuta anguilla:
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
le viuzze che seguono i ciglioni,
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
discendono tra i ciuffi delle canne
il tedio dell’inverno sulle case,
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
la luce si fa avara – amara l’anima. Quando un giorno da un malchiuso portone
Meglio se le gazzarre degli uccelli
tra gli alberi di una corte
si spengono inghiottite dall’azzurro:
ci si mostrano i gialli dei limoni;
più chiaro si ascolta il sussurro
e il gelo del cuore si sfa,
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e in petto ci scrosciano
e i sensi di quest’odore
le loro canzoni
che non sa staccarsi da terra
le trombe d’oro della solarità.
e piove in petto una dolcezza inquieta. Qui delle divertite passioni
La parafrasi della poesia.
per miracolo tace la guerra, qui tocca anche a noi poveri
Ascoltami, i poeti laureati
la nostra parte di ricchezza
poetano soltanto piante
ed è l’odore dei limoni.
dai nomi poco conosciuti: bossi ligustri o acanti. Io, per me, amo i sentieri che portano
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
nei fossi erbosi dove i ragazzi agguantano
s’abbandonano e sembrano vicine
in pozzanghere mezzo seccate
a tradire il loro ultimo segreto,
qualche rara anguilla:
talora ci si aspetta
amo i sentieri che seguendo i dirupi,
di scoprire uno sbaglio di Natura,
discendono tra i ciuffi delle canne,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
e immettono negli orti dei limoni.
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità.
È meglio se il vocio rumoroso degli uccelli
Lo sguardo fruga d’intorno,
finisce nel lontano cielo azzurro:
la mente indaga accorda disunisce
è meglio se il fruscio dei rami dei limoni
nel profumo che dilaga
si ascolta più chiaro nell’aria che quasi non si muove,
quando il giorno più languisce.
è meglio se il profumo dei limoni,
Sono i silenzi in cui si vede
che non riesce a staccarsi da terra,
in ogni ombra umana che si allontana
(che non si estingue e sembra permeare di sé la terra)
si percepisce più intenso
Questi sono i momenti assorti
e fa sentire nell’anima una dolcezza inquieta.
quando ogni ombra umana che si allontana
Qui (tra gli orti) il tormento delle passioni distratte
sembra una disturbata Divinità.
(dal profumo dei limoni)
(l’uomo diventa quasi divino, perché
si placa per miracolo,
ha l’illusione di aver raggiunto
qui la nostra parte di serenità tocca
la conoscenza ultima delle cose).
anche a noi poveri poeti ed è il profumo dei limoni cioè
Ma l’illusione di scoprire la verità svanisce e
(il raccoglimento e la riflessione interiore).
il fluire del tempo ci riporta nelle città rumorose dove l’azzurro del cielo
Vedi, talora ci si aspetta di scoprire,
si mostra a stento, in alto, tra i cornicioni delle case.
in questi momenti silenziosi in cui
La pioggia si abbatte ripetutamente sulla terra, poi;
le cose si mostrano dirette e sembrano vicine
il freddo dell’inverno si infittisce sulle case,
a svelare il loro vero segreto,
la luce del giorno si fa scarsa – l’anima si fa triste.
uno sbaglio di natura,
Quando ad un tratto si mostra a noi,
un equilibrio infranto, una legge non eseguita,
da un portone malchiuso
il filo da sbrogliare che finalmente
tra gli alberi di un cortile,
ci sveli e ci faccia capire la verità sulla vita.
il colore giallo dei limoni;
Questi sono i momenti nei quali
e allora la tristezza dell’anima si scioglie,
lo sguardo fissa attentamente d’intorno,
e allora il suono d’oro del sole
la mente indaga, collega e analizza
ci fa sentire nel cuore
nel mezzo del profumo dei limoni che dilaga
una canzone di lietezza.
quando il giorno finisce al crepuscolo. La poesia è composta da quattro strofe di lunghezza quasi uguale, per un totale di 49 versi. Essa espone un percorso logico – ideologico e filosofico. Nei primi tre versi il poeta si contrappone alla ideologia e alla poetica dannunziana. Nella prima strofa Montale afferma di amare le strade che conducono nei fossi erbosi, i sentieri che seguono paralleli i ciglioni e le viuzze che conducono tra gli alberi dei limoni. Nella seconda strofa il poeta descrive il silenzio degli orti e l’odore dei limoni, che discende nei cuori dei poeti poveri. In questi luoghi il tumulto delle passioni, per miracolo, si placa e qui la ricchezza dell’odore tocca anche i poeti poveri. Nella terza strofa il poeta descrive i momenti magici del crepuscolo quando il silenzio del luogo è più alto e le cose si scoprono in un confidente abbandono, quasi a svelare la loro realtà più misteriosa. In questa pace solenne della natura il poeta sembra capire e carpire uno sbaglio di natura, oppure il punto morto del mondo, oppure l’anello che non regge, il filo da disbrogliare che finalmente faccia conoscere una qualche verità ontologica. Il poeta guarda attentamente tutto d’intorno, la sua mente indaga, accorda, disunisce in mezzo al profumo dei limoni nel momento incantato del crepuscolo. In questi silenzi stupiti si vede qualche disturbata Divinità dinnanzi a qualche ombra umana che si allontana (alla vista della Divinità). Nella quarta strofa il poeta, con uno stacco brusco e netto, dichiara che l’illusione di raggiungere la verità viene meno e che il fluire del tempo riporta alla realtà delle città rumorose, dove il cielo si vede a stento in alto tra i cornicioni delle case. Il freddo dell’inverno poi si infittisce, la luce del giorno diminuisce e l’anima si fa triste. Allorché un giorno, all’improvviso, da un portone di cortile il giallo dei limoni si mostra a noi, di modo che il tedio dell’anima si sciolga e i suoni della letizia si sentano nel cuore attraverso il giallo della solarità. Il tema della poesia è la disillusione, cioè la perdita dell’illusione di poter accedere alla scoperta del segreto delle cose e del significato della vita. Il poeta si rende conto che dopo il momento dell’illusione viene il momento della realtà che distrugge l’illusione. Ma il poeta non conclude la poesia con la vittoria della realtà sulla illusione, perché ad un certo punto i limoni ricompaiono a destare vitalità nell’anima e incoraggiamento al cuore; anzi la poesia termina con un inno alla solarità e quasi capovolge la situazione dando la vittoria all’illusione sulla realtà. Il tema della poesia è dunque la riproposta dell’eterna lotta tra illusione e realtà. Per l’uomo, i limoni rappresentano la volontà di vivere e di ricominciare la lotta e la speranza per sconfiggere il
grigiore della vita quotidiana ogni volta che sopraggiunge la realtà. Ma i limoni significano soprattutto la fede e la razionalità dell’uomo contro il mistero della natura e la sua incomprensione. I versi che rinviano a questi due temi sono più di uno; dai versi 22 – 25 troviamo quelli che parlano della fede: “Vedi, in questi silenzi in cui le cose/s’abbandonano e sembrano vicine/a tradire il loro ultimo segreto”. Questi versi fanno pensare al tradimento di Giuda contro Gesù Cristo e “l’ultimo segreto” fa pensare all’ultima cena di Cristo. I versi della razionalità vanno da 26 al 32, e rinviano alla teoria scientifica di Boutroux. In definitiva i limoni simboleggiano, da una parte il momento di raccoglimento e di meditazione (spirituale e razionale) dell’uomo nella lotta contro la natura per scoprirne i segreti, e dall’altra rappresentano il punto debole della natura che dona all’uomo la felicità della scoperta, che prima o poi gli permetterà, attraverso la scienza o la fede, di scoprire il mistero dell’esistenza e uscire vittorioso dalle catene che lo legano a questa terra.
GIORGIO CAPRONI “FOGLIE”
“GENERALIZZANDO”
Quanti se ne sono andati…
Tutti riceviamo un dono.
Quanti.
Poi, non ricordiamo più
Che cosa resta.
né da chi né che sia.
Nemmeno
Soltanto ne conserviamo
il soffio.
– pungente e senza condono –
Nemmeno
la spina della nostalgia.
il graffio di rancore o il morso della presenza. Tutti
VITTORIO SERENI
se ne sono andati senza
“Italiano in Grecia”
lasciare traccia.
Prima sera ad Atene, esteso addio
Come
dei convogli che filano ai tuoi lembi
non lascia traccia il vento
colmo di strazio nel lungo semibuio.
sul marmo dove passa.
Come un cordoglio
Come
ho lasciato l’estate sulle curve
non lascia orma l’ombra
e mare e deserto è il domani
sul marciapiede.
senza più stagioni.
Tutti
Europa Europa che mi guardi
scomparsi in un polverio
scendere inerme e assorto in un mio
confusi d’occhi.
esile mito tra le schiere dei bruti,
Un brusio
sono un tuo figlio in fuga che non sa
di voci afone, quasi
nemico se non la propria tristezza
di foglie controfiato
o qualche rediviva tenerezza
dietro i vetri.
di laghi di fronde dietro i passi
Foglie
perduti,
che solo il cuore vede
sono vestito di polvere e sole,
e cui la mente non crede.
vado a dannarmi a insabbiarmi per anni.
Sereni descrive la sua solitudine e la sua tristezza nella sua prima sera ad Atene. Egli si sente in fuga dall'Europa e dalla guerra. Dice che dovrebbe sentirsi attaccato alla guerra perché la identifica come il suo mito ma è un mito esile perché lui non riesce a condividerlo fino in fondo. Di fatti, non si perdonerà mai l'aver ucciso degli uomini. L'unico suo vero nemico è la solitudine. Lui dice di sentirsi lontano dall'Europa perché è una terra che non capisce più anche Dante nel Purgatorio dice che noi siamo convinti di conoscere la loro terra ma non è vero. ....