lalinguaitaliana PDF

Title lalinguaitaliana
Course Storia Della Lingua Italiana
Institution Università degli Studi di Sassari
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riassunto di storia della lingua italiana...


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Il Quattrocento 1. Latino e volgare 1.1 Il rifiuto umanistico del volgare e il confronto con il latino Abbiamo già visto come Petrarca, iniziatore dell’umanesimo, affidasse la parte più solida del suo messaggio letterario al latino. Egli si ispirava a Cicerone, Livio, Seneca, Virgilio, Orazio e misurava la differenza tra quei modelli e il latino medievale dei suoi tempi. Dante, per contro, usando il “latino moderno”, non si era posto questo problema. Petrarca avviò un processo di confronto con il latino degli autori canonici e questo fu decisivo per la formazione di una mentalità grammaticale applicata anche alla stabilizzazione normativa dell’italiano. Il nuovo gusto classicistico andò verso una concezione della lingua come imitazione dei grandi modelli letterari. La svolta umanistica ebbe inizio con Petrarca e portò a una crisi del volgare che non arrestò, certo, l’uso del volgare stesso, ma la screditò. La crisi del volgare riguardò il giudizio che molti umanisti diedero di questa lingua a confronto con quella dei classici. Vi furono umanisti, come Coluccio Salutati, che non usarono il volgare. Nel Dialogus ad Petrum Paulum Histrum di Bruni, lo si ascolta esprimere rammarico per il fatto che un poeta abile e portato come Dante non abbia scritto in latino. Nello stesso dialogo, Niccolò Niccoli dichiara che Dante non avrebbe dovuto essere preso come modello. Ciò rende evidente la squalificazione di ogni scelta linguistica non latina. Leonardo Bruni, invece, sembra celebrare i meriti di Dante indipendentemente dalla lingua da questi usata, mostrando un atteggiamento di apertura nei confronti del volgare. Bruni era un estimatore di Dante e ne scrisse la Vita all’interno della quale afferma la non sostanziale differenza tra lo scrivere in latino o in volgare, così come non ce n’era tra il greco e il latino. Ogni lingua ha la sua perfezione e ogni scrittore deve essere giudicato non per essa ma per la qualità delle proprie realizzazioni. Ci volle tempo per l’affermazione del principio di parità potenziare delle lingue antiche e moderne. Sono idee accolte dall’Umanesimo volgare fiorentino. Tale disponibilità si manifestò solo nella seconda metà del 400 e in particolare a Firenze. L’atteggiamento più comune fu di disprezzo del volgare. Nel XV sec. la cultura letteraria era dominata dal movimento umanistico che si esprime e si riconosce nel latino, additando nella letteratura classica il patrimonio da perpetuare e nella lingua latino lo strumento privilegiato della conoscenza, della dottrina e della letteratura. Il latino era preferito perché lingua più nobile e il volgare era accettabile solo nelle materie pratiche senza pretesa d’arte. Anche le prime discussioni sull’origine del volgare e sui suoi rapporti con il latino classico furono il frutto di ricerche storiche avviate quando gli umanisti si chiesero di come potesse essere avvenuto il crollo della romanità. 1.2 Macaronico e polifilesco La cultura umanistica produsse alcuni tipi di scrittura letteraria in cui latino e volgare entrarono in simbiosi, spesso a scopo comico. Nel 4-500 gli esperimenti di mistilinguismo tra latino e volgare furono frequenti. In questi esperimenti letterari la contaminazione è volontaria e controllata da autori che saprebbero scrivere diversamente. Esistono due tipi di contaminazione tra volgare e latino. Il “macaronico” e il “polifilesco”. Con il termine “macaronico” si designa un linguaggio e un genere poetico nato a Padova a fine 400 e caratterizzato dalla latinizzazione parodica di parole volgari o dalla deformazione dialettale di parole latine. La componente dialettale, è bassa, corporea, plebea, l’altra (che si esprime anche nella metrica) è aulica. Il macaronico consiste nella formazione di parole macedonia a una parola volgare può essere applicata una desinenza latina1; in altri casi parole esistenti in latino e in volgare vengono usate nel significato volgare2; parole latine vengono legate in costrutti sintattici tipicamente volgari3. Si danno termini dialettali latinizzati, e il sistema flessionale latino viene soppiantato dall’uso delle preposizioni (es. de ferro). il risultato è un latino che sembra pieno di “errori” ma non dovuti a imperizia. 1

Cercabat (cercare + abat, imp. lat.); ficavit (ficcare + avit, perf. lat.); casa. 3 Propter non perdere tempus.

2

Si tratta di una scelta volontaria dello scrittore realizzata con una tecniche che si può definire “abbassamento” del tono, attraverso molti espedienti: oltre a quelli citati anche l’utilizzazione rovesciata della retorica che si ha quando, in un contesto del genere, vengono celate citazioni di autori classici, o quando vengono introdotti paragoni tra elementi non avvicinabili, o quando entrano in gioco elementi repellenti, ridicoli, osceni. La poesia macaronica è il risultato di un gioco umanistico. Iniziatore di questo genere è Tifi Odasi ma l’esponente maggiore è Teofilo Folengo. Ma ci sono delle distinzioni tra macaronico e polifilesco (o pedantesco). Una prova del linguaggio prosastico dantesco si ha nell’Hypnerotomachia Polophili (guerra d’amore in sogno dell’amatore di Polia). Si tratta di un’opera scritto in un volgare molto latinizzato. A differenza del macaronico, il polifilesco non è una scrittura cominca e parodia ma seria. Il volgare combinato con il latino non è dialettale ma toscano, boccaccesco. I latinismi lessicali usati sono stupefacenti: ad esempio parla di achi crinali (forcine per capelli), o di una fronte di cincinni capreoli silvata (frondeggiante di ben composti viticci). Questo linguaggio non nasce in un contesto estraneo a commistioni simili. L’unione con latinismi è vistosa anche nella prosa dell’epoca e soprattutto nella koinè padana 4-500esca, ma nell’Hypnrotomachia Poliphili la ricerca dello stravagante è notevole. 1.3 Fenomeni di mescidanza nella predicazione Nell’Italia settentrionale, a metà 400, ci sono alcuni predicatori che si esprimono con un linguaggio in cui latino e volgare si mescolano similmente al linguaggio macaronico. La mescolanza tra latino e volgare quattrocentesca è ereditata dalla tradizione medievale. Già nella predica medievale il latino serviva come punto di partenza, con il riferimento a qualche passo della Bibbia ma ricorreva nel corpo della predica come citazione. Nei sermoni mescidati le espressioni e le frasi latine convivono con una robusta dialettalità. 1.4 Altri casi di contaminazione tra latino e volgare Nel 400 le scritture mostrano la compresenza di latino e volgare e un gran numero di latinismi. Ciò accade anche in testi non letterari quanto testi che rispondono a scopi pratici (lettere, diari etc.). Il latinismo di un documento volgare è spesso legato ad una consuetudine come, ad esempio, nelle lettere. In una lettera accade che le formule iniziali e finali siano il latino. Vi sono possibili varie combinazioni (ad esempio intestazione in volgare e commiato in latino), e il latino resiste là dove ricorrono formule obbligate legate alla consuetudine epistolare. In un testo di natura giuridica saranno in latino i termini tecnici, o, se il testo è in latino, saranno in volgare le citazioni del parlato. Anche nelle lettere 400esche, oltre alle formule iniziali e finali citate, sono frequenti inserimenti occasionali di frasi e parole latine. Molte di esse sono formule correnti come: cum, non solum etc. in tutti i tipi di testi 400eschi si riscontrano molti latinismi grafici e lessicali dati dal fatto del largo uso che ancora si faceva del latino. 2. Leon Battista Alberti 2.1 Una nuova fiducia nel volgare Lo sviluppo del volgare come lingua di cultura era stato renato dalla preferenza accordata dagli umanisti al latino. Mancava un autore prestigioso che manifestasse fiducia nell’italiano. Innovativa si rivelò la posizione di Leon Battista Alberti il quale iniziò un movimento, “Umanesimo volgare”, ed elaborò un programma di promozione della nuova lingua. Scrisse in poesia, in prosa di tono alto e tratto argomenti seri e importanti in vari trattati e saggi scientifici cine il Della famiglia, il De pictura e Ludi rerum mathematicarum. La posizione teorica dell’Alberti espressa nel Della famiglia si collega alle tematiche umanistiche sul passaggio dall’italiano al latino. Conto il Bruni, attribuisce la causa della perdita della lingua latina alla calata dei barbari da cui si introdussero barbarismi e parlate corrotte. Compito del volgare è quello di riscattarsi ornandosi e aumentando le parole come il latino.

L’Alberti era convinto della necessaria imitazione dei latini. Come il latino classico, anche il volgare era la lingua di tutti ma occorreva mirare ad una promozione da affidare ai dotti. La prosa di Alberti è caratterizzata da una forte presenza di latinismi, soprattutto a livello sintattico, oltre che lessicale e fonetico. L’imitazione del latino si unisce all’uso di tratti popolari coevi della lingua toscana. L’influenza del latino sulla prosa albertina dà esiti che si discostano dal modello ipotattico del Boccaccio. 2.2 La «Grammatica della lingua toscana» All’Alberti è attribuita la realizzazione della prima grammatica di una lingua volgare moderna, la lingua italiana. Questa Grammatica della lingua toscana è tramandata da un codice scritto per Bembo. Una premessa anteposta al codice chiarisce il collegamento con le dispute umanistiche, polemizzando contro chi riteneva che la lingua latina fosse propria solo dei dotti. Riconoscere il latino come lingua comune a tutti gli antichi romani era necessario per stabilire un’analogia col volgare. La Grammatica nasce dalla sfida di dimostrare che il volgare ha una struttura ordinata come il latino. Essa non ebbe influenza e non fu data alle stampe. Caratteristica della grammatica dell’Alberti è l’attenzione verso il toscano del tempo: c’è infatti la scelta dell’articolo el anziché il, la preferenza per l’imperfetto in –o. La norma a cui si rifà la Grammatica sta dunque nell’uso. 2.3 Il Certame coronario La promozione della lingua toscana culminò con il Certame coronario del 1441. Alberti organizzò una di componimenti in volgare. La giuria era composta di umanisti e non il premio non venne assegnato così da far fallire il Certame. Alla giuria fu indirizzata una Protesta in cui si lamentava che gli avversari del volgare ritenessero indegno che l’italiano potesse confrontarsi con il latino e in cui veniva criticata la posizione conservatrice della tradizionale cultura umanistica. 3. L’umanesimo volgare alla corte di Lorenzo il Magnifico 3.1 L’aspirazione al “primato” di Firenze Nell’età di Lorenzo il Magnifico, si ebbe a Firenze un rilancio dell’iniziativa in favore del toscano. I protagonisti di questa svolta furono Landino e Poliziano. Landino fu cultore della poesia di Dante e di Petrarca fino ad introdurre la lettura di questi autori nella cittadella universitaria. Si sviluppò dunque in questa città un culto per gli scrittori 300eschi. Tale esperienza si ricollegava in parte alle Lecturae Dantis che risalivano a Boccaccio. Landino espone tesi simili a quelle di Alberti: nega la naturale inferiorità del volgare rispetto al latino e invita i concittadini a impegnarsi perché Firenze ottenga il principato della lingua. Lo sviluppo della lingua si lega ora a una concezione patriottica; viene inteso come patrimonio e potenzialità dello stato mediceo. 3.2 Landino traduttore di Plinio Nel quadro dell’Umanesimo si collocano altre iniziative di Landino come il commento a Dante e la traduzione della Naturalis historia di Plinio, testo difficile per la presenza di tecnicismi. Landino sosteneva la necessità che il fiorentino si arricchisse con un apporto delle lingue latina e greca. Nel tradurre diede spazio a voci toscane, maggiormente della traduzione napoletana di Brancate nel quale sono presenti napoletanismi e latinismi.

3.3 La «Raccolta aragonese» Nel 1477 Lorenzo il Magnifico inviò al figlio del re Ferdinando di Napoli, Federico, una raccolta di poesie: Silloge o Raccolta aragonese. Questa raccolta andava dai predanteschi fino alla poesia contemporanea fiorentina. L’antologia di versi era accompagnata da un’epistola di Poliziano. Nel 1476 Lorenzo aveva incontrato Federico e avevano discusso di letteratura volgare. L’anno successivo Lorenzo inviava a Federico la raccolta selezionata di quegli autori con un elogio di quella letteratura. Con Lorenzo il Magnifico e con la sua esaltazione del fiorentino, la promozione del volgare e la rivendicazione delle sue possibilità si ricollegavano ad un intervento culturale e letterario legato ad un disegno politico. 3.4 Realizzazioni di linguaggio poetico in Toscana. La vitalità dell’Umanesimo volgare fiorentino esige che si analizzi Lorenzo de Medici e il suo entourage. Il volgare viene assunto a soggetto di un esercizio letterario colto, in ambiente d’élite, da parte di autori che mostrano disponibilità per l’adozione di modi e forme della lingua popolare. Importante è l’esperimento delle letterature rusticale cui appartiene la Nencia da Barberino, poemetto di Lorenzo. Vi troviamo le formule rustiche migghiaio per “migliaio”, begghi per “begli”, assunti come elementi popolari. Più complessa l’esperienza di Poliziano che usò greco, latino e toscano. Interessanti sono le Stanze per la giostra di Giuliano de’ Medici. È problematica l’esatta caratterizzazione fono-morfologica di questa lingua poetica si pongono problemi di natura filologica. Nell’insieme l’aspetto fono-morfologico aderiva quasi completamente all’uso linguistico contemporaneo. Assistiamo ancora alla prima trasposizione su un piano colto dei cantari cavallereschi, forme poetiche in ottave portate in piazza per un pubblico medio-basso. Il Morgante di Luigi Pulci, invece, si inserisce in una tendenza di recupero colto di forme popolari, che caratterizza la maggior parte della letteratura medicea. Pulci, inoltre, compilò un Vocabolista, raccolta lessicale ad uso privato. In questa raccolta di oltre 700 vocabolo sono riuniti latinismi tradotti con parole dell’uso comune. Altro autore fiorentino, il Burchiello è rimasto famoso per un genere di poesia comica fondata sui doppi sensi e sull’invenzione verbale. Il linguaggio di questa poesia si ricollega alla letteratura realistico-giocosa. Nel Burchiello si ritrova l’imitazione della parlata altrui (veneziano, senese, romanesco). 3.5 La prosa toscana Il rapporto con il parlato è avvertibile anche nella produzione novellistica toscana, soprattutto nelle parti dialogiche, dove emergono anche plebeismi. Il genere novellistico in questa accettazione del parlato e della popolarità si colloca su un piano diverso rispetto alla prosa “colta” nobile. Un ruolo particolare ebbero i romanzi di Andrea de Barberino, e soprattutto i Reali di Francia, genere tipicamente popolare. La lettura di questa narrativo collaborò a far circolare modelli di prosa italiana tra un pubblico avvezzo al dialetto. Questo tipo di narrativa situazioni, modi e soluzioni stilistiche si iscrivono nella categoria della prevedibilità: vi sono poche e insignificanti variazioni. Si tratta di una prosa che ricorda il colorito popolare della narrativa preboccacciana, con indifferenza per le ripetizioni.

4. La letteratura religiosa e la sua influenza Nel 400 troviamo i laudari in uso presso molte comunità dell’Italia settentrionale in cui il toscano non era familiare. Nel dialetto piemontese, ad esempio, gli infiniti dei verbi latini in –ARE hanno esito in –é. Un tratto linguistico tale ci permette di verificare i casi in cui le scritture piemontesi si sforzano di staccarsi dalla parata locale e mirano ad una toscanizzazione, o a una koinè sovraregionale. Le sacre rappresentazioni erano messe in scena per un pubblico popolare e quindi erano un’occasione in cui gli incolti potevano incontrare una lingua più nobile e toscanizzata. Anche la predicazione si rivolgeva al popolo, e quindi aveva bisogno del volgare. Il volgare della predicazione era in molti casi vicino al dialetto. Tra i predicatori spicca san Bernardo da Siena. I testi scritti delle sue prediche riescono a trasmettere i caratteri dell’oralità, e realizzano il suo programma di parlar chiaro.

San Bernardino voleva far uso di una lingua semplice e colloquiale. Bernardino era cosciente della necessità di adeguare il linguaggio della propria predicazione alle esigenze del pubblico di luoghi diversi. Diverso il caso di Svonarola dell’Italia settentrionale che arrivò a Firenze e dunque fu costretto ad una toscanizzazione. Nelle sue prediche emergono settentrionalismi, ma la veste delle prediche si presenta molto toscanizzata. Il fatto che i predicatori si muovessero da luogo a luogo li spingeva a raggiungere il possesso di un volgare in grado di comunicare al di là dei confini di una singola regione. I predicatori erano professionisti e sapevano dunque adottare alcune parole proprie del posto in cui si trovavano ma doveva essere in grado di depurare la propria lingua naturale dagli elementi vernacolari. 5. La lingua di «koinè» e le cancellerie La poesia volgare fu maggiormente uniforme rispetto alla prosa, la quale risento di oscillazioni, anche perché il modello di Boccaccio apparteneva ad un genere letterario circoscritto. La prosa non si poteva limitare al solo uso novellistico-narrativo, ma aveva bisogno di estendersi verso altri settori quali quello cavalleresco, scientifico etc. Ognuno di questi momenti richiedeva un grado diverso di formalizzazione e un diverso compromesso con i valori regionali. Si può parlare a riguardo di varietà di scriptae, lingue scritte collocate in precisi spazi sociali e geografici. Nel 400 esse mostrano una tendenza al conguaglio, cioè all’eliminazione dei tratti maggiormente locali. Nel 400 il conguaglio di queste scriptae si fa più marcato, ed esse evolvono verso forme di koinè (lingua comune super-dialettale). La koinè 400esca consiste in una lingua scritta che mira all’eliminazione di una parte dei tratti locali. Questo risultato viene raggiunto con l’accoglienza di latinismi e di toscanismi. La diffusione di una tale lingua è da collegarsi alle corti signorili. Nella cultura signorile il prestigio dell’umanesimo significò l’aumento dell’espansione e della ramificazione del volgare. A partire dal 400 le manifestazioni scritte del volgare mostrano una differenza attribuita allo spessore sociolinguistico. Il maggiore o minore livellamento è segno di un tentativo di superare il particolarismo e di raggiungere un livello sovraregionale. Una spinta in tale direzione fu data dall’uso del volgare nelle cancellerie principesche. La tendenza alla reciprocità nella corrispondenza tra stati è un fattore di accelerazione della sostituzione del volgare al latino. L’uso delle cancellerie veniva influenzato dai gusti linguistici e letterari della corte. I cortigiani spesso si muovevano dall’una all’altra corte. Le testimonianze del processo di italianizzazione delle koinai regionali sono nelle lettere dei rappresentanti diplomatici dei vari principati costretti a spostarsi di corte in corte e obbligati ad adeguare il loro volgare a quello degli altri. L’azione dei modelli letterari toscani influì sul livellamento delle koinai. Lo scarto tra scrittura pratica e letteraria rimaneva marcato anche se molte forme letterarie erano trasportate nelle scritture di uso pratico. Nelle lettere di Boiardo non si trovano tanto tratti dialettali emiliani quanto vistose caratterizzazioni di elementi genericamente settentrionali. Non mancano toscanismi di matrice letteraria mentre caratteristica è la presenza di latinismi. Questi erano una soluzione linguistica naturale, non stilistica, volta a riempire una lacuna lessicale lasciata dal volgare. La prassi linguistica di koinè si sviluppò anche nell’uso tecnico-scientifico sia nel 400 che all’inizio del 500. 6. Fortuna del toscano letterario 6.1 Modelli della lingua toscana nelle corti d’Italia Il volgare toscano acquistò crescente prestigio anche nell’area settentrionale per la diffusione della Commedia, del Canzoniere, del Decameron. Si formarono le biblioteche di studio, di taglio umanistico, che accettavano solo opere di autori latini. A Milano l’apertura verso la letteratura toscana era stata sensibile. Filippo Maria Visconti fece compilare un commento dell’Inferno e di Petrarca. Nella cerchia di Ludovico il Moro c’era il culto degli antichi scrittori toscani. Anche la tipografia milanese aveva dato spazio alle opere dei trecentisti tos...


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