Elementi-di-sociologia-carlo-mongardini PDF

Title Elementi-di-sociologia-carlo-mongardini
Course Sociologia Generale
Institution Università degli Studi di Perugia
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riassunto completo ...


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Elementi di sociologia di Carlo Mongardini Capitolo 1 RAPPRESENTARE LA SOCIETÀ La moderna idea di società, intesa come società civile, si sviluppa nel Settecento e si afferma nell’Ottocento per definire quel complesso sistema di rapporti economici, come quello fra venditore e acquirente o rapporti propriamente sociali, come quelli di appartenenza familiari, clientelari, politici o religiosi. I sociologi, nella storia di questo ordine di studi, hanno tuttavia cercato di dare a questa rappresentazione una sistemazione più generale e condivisa, superando in gran parte le barriere della visione individuale. La pretesa scienza della società, che non può costruirsi su una immagine, si dissolve perciò in una analisi dei fenomeni sociali, in una conoscenza sociologica legata a quei fenomeni che il periodo storico rende più evidenti e pregnanti. 1.1 LA SOCIOLOGIA ALL’INIZIO DEL XXI SECOLO Rappresentare la società significa rendere comprensibile con generalizzazioni e semplificazioni concettuali quel complesso intreccio di interazioni di processi reali che è praticamente irriducibile a uno schema o a un sistema, in primo luogo perché manca una distanza adeguata dell’osservatore dal fenomeno osservato. A questo serve anche la maneggiabilità del concetto “società” che, invece di essere utilizzato come un concetto necessario ma metaforico, viene strumentalizzato come un concetto operativo. La società, scrive Helmut Schelsky, «è soltanto un concetto metaforico, rappresentativamente indispensabile, ma che non può essere oggetto di una teoria esatta. Esso è destinato a scomparire…» (Schelsky, 1970, p.10). Siamo da poco entrati nel XXI secolo e il “controllo delle scienze sociali” è questione ancora ben lungi dall’essere risolta. Si parla di nuovo di crisi della sociologia, ma la crisi della sociologia è un fatto endemico e deriva da aspettative troppo superiori a quelle che sono le reali possibilità delle scienze sociali, possibilità che non portano al controllo della società o a dare sostegno alle politiche sociali, ma si limitano a diffondere la consapevolezza di quei fenomeni e di quei problemi nei quali siamo quotidianamente coinvolti e che, in quanto attori, affrontiamo, sul piano pratico, seguendo gli istinti, le emozioni o il calcolo. Certo, nelle scienze sociali si vorrebbe tuttora arrivare a quelle certezze fra fenomeno e sua rappresentazione che sono proprie delle scienze naturali, non senza grandi delusioni a causa della complessità di una realtà che sperimentiamo continuamente nella sensibilità dell’esperienza vissuta. In parte ci riesce l’economia perché isola l’homo œconomicus come soggetto astratto e puramente razionale. La strada da percorrere non sta però nella crescita dei dati quantitativi ma in quella di riconoscere le scienze sociali, come voleva Weber, come scienze della comprensione e non come scienze della spiegazione, la quale è propria dell’apparato sistemico delle scienze

naturali. Lo sforzo dei classici per rappresentare la società nei diversi periodi della modernità è stato eccezionale, ma è rimasto legato a una forma di società, a un periodo della cultura. L’atteggiamento prevalente è quello di rottura della tradizione, di negazione di ogni autorità e di ogni gerarchia. Sono i temi di Michel Maffesoli in Francia e, su una base di riferimento diversa, di Zigmunt Bauman in Inghilterra, con i suoi concetti di modernità liquida e dominio della paura. È difficile dire che cosa resti del concetto tradizionale di cultura. Ci sono due problemi di fondo che si agitano alla base di questo nuovo panorama sociale e culturale, un panorama sociale dominato dal regime di massa e da una forma culturale racchiusa in un presente esteso. Questi due problemi sono: la sorte dell’individuo e del legame sociale che ha perso il suo precedente riferimento alla morale. Da una parte l’individuo, prodotto del regime borghese, si dissolve nell’ambivalenza del soggetto moderno, legato volta a volta al personaggio dell’homo œconomicus e dell’uomo di massa; dall’altra emerge la fragilità, per spessore e durata, di un legame sociale che ha perso il riferimento alla morale e che è affidato all’interesse e al calcolo e perciò alle circostanze e alla situazione, oppure alle emozioni e all’identità superficiale e temporanea delle situazioni di massa. Questi due problemi fanno da sottofondo al nostro sforzo di comprensione della realtà sociale contemporanea. La nostra è dunque una nuova cultura fondata sull’economicismo, sull’esteriorizzazione della vita individuale, sulle masse. È una cultura che affascina e delude, che ci racchiude nel recinto del quotidiano, arricchendolo di attrazioni e di curiosità, che lascia scorrere un tempo che non è più tempo e moltiplica i non-luoghi che, con la loro anonimità, sostituiscono i significati dei luoghi (Augé, 1993 e 2004). Sono tutte condizioni che accompagnano quei processi di superamento dei limiti e delle definizioni che chiamiamo globalizzazione. La globalizzazione per compiersi ha bisogno di enfatizzare l’economicismo come mentalità diffusa perché è l’unico tipo di ideologia che può avere una portata universale e passare sopra la specificità delle singole culture. L’ESTINZIONE DEL PENSIERO In un articolo su «La Stampa» (21.12.2009) dal titolo significativo L’estinzione del pensiero, Guido Ceronetti fa il punto sul cieco sviluppo della distruttività umana che comincia dalla rinuncia a pensare da parte dell’individuo contemporaneo immerso nel “delirio industrialista”, nella proliferazione dei consumi e delle distrazioni della vita quotidiana. Ceronetti cita il libro di un fisico torinese, Luigi Sertorio, dal titolo La natura e la macchina, il quale scrive tra l’altro: «Ciò che scarseggia non è l’energia ma il pensiero, la futura vittima non è la terra, ma è la mente umana, il consumo produce denaro, ma genera povertà nelle nazioni Dobbiamo coltivare, come scrive Gramsci, l’ottimismo della volontà accanto al pessimismo dell’intelletto. La ricerca di un ordine e di una simmetria formali maschera una profonda anarchia culturale che porta i segni di una cultura-non cultura, cioè di nuovi significati della vita collettiva che, per rendersi universali, trascendono ogni forma definita. Allora la realtà quotidiana appare fatta solo di stimolazioni, come nel campo della pubblicità, di spettacolarizzazioni, di curiosità e contingenza. Lo spettacolare coinvolge fin nell’intimo la vita individuale: anche il bisogno, il dolore, l’amore, la paura devono essere spettacolarizzati per apparire reali. I grandi scenari assorbono la dimensione

individuale: l’economia, come la politica, vive di attrazione, distrazione, emarginazione ed esclusione. Considerare queste nuove realtà senza rinunciare all’insegnamento dei classici sembra il compito della nuova sociologia, uscendo da quelle condizioni, già denunciate da Norbert Elias, per cui anche il sociologo si è «ritirato nel presente» (Elias, 1987). Ciò significa uscire dalla tematica dell’economicismo, dalle curiosità proprie di una cultura del presente e dall’aspirazione del mettersi in mostra. Ma anche per questo è necessario rileggere i classici. EREDITÀ DEI CLASSICI 1. «Noi non riusciremo ad adempiere adeguatamente al nostro compito, vale a dire comprendere la società odierna, incalzando semplicemente i mutamenti in corso con gli strumenti della ricerca sociale» (Tenbruck, 2002, p. 104). 2. Se l’idea di società segue la tendenza a organizzare la realtà secondo le esigenze della nostra mente, questa tendenza finisce col prevalere sui fenomeni sempre complessi e spesso contraddittori che la realtà stessa ci presenta. «La realtà sociale si presenta sempre come una infinità varietà di singoli eventi e non si lascia riprodurre da alcuna teoria»(Tenbruck, 2002, p. 106). La sociologia diventa così un esperimento conoscitivo che richiede l’uso adeguato di teorie disponibili rispetto a una realtà che cambia (Mongardini, 1991, p. 24 e segg.). ESPERIMENTO CONOSCITIVO 3. Dobbiamo contrastare l’uso ideologico dell’idea di società connesso alla sua estensione e indeterminatezza. Nella dimensione che ha assunto, questa idea si è sviluppata attraverso modelli interpretativi ed è diventata una proiezione, un’immagine-desiderio, capace di annullare lo sforzo analitico del pensiero riflettente. «Simmel e Weber – scrive Tenbruck – non hanno mai parlato di società nel senso della sociologia contemporanea, Durkheim invece può essere assunto come esempio paradigmatico della ‘nascita della società dallo spirito della sociologia’. Nello stesso periodo Alain Touraine ha scritto che «la società non può più essere definita oggetto della sociologia» e che «nel concetto di società c’è solo un’idea astratta, un’immagine astratta scaturita dalla storia del XIX e XX secolo » (Touraine, 1983). 4. Il contributo dei classici va commisurato al tipo di società nella quale sono vissuti e all’idea di sociologia volta a volta dominante. Si può osservare che le loro teorie «si contraddicono reciprocamente, non producono alcun accumulo di conoscenza, non sono in grado di spiegare tutti i fenomeni sociali e non consentono quel controllo razionale dello sviluppo sociale, che ci si attende da una teoria definitiva». Per altro verso però la storia dimostra «che la sociologia non ha mai posseduto un’unica teoria né può sviluppare alcuna teoria definitiva (Tenbruck, 2002, p. 105). Troppo spesso la ‘società’ viene reificata e ontologizzata come un oggetto a sé stante. Così in Comte e in Durkheim, così in Parsons e Luhmann. Ciò non fa che perpetuare la vana ricerca di una teoria ‘giusta’ e fa pertanto deviare la questione del valore dei classici verso una direzione sbagliata» (Ivi, p. 106).

CONCETTO DI SISTEMA 5. Egualmente fuorviante è il concetto di sistema. Esso induce «a eliminare il soggetto al fine di rendere calcolabile il sistema stesso (almeno nella teoria). Il concetto potenzia una visione reificante della società, come entità a sé stante, nel quale non rimane alcuno spazio per il soggetto agente» (Ivi, p. 107). Certo, aveva scritto anche Simmel agli inizi del secolo, «ci si può immaginare la società come uno schema puramente oggettivo». Essa allora appare come «un ordinamento di contenuti e di rendimenti in relazione fra loro riguardo allo spazio, al tempo, ai concetti, ai valori; Contro questa rappresentazione lo stesso Simmel farà notare più tardi che, alla fine del Settecento, «si elaborò come concetto centrale l’io, la personalità spirituale… e la realizzazione dell’io puro o anche dell’individualità si manifestò come l’esigenza etica assoluta, anzi come il fine metafisico del mondo» mentre il XIX secolo «nella variopinta molteplicità dei sui moti spirituali non ha portato innanzi alcun pensiero conduttore comprensivo quanto quelli. Ma, riguardo all’uomo, si potrebbe pensare al concetto di società, che nel secolo XIX anzitutto viene proclamata nostra propria realtà vitale, mentre l’individuo è semplicemente un punto d’incrocio di linee sociali o persino una finzione come l’atomo; 6. Lungi dall’essere libera da valori la sociologia svolge una funzione relativa e illuminante volta a volta di ideologia e di coscienza critica della modernità. Il concetto di società ha accompagnato la vocazione ideologica e totalizzante della disciplina, la sua aspirazione alla riappropriazione e al controllo della realtà sociale. E di fatto il concetto di società ha giocato un ruolo più incisivo in quegli autori che hanno avuto un’ispirazione ideologico-politica e in quelle epoche che hanno maggiormente avvertito la necessità di produrre o di rafforzare un’ideologia sociale che potesse essere il fondamento di un progetto politico. Per altro verso, meglio di ogni altra disciplina umanistica, la sociologia ha rappresentato la coscienza critica della modernità nei fini e negli ideali che questa si è proposta, nelle forme del suo sviluppo, nei problemi che ha aperto o che ha ha creato. 7. Ogni esperienza sociologica è guidata da un punto di osservazione e dalla capacità di comprensione di quei fenomeni che un determinato contesto storico rende particolarmente evidenti. Ciò che possiamo ottenere è solo un avvicinamento alla realtà che non ci dà diritto ad assumere il ruolo di scienza. L’avvicinamento al reale comporta che la nostra capacità di conoscenza esclude più di quanto include. L’altra via è quella di rendere più astratto e particolare l’oggetto del nostro conoscere, come avviene per gli economisti con l’ homo oeconomicus, ma questo procedimento, se da un lato fa “quadrare il cerchio”, dall’altro lato ci rende più lontani e non più vicini alla comprensione della realtà. In conclusione la sociologia può essere rappresentata come un universo di teorie in movimento e in espansione, la cui capacità, in termini di comprensione, di fronte alla multidimensionalità del reale, è tuttavia ridotta. I CONCETTI DELLA SOCIOLOGIA

«Una scienza delle forme della società deve presentare concetti e correlazioni di concetti in una purezza e in una delimitazione astratta, che non riscontriamo mai nelle realizzazioni storiche di questi contenuti. La conoscenza sociologica, che vuole comprendere il concetto fondamentale dell’associarsi nei suoi singoli significati e configurazioni, e che vuole analizzare i complessi di fenomeni nei loro singoli fattori fino ad avvicinarsi a regolarità induttive, può far ciò solamente aiutandosi con l’elaborazione di linee e di figure per così dire assolute, che nella realtà del divenire sociale si concretano sempre solo come aggiunte, come avvenimenti frammentari, come realizzazioni incomplete continuamente interrotte e modificate» (Simmel, 1978, pp. 60-61). 1.2 SOCIOLOGIA E SOCIETÀ MODERNA: UN PERCORSO STORICO La sociologia e la sua storia Ogni storia della sociologia deve tenere conto che l’osservazione sociologica riflette in parte il senso della società nella quale lo studioso vive e che perciò lo scienziato sociale «è parte della storia dalla quale egli trae il suo sapere; forse già domani questo sapere dovrà essere rivisto se non proprio abbandonato» (Runciman, 1967, p.181). Condizionata dall’oggetto della sociologia e coordinata agli interessi del sociologo, la storia della sociologia ha un andamento peculiare che la differenzia tanto dalla storia del pensiero filosofico, quanto dalla storia delle scienze naturali. Essa non attraversa personaggi isolati e pensieri conclusi, ma riprende nelle sue varie tappe una riflessione che mostra continuamente aspetti nuovi, interessanti, sottovalutati o trascurati di fronte a una realtà che si ripropone all’osservatore in forme e con evidenze diverse, e richiede perciò in maniera sempre nuova paradigmi, concetti e punti di vista dell’osservatore capaci di catturare quel modo di presentarsi della realtà che pure troviamo rappresentato in maniera egregia nelle opere dei classici. STORIA DELLA SOCIOLOGIA Fatte queste premesse, vogliamo qui disegnare in maniera succinta il percorso della sociologia, ponendo attenzione soprattutto al legame fra evoluzione della società e oggetto della sociologia. La nascita della sociologia Come tutte le altre scienze sociali, la sociologia nasce nel Settecento in parallelo con l’affermarsi dell’autonomia della società civile nei confronti dell’esperienza individuale e del condizionamento dello Stato e con la progressiva autocoscienza della nascente borghesia. Si fa strada l’idea di società che «appare come un oggetto sottoposto a proprie leggi e al quale perciò può essere associata una propria scienza» (Jonas, 1965, p. 11). Essa appare come «una sfera vitale di rapporti indipendente dallo Stato» (Brinkmann, 1919, p. 14). L’idea di società non ha ancora quel livello astratto che avrà nell’Ottocento, indicherà piuttosto lo ‘stare insieme’ e quel complesso di relazioni sociali che acquista una sempre maggiore densità sulla base del principio di un interesse comune. È la nascente borghesia che fa propria l’idea di società civile. Una nuova visione dell’uomo nella sua dimensione sociale e una nuova concezione della vita in società emergono da questo processo di trasformazione materiale e spirituale. Attorno all’idea di

società nascono le scienze sociali, l’economia, la statistica, la psicologia e anche la sociologia, seppure non ha questo nome e si manifesti con una serie di ricerche su temi che poi diverranno essenziali per la conoscenza sociologica. Caduta la tradizione, sciolti molti legami con il mondo medievale, si aprono prospettive nuove sulla convivenza umana. I temi sui quali si imposta la conoscenza della nuova realtà sociale sono simili in Francia e in Inghilterra. In Francia Montesquieu pubblicando nel 1748 lo Spirito delle leggi presenta un grande affresco della cultura borghese, crea le premesse teoriche di una nuova organizzazione politica e attacca la tradizione. L’ignoranza, scrive Montesquieu «è la madre delle tradizioni, cioè del meraviglioso popolare» (Gentile, 1965, p.110). Nella presentazione della sua opera appare evidente che il suo specifico è quello di individuare uniformità e leggi che governano la società. In seguito Durkheim considererà Montesquieu il vero fondatore della sociologia. Pochi anni più tardi, J.J. Rousseau, con il suo Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza fra gli uomini (1754) affronterà uno dei temi fondamentali della sociologia sottolineando la distinzione fra ineguaglianza naturale e ineguaglianza sociale e facendo risalire quest’ultima alla proprietà, cioè a un elemento tipicamente sociale. Pilastri fondamentali del pensiero sociale precedente entravano così in crisi. Il tema dominante in Inghilterra nella prima metà del Settecento è invece quello del legame sociale. La società nel suo intero contenuto viene riportata alle elementari caratteristiche dell’animo umano e cioè ai suoi impulsi fondamentali che agiscono come forze occulte della natura, ignorate dall’uomo stesso. La questione è allora: “Che cosa è che tiene gli uomini uniti in società?” Un tema che poi nel XX secolo tornerà in Simmel e in Elias. L’oggetto della protosociologia del Settecento sta dunque nei caratteri dell’uomo in società, nella interpretazione del legame sociale. Solo nella seconda metà del secolo la tematica della nascente sociologia si completerà con una Storia della società civile (A. Ferguson), con una Indagine sulla differenziazione dei ranghi (J. Millar) e con la Ricchezza delle Nazioni (A. Smith). Con il contributo essenziale della scuola dei moralisti scozzesi il quadro della nuova “scienza borghese” poteva dirsi completato nei suoi temi di fondo. Sociologia e regime borghese Si è spesso detto e scritto che la sociologia è una scienza borghese e di fatto lo è nel senso che essa accompagna il sorgere della borghesia e l’affermazione e lo sviluppo del regime borghese. Nell’arco di tempo che dura fino agli anni ’70 del secolo scorso la sociologia accompagna lo sviluppo della modernità, diventa lo strumento di autoascolto del mondo borghese. Valga come esempio la serie di studi dei classici sul capitalismo, le sue trasformazioni e le previsioni sul suo sviluppo futuro. Basti ricordare Marx, Sombart e il suo grosso lavoro su Il capitalismo moderno, il noto saggio di Max Weber, il libro di Georg Simmel sulla Filosofia del denaro, i contributi della Scuola di Francoforte e infine, per non andare oltre, gli studi di Schumpeter e di Polanyi. Si può dire che nelle varie epoche e con le varie scuole, la sociologia ha rappresentato volta a volta l’ideologia e la coscienza critica della modernità borghese, tutta concentrata attorno all’idea di società, concetto base per costruire una visione sistematica dei fenomeni man mano emergenti

nell’esperienza di quel mondo. Non a caso nella seconda metà del Settecento mentre con A. Ferguson, J. Millar e A. Smith abbiamo, con la filosofia morale scozzese, i primi studi sulla società civile, in molte parti d’Europa la parola “società” significa ancora, come si è detto, soltanto lo “stare insieme. Solo ai primi dell’Ottocento società diventa l’idea-chiave attorno alla quale raccogliere tutti i fenomeni sociali. Con Saint-Simon, Comte, Marx, Tocqueville questo passaggio si è ormai compiuto e il concetto di società come elemento di unificazione e di rappresentazione della vita collettiva accompagnerà la storia della modernità fino agli anni ’70 del secolo scorso, quando sia Anthony Giddens sia Alain Touraine noteranno che questo concetto è diventato or...


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