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Title Riassunti-lezioni-di-diritto-processuale-civile-su-il-processo-civile-manuale-picardi
Course Diritto processuale civile
Institution Università LUM Jean Monnet
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MANUALE DEL PROCESSO CIVILE DI PICARDI INTRODUZIONE 1. PREMESSE I grandi modelli proposti dalla umana per la giusta risoluzione delle controversie sono 2: 1) tradizione orientale: la risoluzione delle controversie non compito esclusivo del giudice. In particolare, le controversie civili e commercial...


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MANUALE DEL PROCESSO CIVILE DI PICARDI ED.GIUFFRE’

1°CAP.: INTRODUZIONE 1. PREMESSE I grandi modelli socio-culturali proposti dalla civiltà umana per la giusta risoluzione delle controversie sono 2: 1) tradizione orientale: la risoluzione delle controversie non è compito esclusivo del giudice.

In particolare, le controversie civili e commerciali non rientravano nella competenza del tribunale imperiale cinese. Da qui il tradizionale atteggiamento mentale cinese di "fuga" dal tribunale. Ancora oggi, in Cina e in Giappone, l’agire in giudizio non è considerato un comportamento eticamente raccomandabile e il giudice incute soprattutto timore. Nella tradizione culturale cinese vengono privilegiate la conciliazione, la mediazione e l'arbitrato, che sono le forme tipiche di risoluzione delle controversie civili. 2) Tradizione occidentale: collega le tecniche di risoluzione delle controversie all'idea di

giudice e di giustizia. La giurisdizione, nell'età moderna, è diventata espressione della sovranità degli Stati nazionali, esercitata da un giudice organo dello Stato e soggetto alla legge. In questo contesto, la figura dell'arbitro assume un ruolo secondario rispetto a quello del giudice e rimangono sostanzialmente emarginate dal sistema la mediazione e la conciliazione. Recentemente ci sono stati segni di avvicinamento fra i 2 opposti modelli. Da un lato, la civiltà orientale, in seguito ad una complessa evoluzione socio-politica, ha iniziato a recepire istituti giurisdizionali, prendendo dall'Europa continentale anche lo strumento del codice di procedura civile. Dal lato opposto, nella civiltà giuridica occidentale è aumentata la tendenza ad ampliare la funzione del giudice e sono aumentati gli affari giurisdizionali, per cui, per evitare la compromissione dell'efficienza degli apparati se giurisdizionali e dello stesso rapporto di fiducia dell'utente della giustizia nei confronti del giudice, si sono diffusi modelli processuali speciali, caratterizzati da una maggiore semplicità e rapidità, e si è tentato di dare un ruolo centrale alla conciliazione, alla mediazione e all'arbitrato, come metodi di risoluzione delle controversie alternativi rispetto alla giurisdizione, considerata finora come tecnica privilegiata di risoluzione delle controversie. Così, anche i sistemi occidentali mostrano una nuova sensibilità per i modelli tipici della tradizione orientale. 2. GIUDIZIO E PROCESSO

Il giudice, per risolvere le controversie a lui affidate, si serve di una serie di operazioni che, all'epoca del diritto comune, venivano chiamate giudizio. A partire dall'età moderna, invece, è entrata nell'uso l'espressione processo o quella equivalente di procedura. In passato, prevaleva il principio del contraddittorio come metodo utilizzato dal giudice per la ricerca della verità, con la collaborazione delle parti: il giudice non può decidere se prima non ha ascoltato entrambe le parti; ma la verità che il giudice può attingere è solo una verità "probabile", cioè che può essere vera o falsa. Atto di citazione e comparsa di risposta vengono considerati momenti di contraria informazione: giustificazioni e confutazioni. Il contraddittorio si risolve nell'argomentazione, in un dialogo che assicura reciprocità e uguaglianza sostanziale fra le parti e nei confronti del giudice. Perciò, le modalità con cui il giudice, in questo periodo, arrivava al giudizio vengono dette ordine isonomico. All’inizio dell'età moderna, il diverso clima culturale dell'Europa continentale portò al passaggio dal giudizio al processo, considerato prima come rapporto giuridico processuale e poi come procedimento. In questo contesto, si delineò la tendenza a svalutare il contraddittorio, risolvendolo in una meccanica contrapposizione di tesi e in una prova di forza. Inoltre, si era convinti che la verità, non più "probabile" ma "assoluta" può essere attinta dal giudice anche al di fuori del contraddittorio. Quindi, il giudice, non più semplice controllore e tutore della procedura, venne munito di adeguati poteri e finì con l'assumere la guida di un processo impostato sull'autorità e sulla gerarchia. Dall'ordine isonomico si passò all' ordine asimmetrico. Così, si sviluppò una concezione formale del contraddittorio e del processo e il diritto processuale fu definito diritto formale. Gli approfondimenti sulla nozione di processo lasciarono in ombra il giudizio e le modalità con le quali si arriva la decisione. Solo in epoca recente sono iniziati tentativi per recuperare il giudizio come momento centrale dell'esperienza processuale. Così, si è sviluppata la nozione del giusto processo e la conseguente concezione del processo come metodo funzionale alla "giusta" risoluzione delle controversie. 3. FONTI DEL DIRITTO PROCESSUALE CIVILE: IL DIRITTO DELLO STATO Fra le fonti dello Stato, creative del suo sistema di norme, vanno considerate una serie di fonti atto: a) codice di procedura civile: dovrebbe contenere la disciplina complessa e dettagliata del

processo civile. Però, il modello codicistico non è universale. La sua recezione nelle culture orientali è recente e parziale. Anche nei sistemi giuridici occidentali la situazione non è uniforme. Negli ordinamenti di common law, di solito, la disciplina del processo è contenuta nelle rules of Court, cioè nelle regole che gli stessi tribunali si sono dati in base ad un potere regolamentare che tradizionalmente viene riconosciuto loro. Anche nei sistemi di civil law, fino all'età moderna, ai tribunali veniva riconosciuto il potere di regolamentare i modi stessi del loro operare. Con la formazione dello Stato moderno si affermò il principio della statualità della procedura e quindi il monopolio dell'apparato statuale nella regolamentazione del processo. In un primo tempo, i sovrani si limitavano ad interventi settoriali per abbreviare il processo. Poi Luigi XIV rivendicò per primo il

monopolio della legislazione in materia processuale, emanando in Francia il c.d. Code Louis, archetipo del codice di procedura civile e penale. Ad esso, seguirà una lunga serie di codici, poi promulgati in Europa continentale per aggiornare e perfezionare la disciplina del processo, ormai considerata come sistema autoritativo e completo. Attualmente, in Italia, vige il codice di procedura civile, emanato con R.D.28 ottobre 1940 n.1443, e più volte modificato da varie leggi; modifiche indicate come novelle 2005/2006. b) Codice civile (R.D.1942 n.262 e successive modifiche): questa disciplina processuale

generale va anche completata con le norme di organizzazione: l'ordinamento giudiziario (R.D.1941 n.12 e successive modifiche) e l'ordinamento forense (R.D.1933 n.1578 e successive modifiche). c) Costituzione: diverse norme costituzionali hanno inciso anche sul processo civile, sia

direttamente per la loro precettività, sia come norme parametro per il controllo di costituzionalità di regole preesistenti, sia ancora come limite alla discrezionalità del legislatore ordinario nell'emanazione di nuove norme processuali. d) Leggi speciali o di settore: al processo ordinario si sono affiancati una serie di processi

speciali (processo fallimentare, processo familiare, processo societario), per cui il codice è diventato fonte principale, ma non esclusiva. e) Regolamenti: oggi la disciplina del processo, di regola, sarebbe riservata alla legge, ma

settori specifici sono disciplinati da normative secondarie, di solito regolamenti, che assumono la forma del decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) o del decreto ministeriale (D.M.). Ad es., in questo modo sono stabilite le tariffe professionali gli avvocati e degli ausiliari del giudice. Recentemente, per la generale tendenza alla delegificazione, sono stati disciplinati per regolamento anche settori del processo di maggiore rilievo, come il processo telematico e il documento informatico. f)

Fonti convenzionali internazionali: realizzano forme di collaborazione ed assistenza fra Stati, finalizzate ad una cooperazione giudiziaria civile. Ad es., si ricordano le convenzioni dell’Aja sulle notificazioni di atti, sull'assunzione di prove all'estero e sul riconoscimento di esecuzione di sentenze straniere. Le convenzioni internazionali, poiché fanno parte del diritto dello Stato, devono essere interpretate solo dal giudice italiano e, come leggi speciali, prevalgono sul diritto generale nazionale. 4. IL DIRITTO NELLO STATO

In Italia l'attività del giudice, delle parti e difensori, non è regolata solo da norme autoritative dello Stato, ma bisogna considerare anche regole di origini diverse che comunque vigono in Italia: il diritto nello stato o meglio il diritto che opera nella comunità nazionale. a) Fonti comunitarie dell'Unione Europea (U.E.): sono un complesso normativo che hanno

inciso molto sul nostro sistema processuale e sono diventate sempre più importanti, anche perché, dopo i trattati di Maastricht del 1992 e di Amsterdam del 1997, la cooperazione

giudiziaria in materia civile è stata considerata "questione di carattere comune" degli Stati membri. Oltre i trattati istitutivi delle comunità europee (Tr. C.E.), va ricordato soprattutto il diritto comunitario derivato, che comprende molti regolamenti comunitari (direttamente efficaci e vincolanti negli Stati membri, senza necessità di atti interni di recepimento); direttive (che fissano solo standard e principi comuni, per cui devono essere recepite con atto interno); raccomandazioni (dirette agli Stati membri, ma non vincolanti); convenzioni internazionali tradizionali (soggette all'ordinario procedimento di ratifica ed esecuzione e che quindi entrano a far parte del diritto dello Stato). Queste fonti si differenziano dalle fonti dello Stato non solo per la loro diversa origine, ma anche e soprattutto per le modalità di applicazione. Le fonti europee si collocano in una posizione intermedia tra la Costituzione e la legge ordinaria. Il diritto comunitario prevale sul diritto nazionale, salvo il rispetto dei principi supremi e dei diritti inviolabili (C.Cost. n.232/1989). Prevalgono i 2 grandi principi della supremazia del diritto europeo sui diritti nazionali e della diretta applicabilità delle norme europee ai destinatari senza l'intermediazione degli organi statuali. Il giudice nazionale è il "primo motore" dell'applicazione del diritto europeo nel territorio dell'Unione, concepito come "spazio giuridico senza frontiere". Infatti, solo i giudici europei hanno la funzione di pronunciarsi, in ultima istanza e con efficacia vincolante, per assicurare l'uniforme applicazione del diritto dell'Unione negli Stati membri. b) Corti internazionali: emanano il proprio regolamento di procedura e sono importanti

normative processuali non stabilite per legge, ma riconducibili al potere regolamentare riconosciuto agli stessi organi giurisdizionali. Es.: regolamento di procedura della Corte Costituzionale del 16/3/1956, regolamenti di procedura della corte di Lussemburgo, Corte di Strasburgo. c) Fonti fatto: proliferano nel processo civile e nel codice e sono: prassi, usi giurisprudenziali

o normative di origine giurisprudenziale. Spesso la prassi viene progressivamente assorbita e inserita dal legislatore nel codice. Es.: attività paranormativa del Consiglio Superiore della Magistratura; sistema tabellare per l'assegnazione delle cause; cessazione della materia del contendere; ricorso incidentatale condizionato. d) Deontologia giudiziaria: è un insieme di regole che appartengono al mondo delle norme

giuridiche e, in alcuni casi, possono trovare la loro radice nell'etica. Nei codici deontologici, sia del giudice che dell'avvocato, confluiscono norme di legge, disposizioni regolamentari e, soprattutto, massime giurisprudenziali. Le norme deontologiche non sono vincolanti come le fonti dello Stato, ma la loro efficacia è indiretta e fungono soprattutto da criterio di giudizio nel processo per responsabilità civile e in quello disciplinare. La proliferazione e la frammentazione delle fonti di produzione del diritto mette oggi in crisi il principio della statualità della procedura. Poiché l'attività giuridica è un arte combinatoria, la pluralità delle fonti comporta uno sviluppo esponenziale delle possibilità di combinazione: più regole vi sono, più si verificano possibilità di soluzioni, ma anche di contraddizioni fra le diverse

regole, con conseguente aumento dei poteri del giudice, che è chiamato, non solo ad applicare la regola al caso concreto, ma anche a comporre contraddizioni interne dell'ordinamento. 5. OGGETTO E METODO Oggi gli indirizzi prevalenti del metodo sono 2: 1) Metodo dogmatico-sistematico: seguito dalla più autorevole processualistica, tende a

depurare il fenomeno processuale e a ridurlo a solo dato normativo. In quest'ottica sono restati in ombra i problemi dell'organizzazione giudiziaria e forense e quelli dell’effettività dei meccanismi processuali. A questo proposito, nell'ambito di questo orientamento, vanno distinti 2 sotto-indirizzi: 1) secondo alcuni, vi sarebbe una specie di tendenza naturale alla piena utilizzazione delle strutture giudiziarie, all'assestamento automatico e all'equilibrio della c.d. macchina della giustizia; 2) secondo altri studiosi, anche più recenti, l'efficacia o l'inefficacia di un meccanismo processuale può dipendere molto dalle strutture degli ordinamenti giudiziario e forense; essi non sottraggono lo studio del processo al confronto con la realtà, ma considerano questo raffronto estraneo agli scopi della scienza processualistica, delegandolo ai sociologi o ad altri studiosi. Questa metodologia ha portato a un crescente grado di astrazione, per cui il sistema di diritto processuale ha finito per rappresentare una costruzione metastorica che domina tutta la fenomenologia del processo, determinando così uno stacco fra teoria processuale, molto raffinata, e pratica processuale, disastrata e non in linea con gli standard europei. Un diverso orientamento procede, invece, allo studio del processo con i metodi propri della scienza empirica, a cui spetta il compito di conoscere e descrivere il concreto, non l'astratto; in questa prospettiva, il punto centrale della ricerca viene spostato sul funzionamento dell'apparato giudiziario e considera tutto quel complesso di metodologie e dottrine che vanno sotto l'etichetta di sociologia della giustizia. 2) Recenti ricerche hanno evidenziato che il monismo metodologico è solo un espediente di

comodo: la complessità del fenomeno processo non permette di circoscrivere l'oggetto delle nostre indagini ad un'unica prospettiva. Quindi, bisogna utilizzare un approccio multimetodico o una forma di sincretismo di metodi giuridici. Nello studio del processo si applica non solo e non tanto la logica giuridica formale, ma la logica giuridica intesa come teoria dell'argomentazione. Il processualista deve partire dall'esame delle diverse fonti, per individuare le "disposizioni", cioè i testi, e da essi trarre le "norme", cioè i precetti che disciplinano il processo. Dalla riflessione sulle norme e le loro connessioni, vengono derivati i "principi" e le "nozioni", per riordinare poi il tutto negli "istituti". Ai momenti fondamentali del processo si applica la logica argomentativa, che si presenta come una ricerca dialettica di “verità” probabili, che potranno ancora essere messe in discussione. Le metodologie tecnico-giuridiche e quelle sociologiche sono complementari. Risultato importante delle sinergie fra questi 2 metodi è la formulazione del principio di effettività, che si è affiancato a quello del garantismo. Garantismo ed effettività formano, nel loro insieme, una metodologia coerente ed unitaria.

PARTE 1: I PROCESSI GIURISDIZIONALI-DISPOSIZIONI GENERALI SEZIONE 1: IL GIUDICE 2°CAP.: LA GIURISDIZIONE 7. PREMESSE Nel nostro ordinamento la tecnica privilegiata di risoluzione della controversia è il ricorso al giudice, la cui funzione è essenziale per realizzare la tutela dei diritti, attraverso quegli strumenti del processo e del giudizio che hanno la loro disciplina generale nel codice di procedura civile. 8. LA GIURISDIZIONE COME EMANAZIONE DELLA SOVRANITÀ Giurisdizione indica il potere del giudice, mentre competenza indica la misura di questo potere. L’art.102co.1 Cost. stabilisce che "la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario" e l’art.1 del codice di procedura civile precisa che "la giurisdizione civile, salvo speciali disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari, secondo le norme del presente codice". Entrambe queste norme rinviano a due nozioni fondamentali, quella di giurisdizione e quella di giudice. Secondo la concezione classica, tuttora ampiamente condivisa, la giurisdizione è una delle funzioni fondamentali dello Stato: essa consiste nell'esercizio dell’imperium ed è emanazione della sovranità. Le funzioni e gli organi che attuano la sovranità si articolano nella triplice classificazione: legislazione, amministrazione e giurisdizione. I diversi organi del "potere" sono stati, a loro volta, denominati "poteri", configurando un potere legislativo, un potere amministrativo (o governativo) e un potere giudiziario. Fra i poteri si è cercato poi di stabilire una specie di gerarchia interna e si è finito per privilegiare, in quanto rappresentativi, il potere legislativo ed amministrativo, a danno del giudiziario, che a volte è stato anche declassato ad “ordine” o addirittura a “servizio pubblico della giustizia”. In quanto proiezione della sovranità nazionale, lo Stato è autoreferenziale: non accetta limiti diversi da quelli che esso stesso si impone. Perciò, lo Stato rivendica il monopolio della giurisdizione, non ammettendo che istituti o persone diverse possano istituire giudici, come avveniva in passato (es.: giurisdizioni baronali o feudali). Sovranità e giurisdizione risiedono esclusivamente nello Stato. L'assioma fondamentale della giurisdizione come emanazione della sovranità si è collegato, da un lato, con il principio della statualità della procedura e, dall'altro, con la concezione del giudice funzionario dello Stato. Infatti, se la giurisdizione è esercizio di un potere sovrano, lo Stato può investirne solo un giudice suo funzionario che può esercitare l'autorità dello stesso Stato. Inoltre, poiché si tratta di un'attività pubblica, la disciplina del processo è stata ricompresa nell'ambito del diritto pubblico. Il giudice funzionario deve rispettare le regole di procedura fissate dal sovrano legislatore che aveva riservato a sé anche il monopolio della legislazione processuale.

Così, si sono formati tanti autonomi ed indipendenti sistemi giurisdizionali quanti sono gli Stati nazionali. Il coordinamento fra i diversi sistemi si deve realizzare su base territoriale: ogni Stato deve riconoscere gli altri Stati come sovrani, entro i limiti dei rispettivi territori. Così, sovranità, territorio e giudizio sono 3 nozioni collegate, che hanno interagito con la conseguente coincidenza fra ambito della sovranità e ambito della giurisdizione: la giurisdizione si estende tanto quanto la sovranità (ad es., il giudice italiano non può assumere una prova all’estero, perché ciò costituirebbe esercizio di sovranità sul territorio di altro Stato). Per evitare l'isolamento e per soddisfare le esigenze legate al commercio e al traffico internazionali, allo Stato non rimaneva che ricorrere allo strumento convenzionale. Infatti, nel XX secolo si è registrato un ricorso sempre più forte alle convenzioni internazionali, in tema di procedura civile ed assistenza giudiziaria. Una volta formato un sistema giurisdizionale di stampo nazionalistico, chiuso ai valori stranieri, ogni ordinamento ne ha dedotto tutta una serie di corollari e di applicazioni pratiche. Nel nostro processo civile, si possono ricordare 3 corollari: 1) inderogabilità convenzionale della giurisdizione: la nostra giurisdizione civile non poteva

essere concordemente derogata dalle parti a favore della giurisdizione straniera né di arbitri che pronunciassero all’estero. 2) Irrilevanza della litispendenza internazionale: la giurisdizione italiana non era esclusa dalla

pendenza avanti ad un giudice stran...


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