Cligès - Cliges PDF

Title Cligès - Cliges
Course Filologia romanza
Institution Università degli Studi di Trento
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Cliges...


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CLIGÈS Il Cligès viene concepito da Chrétien de Troyes come il suo capolavoro, consta di quasi 6800 versi e meravigliò molti letterati, i quali lo considerarono un esempio di comportamento cortese e un modello di stile poetico. Un primo problema posto dall’opera è quello della datazione, in quanto sono tante le ipotesi offerte dai vari studiosi. Possiamo partire da un dato reale ed oggettivo, offerto dallo stesso Chrétien nel prologo del Cligès: ci informa di opere da lui composte precedentemente e di influenze letterarie che la sua scrittura subì. Scrive: «Colui che scrisse l’Erec ed Enide, / e che tradusse i precetti di Ovidio / e l’Arte d’amore, / e compose il Morso della spalla, / e Re Marco e Isotta la bionda, e la metamorfosi dell’upupa, / della rondine e dell’usignolo, / inizia ora un nuovo racconto / su un valletto che visse in Grecia / ma del lignaggio di re Artù.» Possiamo porre con certezza dunque un terminus post quem: il Cligès è stato composto dopo l’Erec ed Enide e, dal momento che questo risale al 1170, il Cligès è stato sicuramente scritto successivamente a questa data. Per quanto riguarda invece il termine ante quem si fa riferimento ad una serie di eventi storici a lui contemporanei e che entrano in qualche modo nella storia del romanzo: in particolare si pensa alle aspirazioni dell’imperatore bizantino Manuele Comneno di dare la propria figlia Maria in moglie al figlio di Federico Barbarossa, ma si pensa anche all’inimicizia del duca di Sassonia Enrico il Leone nei confronti di Barbarossa. Questi dati sembrano rievocare la vicenda di cui tra poco offrirò la trama, e avremo modo di capire in che modo. Inoltre il nome Cligès veniva accostato a quello del sultano turco di Iconio Kilig Arslan II, anche chiamato Klitzes presso i bizantini, era stato alleato di Manuele Comneno, si era dimostrato amico dei pellegrini cristiani e del duca di Sassonia, e poi, divenuto nemico dell’imperatore bizantino, aveva chiesto per il figlio, o secondo altri per se stesso, la mano della figlia di Federico Barbarossa. Secondo il Fourrier dunque, tenendo in considerazione le ambascerie bizantine del 1171 e del 1174 con cui Manuele Comneno aveva sollecitato sia il matrimonio del figlio di Barbarossa con la sua Maria, sia la rottura definitiva tra Enrico il Leone e il Barbarossa del 1176, bisogna porre proprio nel 1176 la data di composizione del Cligès. In realtà Fourrier ritiene che dietro il romanzo si celi un patteggiamento di

Chretien nei confronti del Barbarossa e un’antipatia verso Enrico il Leone, e questa tesi viene accolta da tanti altri tra i quali ricordiamo Frappier. Secondo Bruno Panvini invece, autore di «Matière» e «sen» nei romanzi di Chretien de Troyes, è un’ipotesi sin troppo macchinosa, ma accoglie l’origine turca del nome Cligès e ritiene che come data che attesti l’inimicizia tra il Barbarossa ed Enrico il Leone sia sufficiente il 1170, anno della devastazione del Magdeburgo, per cui pone come data di composizione del Cligès il 1174. È evidente quanto sia complessa la questione, ma questi dati appaiono sufficienti per avere almeno una data approssimativa della composizione del romanzo, ma non solo, in quanto mettono in luce un ulteriore fattore: la relazione tra la storia e la scrittura di Chrètien de Troyes.

1. TRAMA Prima di affrontare qualsiasi altra problematica o tematica riguardante il romanzo, è bene chiarirne l’intreccio. Il protagonista del romanzo è Cligès, figlio di Alixandre e Soredamors, imperatore ed imperatrice di Costantinopoli, ai quali dedica la prima parte della sua opera. Il romanzo può essere infatti diviso in due sezioni: la prima racconta la nascita e lo sviluppo dell’amore tra i genitori di Cligès, conosciutisi presso la corte di re Artù, in Bretagna, dove Alixandre si era recato per poter essere investito cavaliere dal re e compiere presso la sua corte la formazione cavalleresca; la seconda invece potremmo farla iniziare dal v. 2346, laddove leggiamo: “ Il seme germinò finché il frutto arrivò alla sua natura di bambino: una creatura più bella non c’era da nessuna parte. Il bambino fu chiamato Cligès. È quel Cligès in memoria del quale fu scritta in francese questa storia ”. La prima parte dell’opera dunque è una sorta di introduzione alla vicenda che lo scrittore vuole narrare, l’amore tra Cligès e Fenice, ma si rivela importante per la caratterizzazione del personaggio, il quale eredita dai genitori virtù e coraggio. La trama del romanzo è complessa, densa di particolari che andrebbero analizzati singolarmente, ma cercherò qui di tessere il filo della narrazione offrendo i dati

necessari per comprendere il romanzo, senza tuttavia perderne la bellezza. La grandezza della scrittura di Chrétien de Troyes risiede infatti nei dettagli, nella caratterizzazione psicologica dei personaggi, nelle sfumature che è in grado di delineare e che affascinano il lettore. Alixandre, padre di Cligès, era figlio degli imperatori di Grecia e Costantinopoli, Alixandre e Tantalis, e, affascinato dalla fama di Artù, chiede il permesso al padre di recarsi in Gran Bretagna per farsi armare cavaliere dal re; prima di partire viene esortato ad essere sempre leale e cortese. Presso la corte si fa amare da tutti ed in particolare da Galvano, nipote del re e fratello di Soredamors. Artù decide di recarsi nella piccola Bretagna e porta con sé la regina Ginevra, Soredamors, Galvano e lo stesso Alixandre, affidando la reggenza del regno al conte Angrès. Il tradimento di quest’ultimo costringe il re a tornare con il suo esercito, e promette una grande ricompensa al cavaliere che riuscirà a prendere il castello di Windsor, dove il conte Angrès si era rifugiato. Incalzante il modo in cui Chretien descrive la battaglia, non solo dal punto di vista bellico ma anche da quello psicologico, la pena ed il dolore provato nel credere che Alixandre fosse morto per esempio, proprio a dimostrazione della grande stima e dell’affetto che era riuscito a conquistarsi. Ma questo è soprattutto il momento in cui si concretizzano le lodi intessute da Chretien nei confronti di Alixandre sin dal principio, viene dimostrato in campo di battaglia il suo coraggio, la sua fierezza e lealtà nei confronti del re. Sarà proprio lui a liberare il castello e condurre il conte Angrès al cospetto di Artù. Alixandre ottiene la coppa promessa, ma, dono ancor più importante per lui, chiede ed ottiene le nozze con Soredamors, grazie all’intercessione della regina Ginevra. Dopo nove mesi dal matrimonio Soredamors dà alla luce un figlio, Cligès. Alexandre e Soredamors lasciano la corte di re Artù per far ritorno a Costantinopoli in seguito alla notizia della morte dell’imperatore, ma intanto il fratello, Alis, viene incoronato in quanto, durante il viaggio, la nave che porta gli ambasciatori fa naufragio e si salva solo un traditore che patteggia per Alis e che, tornato in patria, dichiara che Alixandre è perito nel viaggi di ritorno. I due fratelli arrivano ad un compromesso: Alixandre reggerà effettivamente l’impero, e Alis, che si impegna a non sposarsi, conserverà anche lui la corona, che alla sua morte passerà a Cligès. Dopo non molto tempo muore Alixandre, e con lui anche Soredamors, la quale non sopravvive per il dolore. Alis è sollecitato dai suoi baroni a prender moglie, e la

scelta ricade su Fenice, figlia dell’imperatore di Germania, il quale concede la mano della giovane a patto che venga difesa dal re di Sassonia al quale era stata promessa. Non posso non soffermarmi un attimo sull’incontro tra Cligès e Fenice: “La giornata era un po’ nuvolosa / ma erano tanto belli ambedue, / lui e la fanciulla, che scaturiva / dalla loro bellezza un raggio / di cui splendeva tutto il palazzo, / così come il sole/ quando sorge, luminoso e rosso.” Tra i due vi è subito uno scambio di sguardi, e leggiamo: “Frattanto Cligès volge segretamente / gli occhi verso di lei, con amore, / e li distoglie con tanta abilità / che né all’andata né al ritorno / lo si sarebbe preso per folle; / la guarda con dolcezza / e nessuno si accorge / che la fanciulla ricambia lo sguardo. / per affetto e non per inganno gli offre gli occhi e prende i suoi.” Fenice però sa bene di dover sposare un uomo a cui il suo cuore non appartiene e chiede aiuto a Thessala, sua nutrice, la quale, esperta nelle arti magiche, prepara un filtro che ogni notte farà credere ad Alis di giacere con la moglie e goderne l’amore. Fenice infatti non vuole ripetere la storia di Isotta, non vuole condividere il corpo con marito ed amante: “chi ha il cuore abbia il corpo, / ne escludo tutti gli altri”. Prima di fare ritorno dovranno scontrarsi con il duca di Sassonia, ma, ripetendo le prodezze del padre, sarà proprio Cligès a sconfiggere prima il nipote e poi il duca stesso e sarà sempre lui a liberare Fenice. Cligès tenta di essere leale nei confronti dello zio, di soffocare l’amore che sente e si trasferisce presso la corte di Artù, dove, dopo aver dato prova di sé in un torneo, si fa riconoscere dallo zio ed è accolto da tutti con grande onore. La nostalgia vince però qualsiasi tentativo, e, tornato in Grecia, confessa i suoi sentimenti a Fenice e scopre di essere ricambiato, ma lei dichiara anche la sua decisione di rimanere vergine per non comportarsi come Isotta. Cligès propone di fuggire presso Artù, ma Fenice preferisce invece fingersi morta e farsi seppellire in un sepolcro forato che le permetta di respirare, per poi essere condotta da lui in un luogo sicuro. Ogni cosa viene inscenata, e tutti nell’impero si disperano per la malattia mortale che ha colpito l’imperatrice, e rivolgendosi alla

morte dicono: “Hai ucciso la cosa migliore / e la più santa, se fosse vissuta, / che Dio provò mai a fare”. Thessala aveva realizzato una pozione che faceva sembrare Fenice morta, il viso pallido e bianco, né poteva muovere piedi e mani o parlare, neanche se avesse voluto. Vi fu un episodio che mise a dura prova il loro inganno: tra le lacrime di tutti, arrivarono tre medici di Salerno che, venuti a conoscenza di quanto era accaduto, vollero vedere l’imperatrice, subito pensarono alla storia della moglie di Salomone e la coprirono di ferite, la batterono e la frustarono, per costringerla a tradirsi. Le versano il piombo bollente sulle mani e vorrebbero infine metterla sul fuoco, ma le dame giungono in soccorso per evitare che i tre uomini distruggano il corpo della loro cara imperatrice. Solo grazie alle cure magiche di Thessala Fenice riesce a salvarsi ed il piano sarà portato a termine. Cligès e Fenice vivranno per ben 15 mesi nella torre costruita da Jehan, bravo architetto e uomo di straordinario sapere che, grazie al sepolcro costruito ad hoc ed il rifugio, conquistò la libertà. Fu il desiderio di Fenice di godere della luce del sole e respirare aria pura a portare alla scoperta e al riconoscimento dei due da parte di Bertrando, cavaliere di Alis, che, per riprendere un suo astore, era salito in cima al muro che circondava il verziere annesso alla torre di Jehan. I due giovani riescono a salvarsi perché fuggono e vengono accolti da Artù, Alis morirà dal dolore e la corona tornerà sul capo del legittimo imperatore, Cligès. Da allora in avanti si dice che tutti gli imperatori staranno molto attenti alle loro mogli affinché la storia di Cligès e Fenice non si ripeta.

2. LE FONTI Una volta delineato l’intreccio del romanzo, un primo aspetto da affrontare prima di entrare veramente nel romanzo è quello riguardante le fonti, questione che ci collega al prologo del Cligès. Nei vv. 18-27 del suo poema infatti Chrétien informa il suo pubblico che la storia che intende narrare è stata tratta da un libro conservato nella biblioteca della chiesa di S. Pietro di Beauvais, scrive infatti:

« La storia che vi voglio raccontare la si trova conservata in un libro della biblioteca di San Pietro, a Beauvais. Di lì fu tratto il racconto sul quale Chrétien compose questo romanzo. È molto antico questo libro che attesta la veridicità della storia, e per ciò bisogna darle più credito. » Nel testo di Bruno Panvini, «Matière» e «sen» nei romanzi di Chrétien de Troyes, ci si chiede se questo debba essere considerato un comunissimo topos o se al contrario sia fonte autentica. Un episodio della seconda parte del romanzo, avvalorerebbe la seconda ipotesi: infatti la donna che si finge morta per sottrarsi al marito e darsi all’uomo che ama non è un’invenzione di Chretièn, ma un motivo misogino già in precedenza attribuito alla moglie di Salomone, come lo stesso autore ricorderà ai vv. 5802-5804. Dunque sembrerebbe che Chretièn abbia utilizzato un racconto già in precedenza diffuso ma integrato con elementi attinti da altre fonti, facendogli acquisire una funzione ed un significato del tutto diverso. Bruno Panvini usa come prova la novella XI de Le roman de Marques de Rome, il quale racconta, con spirito diverso, la stessa storia che è propria del Cligès e dà al protagonista lo stesso nome che questo ha nel poema cristianiano. Con ciò non si vuole intendere che il Marques de Rome possa essere considerato una fonte diretta del Cligès, come ha ritenuto lo studioso van Hamel, ma che, come sostenuto da Paris e poi dal Frappier, importanti studiosi, entrambe le opere hanno tratto il motivo novellistico della «finta morta» dalla stessa fonte, e dunque da quel libro della biblioteca di S. Pietro a Beauvais, da cui Chrétien afferma di aver tratto la storia del suo romanzo. I critici hanno poi individuato altre fonti, tra le quali è bene ricordare: - Tristan di Thomas, di cui avremo modo di parlare meglio in un secondo momento; - Roman de Brut di Wace, per l’episodio in cui Fenice, dopo la sua finta morte, è stata nascosta in una casa sotterranea; - Roman de Rou di Wace, presente nel prologo nei versi: Dai libri che noi abbiamo conosciamo le imprese degli antichi e del tempo passato; - vie de Sainte Marguerite di Wace, per l’episodio delle tortura inflitte a Fenice dai tre medici provenienti da Salerno. - forte è l’influsso di Ovidio, come da lui stesso dichiarato nel prologo del Cligès.

3. INTERPRETATIO NOMINIS Un aspetto importante ed interessante da indagare è quello riguardante l’interpretatio nominis: i nomi propri di persona che compaiono nei romanzi di Chrétien de Troyes hanno spesso suscitato l’interesse degli studiosi. Noi sappiamo che per l’uomo medievale l’interpretatio nominis fa parte della cultura di tutti i giorni: fin dall’antichità nei nomi, propri soprattutto, era nascosto un significato profondo, una ratio che aiutava a scoprire le caratteristiche dell’individuo. Questa viene sporadicamente utilizzata da Chrétien anche in altri romanzi, ma mai come nel Cligès, in cui tutti i personaggi principali hanno un nome parlante, di norma accompagnato

dall’interpretazione

più

o

meno

esplicita.

Mi

concentrerò

sull’interpretatio nominis dei protagonisti delle due parti del romanzo: Alixandre, Soredamors, Cligès e Fenice. 

Alixandre. Viene presentato sinteticamente all’inizio del romanzo insieme agli altri componenti della famiglia reale, in una sorta di cronaca genealogica: “Il primo aveva nome Alixandre / e il minore fu chiamato Alis; / Alixandre aveva nome il padre / e Tantalis aveva nome la madre.” Appare chiaramente un gioco onomastico che lega tutti i componenti della famiglia, ma in particolare è importante notare il legame tra i due fratelli. Alis infatti viene definito un dimidiatus Alixandre, ha la metà degli anni del fratello, ne condivide per metà il nome, e questo gioco sembra in qualche modo preannunciare la causa di quanto accadrà nella seconda parte del romanzo: Alis infatti usurperà il trono una prima volta a danno di Alixandre, e in seguito mancherà alla promessa fatta al fratello, decidendo di prendere in sposa Fenice. Alixandre invece rappresenta la figura del cavaliere ideale, o, come scrive S. Bianchini nell’introduzione al Cligès, un “uomo completo”. Presso la corte di Artù riuscirà ad ottenere in poco tempo la stima di tutti, e la principale qualità che gli viene attribuita è la generosità, proprio questo lo ricollega ad Alessandro Magno, di cui Alixandre si dimostra dunque alter-ego e significativamente è infatti suo omonimo, ma non solo, in quanto il suo personaggio viene accostato anche ad Enrico II di Champagne, il quale era

chiamato il Liberale proprio per la largesce che gli veniva riconosciuta. D’altra parte Chretien sembra dare particolare importanza a questo aspetto, e ciò è giustificato dal fatto che questa prima parte, la presentazione di Alixandre, la descrizione delle sue prodezze e la narrazione dell’amore con Soredamors, servono allo scrittore per preannunciare al lettore quelle che saranno le grandi virtù di Cligès. 

Soredamors. Il significato del suo nome viene offerto da lei stessa nei vv. 960-978: «Non per nulla ho questo nome / e sono chiamata Soredamors. / devo amare e devo essere amata, / voglio dimostrarlo con il mio nome, / devo trovare amore nel mio nome. / Ha un qualche significato / il fatto che la prima parte / nel mio nome è colore dell’oro: / i migliori sono i più dorati. / ritengo migliore il mio nome / perché nel mio nome c’è il colore / a cui si accorda l’oro migliore / e mi ricorda l’amore perfetto: / chi mi chiama per nome / mi ricorda sempre amore; / una metà dora l’altra di una / doratura luminosa e brillante, / pertanto dire Soredamors / è come dire “dorata d’amore” ». Per sottolineare con maggiore forza il significato insito nel nome della protagonista, Chretien pone in rima Soredamors e Amors ai vv. 979-980, così come aveva già fatto in precedenza ai vv. 443-444.



Cligès. Il nome del protagonista invece appare come quello più difficile da decifrare, compare per la prima volta al v. 2366: «Il bambino fu chiamato Cligès». Vi sono state varie ipotesi da parte di molteplici studiosi, che Simonetta Bianchini offre nel suo studio riguardante proprio l’interpretatio nominis e la proniminatio nel Cligès, ma non sono riusciti a raggiungere alcuna certezza. Ci sarebbe da fare al riguardo un’indagine più approfondita, presentare le varie ipotesi offerte nel corso del tempo, i contrasti che si sono creati tra i vari studiosi, ma tra tutte quelle proposte, mi limito qui a riportare quella secondo cui bisogna pensare ad una derivazione del participio aoristo passivo del verbo κλίξω, che vuol dire “il famoso”, “il nominato”. La forma latinizzata è CLITUNCULUS, attestata verso il 1118 con il significato di “principe, erede legittimo al trono”, e vediamo come il termine ben si collega al nome del

protagonista, così come anche il significato sembra corrispondere pienamente. Cligès infatti eredita la corona dal padre, anche se questa viene detenuta illegittimamente dallo zio Alis. 

Fenice. La sua interpretatio nominis viene fornita da Chrétien nella sua presentazione a partire dal v. 2703: «Dio, che l’aveva fatta, / non donò la parola a nessuno, / in grado di descrivere la bellezza, / che in lei non ce ne fosse di più. / la fanciulla aveva nome Fenice / e non senza ragione / perché, come l’uccello fenice / è più bello di tutti gli altri / e non ce ne può essere più di uno, / in ugual modo, mi sembra, Fenice / non aveva uguali in bellezza. / Fu un miracolo e una meraviglia / tali che Natura non poté mai / riuscire a operare l’eguale. / Per questo non dirò di più / né voglio descrivere a parole / braccia, corpo, testa o mani: / anche se vivessi mille anni / col senno ogni giorno raddoppiato / il mio progetto andrebbe a monte / prima di poterne dire la verità. / So bene che se mi ci mettessi / e utilizzassi tutto il mio senno, / sprecherei tutta la fatica / e sarebbe fatica sprecata.»1 Prima di commentare il significato del nome ben esplicitato dallo stesso autore, vorrei fermarmi un attimo proprio a sottolineare la bellezza e la precisione nella descrizione appena letta, motivo per cui ho deciso di riportare l’intero passo in cui la fanciulla viene presentata. Chretién dimostra di avere particolare cura e accortezza nel delineare queste figure che sembra quasi si stacchino dalla pagina e diventino reali. Tornando all’interpretatio nominis, l’immagine è quella della fenice, animale mitologico da cui la protagonista prende il nome. Leggiamo che la bellezza di q...


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