Futuristico PDF

Title Futuristico
Author Andrea Bruno
Course Comunicazione e innovazione tecnologica
Institution Università Telematica Internazionale UniNettuno
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Appunti dal libro di testo Visioni digitali...


Description

Futuristico o futurologico?  



La galassia di forme, di modi, pratiche e tecnologie che abbiamo chiamato postcinema è in grado di aprire uno squarcio anche sul futuro prossimo della comunicazione. Una storia estremamente emblematica è quella del Blue Beam, che per molti non si tratta di un racconto ma della realtà: un gruppo di plutocrati, facenti parte di un’aggregazione internazionale di derivazione massonica, sta mettendo in piedi un progetto finalizzato alla costituzione di un cosiddetto “nuovo ordine” mondiale, un direttorio costituito da un sodalizio di persone che governeranno l’intero pianeta in maniera illuminata, eliminando cioè la divisione tra nazioni e religioni, e quindi guerre e carestie varie, eliminando però le libertà individuali. Per realizzare questo piano hanno studiato, innanzitutto, un sistema di comunicazione nuovo come Arpanet (l’antesignano di Internet), una rete di computer ideata nel 1969 da un’agenzia del Ministero della Difesa statunitense (paese fulcro di questo progetto), che fa ricerca scientifica sugli strati dell’atmosfera e della ionosfera e sulle comunicazioni radio per uso militare. Si tratta di realizzare un sistema comunicativo a rete che permette ad alcuni fidati organi di comunicazione (“deviati”) di immettere indizi, interpretazioni di fatti che, come dei virus, colonizzano gli spazi della “intracomunicazione”, funzionando quasi come un sistema telepatico. Si sono così studiate forme di comunicazione globale e pervasiva che hanno supportato il progetto di persuasione occulta in maniera molto più efficace di quanto avrebbero potuto fare i media “verticali”. Da queste ricerche sarebbero nati quindi Internet e il Web. Questa è la prima fase del progetto. La seconda, invece, si basa su un’altra agenzia statunitense, la Nasa, che in questi anni ha inviato centinaia di satelliti in orbita intorno al nostrro pianeta con il solo intento di creare il più grande cinema mai visto. Questi satelliti, attraverso gli sviluppi tecnologici delle luci a Led e soprattutto dei laser, sono in grado di proiettare nei nostri cieli immagini tridimensionali, infosculture ben più credibili e spaventose di quanto sia in grado di fare la Realtà Aumentata. Immagini che nello sviluppo del progetto devono risultare interattive: attraverso l’uso di sensori e rilevatori di movimento devono infatti interagire con gli eventuali osservatori e i loro spostamenti. Per realizzare questa proiezione “ipercinematografica” si è reso indispensabile riscaldare la stratosfera per renderla più reattiva alla retroproiezione dallo spazio. Per addensare ancor di più l’aria e renderla adatta a ospitare la proiezione olografica, poi, vengono usate le “scie chimiche”. Tutto questo per proiettare un insieme di immagini come croci, figure di dèi, mostri, Ufo e via dicendo. Immagini di un database che ognuno di noi già possiede. Epifanie, quindi, che si connettono a racconti… mitologici, religiosi, epici, fantascientifici, orrorifici. Un vero e proprio archivio del cinema del Novecento. Ogni apparizione non solo farà immediatamente scattare un meccanismo di riconoscimento che ci immetterà “naturalmente” nei racconti, ma si immetterà, altrettanto “naturalmente”, in un flusso comunicativo ubiquo e pervasivo per cui ogni apparizione verrà fotografata, commentata, condivisa, fatta circolare. Secondo Barabàsi la comunicazione nella Rete, come in tutti i sistemi complessi, si organizza intorno ad alcuni hubs, grandi snodi che più degli altri sono in grado di fornire alla notizia visibilità e credibilità. Quindi, il ruolo dell’informazione “deviata” sarà semplicemente quello di fornire la “giusta” e credibile spiegazione degli eventi, presidiando gli hubs di controllo… Queste immagini servono a fare capire inequivocabilmente che sta arrivando la fine del mondo. Arrivati alla fine della Storia, solo un nuovo inizio potrà dare speranza al mondo tutto. E questo sarà il compito dell’ultima e più efficace apparizione: Maitreya. Messia atteso e rivelato da alcune religioni, soprattutto il buddhismo, questo nuovo Buddha illuminato rivelerà la falsità di tutte le altre religioni impiantandone una, unica e vera, e quindi imporrà un nuovo ordine mondiale che proprio per mano dell’unico vero messia sarà affidato al manipolo di uomini eletti e illuminati in grado di seguire la via da lui indicata, quelli di cui parlavamo all’inizio. La persuasione occulta si otterrà anche con l’uso della telepatia, sempre tramite la Rete, che riesce a collegarsi ai nostri sistemi nervosi connettendoci tutti. Una comunicazione neurale che ci esporrebbe alla possibilità di un controllo totale. Questo racconto complottistico ricorda proprio il postcinema, infatti si parla di un sistema di comunicazione che non è altro che una rete complessa in cui i flussi di informazione passano attraverso









archivi condivisi da cui attingere per creare percorsi narrativi emozionali interattivi e partecipati e, soprattutto, audiovisivi. Il progetto Blue Beam ci permette di guardare oltre, verso un futuro tecnologico condiviso, almeno in parte, da scrittori di fantascienza e futurologi. Un futuro prossimo che i laboratori di informatica avanzata, di neuroscienze e ICT stanno già preparando. Il postcinema è sì quella galassia di forme, pratiche, modi, narrazioni e tecnologie con le sue caratteristiche peculiari, ma si spinge più avanti, identificandosi con la comunicazione tout court. O meglio: il postcinema assume sempre più il ruolo del linguaggio della comunicazione, quella interpersonale, giornalistica, istituzionale, commerciale, e inoltre diviene il linguaggio della conoscenza e, per alcuni, della coscienza stessa. Lo spettatore previsto dal progetto Blue Beam è decisamente lo spettatore del postcinema, sono “ingaggiati” alla stessa maniera, sono definiti dalle stesse qualità. A cominciare dall’immersione: una visione che pone lo spettatore non più difronte alle immagini ma dentro le immagini. Completamente implicato e in stretta relazione con un immaginario con cui si condividono spazi e tempi. Un immaginario audiovisivo esplorabile attraverso i propri sensi, esperienza immersiva e profondamente interattiva. Un’altra caratteristica fondamentale di questa esperienza è che non termina con la fine della proiezione bensì, proprio perché interattiva, innesca una coda spesso persino più significativa della vera e propria performance. L’epifania del progetto Blue Beam, così come i video in rete, prevede di essere ripresa, commentata, fatta circolare. Il testo si definisce per le sue capacità tecniche e culturali di fluire continuamente e di implicarsi con gli altri utenti, altri immaginari, altre community. Questo genere di esperienza contamina e ibrida spazi reali e spazi virtuali. Il progetto delinea perfettamente questo nuovo spettacolo immerso nella comunicazione. La sua posizione è fuori dai luoghi deputati ai media, nell’infosfera del quotidiano e del reale, in quella “realtà aumentata” di cui parla Jurgenson. La giornata tipo di chi ne fa esperienza, di questo ibrido di spettatore, utente e cittadino lo vede spostarsi tra schermi che sono anche i vetri di casa, touchable e interattivi, cartoline animate, videochiamate che possono essere spostate con un semplice gesto della mano dallo smartphone agli schermi incorporati negli oggetti di casa ecc. Questo è il sistema della comunicazione del near future proposto da A day Made of Glass della Corning, che ha voluto visualizzare una giornata “ideale” di un futuro prossimo mostrando il potenziale dei device che, con i suoi partner tecnologici, sta sviluppando in laboratorio. Ci viene mostrata una comunicazione integrata, convergente, pervasiva; tale visione è condivisa in parte anche da Mark Shepard, singolare figura di studioso, accademico e artista. Anche lui tratteggia una società ibrida in cui le tecnologie dominanti sono quelle dell’ ubiquitous computing, dei locative media e della Realtà Aumentata: una città espansa dai flussi di comunicazione e dalle visualizzazioni. Una città intelligente e comunicante. Shepard descrive proprio una dimensione immersiva della comunicazione, in cui, appunto, il ruolo del cittadino, quello dello spettatore e dell’utente si sovrappongono in maniera profonda e indissolubile. Come accade per esempio nel progetto Human Ecosystems di Art is Open Source, una mappa interattiva delle città, “visualizzando” lo spazio ubiquo creato dai flussi comunicativi, “lo human infoscape, l’enorme quantità di informazioni pubbliche che gli esseri umani generano durante la loro vita quotidiana per esprimere le loro emozioni, i loro desideri ecc.” Una mappa che assume le forme di un organismo narrativo in continua trasformazione e che si sovrappone agli spazi reali, posizionando l’uomo tra reale e virtuale. In fondo è anche quello che propone anche Ingress, dove lo spettatore-utente-giocatore interviene direttamente per modificare la struttura della storia, e si ibrida anche con la figura del cittadino, di chi cioè attraversa quotidianamente gli spazi urbani. Per Umberto Eco i mondi della finzione sono sì parassiti del mondo reale, ma lo semplificano proponendoci un mondo finito e conchiuso, molto simile al nostro, ma più povero. Il cinema, per esempio, ha lavorato sempre in questa maniera, estrapolando le coordinate del mondo reale, delle visioni, dei pezzi di storia, per poi riordinare il tutto in un mondo più “conchiuso”, realizzando un universo narrativo “semplice” a cui lo spettatore può credere. Adesso lo scambio tra spazio reale e spazio simbolico si fa più complicato, si tratta di un moto continuo di sovrapposizioni. Se infatti i racconti





del cinema orientano lo sguardo e definiscono una posizione e un ruolo dello spettatore, quelli del postcinema, si contro, sembrano rispondere a un altro interrogativo posto da Eco: “se i mondi narrativi sono così confortevoli perché allora non tentare di leggere lo stesso mondo reale come se fosse un romanzo? Oppure, se i mondi della finzione sono così piccoli e ingannevolmente confortevoli, perché non cercare dio costruire mondi narrativi che siano complessi, contraddittori e provocatori come il mondo reale?” In fin dei conti qualcosa del genere c’è ed è Disneyland! Esso fa convivere il mondo reale con uno finzionale e permette allo spettatore di immergersi in questa realtà espansa e partecipare ad essa, chiamando in causa i nostri immaginari cinematografici. Tutti i parchi a tema si definiscono come un “mondo conchiuso” ma percorribile in diverse direzioni. Lo stesso vale per esempi per Las Vegas. Narrazioni come il progetto Blue Beam e le varie teorie complottistiche sembrano proprio affrontare la vastità dei racconti complessi per offrircene comunque una lettura semplificata. Le teorie del complotto sono racconti emblematici, perché attingono al reale, chiamano in causa la partecipazione, sono decisamente non lineari e si dispiegano in uno spazio ibrido di credenze, verità e sospetti, intrecciando personaggi reali e notizie, informazioni, offendo chiavi di lettura. E in un sistema della comunicazione complesso come quello descritto, per esempio, da Henry Jenkins e Frank Rose, le narrazioni complottistiche dispiegano tutte le loro potenzialità. Funzionano infatti in uno spazio tecnologico convergente in cui trovano posto anche racconti “dal basso”, grassroot, uno spazio della comunicazione che per Jenkins e gli altri è definito dagli spreadable media e dalla diffondibilità, cioè il potenziale (tecnico e culturale) di condivisione da parte dei pubblici, cioè che riferisce alle risorse tecniche, alle strutture economiche, agli attributi di un testo mediatico e alle reti sociali, che influenzano le potenzialità di condivisione. I racconti delle teorie del complotto si caratterizzano proprio per il fatto di fondersi inestricabilmente con l’informazione e con il reale, sono in grado di riunire racconti immaginari, racconti del reale, documentari, racconti mitici ecc. Ogni persona si fa veicolo di informazioni, archivi e flussi di data. Pensiamo al fenomeno dei prepper, dall’inglese to prepare, sono i “survivalisti” che si preparano a diverse forme di apocalisse costruendo rifugi, seguendo corsi di sopravvivenza ecc. Effetti eclatanti, oltre che inquietanti, del sistema dei racconti complessi basati sulle teorie del complotto, i prepper, prorpio come i fan descritti da Jenkins, condividono notizie reali collegandole a fatti immaginari e a orizzonti fantascientifici e orrorifici presi anche da film. Alcuni dei più famosi racconti contemporanei si costruiscono attraverso trame e strategie di engagement complesse e, non a caso, si rifanno a storie complottistiche. Complotto in quanto forma aperta di narrazione, ibrido tra documentazione e fiction, partecipativo. Il termine deriva dal latino “cum” e “plecto”, cioè abbracciare insieme, intersecare, condivide l’origine etimologica con “complicato” e “complesso” e vanta parentele con “plot”. Basti pensare alla serie TV Lost, in cui diversi personaggi e diversi piani spazio-temporali si accavallano continuamente. O Assasin Creed, il videogioco della Ubisoft che ha al centro fitte trame complottistiche che si intrecciano con fatti storici. Inoltre, da esso sono nati spin-off, cioè racconti “derivati” e scaturiti da quello principale, e tie-in, ovvero un’opera commerciale di intrattenimento (romanzo, fumetto ecc.), tratta, con regolare concessione dei diritti d’autore, da un’opera di natura diversa ma con la stessa ambientazione e in buona parte con personaggi e trama analoghi. Attorno ad Assasin Creed sono nati libri, manuali di gioco e tanto altro. Addirittura c’è stata una mostra interamente dedicata ad Assasin Creed, presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, che ha sancito la sua entrata nel mondo dell’arte. Questo videogioco si impone proprio come un sistema complesso, un universo narrativo ampio e personalizzabile. Dal dialogo tra sviluppatori e utenti sono nati prequel, sequel e alternative stories. Un altro esempio è The Walking Dead, forse il più famoso progetto narrativo transmediale contemporaneo. Nato come storia a fumetti, diviene famoso per la serie Tv che ne viene tratta, che a sua volta crea un universo simbolico e narrativo davvero ampio che prevede game, app game, app game a episodi ecc. The Walking Dead propone un universo finzionale complesso, complottistico, fatto di misteri, e tutto ciò lo fa costruendo un’intricata rete di riferimenti, creando sì un mondo “conchiuso” e riconoscibile, ma allo stesso tempo dal sapore frattale.













Gli intrecci tra scienza, politica, finanza e potere sono i prototipi di racconti complessi e complottistici che ben si adattano alla rete. Il web, infatti, rappresenta la struttura ideale per collocare e spargere queste narrazioni. Cloud Chamber è una web serie danese molto originale; si tratta di un ambiente 3D esplorabile (interattivo come un gioco) che prende le mosse da una narrazione mistery-fantascientifico. Le community sono integrate nel testo e solo attraverso i forum si può procedere (con la formula freemium). Si gioca in collaborazione e si procede seguendo i video di fiction, i video documenti (tutta la storia è basata su reali ricerche sui neutrini e sulle radiazioni solari), foto e altri materiali. I confini tra fiction e non-fiction sono labili e così la struttura narrativa è in parte lineare e in parte partecipata. Le definizioni di complotto e di complessità si ritrovano anche in Collapsus, di Tommy Pallotta, un interactive docu-fiction hybrid project di una delle web Tv più originali e innovative, Submarine Channel. Ti connetti ed entri in un universo apocalittico basato su dati reali e proiezioni scientifiche di un futuro prossimo venturo in cui le usuali forme di approvvigionamento energetico sono venute a mancare, e il mondo entra nel caos. Ci sono personaggi di finzione e attori ripresi con la tecnica del rotoscope che li rende cartoon, interviste ai protagonisti della fiction che però riportano dati reali e poi news e blog. L’utente è chiamato ad una sorta di viaggio a metà strada tra il film e il videogioco, il social network e il documentario. Collapsus e Cloud Chamber, proprio come il progetto Blue Beam, si pongono a cavallo tra realtà e fiction: i primi dichiarando il proprio intento narrativo avvalendosi, però, di notizie, fatti e dati reali; il secondo leggendo come realistica e cronachistica una visione romanzata dei fatti. È evidente che alla base dei racconti complessi delle teorie complottistiche ci sia spesso l’ansia che porta a letture personali (se non apertamente distorte) della realtà. Ma l’ansia può essere anche lo stimolo da una parte per cercare più notizie possibili su un evento, magari smarcandosi da un’informazione spesso cosiddetta embedded (si traduca: troppo di parte!), dall’altra per condividere timori e pratiche. È emblematico a questo proposito un progetto di storytelling partecipato nato dopo i fatti di Fukushima del 2011 e la conseguente paura di un disastro nucleare. Dalla rete nasce un tam tam tra artisti e creativi: Oriana Persico raccoglie immagini artistiche sulla paura atomica e fa nascere Nuclear Anxiety, un blog ma anche mailing. Dall’idea del blog che raccoglie messaggi di genera un progetto artistico geolocalizzato dal titolo Nuclear Anxiety, di cui è autore Art is Open Source, al secolo Salvatore Iaconesi e Oriana Persico. C’è una cartina apocalittica del pianeta in cui emerge una serie di puntatori che riproducono l’icona della radioattività. Ogni icona è un messaggio proveniente da diversi social network, ciascuno nella lingua di provenienza. Un mosaico poliglotta e multiculturale che visualizza l’ansia atomica nel mondo. Postcinema in quanto anche post-fumetto, post-game, post-televisione e post-media, proprio perché i media vengono de-ritualizzati e poi ritualizzati di nuovo in una forma che prevede la partecipazione, l’interattività, l’ubiquità, la condivisione, la connessione e la geolocalizzazione.

Le tecnologie del cinema “perfetto”  Anche delle tecnologie ci parla il progetto Blue Beam , di un sistema mediale che vive nella correlazione e ibridazione profonda tra: 1. Un’esperienza audiovisiva sempre più di qualità definita, addirittura tridimensionale, a cui si accede attraverso 2. interfacce sempre più “facili” (user-friendly), fino a diventare “naturali”, all’interno di 3. un sistema di comunicazione connesso, interattivo e geolocalizzato.  In primo luogo, il cinema del progetto sembra l’avverarsi del cinema futuristico a cui molti tendono (qualità sonora e visiva elevata, schermi dalle risoluzioni sempre più potenti ecc.). Si è passati dagli schermi HD ai Full HD e poi all’Ultra HD, andando verso un Ultra Real, con una gara al superlativo che testimonia una frenesia tecnologica indirizzata a un ideale di perfezione audio e visiva. A questo si



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affianca la ricerca di un audiovisivo sempre più avvolgente, come negli schermi curvi, per un’esperienza quasi fisica. è il caso della famosa sala del Géode a Parigi, posizionata all’interno di un edificio sferico con un sistema sonoro e visivo di altissima qualità. La sala si trova (non a caso!) nella cittadella della scienza all’interno di Parc de la Villette. E che questa sia la via tracciata lo dimostra il mercato. Così, Samsung, per esempio, ha ideato un formato, chiamato Escape, per le sale cinematografiche con una serie di schermi che coprono pressoché tutto l’arco visivo degli spettatori. E poi il 3D stereoscopico digitale, la tecnologia che, seppure non abbia rivoluzionato la produzione cinematografica come alcuni sostenevano, offre una visione assolutamente avvolgente. Il 3D digitale si è subito spostato dalle sale agli schermi casalinghi. È curioso notare come la proiezione del progetto Blue Beam sia una retroproiezione, come la tecnica delle macchine Lumière, un sistema che viene riscoperto oggi e che viene usato proprio per proiezioni tridimensionali, in quanto garantisce maggiore luminosità e trasparenza. È usata per esempio dal Free Format Project Screen, uno schermo trasparente in tessuto iperleggero. Con la retroproiezione appaiono immagini...


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