La-vita-quotidiana-come-rappresentazione-Goffman-Recuperato PDF

Title La-vita-quotidiana-come-rappresentazione-Goffman-Recuperato
Author Dina Waldorf
Course Sociologia dei processi culturali
Institution Università di Bologna
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La vita quotidiana come rappresentazione (Erving Goffman) Introduzione italiana L’opera è la prima e più conosciuta monografia di Goffman, pubblicata in Scozia nel 1956, ampliata nel 1959 e tradotta in dieci lingue. L’opera rappresenta una pietra miliare per lo sviluppo della sociologia poiché l’autore è stato capace di descrivere con accuratezza la complessità del sociale, colto negli atti minimi della vita quotidiana. L’opera fu oggetto di forti critiche poiché, per quanto acuto e brillante nelle sue intuizioni, Goffman è ben lontano dal creare una vera e propria teoria sociale; l’autore, infatti, non diede mai una continuità teorica ai suoi scritti e non si preoccupò mai di far chiarezza sulle parti oggetto di critica. Le principali tradizioni teoriche che hanno influenzato il pensiero di Goffman sono due: 1) la scuola di Chicago in cui svolse il suo addestramento professionale. In tale università si svolgevano studi di sociologia urbana che finì con influenzare Goffman; 2) la sociologia di Durkheim per mezzo dell’antropologo Warner (tale influsso porta l’autore a concentrarsi su due tematiche importanti ovvero la divinità come prodotto di rituali collettivi e l’oggetto della vita religiosa, rappresentato dal culto dell’individuo). Goffman fu studioso di microsociologia, ovvero lo studio e l’analisi degli aspetti di routine della vita quotidiana: i suoi lavori, infatti, mostrano che la vita quotidiana non è affatto semplice e trasparente ma complessa e inquietante e che sono proprio i diversi tipi di relazioni (es. famiglia e lavoro) quelli più esposti all’inganno e alla manipolazione. L’autore nella sua opera risulta sorprendente in quanto sovrappone idee, concetti e categorie sociali molto diverse se non agli antipodi, come ad esempio criminali e bambini, comici e terroristi, creando paragoni particolari e contrasti. Inoltre la tecnica argomentativa dell’autore è molto particolare in quanto si serve di aneddoti, descritti in modo accurato, sui quali non rende esplicite le sue conclusioni che invece demanda all’elaborazione critica del lettore. Prefazione e Introduzione dell’autore Goffman, all’inizio della sua opera, definisce l’argomento che verrà trattato: l’individuo che, in normali situazioni di interazione, presenta se stesso e le sue azioni agli altri, il modo in cui egli guida e controlla le impressioni che gli altri si fanno di lui e le cose che più o meno può fare mentre svolge la sua rappresentazione in loro presenza. Il modello interpretativo che l’autore usa è quello teatrale: Goffman prende in considerazione ogni elemento di una recita. Ogni attore svolge la sua parte in un’ambientazione teatrale\contesto\ situazione che è formata da un palcoscenico e da un retroscena e i vari elementi si influenzano e sostengono a vicenda. L’attore infatti è sia osservato da un pubblico, sia esso stesso pubblico per la parte recitata dai suoi spettatori. Ogni attore ha però la libertà di scegliere il costume di scena che più gli aggrada, a patto che mantenga una certa coerenza espressiva nell’adattarsi ai diversi palcoscenici\contesti in cui viene inserito. L’utilizzo del teatro come modello interpretativo tuttavia ha delle carenze: alla sua base vi è la finzione, mentre la vita reale è vera. Quando un individuo viene in contatto con altre persone, queste in genere cercano di avere informazioni sul suo conto di diversa natura. Tali informazioni vengono ricercate in quanto aiutano a definire una situazione, cioè permettono di sapere in anticipo cosa aspettarsi da lui. Si possono raccogliere informazioni da diverse fonti, applicare stereotipi, affidarsi a quanto l’individuo dice di sé, dalla sua condotta e dalla sua apparenza, oppure far valere esperienze passate. Quindi molti fatti 1

cruciali della vita dell’individuo restano al di fuori dei limiti spaziali e temporali del momento interattivo nel quale convergono: un’espressione assunta intenzionalmente per comunicare informazioni volute attraverso simboli verbali e i loro sostituti (gestualità ed espressività somatica), e un’espressione lasciata trasparire in via non intenzionale e molto spesso non verbale (le convinzioni e le emozioni reali possono essere accertate solo indirettamente, da ciò che viene dichiarato o che trapela involontariamente). In realtà ogni individuo crea un’immagine di sé che gli altri devo accettare "sulla fiducia" o attraverso deduzioni, a partire da ciò che egli lascia trasparire e che vuole comunicare. L’individuo si mostra in un certo modo agli osservatori sicuramente per raggiungere un obiettivo specifico tale da spingerlo ad agire per controllare la condotta altrui, comunicando agli altri una certa impressione che è suo interesse dare (può volerli imbrogliare, allontanare, confondere, insultare od opporsi ad essi). A volte l’individuo agisce in modo calcolato, altre volte si esprime in un certo modo perché dettato dal suo status, altre ancora dà certe impressioni pur senza volerlo coscientemente. Gli altri possono allora servirsi degli aspetti meno controllabili e spontanei del comportamento espressivo come mezzo per valutare la verità di quanto è trasmesso per mezzo degli aspetti più controllabili e meno spontanei. L’individuo però può tener conto di ciò e cercare di controllare la sua rappresentazione quando si trova in un ambiente in cui è osservato (l’arte di fingere di non fingere) e gli osservatori possono accorgersi di ciò e cercare di cogliere quelle sfumature della condotta che l’individuo non è stato in grado di controllare bene. Vi è quindi una certa asimmetria nel processo comunicativo poiché l’individuo è consapevole di un solo livello, mentre gli altri ne hanno a disposizione due. Si tratta di un gioco di informazioni in cui, forse, l’osservatore è più avvantaggiato rispetto all’attore\individuo. Gli osservatori infatti possono essere adeguatamente impressionati da ciò che l’individuo vuole comunicare loro oppure possono non comprendere la situazione e arrivare a conclusioni diverse da quelle sperate. La definizione della situazione Una volta che l’individuo proietta una certa definizione della situazione in presenza d’altri anche questi ultimi a loro volta proiettano una definizione della situazione a seguito della loro reazione all’individuo. Generalmente le definizioni della situazione proiettate dai diversi partecipanti sono abbastanza in armonia l’una con l’altra, senza creare aperta contraddizione. Ciò è possibile in quanto ogni partecipante nasconde i proprio desideri dietro affermazioni basate su valori condivisi da tutti, a cui tutti i presenti si sentono obbligati ad aderire. Inoltre ogni partecipante ha solitamente il privilegio di imporre regole che per lui sono vitali, ma per gli altri non sono particolarmente rilevanti, raggiungendo un consenso operativo che eviti un conflitto aperto fra diverse definizioni della situazione. Pertanto tutti contribuiscono ad un’unica e generale definizione della situazione che implica un’intesa circa le pretese e gli argomenti che vengono presi in considerazione, evitando così conflitti (si parla di consenso operativo). Ecco perché sono così importante le informazioni possedute inizialmente, dato che su di esse l’individuo comincia a definire la situazione e ad impostare una linea di reazione. Certamente nel corso dell’interazione tra partecipanti vi saranno aggiunte e modifiche al bagaglio iniziale di informazioni, ma è fondamentale che gli sviluppi successivi non contraddicano le posizioni iniziali prese (le prime impressioni sono quelle che contano di più, come ad esempio un insegnante che il primo giorno di scuola decide di mostrarsi risoluta, facendo capire da principio chi comanda). Può capitare, durante il processo interattivo, che l’individuo che proietta una certa definizione della situazione possa essere contraddetto, screditato o

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messo in dubbio. Quando ciò si verifica, si crea vergogna, imbarazzo e confusione poiché la situazione è stata definita e percepita in modo errato. Una definizione proiettata ha anche un carattere morale: vige il principio generale che un individuo con certe caratteristiche sociali ha il diritto morale di pretendere che gli altri lo valutino in modo appropriato. Inoltre chi dichiara certe caratteristiche dovrebbe essere ciò che pretende di essere, dunque, scegliendo una definizione della situazione, un individuo implicitamente rinuncia a essere ciò che non appare, pretendendo di essere valutato e trattato in modo confacente al suo status, compiendo in questo modo una richiesta morale nei confronti degli altri. In questo modo l’individuo cerca continuamente di realizzare delle tecniche di difesa per non alterare la definizione della situazione, che consistono in tecniche, adottate in presenza degli altri, per salvaguardare le impressioni suscitate negli altri: senza di esse le alterazioni sarebbero molto più frequenti (quando invece un partecipante usa delle tecniche per salvare la definizione di situazione di un altro, si parla di tecniche protettive o di tatto). Insomma quando un individuo è in presenza di altri cerca di controllare le impressioni che essi ricevono dalla situazione attraverso una serie di tecniche ben studiate. Nell’analisi strutturale del processo interattivo è importante tenere presente alcuni termini: - Interazione faccia a faccia: influenza reciproca esercitata tra individui che si trovano gli uni in presenza degli altri; - Interazione: processo interattivo che ha luogo quando gli individui di un gruppo si trovano in presenza gli uni degli altri; - Rappresentazione: attività svolta da un partecipante volta a influenzare uno degli altri partecipanti; - Pubblico\osservatori: coloro che forniscono altre rappresentazioni; - Routine: modello di azione prestabilito che si sviluppa durante una rappresentazione. CAPITOLO PRIMO Rappresentazioni in buona fede e rappresentazioni in mala fede Gli individui sulla scena sociale interpretano "una parte", richiedendo implicitamente agli osservatori di prenderli sul serio e di credere che il personaggio che essi vedono possieda determinati attributi. Non a caso "persona" significa "maschera" che rappresenta l’io che ognuno vorrebbe essere, ma che spesso deve impersonare, ed è in questi ruoli che gli individui si conoscono gli uni con gli altri. Il pubblico può essere convinto o meno dalla parte e l’attore può essere: - Sincero, quando l’attore è completamente assorbito dalla propria recitazione da credere fermamente nell’impressione che comunica agendo, convincendosi che la realtà che egli mette in scena sia la realtà; - Cinico, se non è convinto della propria routine e non si cura dell’opinione del pubblico, e ciò non vuol dire che agisca negativamente ingannando il suo pubblico per interesse o vantaggio personale, perché può anche ingannare il suo pubblico credendo di agire a fin di bene (alcuni attori sono cinici perché il pubblico non permette loro di essere sinceri, come ad esempio medici indotti a prescrivere rimedi inutili a pazienti paranoici). Vi sono ovviamente momenti di transizione tra sincerità e cinismo: dalla mancanza all’acquisto della fiducia e viceversa (ad esempio una recluta segue inizialmente le regole della disciplina 3

militare per evitare punizioni e infine finisce con l’adeguarsi ai regolamenti per non screditare l’organizzazione a cui appartiene e ottenere il rispetto dei suoi compagni), in cui l’attore tenta di indurre il pubblico ad un giudizio su di lui, ma allo stesso tempo dubita della validità di questo giudizio o di meritarlo, fino a una sorta di auto-illusione. La facciata La facciata è la parte della rappresentazione che funziona in modo fisso per definire la situazione a quanti la osservano, rappresenta l’equipaggiamento espressivo di cui l’individuo si serve in modo intenzionale o meno durante la propria rappresentazione. Bisogna differenziare le parti tipiche della facciata: 1) l’ambientazione che comprende i dettagli di sfondo che forniscono lo scenario necessario per una facciata, tanto che l’attore non può cominciare la sua azione se non si trova nella giusta ambientazione. Difficilmente essa segue l’attore, vi sono rari casi come nei cortei funebri, nelle parate e processioni o nel caso particolare dei club. 2) La facciata personale comprende gli elementi dell’equipaggiamento espressivo che vediamo identificati con il singolo attore e che lo seguono ovunque (gesto, sesso, razza, espressioni, età, distintivi di carica o rango, taglia, portamento, modo di parlare, ecc…) e si dividono in fissi (caratteristiche razziali, sesso) e mobili (espressioni del viso, età). Gli stimoli che formano la facciata personale vanno divisi tra apparenza (stimoli che suggeriscono gli status dell’attore o che informano a proposito del suo momentaneo status) e maniera (stimoli che informano di che ruolo l’attore intende avere in una situazione che sta per verificarsi). Maniera e apparenza sono in genere coerenti tra loro, anche se a volte possono contraddirsi, magari volutamente (come ad esempio un attore di condizione superiore al suo pubblico che agisce inaspettatamente in modo confidenziale). Inoltre sono normalmente coerenti con l’ambientazione, anche se spesso i giornalisti invitano a prestare attenzione alle eccezioni, che costituiscono un elemento interessante e piccante a livello mediatico di molte carriere (ad esempio Roger Stevens noto agente immobiliare che nonostante i suoi successi possiede una casa e un ufficio modesti). In realtà la facciata e un tipo di routine non sono collegati in maniera univoca: spesso una stessa facciata può essere propria di routines diverse, e comunque esiste un numero limitato di facciate, tra le quali in genere si è costretti a scegliere la propria, senza poter creare una facciata realmente originale, nonostante possa sembrare tale (basta allora che gli osservatori conoscano un ristretto numero di facciate e sappiano come reagirvi affinchè si possano orientare in una vasta gamma di situazioni). Di solito le facciate vengono scelte e non create e ciò può provocare conseguenze come il fatto che non si possa trovare un perfetto adattamento tra una specifica rappresentazione e il ruolo assunto dall’individuo, perché le facciate disponibili sono molte e diverse e magari un tipo di facciata è troppo elevata per un ruolo, ma la successiva, in un ipotetico ordine, è troppo bassa (ciò avviene quando vengono a crearsi ruoli nuovi come ad esempio il caso dell’anestesista il cui ruolo non è paragonabile né all’infermiere né al medico, è una via di mezzo). Un altro esempio chiaro è quello di un avvocato che parla al proprio cliente in una precisa ambientazione, ovvero il suo studio, ma gli abiti che indossa tipici della sua facciata sono adatti a più occasioni come un pranzo tra colleghi o una serata a teatro. È un’eccezione alla regola una facciata la cui ambientazione, maniera e apparenza facciano riferimento a un solo specifico tipo di routine, nelle occasioni importanti con molto cerimoniale.

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Qualità teatrali della realizzazione In presenza di terzi, l’individuo puntualizza la propria attività in modo "teatrale", con segni appositi per rendere evidente agli osservatori ciò che desidera comunicare. È questo il caso di pugili, chirurghi e poliziotti, i cui ruoli sono ben chiari ed evidenti. In realtà spesso risulta difficile rendere al meglio il proprio lavoro, perché ai terzi può apparirne solo una parte, e a volte neanche la parte più importante (in un negozio, ciò può coinvolgere l’aumento dei costi visibili, per coprire altri costi che il cliente non vede o non considera importanti oppure il lavoro degli infermieri del reparto di medicina interna considerato sommario, non professionale poiché i pazienti non sanno che la loro diagnosi è basata sull’osservazione di dati visibili che richiede del tempo e pertanto il loro operato verrà scambiato per una pura perdita di tempo rispetto al lavoro degli infermieri del reparto di chirurgia). Il problema di valorizzare la propria attività può portare a dedicare precise energie a scopo comunicativo, o addirittura a far svolgere questo ruolo a persone specifiche. Il rischio maggiore è quello di una scissione tra espressione e azione, fino a un punto tale che chi si impegna a rendere evidente un compito, poi non ha il tempo di svolgerlo realmente o viceversa. Idealizzazione Una rappresentazione è "socializzata", cioè plasmata e modificata per adattarla alla comprensione e alle aspettative della società nella quale viene presentata. Per questo essa costituisce una forma di idealizzazione della situazione: un po’ tutte le professioni hanno un modo e un gergo particolari, assunti per lo più inconsciamente, che hanno un effetto forte sui non addetti ai lavori. Per Durkheim "Il mondo è una cerimonia nuziale": la deformazione espressiva delle rappresentazioni ha spesso l’obiettivo di mostrare una condivisione dei valori comunemente accettati, tanto più in contesti di elevata mobilità sociale, dove l’accesso, voluto e ostentato, a ranghi più elevati porta l’individuo prima ad acquisire familiarità con un sistema nuovo di simboli (in primis sfoggio di una ricchezza materiale), poi ad usarlo quotidianamente per abbellire le proprie rappresentazioni ed adeguarle ad uno stile sociale più alto (la mobilità verticale implica la messa in scena di rappresentazioni appropriate al nuovo status acquisito). È anche vero che: 1) Si tende ad attribuire uno status più elevato in virtù degli accenti espressivi di una rappresentazione; 2) A volte una rappresentazione può esaltare valori ideali che diano un’idea di una posizione inferiore, come ad esempio forme esibizionistiche di povertà o accattonaggio (ovunque esista un controllo delle risorse economiche è probabile che si verifichi ciò, per ingannare ad esempio gli assistenti sociali). Chiaramente l’individuo che vuole esprimere norme ideali, in pubblico non può compiere azioni incongruenti con esse, anche se spesso poi le compie in privato (esempi come i proprietari terrieri di Scozia che quotidianamente hanno una vita frugale e modesta mentre fanno sfoggio della loro ricchezza dinanzi ai loro ospiti; oppure le studentesse universitarie americane che sminuiscono le loro conoscenze dinanzi ai propri corteggiatori, facendosi spiegare cose tediose che già conoscono perfettamente o ancora gli affittuari inglesi non rinnovano le facciate delle loro case per evitare che il proprietario pretenda un aumento dell’affitto). Sono molti gli oggetti di occultamento: piaceri sconvenienti (bambini di otto anni che guardano di nascosto programmi televisivi per bambini pi piccoli), sforzi di far economia (casalinghe che furtivamente usano sottomarche pur continuando a dare l’impressione di servirsi di prodotti di qualità), attività lucrative (il negozio di tabacchi che funziona anche da botteghino per le scommesse sulle corse dei cavalli), errori precedenti che si 5

cerca di risolvere prima della rappresentazione, lavori sporchi necessari per arrivare a un lavoro finito soddisfacente e apprezzato, aspetti inaccettabili a fronte di standard condivisi e manifestati (un supermercato che cerca di mantenere gli standard di qualità richiesti dai clienti servendosi del mercato nero trascurando alcuni aspetti che apparentemente devo risultare comunque rispettati), trascorsi degradanti prima di arrivare in una certa posizione. Un attore ha la tendenza a nascondere o sminuire quelle attività, fatti e motivi che sono incompatibili con una versione idealizzata di se stesso e dei suoi prodotti. E il pubblico in genere tende ad esaurire l’individuo che ha davanti con il personaggio che viene mostrato, mentre ci può essere molto di più, che invece viene celato. William James ritiene che l’attore ha tanti diversi io sociali quanti sono i gruppi di persone della cui opinione egli si preoccupa (giovani che in pubblico si mostrano riservati mentre bestemmiano e fanno i duri con gli amici). Si verifica così una "segregazione del pubblico" poichè l’attore si assicura che il pubblico dinanzi al quale recita la sua parte non sarà lo stesso in una diversa rappresentazione, il che produce un inganno che scinde l’attore come è e l’attore come appare, accettato dal pubblico anche per comodità e risparmio d’energia emotiva. La rappresentazione è un qualcosa di abitudinario, ma l’attore tende sempre a mostrare una forma di specialità al pubblico, come se non stesse realizzando u...


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