L\'affaire bovesia PDF

Title L\'affaire bovesia
Author Giovanni Lupis
Course Comunicazione e Linguaggio Giornalistico
Institution Università degli Studi di Messina
Pages 21
File Size 808.1 KB
File Type PDF
Total Downloads 27
Total Views 141

Summary

Pdf riguardante il caso della Bovesìa e della lingua grecanica in Calabria...


Description

PAOLO M ARTINO (Roma) L'affaire Bovesía: un singolare irredentismo. La Bovesìa è area di elezione per lo studio dei complessi fenomeni del contatto e dell'interferenza. Due varietà eteroglotte, il romanzo calabrese e il calabro-greco, sono convissute nella stessa comunità con alterne vicende per un'estensione temporale impressionante, attraversando tutte le fasi del contatto (compresenza in diglossia, conflitto, compartimentazione diastratica e diafasica) e si sono reciprocamente influenzate dando origine a un diasistema interessante, conservando fino ad oggi (ma sarebbe più veritiero dire fino a ieri) la loro vitalità in una simbiosi profonda. La teoria vorrebbe che, quando l'interferenza raggiunge certi livelli, si produca il collasso della varietà debole e la sua fagocitazione da parte della più forte. Ma è pur vero che a tali processi, ben noti in sociolinguistica, si oppongono fenomeni vari che consentono la sopravvivenza, e a volte il ripristino, della varietà recessiva contro ogni aspettativa. È questo il caso del bovese? Oppure nella Bovesìa la sostituzione può dirsi compiuta? Il Libro rosso dell'UNESCO sulle lingue minacciate (Red Book on Endangered Languages: Europe), pubblicato anche in rete (1993), classifica il grecanico ("Italiot Greek") tra le lingue "seriously endangered". Il numero totale degli italogreci, per il compilatore Tapani Salminen ammonterebbe a 20.000 - 40.000 persone, ma le cifre si devono riferire evidentemente a tutti gli abitanti delle due isole grecaniche, la salentina e la calabrese; in Aspromonte la grecofonia può dirsi praticamente spenta. La situazione è drammatica. Se, in omaggio ai pochi parlanti nativi ancora in vita, si preferisce considerare il grecanico una lingua “seriamente minacciata” anziché estinta, va detto che la principale minaccia alla sua sopravvivenza proviene dagli stessi tutori della rinascita ellenofona che, utilizzando le provvidenze erogate dallo Stato e da vari enti per la tutela delle culture minacciate, promuovono festivals, gruppi folk, premi letterari, pubblicazioni periodiche, gemellaggi, gite di gruppo in Grecia, convegni per la reintroduzione dell'alfabeto greco e dell'insegnamento del neogreco nella Grecìa italiana in vista di un trapianto della cultura neogreca. Alla base di questo atteggiamento anacronistico sta il disconoscimento dei meccanismi sociolinguistici che regolano la vita delle varietà minoritarie e un esplicito quanto assurdo sentimento “irredentista” che guarda alla Repubblica Ellenica come alla Madrepatria. Promotori di queste iniziative non sono i grecofoni, ridotti ormai a un gruppetto sparuto di vecchi per nulla desiderosi di parlare e scrivere neogreco, ma alcuni esponenti della intellettualità locale. Ben ottant'anni fa, dopo le sue prime escursioni in Aspromonte per i rilievi dell'Atlante linguistico Italo-Svizzero, Gerhard Rohlfs pubblicava una nota dal titolo eloquente: Una lingua che se ne va (Rohlfs 1924). Cinquant'anni fa, riassumendo dati di prima mano raccolti nell'ambito della ricerca sui Testi neogreci di Calabria, G. Rossi Taibbi scriveva1: «Nel territorio dei cinque Comuni di Roccaforte del Greco, Rochudi, Condofuri, Bova e 1

TNC 1959, Prolegomeni (TNC, XVIII).

1

Bova Marina, che contano una popolazione di 16.304 abitanti, oggi si parla greco usualmente solo nel villaggio di Gallicianò, il più povero e il più isolato. I dati raccolti durante l'ultima nostra inchiesta (gennaio 1958) ci permettono di affermare che l'isola alloglotta di Calabria è ormai destinata fatalmente ad una rapida scomparsa. Anzi, se una lingua è da considerare estinta, quando vengano a cessare quelle spinte dinamiche alla perenne creazione, per cui essa si evolve nella espressione dei parlanti, il greco di Calabria è già spento».

Pochi anni dopo, l'inchiesta di Benito Spano (1964) rilevava 3.900 parlanti greco, tutti sopra i quarant'anni, su 14.871 abitanti, ma era una stima ottimistica. L'anno precedente, Temistocle Franceschi, a conclusione del verbale dell'inchiesta condotta nel 1963 per l'Atlante Linguistico Italiano (punto 969: Bova), emetteva un'icastica diagnosi: «(il bovese) non vedrà il Duemila» (ALI 1995). Nel 1975, l'Associazione Internazionale per la Difesa delle Lingue e delle Culture Minacciate (A.I.D.L.C.M.) decretò, a conclusione della sua Inchiesta: «la comunità greca di Calabria vive il suo ultimo decennio». Per Marianna Katsoyannou, che ha svolto ricerche a Gallicianò nel periodo 1993-4, il greco di Calabria è «μία διάλεκτο υπό εξαφάνιση» (1994:542). Nello stesso anno G. Francescato scriveva: «Il solo villaggio di Gallicianò può essere classificato oggi come sicuramente grecofono: in tutte le altre località il grico occupa un posto molto marginale nel repertorio linguistico. Il dialetto romanzo locale e l'italiano esercitano anche qui una sensibile pressione disgregatrice. Tuttavia i processi di svalorizzazione e di derisione sono molto più avanzati nell'area calabrese (rispetto alla salentina), in conseguenza dell'atteggiamento fortemente negativo assunto dagli abitanti delle località limitrofe, linguisticamente inserite nell'ambito dialettale italo-romanzo» 2. La minaccia era ancora individuata nella mancanza di provvedimenti pubblici e nella esasperata grecofobia. Ma si sa che non sempre l'emarginazione produce recessione. Possiamo dire ora che il bovese ha passato il giro di boa del millennio resistendo all'attacco dell'italiano e dei dialetti calabro-romanzi, sia pure ristretto alla competenza passiva di pochi vecchi, ma ormai sembra davvero in stato pre-agonico e destinato alla totale sostituzione nello spazio di pochi anni. Credo che si possa stabilire nel 1971 la data simbolica del decesso, o quanto meno dell'inizio del collasso. In quell'anno il Genio Civile di Reggio ordinò lo sgombero totale di Roghudi e della sua frazione Chorío, che con Gallicianò erano il vero cuore vivente della grecofonia, in seguito alla disastrosa alluvione che mise in pericolo la grande roccia su cui è adagiato il paese. Questa comunicazione intende esibire riflessioni maturate in una lunga frequentazione dell'italogreco e della Grecìa aspromontana in vista della preparazione di una Storia sociolinguistica dell'Italogreco e di un lessico storico-etimologico. In una prima ricognizione, effettuata ben trent'anni fa, avevo trovato una generazione di parlanti anziani e di mezz'età che tuttavia non adoperavano più il grecanico come codice quotidiano, ne limitavano l'uso a situazioni particolari e a scopi criptolalici. 2

Francescato 1993, 332.

2

Inoltre, malgrado il processo di revival fosse già avviato, il sentimento di interdizione del greco come codice emarginato, che innescava il mimetismo culturale, era ancora fortissimo. I risultati di quell'indagine sono stati presentati all'XI Congresso della SLI svoltosi a Cagliari nel 1979 (Martino 1980). Per comprendere il presente è opportuno considerare il passato, in quanto tempi e intensità della stigmatizzazione assumono, per questa varietà alloglotta, aspetti peculiari. Dell'antica condizione sociolinguistica, che relegava il greco in fondo alla scala del repertorio linguistico come lingua “bastarda”, persistono i termini “denigratorî”, appellativi che nei vari dialetti del reggino hanno più o meno lo stesso significato: ‘zoticone, poveraccio, ignorante, scemo’. Sono tutte voci grecaniche che, quando sono entrate nel dialetto, designavano i Greci dell'Aspromonte. Fiorita e fantasiosa è l'aneddotica popolare sull'imbecillità dei paḍḍéchi3: una locuzione assai offensiva è pari ca vèni d'a paḍḍecarìa «pare che provieni dalla terra dei greci». Per connotare negativamente i montanari grecanici si usano nei dialetti reggini i termini bromu «villano rozzo» (cfr. βρῶμος «cosa puzzolente»), camali o camèli «babbione, sciocco» (gr. χαμάλης «facchino»), źangrèu «zotico» (gr. ζαγκλαῖος «uomo della falce»), paḍḍáli (gr. *παλλάλιον < παλαβός 'sciocco', però tramite il der. *παλλαβάλι(ον) di cui si ha altro esito in cal. pallavá ‘bacchettone’ (Martino 1990), parpàtulu (gr. περιπάτουλος, cf. bov. parpató ‘andare in giro, camminare’ < περιπατῶ) e altri lessemi di discussa etimologia: źàmbaru, tamàrru, rambali, ndurru, zurgu «villano, sciocco, zotico». Źangréi è il soprannome dato agli abitanti di Bova Superiore da quelli di Mèlito, Bagaladi e Palizzi, mentre pohji (da ἀπόχιος «distante»?) sono i contadini rozzi della montagna, i «cafoni» (cfr. Rohlfs 1964: 51). Sciamei ( κναφεύς 'lavandaio', 'fullo': Herm. Montep.) sono i Bovesi; cuzzòmiti (‘col naso tagliato’) i Palizzitani. Alcuni tratti soprasegmentali (intonazione) della parlata dei Choriàti (greci del vallone dell'Amendolea) sono motivo di derisione anche da parte dei Bovesi. Lo stesso nome di Condofuri fu interpretato come ‘covo di ladri’, postulando un etimo latino (fures). Inoltre in alcuni centri dell'amfizona romanizzata (Badolato) il verbo grechijàri significa ‘essere balbuziente’. Un fatto peculiare di questa minoranza è che il massiccio processo di sostituzione data almeno dal secolo XI (normannizzazione) e la forte stigmatizzazione è vecchia di oltre mezzo millennio. Già nel XV sec., stando al verbale compilato nel 1458 dal Visitatore apostolico Athanasios Chalkeòpoulos, e registrato nel Liber Visitationis (Laurent - Guillou, 1960, f. 137), un monaco basiliano del monasterium Sancti Johannis ad Piru così si esprimeva del cardinale Bessarione che aveva ordinato la Visitatio: «Questi Grechi non se sa si su christiani oy turchi, perchè lo patriarcha de 3

I pa ḍḍéchi erano giovani grecanici trasferiti alle marine e nei paesi di lingua romanza in cerca di lavoro, irrisi per la loro alloglossia e adibiti ai servizi più umili. Il termine è inseparabile da grico paḍḍ ikári ‘giovanotto, fidanzato’ < mgr. παλληκάριον 'id.', per cui cf. gr. πάλληξ · βούπαις 'ragazzo guardiano dei buoi' e παλλάκιον · μειράκιον ‘giovinetto’ Hes.; per il calabro-greco si può pensare a induzione del morfema –o che avrebbe sostituito gr. – άρι secondo un modello noto (cf. cilistràri: cilistru). Deboli le ipotesi di Rohlfs, LG:379, che pensa a ar. fallāh ‘contadino’ e di Karanastasis, ILEIKI 3:79 che segue Alessio 1943-4:78 (< gr. παλαΐκος 'arretrato').

3

Constantinopoli non pò fare episcopi ne previteri, et non essendu previteri non potù baptizare et non potendu baptizare non ve pò essere nullu veru christianu»; et plus dixit: «Stamu incappati in manu di questi Grechi, chi su venuti da lo Levante et non sapimu si su christiani oy turchi, chi ne facu andare sperti, et lo cardinale volce esser electu papa, poy li cardinali dixero: Volimu fare questu papa, chi non sapimu si è christianu »...

Ancora, un presbitero del monasterium Sancte Marie de Muloyi: «Interrogatus si abbas dicit officium, dixit quod raro dicit et deridet Grecos, et quando audit eos dicere officium dicit: «Guarda, officio de merda questo greco»; non tenet monacos, non stat in monasterio et multa bona alienavit, est avarus, superbus, aliquando sanctificat demones... » (Laurent - Guillou, 1960, f. 96,20).

Un altro monaco dello stesso monastero, Frater Johannes Firracisus, «testis examinatus dixit quod abbas non stat in monasterio, non dicit officium, nec celebrat missam, nichil de regula servat, pocius beffatur de ordine sancti Basilii et de Grecis dicendo: «Quissi Grechi portano le barbe de becchi»; et non tenet monacos propter ejus avaritiam et suberbiam...» (97,3 sgg.).

Un secolo dopo, la tabuizzazione della grecofonia raggiunse l'acme con l'arrivo del vescovo Fr. Giulio Stavriano (1571-1577), di origine armeno-cipriota, ma avverso al rito orientale. Egli si affrettò ad attuare un progetto consigliatogli, a suo dire, da papa Pio V: ridurre il clero bovese dal rito greco al latino4. La soppressione della liturgia greca, che diede inizio alla lunga passione della grecità bovese, suscitò l'anatema dell'abate Coluccio Garino, tesoriere della Chiesa Maggiore di Bova contro chi aveva mutato il rito greco nel latino (23 novembre 1572)5. La data simbolica dello storico trapasso è il 23 gennaio 1573, quando un prete ordinato col rito greco celebrò la prima messa in latino nella cattedrale di Bova6, guadagnandosi così il soprannome di Juda, conservato poi dai suoi discendenti. Nello stesso anno lo Stavriano creava le strutture destinate a consolidare il cambiamento: in ogni centro abitato erigeva una comunia alla quale erano devolute tutte le proprietà ecclesiastiche e della quale potevano far parte solo i preti disposti a celebrare secondo il rito latino7. Il protopapa cominciò ad essere chiamato arciprete; i greci superstiti, esclusi dalle rendite e ridotti in povertà, si dedicarono alla pastorizia e all'agricoltura; in vari paesi sopravvisse qualche chiesa greca, in genere emarginata nel quartiere più povero, detto Grecìa. Il 29 aprile 1573 lo Stavriano poteva scrivere al cardinal Tolomeo Galli: «... essendo io due anni fa venuto al governo di questo popolo, subito, secondo l'ordine hebbi dalla felice memoria di Pio Quinto, cominciai a ridurre il mio clero dal rito greco al 4

Peri 1975, 48-49; 54-55; Longo 1988, 50. Il solenne anatematismo che invoca la maledizione dei trecentodiciotto Padri del primo sinodo ecumenico è trascritto in un testo bovese in caratteri greci, 38 righe, contenuto nel Barb. Gr. 535 (ff. 182v183 r) conservato nella Vaticana e pubblicato da Mosino 1987. 6 Rodotà I, 419-20. 7 Longo 1988, 54. Nel documento di erezione della comunia di Palizzi, conservato nell'Archivio Diocesano di Reggio calabria (Bova, 3), si dice tra l'altro: «... in quam quidem communiam non possunt subintrare nisi illi clerici qui Latino ritu celebrabunt, qui vero Graeco prorsus exclusi intelligantur». 5

4

latino, nel che ho speso una gran quantità di danari in mantenere mastri di grammatica e canto [...] Bene è vero che, se piacesse a Sua Santità ch'io restassi qui per finire l'opera ch'io ho cominciata, io l'havrei molto a caro, perché sono certo che, se di qui mi diparto, questa chiesa ritornarà greca come prima ed io havrò perduto ogni mia fatica e spesa...» 8.

Da allora la borghesia locale si fece strenua paladina della latinità. Si comprende così il fenomeno dei tanti grecismi calabresi ignoti al bovese. Nelle finitime aree romanizzate la mancanza di una interdizione così forte ha potuto determinare condizioni più favorevoli alla conservazione9. Date queste premesse, fa meraviglia che la grecofonia si sia conservata fino ad oggi, ancorché con una graduale riduzione territoriale e un'altrettanto implacabile destrutturazione sistemica. 1. UN NUOVO PRESTIGIO La reazione che, nella seconda metà del '900, ha portato ai tentativi recupero identitario è stata non meno estremizzata. Il risveglio (di cui è simbolo il nome Apodiafazi < ἀποδιαφάυει ‘rialbeggia’ dato da Bruno Casile al circolo da lui fondato a Bova) fu secondato da vari fatti, il primo dei quali è la grande emigrazione del dopoguerra, poi l'arrivo della televisione, il boom economico, la scolarizzazione di massa. La diaspora grecanica dalla montagna alle marine e verso le zone industriali del Nord Italia, febbrile negli anni del dopoguerra, divenne infatti parossistica nel decennio del boom economico (anni '60 del secolo scorso). Ennesimi scopritori della grecanicità (si potrebbe dire grecitudine: già si è parlato, in sede antropologica, di calabritudine) furono alcuni intellettuali reggini: il prof. Domenico Minuto, valido studioso di storia religiosa calabrese, il prof. Franco Mosino, docente di greco al Liceo Campanella, i giovani Antonio Scordino e Giorgio Barone, allora seminaristi presso il Collegio Greco di Roma. Barone, poi professore di Storia del diritto romano alla Sapienza e a Catanzaro, è ora archimandrita responsabile dell'Arcidiocesi ortodossa d'Italia (Calabria e Sicilia) dipendente dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Il “recupero” si è manifestato a partire dalla metà del secolo scorso, quando – in condizioni di ripresa economico-sociale e di capillarizzazione dell'istruzione superiore – l'intensità delle presenze in loco di studiosi e ricercatori italiani e stranieri ha interrogato gli spiriti più sensibili, ha risvegliato memorie, ha sgombrato equivoci e neutralizzato tabù. Un ruolo dirompente nella conversione dell'intellettualità locale ebbe la fama di Gerhard Rohlfs, o mástora jermanó. Ora non c'è famiglia della Bovesia che non vanti di avere ospitato almeno per una notte l'illustre glottologo, come non c'è famiglia benestante da Marsala in sù per tutto il Regno di Napoli che non sostenga di avere ospitato Garibaldi. Negli ultimi anni si è sviluppato un vero e proprio turismo culturale. Alcuni si sono accorti che la lingua dei vecchi, appresa quasi di nascosto, usata solo in circostanze vili e ignobili, proibita dai genitori ai figlioletti come cosa oscena e marchio di barbarie e di povertà, di inferiorità e stupidità, in una parola di tamarrosíni, non era

8 9

Archivio Storico Vaticano, Principi, 37, 362r (RVC, 22500). Vedi Martino 1990.

5

cosa di cui vergognarsi, se illustri professori, come Gerhard Rohlfs, partivano dalla Germania per studiarla e documentarla. Nel 1972, quando i destini della minoranza erano già segnati, un fatto inatteso intervenne a eccitare gli animi: la scoperta dei due magnifici bronzi nelle acque di Riace. Il Circolo Cinurio Cosmo, gruppo secessionista da Zoì ce glossa, coglie la palla al balzo e diffonde un ciclostilato con i due bronzi che parlano grecanico e imputano a “Roma barbara” il crimine del linguicidio 10; si era negli anni della contestazione giovanile: anche la Bovesìa ha avuto il suo '68. Franco Mosino, professore al liceo Campanella di Reggio, eletto consulente scientifico dei grecanici, avanzò persino la rivoluzionaria ipotesi dell'origine reggina di Omero!11 Nella Bovesìa odierna due tipi di prestigio si contrappongono: quello del dialetto calabro-romanzo bovese, ormai radicato nella coscienza dei parlanti, generalizzato e alimentato dalla consapevolezza dell'omoglossia con la lingua tetto (l'italiano), e il nuovo prestigio del grecanico in rapida ascesa, una volta che ope legis ha cambiato status. Si tratta di un prestigio anomalo, maturato e imposto dagli atteggiamenti della borghesia intellettuale locale, contraltare alla secolare tabuizzazione, una singolare forma di controprestigio. 2. I GLOSSA INE PATRÍDA Il controprestigio è fondato sul recupero dell'identità culturale ed “etnica” (nozione, quest'ultima, notoriamente confusa ed equivoca), conseguente all'intensificarsi dei contatti con la Repubblica Ellenica, considerata da alcuni come la “madrepatria”, all'insegna del motto I glossa ine patrída ‘la lingua è patria’. Un nuovo sentimento di “lealtà” linguistica, estremizzato, si è venuto a sostituire, nei circoli dell'intellettualità locale, all'interdizione, altrettanto estremizzata, che – fortissima fin dal XVI secolo - ha portato la grecofonia all'estinzione già negli ultimi decenni del XX secolo.

10 Il primo guerriero apostrofa i visitatori con le parole «Art'óde etrézzete na mas ívrete...; ti ecámete na mi petháni i glóssama sti Chóra?» Adesso siete accorsi a vederci...; che cosa avete fatto affinché non morisse la nostra lingua a Bova? E il secondo incalza: «I Rómi émine bárbaro; emì tis eférame ta grámmata, ecini sti Chora mas écozze tin glóssa!» Roma è rimasta barbara; noi le abbiamo portato le lettere, essa a Bova ci ha tagliato la lingua! 11 Coordinando singolari coincidenze, come la contemporaneità tra l’Odissea e la fondazione di Reggio, la presenza a Reggio di Teagene, primo esegeta dell'Odissea e le le note ipotesi separatiste sulla formazione di Iliade e Odissea, il Mosino arrivò alla conclusione che l’Odissea non sarebbe altro che il romanzo delle avventure lungo lo Stretto di Messina dei Calcidesi che fondarono Reggio!

6

Figura 1. Torta con scritta in neogreco « Η γλώσσα είναι πατρίδα»

La Grecìa aspromontana non è una “nazione senza lingua” (ché la lingua dell'interazione quotidiana è il dialetto romanzo e, in minor misura, l'italiano) né una “lingua senza nazione” (su cui vedi Turchetta 2003), in quanto i grecanici appartengono indubbiamente alla nazione italiana. Il fenomeno anomalo è che si rifiuta la lingua “tetto” p...


Similar Free PDFs