La-repubblica-dei-partiti-scoppola PDF

Title La-repubblica-dei-partiti-scoppola
Author massi riva
Course Istituzioni Di Diritto Privato
Institution Università degli Studi di Siena
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Summary

PIETRO SCOPPOLA“LA REPUBBLICA DEI PARTITI”SPECCHIETTO RIASSUNTIVO (con mie integrazioni)Centrismo (18 aprile 1948 – 7 giugno 1953)Governi monocolore Dc di minoranza (1953-1960)Centro-sinistra (non organico dal 1960 al 1962, organico – con Psi al governo – dal 1962) (1960-1976)Terza fase/solidarietà ...


Description

PIETRO SCOPPOLA “LA REPUBBLICA DEI PARTITI”

SPECCHIETTO RIASSUNTIVO (con mie integrazioni) Centrismo (18 aprile 1948 – 7 giugno 1953) Governi monocolore Dc di minoranza (1953-1960) Centro-sinistra (non organico dal 1960 al 1962, organico – con Psi al governo – dal 1962) (1960-1976) Terza fase/solidarietà nazionale (1976-1980) Governi del pentapartito (Dc, laici minori) (1980-1991) Dal proporzionale al maggioritario (1991-1993)

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Capitolo primo L’eredità del passato 1. Una polemica sulla democrazia italiana Dopo il fascismo, la ricostruzione democratica in Italia si è innestata su un percorso che, già prima del ventennio, era fragile e incerto. Tre elementi devono essere presi in considerazione per comprenderne l’evoluzione: -l’incertezza della classe politica antifascista sull’idea di democrazia ( a causa delle diverse letture della storia del paese); -l’incertezza su uno statuto democratico dei partiti politici; (Nota di Cami: secondo me qui fa riferimento a quello che dice più avanti sul partito comunista, per cui, se dal carattere democratico di un partito equivale l’ antifascismo, dal carattere antifascista di un partito – il Pci – non deriva la sua democrazia interna); -il complesso e contraddittorio vissuto degli italiani. Idea di democrazia della classe politica dopo la caduta del fascismo E’ emblematica la polemica tra Parri (Presidente del Consiglio – Partito d’Azione) e Croce nell’autunno 1945 alla Consulta nazionale (parlamento non elettivo nominato dal governo per dare pareri sul suo operato) per capire la differente visione sull’interpretazione della storia liberale italiana. Parri, in un discorso alla consulta, accenna con disagio all’Italia prefascista: essa, infatti, non avrebbe avuto governi pienamente democratici. E’ cosciente del fallimento della democrazia italiana (nonostante l’introduzione del suffragio universale maschile e l’avvio di un regime dei partiti nel periodo giolittiano) ed esige un ripensamento critico con un conseguente superamento del passato liberale del paese. Croce ribatte che, tra 1860 e 1922 l’Italia ha vissuto un’ascesa verso la democrazia liberale. Egli pone l’accento sul legame tra libertà e democrazia, per cui la seconda è necessariamente il frutto della prima. Per questo motivo vede come necessaria una continuità, per l’Italia del secondo dopoguerra, con la tradizione liberale. Croce teme una svolta a sinistra della situazione di equilibrio raggiunta con il compromesso di Salerno tra partiti antifascisti e monarchia. Di conseguenza, vede nella restaurazione del liberalismo l’unica uscita alla crisi. La stampa di partito (comunista, socialista, repubblicana e democristiana) si schiera con Parri e, nella differenza dei toni, si accenna sempre ad una nuova visione della democrazia, che non può essere (come nella tradizione liberale) solo una garanzia di libertà e di esercizio dei diritti politici, ma deve diventare anche esercizio attivo di diritti sociali. Nel momento della sua rinascita, la democrazia non era, in Italia, un complesso di valori comuni, ma un luogo di conflittualità aspra che si sarebbe sviluppata in futuro. 2. Liberalismo, fascismo e democrazia I giudizi sull’Italia liberale e sul fascismo sono diventati un elemento costitutivo delle proposte di ricostruzione democratica e hanno condizionato direttamente la classe politica e partiti italiani ni primi anni del dopoguerra. La democrazia italiana, dopo il fascismo, deve riprende il cammino interrotto dal fascismo o avviarsi su una strada completamente nuova. Giudizio sul fascismo e proposte per la ricostruzione democratica 2

Il giudizio di Croce sull’età giolittiana muta nel tempo. -In età giolittiana non è positivo. Croce vede la guerra come “salvezza della patria”, in linea con una tradizione borghese estranea agli interessi delle classi popolari, e critica aspramente Giolitti per le sue posizioni neutraliste; -In epoca fascista elabora l’idea del fascismo come interruzione della crescita graduale dell’Italia liberale; -Nel secondo dopoguerra, l’opera giolittiana è vista invece come il compimento del processo democratico. Per questo motivo, la democrazia del secondo dopoguerra può solo prendere le forme di una gestione liberale dello stato da parte delle élites che avevano avuto il potere prima del fascismo. Il fascismo è visto quindi come una parentesi, e questo giudizio viene elaborato con una doppia finalità: -evitare che, agli occhi dei vincitori, le colpe del regime ricadano sul Paese; -riaccreditare la vecchia classe dirigente liberale come un punto di riferimento per la ricostruzione democratica. Parri è portavoce di una diversa proposta politica. Il fascismo è stato una rivelazione dei mali preesistenti nella storia del paese. Questa interpretazione trova concordi gli antifascisti e gli esuli politici, anche appartenenti a culture politiche diverse. Spunto di riflessione è il fatto che la conquista democratica del suffragio universale era stata immediatamente precedente alla crisi della democrazia nell’Italia del primo dopoguerra. Il Partito d’Azione e alcuni settori della nuova generazione democratico-cristiana si fanno portatori di una visione di ricostruzione democratica intesa non come un ritorno al passato, ma come discontinuità e innovazione radicale, sia sul terreno culturale che su quello istituzionale. Così come i liberali, si fanno portavoce di un’iniziativa elitaria. Salvemini non considera il Risorgimento come una “Rivoluzione mancata” e demitizza il concetto di rivoluzione: il Risorgimento ha dato vita ad un “regime borghese” inteso come oligarchia (che non è democrazia, che garantisce i diritti sociali). E’ consapevole dei danni prodotti da centralismo e regime parlamentare e denuncia la debole coscienza giuridica e morale dei governanti. Anche lui ritiene centrale il ruolo delle élites (“la storia è fatta dalle minoranze”) 3. Alla ricerca di un’idea di partito L’affermazione dei partiti popolari nel secondo dopoguerra è il frutto di un lungo progresso. Non c’è un’esplicita coscienza del loro crescente ruolo nella ricostruzione democratica. Nell’Ottocento, la nascita dei partiti di massa (popolari e operai ) aveva posto il problema dei partiti in termini nuovi, non più inseriti nella sola prospettiva parlamentare, ma organizzati nella società. Per Michels il partito di massa è una struttura simile allo stato. La classe politica riemerge nel partito di massa come oligarchia: con l’aumento dell’organizzazione, la democrazia diminuisce. Sorel rifiuta il partito perché lo vede destinato ad integrare la classe operaia nella dialettica parlamentare dello Stato. Vi contrappone il sindacato rivoluzionario. Per Croce la vera azione politica richiede il tirarsi fuori dai partiti, per avere come ultimo scopo il bene della patria e non quello degli interessi che si rappresentano. Salvemini sosteneva il ruolo delle minoranze per mettere in atto delle riforme concrete, ma non prendeva in considerazione la necessità dell’integrazione sociale delle masse popolari, cui i partiti di massa davano una risposta. Da questa polemica del 1912 si nota l’accentuarsi dello scarto tra l’irrompere delle masse sulla scena politica e l’inadeguatezza della riflessione sul partito politico. (Parentesi su Gramsci, che intende il partito come avanguardia della classe operaia per la rivoluzione.) 3

L’elaborazione teorica sul partito non lo vede come strumento per l’inserimento delle masse nello stato liberale, per la sua trasformazione in stato democratico. Le classi egemoni rifiutano le realtà popolari e contemporaneamente, non sono poste le basi per la formazione del tessuto culturale che permette l’evoluzione del liberalismo in piena democrazia. Una voce differente proviene da Sturzo, per cui il partito assume una figura compiutamente democratica, essendo il soggetto collettivo attraverso il quale le realtà popolari si inseriscono nella vita dello Stato. Nell’esperienza fascista, il partito è un’entità insostituibile. Per Mussolini la crisi dei partiti dipende dalla loro incapacità di dare risposte adeguate alla realtà. Il Partito fascista è privo di strutture democratiche, è fondato sull’iniziativa del capo e sull’interpretazione degli umori della folla. Per questo motivo riesce a dare voce alle confuse aspirazioni dell’Italia del primo dopoguerra. Prima dell’avvento del fascismo, il passaggio dal partito parlamentare al partito di massa non era compiuto. Il fascismo usa il partito per costruire una società di massa all’interno di uno stato totalitario. 4. Il vissuto degli italiani La ricostruzione e il dibattito politico si inseriscono in un contesto di tensioni sociali, in un ambiente in cui la popolazione deve lottare per la sopravvivenza. Ci sono fattori che contribuiscono a far emergere i mutamenti del secondo dopoguerra. -Ruolo della donna. Riaffermazione dei valori della famiglia nel secondo dopoguerra, diritto di voto alle donne (la Dc ne trae un immediato vantaggio elettorale, per i comunisti è una sfida). -Ruolo della borghesia. Il primo dopoguerra ha visto incrinarsi la capacità di guida della borghesia italiana, che, sia nel sostegno che nell’opposizione al regime, ha rivelato la propria debolezza intellettuale. -Crisi del consenso popolare al fascismo. Inizia con la guerra nel 1939: la sensibilità dei ceti sociali verso la guerra è differente (contadini: calamità naturale; operai: illusione di restare indenni dall’andare al fronte). Gli italiani sperano nella vittoria come via d’uscita dalla guerra e pochi distinguono tra patria e fascismo. Il crollo avviene nel 1943 con l’inizio dei bombardamenti aerei. La fiducia nel fascismo entra in crisi con l’inizio dei disagi economici. -Diversità delle esperienze degli italiani durante la guerra. Si formano tre Italie: una sotto la linea Gustav che non ha vissuto l’esperienza della resistenza; un’altra tra la linea Gustav e la linea Gotica che ha vissuto un inverno di restrizioni e di occupazione tedesca; l’ultima, sopra la linea Gotica dove la Resistenza ha più profondamente inciso. La guerra non ha reso il paese più unito, ma ha reso più profonde le differenze tra le diverse regioni. Nel Nord la resistenza ha gettato le basi per un nuovo spirito di responsabilità e ha creato le basi per il nuovo tessuto democratico che al Sud è più debole.

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Capitolo secondo Dalla politica delle élites ai nuovi soggetti popolari 1. Il tramonto della classe dirigente liberale Tra il 1945 e il 1946, in concomitanza con la successione da De Gasperi a Parri come Presidente del Consiglio, si manifesta un processo parallelo: il tramonto della classe dirigente liberale e la crisi del Partito d’Azione. Il tramonto della classe dirigente liberale è simboleggiato dalla mancata elezione di Vittorio Emanuele Orlando (ex Primo Ministro dell’Italia liberale) a Presidente del Consiglio dopo la crisi del governo Parri, nonostante il suo prestigio tra l’opinione pubblica e tra i partiti antifascisti. Il nome di Orlando era emerso quando si cercava una soluzione alla crisi di governo con un uomo estraneo ai partiti di massa, per evitare il rischio di renderne uno egemone sugli altri. Orlando era sostenuto in senso anti-degasperiano dalla Curia vaticana: essa mirava ad una ripresa della linea chierico-moderata esercitata durante gli ultimi anni prima dell’avvento del fascismo, per offrire la base del consenso cattolico ad esponenti del liberalismo in cambio di concessioni e favori. Togliatti, al contrario, è favorevole all’elezione di de Gasperi per rompere la continuità con i poteri reazionari che escludono dal potere gli uomini dei partiti che hanno maggior seguito nel paese. Per gli uomini dell’Italia liberale, invece, non ci sono alternative tra un ripristino dello stato liberale o esito socialista della crisi italiana. Un ruolo autonomo della Dc è per loro inconcepibile. Perché il liberalismo ha perso l’egemonia sul piano politico? -Romero: gli schemi di analisi economica e sociologica del partito liberale sono inadeguati e la proposta politica liberale è incapace di cogliere il consenso dei ceti medi; -Pescosolido: manca un’organizzazione del consenso attorno al partito liberale. Prima del fascismo vi aveva ovviato con l’organizzazione dello Stato (prefetture), ma nel secondo dopoguerra questa condizione non si è più ristabilita. Il partito liberale non ha compreso la nuova realtà della società di massa. In futuro potrà giocare solo come alleato di un partito popolare, la Democrazia cristiana. 2. La crisi del Partito d’Azione Anche se il Partito d’Azione si fa portavoce di una “rivoluzione democratica” in antitesi con la proposta liberale, i due movimenti hanno diversi punti in comune. Nel 1927 i fratelli Rosselli, in esilio in Francia, fondano il movimento “Giustizia e Libertà”, che nel 1943 assume il nome di Partito d’Azione, la cui azione piò essere riassunta su tre linee guida: -il tentativo di formare una classe dirigente all’altezza dei suoi compiti (visione elitaria della politica); -la necessità di un’ingegneria istituzionale per rompere con l’accentramento dello Stato; -giudizio positivo sul conflitto tra classi, che non deve essere eliminato, ma reso funzionale allo sviluppo. La crisi del partito inizia con il congresso del 1946, quando si verifica una spaccatura tra l’anima liberaldemocratica e quella socialista, sul tema del rapporto con la base elettorale, rivolgendosi ai ceti medi e alla borghesia che, in passato, era stata criticata. Parri vorrebbe raccogliere i consensi di questa parte della Popolazione, La Malfa è contrario e fonda il Movimento democratico repubblicano, che, dopo la Costituente, scompare dalla scena politica.

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3. I nuovi soggetti popolari: Dc e mondo cattolico Con l’avvento di De Gasperi al governo nel dicembre 1945 inizia una nuova fase per l’Italia: l’evento segna il passaggio da un modo elitario di fare politica a un modo diverso, incentrato sui partiti di massa. Non bisogna dimenticare che il fascismo era stato un regime di massa e che la democrazia che rinasceva in Italia deve necessariamente confrontarsi con questa eredità. Solo i movimenti popolari possono assumere questo compito. Il comprendere o meno questa realtà è il primo elemento discriminante tra le forze politiche. Come fanno i nuovi soggetti popolari a tradurre la rappresentanza di grandi masse in una politica? Per capire questo fenomeno nel mondo cattolico è necessario incentrarsi sulla relazione tra democrazia e verità. L'idea che la tutela della religione non tocca allo Stato non è data per scontata nel momento della rinascita democratica. Al contrario, è prevalente l’idea che la democrazia debba garantire i valori e gli interessi della maggioranza cattolica. Si tratta di un retaggio della mentalità elaborata sotto al fascismo, segnata dai compromessi con il regime (il clero è convinto che si dovesse assicurare alla chiesa una condizione di privilegio legale, così come stabilito dai Patti Lateranensi). La caduta del fascismo, inteso come regime di massa, ha lasciato un vuoto nella società italiana, che è stato colmato dalla Chiesa: essa ha offerto un’identità morale alternativa a chi si era identificato nel fascismo e subiva il contraccolpo psicologico del crollo dei suoi miti. La Chiesa si trova quindi a svolgere spontaneamente il ruolo di garante della società civile e di punto di riferimento morale (anche per il ruolo svolto nella resistenza civile). La Chiesa si trova quindi a svolgere un ruolo civile e politico di un certo rilievo. A prova di ciò ci sono i costanti rapporti del Dipartimento di Stato americano (nella persona di Taylor) e la Segreteria di Stato Vaticana. Al contrario degli USA, non tutti gli antifascisti comprendono il ruolo della Chiesa, pensando che si sia completamente screditata durante il governo fascista. Bisogna approfondire il tema dell’atteggiamento dei partiti laici di fronte alla realtà cattolica nel secondo dopoguerra. Il laicismo nasce come fenomeno speculare al clericalismo, ma non riesce mai a rappresentare, come in Francia, la base di un collegamento tra classi sociali. Nel secondo dopoguerra i laicisti non comprendono il ruolo decisivo che la Chiesa avrebbe svolto nel nuovo regime democratico, per l’aggregazione del consenso e lo sviluppo della democrazia italiana. La Chiesa non vuole rinunciare alla sua esigenza globalità che si esprime anche nella vita associata, mentre per i laici, la religione deve restare un fatto di coscienza. Rimane il problema dell’espressione politica della forza cattolica: la Democrazia cristiana ne interpreta i valori morali, ma l’”investitura” da parte della Chiesa non è scontata. La vita interna della Chiesa in quegli anni è dominata dal verticismo e dal centralismo vaticano, e la base segue con fedeltà le indicazioni provenienti dall’alto (attraverso la stampa e la predicazione dei parroci). Il consenso alla Dc è mediato dalla Chiesa e dalle sue strutture, e il partito ha un’organizzazione propria molto debole. LA Dc si avvantaggia anche della capacità di consenso di cui la Chiesa è capace, ma deve fare i conti anche con le sue arretratezze. De Gasperi consolida il suo legame con Montini, futuro Paolo VI e da qui assume l’idea che la verità cattolica deve dare vita ad un ordine sociale nuovo attraverso una coerente mobilitazione di energie. Montini sostiene l’opera di De Gasperi in quanto realizza il disegno di ricomposizione nazionale su base cattolica. Inizialmente l’unità dei cattolici nasce per far fronte al rischio di evitare uno scivolamento a destra del mondo cattolico, solo successivamente gioca in senso anticomunista. Le forze cattoliche hanno partecipato alla Resistenza e sono portatrici di ideali di rinnovamento e democratici di un certo peso. 6

(seguono discussioni sulla spiritualità della seconda generazione Dc che, francamente, mi sembrano inutili) 4. I partiti della sinistra marxista Togliatti è tra i più consapevoli dell’emergere del nuovo quadro politico legato all’emergere dei partiti popolari e, nonostante le differenze ideologiche, si compiace della Presidenza del Consiglio di De Gasperi. I partiti della sinistra marxista non hanno alle spalle un’aggregazione primaria come quella cattolica, e non sono nemmeno partiti autenticamente laici. Essi sono fonte autonoma della loro cultura e della loro ideologia (sono “chiesa di se stessi”). E’ importante tenere a mente il rapporto base-vertice nei partiti di massa: la classe dirigente è continuamente condizionata dall’evoluzione della base, ma, allo stesso tempo, le attività propagandistiche aggregano la base e la mantengono fedele al partito. Il Pci, con la politica del “partito nuovo” apre la porta ai nuovi iscritti, passando ad oltre un milione nel 1945. Il problema organizzativo si impone con assoluta urgenza. Le spinte provenienti dalla base premono verso un esito rivoluzionario della Resistenza, non compatibile con la realtà democratica. E’ necessario quindi normalizzare il partito nel quadro della legalità. La doppiezza è il cuore del “partito nuovo”: essa nasce dalla coesistenza del radicamento nella base di una mentalità rivoluzionaria (e il legame con l’URSS) e l’inserimento del partito in una democrazia occidentale. Da qui nascono i giudizi di non affidabilità del Pci sul terreno della democrazia. Per far fronte a questo problema, Togliatti ha progressivamente depotenziato le radici staliniste e leniniste del partito, puntando sulla via italiana al socialismo. In Togliatti c’è un’adesione profonda al marxismo-leninismo (chiave per interpretare e dirigere la storia), ma è consapevole degli orrori del sistema (come dimostra il rifiuto di dirigere il Cominform). La contraddizione è palese nella decisione del Pci di riconoscere il governo Badoglio e nella successiva adesione al Cominform: Togliatti crede profondamente nel ruolo dell’URSS, ma si trova in bilico tra i due mondi. Il Pci ha contribuito all’inserimento delle masse popolari nella vita democratica italiana, ma l’appartenenza ideale all’URSS ha ostacolato la formazione del sentimento di appartenenza comune alla democrazia. Il passaggio dall’antifascismo alla democrazia non è, tuttavia, immediato: ogni democrazia è antifascista, ma non si esaurisce nell’antifascismo. E non ogni antifascismo è democratico, come dimostra il regime stalinista. Il problema per l’Italia del secondo dopoguerra era quello di saldare l’antifascismo con...


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