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Title Riassunto-sergio-cotta
Course Filosofia del Diritto 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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Riassunto opera di Sergio cotta...


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FILOSOFIA DEL DIRITTO

“IL DIRITTO NELL’ESISTENZA” SERGIO COTTA

FILOSOFIA DEL DIRITTO - INTRODUZIONE -Definizione di termini usati: 1) Ontologia-Ontologico: sono dei termini che riguardano la conoscenza della realtà, dell’essere degli oggetti in sé. Quindi: “ontologia” è uguale a “conoscenza dell’essere”. Perciò, se si parla di “Struttura ontologica della giuridicità”(vedi libro pag. 41 e segg.) si vuole dire che si intende studiare la struttura secondo la quale la giuridicità, cioè il diritto, esiste e si manifesta. 2)Ontofenomenologia: è lo studio filosofico dei vari modi secondo i quali un fenomeno esiste. Quindi se si parla di “Ontofenomenologia delle forme coesistenziali” (vedi pag. 101) si vuole dire in effetti che si tratta dello studio del modo secondo il quale si verificano determinati tipi di forme di “coesistenza”. Guardiamo per esempio a pag. 101, dove si parla di “ontofenomenologia delle forme coesistenziali integrativo-escludenti e integrativo-includenti” che cosa si vuol dire, come si possono tradurre in italiano corrente queste parole?: significa che si devono studiare i modi di essere delle forme di “convivenza” o “Coesistenza” fra esseri umani (“ontofenomenologia delle forme coesistenziali”), forme di convivenza che possono essere di due tipi: - Integrativo-includenti: due o più persone che si integrano insieme escludendo altre persone che non possono essere partecipi di tale integrazione ristretta. È il caso dell’AMICIZIA: il rapporto di amicizia si instaura fra due persone e non viene “coesteso” ad altre, che vengono escluse da tale integrazione. Lo stesso vale per la FAMIGLIA, il PARTITO POLITICO ecc. Si tratta sempre di forme di vita “selettive”, che si instaurano solo fra persone che hanno gli stessi principi, pensieri ecc. e sono quindi “escludenti” poiché ad esse non vengono ammesse persone che pensano in maniera diversa. - Integrativo-includenti: peraltro l’individuo non ha solo la tendenza escludente a richiudersi in se stesso e in pochi altri soggetti nei quali si identifica, ma si rende anche conto che, pur essendo un individuo particolare, è “pari” anche agli altri individui che vivono intorno a lui, sicché egli può e deve instaurare dei rapporti anche con questi, sì da creare una comunicazione “non escludente” ma invece “integrativo-includente”. A questo punto l’individuo si rende conto che non può appagarsi solo della simpatia (amicizia), dell’amore (famiglia) o del bene comune (politica), poiché deve esistere anche un modo più ampio e complesso di configurare una forma coesistenziale superiore, che consente all’individuo di allargare, per così dire, il proprio orizzonte. Fra queste “esperienze” ulteriori, l’Autore ricorda il GIOCO, il DIRITTO IN SENSO STRETTO e la CARITÁ (pag. 133 e segg.).

CAPITOLO I PROFILO METODOLOGICO DELLO STUDIO DEL DIRITTO 1) Dire filosofia del diritto è dire indagine sul posto che il diritto occupa nell’esistenza umana. Non vi è dubbio che la presenza del diritto nell’esistenza è vasta e costante nei più svariati momenti della vita. Riconosciuta con chiarezza da chi ha del diritto un’esperta conoscenza, tale presenza è avvertita infatti anche dal profano, in modo ora consapevole ora inconsapevole: si compra il cibo giornaliero senza pensare che si sta effettuando una compravendita, si guida l’automobile badando ai segnali stradali senza avere presente che si tratta di rappresentazioni simboliche di altrettante norme giuridiche (imperative, proibitive, permissive). E tuttavia, agendo in questi modi, il profano è sicuro di fare CIO’ CHE SI DEVE o E’ LECITO FARE, pur senza avvertire il bisogno di determinare se ciò sia diritto o no. Lo stesso avviene nel parlare quotidiano in cui sono frequentissime locuzioni del tipo “ho il diritto di…”, “hai il dovere di…” e simili, il cui significato è chiaramente percepito, indipendentemente da qualsiasi riferimento a disposizioni giuridiche. Dunque: l’agire e il parlare quotidiano attestano che l’uomo comune ha una PRE-COMPRENSIONE DEL DIRITTO; questa pre-comprensione appare naturale e fa apparire naturale il proprio contenuto, ciò che l’esperto denomina diritto. Ma pur ammessa codesta presenza del diritto nell’esistenza, è chiaro che determinarne il posto non significa individuare uno spazio in cui si trovi già collocato, come un puro oggetto che si offra da sé allo sguardo dell’osservatore. Per determinare quel posto occorre prima individuare CHE COSA SIA IL DIRITTO, la famosa domanda QUID IUS ? 2) La domanda QUID IUS? suscita quale prima risposta una INDAGINE DESCRITTIVA riguardo l’oggetto in questione. Questa descrizione, presa al suo primo livello, esamina l’oggetto nella sua qualità di fenomeno, di ente o attività che appare. L’indagine descrittiva si appunta perciò, al suo primo livello noetico, alla forma esterna dell’oggetto: è l’INDAGINE MORFOLOGICA. Il diritto, nello stadio della pre-comprensione, appare consistere in regole vincolanti di condotta, ma non distinguibili facilmente da un piccolo numero di altri tipi di regole di condotta vincolanti: etichetta, costume, ecc.; ebbene è proprio l’indagine morfologica a permettere di distinguere la regola giuridica dagli altri tipi di regole. Ai nostri giorni, in termini generali e formali si può dire che morfologicamente il diritto è il documento linguistico emanato da un’autorità legislativa organizzata e riconosciuta.

L’indagine descrittiva non può tuttavia arrestarsi al livello morfologico; essa infatti raggiunge il suo obiettivo di individuazione di un fenomeno mettendone in luce la FORMA INTERNA o STRUTTURA. Proviamo infatti a supporre che un legislatore esprima, nella forma giuridica, sentimenti, invocazioni, esortazioni e simili: non per questo quel documento può venir scambiato per giuridico; infatti il testo giuridico, nel suo messaggio essenziale, NON DESCRIVE, MA PRESCRIVE, DISPONE; ha cioè una struttura DEONTICA e non già ALETICA. E’ la struttura logica prescrittiva di quel testo a marcarne senza possibilità di equivoci la differenza da testi contenenti proposizioni aletiche o di verità. La prescrizione ha per suo risvolto conseguenziale l’indicazione di una sanzione; la struttura della norma giuridica è dunque espressa lucidamente nella ben nota formula di Kelsen: “se è A, deve essere B”. Peraltro, questa struttura è comune ad ogni tipo di regola di comportamento: da quelle di etichetta a quelle mafiose, tutte hanno una struttura prescrittivosanzionatoria, con sanzioni di tipo diverso a seconda del genere di regola. Ma allora sembra sorgere un paradosso: mentre la descrizione morfologica metteva in evidenza la differenza fra le varie regole e perciò permetteva di delimitare i confini del diritto, la descrizione strutturale crea un ritorno all’indistinzione. Tuttavia il paradosso è solo apparente: esso si avrebbe solo se le 2 descrizioni (morfologica e strutturale) venissero considerate autonome e non già livelli di profondità diversi di una stessa indagine. In questa prospettiva, la specificità morfologica del diritto richiede di venir confermata dalle sue caratteristiche strutturali (prescrittivo-sanzionatorie), le quali valgono a distinguere il linguaggio giuridico da altri linguaggi non prescrittivi affatto o prescrittivi ma non sanzionabili; d’altro canto, poiché la struttura prescrittivosanzionatoria è comune ad altre attività e linguaggi, si rende indispensabile ricorrere di nuovo all’aspetto morfologico. Alla luce di codesta indagine, il diritto appare quella prescrizione sanzionatoria emanata dall’autorità legislativa organizzata e riconosciuta. 3) Il risultato descrittivo raggiunto, invece di soddisfare la domanda quid ius?, la complica sollevando un nuovo problema: entro il quid ius? si genera l’interrogativo CUR IUS?, cioè perché il diritto è così com’è morfo-strutturalmente. In altri termini, l’indagine descrittiva richiede d’essere completata da un’INDAGINE ESPLICATIVA. Sotto questo nuovo profilo conoscitivo, poiché nessun fenomeno è auto-creativo, l’indagine prende in considerazione l'oggetto non più e non solo nella sua pura datità,

ma bensì nella sua qualità di PRODOTTO e quindi nella sua relazione con il soggetto producente. Il produrre un qualsiasi oggetto trova la sua prima spiegazione nello SCOPO che il soggetto si prefigge di raggiungere con quell’oggetto: è la spiegazione FINALISTICA o TELEOLOGICA. Non vi è dubbio che il diritto è un prodotto dell’uomo e ciò è per raggiungere un certo scopo generale e innumerevoli scopi particolari. Si consideri questo fine generale del diritto; da esso risulta chiaro perché il diritto sia fatto in quel certo modo, ossia abbia quella data morfologia (perché essa serva a far conoscere la prescrizione in modo generale e in equivoco) e quella data struttura (perché serve a indurre a certi comportamenti e a rispettare la prescrizione). L’indagine teleologica è inoltre di notevole importanza poiché permette non solo una migliore conoscenza del mezzo-diritto, ma anche dei GIUDIZI VALUTATIVI OGGETTIVI sulla sua adeguatezza allo scopo. Tuttavia la loro oggettività dipende dalla natura tecnica delle loro valutazioni, che restano relative ad un dato campo di referenza, mutando il quale quei giudizi perdono la loro validità. QUI SI TOCCA IL LIMITE VALUTATIVO DELL’INDAGINE TELEOLOGICA. Essa peraltro TROVA UN LIMITE anche SUL PIANO ESPLICATIVO: se cambia il fine, è ragionevole pensare che debba cambiare anche il mezzo. Il principio vale anche per il diritto ed è di notevole importanza pratica riguardo alla comprensione e scelta dei vari strumenti giuridici. Si considerino 3 possibili fini generali ascrivibili al diritto: la protezione dell’individuo, l’ordine interno di una comunità, la nietzschiana volontà di potenza; appare chiaro che l’assunzione dell’uno a preferenza dell’altro comporta il mutamento della spiegazione del diritto e anche della sua morfo-struttura. S’impone pertanto la domanda: c’è o no un fine essenziale del diritto? La spiegazione teleologica chiarisce perché il diritto sia fatto così, ma solo relativamente e quindi non offre ancora la ragione ultima, il perché ci sia il diritto così fatto. 4) Per rispondere conviene prendere la via del dubbio metodico e procedere alla messa in questione radicale dell’esserci del diritto, ponendosi la domanda: PERCHE’ IL DIRITTO PIUTTOSTO CHE LA SUA ASSENZA? Heidegger ha posto al nostro tempo la domanda fondamentale: “Perché vi è, in generale, l’essere e non il nulla?”. Già altri se l’erano posta, in particolare Leibniz e Bergson erano giunti a concludere per l’insignificanza o illusorietà dell’idea del nulla: il primo poiché l’esistere fattuale di un ente ne presuppone la possibilità d’assenza, il secondo poiché l’idea del nulla nasce dall’insoddisfazione di ciò che è e dal desiderio di annullarlo. Tuttavia nel caso del diritto è in causa la possibilità dell’assenza del suo esserci e non dell’essere in generale; perciò la domanda sull’esserci o non esserci del diritto NON è rimovibile, poiché è dotata di senso.

Dunque: PERCHE’ VI E’ IN GENERALE IL DIRITTO? La domanda è RADICALE perché investe l’esistenza del diritto IN GENERALE, non di questo o quel diritto; la risposta sarebbe per forza di cose particolare, storico-empirica: quella costituzione c’è perché è stata voluta da un certo popolo in conformità a certi orientamenti e bisogni culturali. Per rispondere a questa domanda occorre accertare la “natura “ del diritto mediante il disvelamento del suo “nascimento”, non già in senso storico ma bensì ONTOLOGICO, ossia richiesto dall’essere stesso dell’uomo. Questa prospettiva comporta che il diritto non sia più considerato ex parti obiecti, come un semplice oggetto naturalistico, bensì ex parti subiecti. Infatti il diritto è un fenomeno specificamente umano, come ha scritto Capograssi “esso è un modo dell’esperienza umana”. Per comprendere dunque il diritto in tal senso, vale in proposito il generale motto della fenomenologia di Husserl: “Andare alle cose stesse!”; ma andare al diritto è andare ad una forma di vita umana, ossia all’uomo stesso. Pertanto la conoscenza dell’OGGETTO DIRITTO e la conoscenza del SOGGETTO VIVENTE IN MODO GIURIDICO si implicano a vicenda e in questa co-implicazione permettono di pervenire alla comprensione del SENSO DEL DIRITTO. Che cosa si intende qui per SENSO è ben chiarito dalla formula di Heidegger: “Senso è ciò che in cui si mantiene la comprensibilità di qualcosa”. L’accertamento del senso è il compito che si prefigge, con Husserl, la fenomenologia; ma la fenomenologia (del diritto) esige di venir prolungata nella chiarificazione dell’ontologia dell’uomo. Quindi l’indagine sul PERCHE’ FONDATIVO DEL DIRITTO E’ TIPICAMENTE FILOSOFICA, ma ciò non significa che essa rimandi necessariamente a un’idea a priori del diritto; è questo il punto in cui Cotta si discosta dalla fenomenologia giuridica husserliana, per seguire invece la traccia segnata da Rosmini allorché identifica nella “riflessione osservatrice” il procedimento prioritario della filosofia rispetto alla “riflessione argomentatrice”. In questo suo procedere, la filosofia del diritto non vanifica affatto le indagini della scienza giuridica, anzi ne tiene conto. Si stabilisce così un continuum di scienza e filosofia giuridiche, che mira ad una comprensione integrale del fenomeno giuridico, la cui chiarificazione ultima si dà tuttavia nell’indagine filosofica.

CONCLUSIONE Il discorso sin qui svolto permette di delineare quale sia, in quel che segue, il tipo di trattazione del problema del diritto: • quanto al suo STATUTO EPISTEMOLOGICO (*), è una trattazione filosofica, ma di tipo teoretico (**), ossia conoscitivo e non propositivo o progettuale. • quanto al suo SVOLGIMENTO, essa assume a suo problema non quello teleologico del fine del diritto, ma quello originario posto dalla domanda radicale. Ad essa intende rispondere mediante la coniugazione della ricerca fenomenologica del senso del giuridico con la ricerca della struttura ontologica del soggetto-uomo. E’ dunque una ONTOFENOMENOLOGIA GIURIDICA. Quindi la presente indagine sul diritto si inscrive nel quadro della filosofia classica dell’essere, ma a partire non dall’essere in generale, bensì dalla esplorazione dell’essere dell’ente uomo. E’ la via segnalata da S. Agostino in conformità al celebre principio del “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas”, poiché senza la comprensione dell’uomo non si renderà mai piena ragione della realtà e del senso del diritto. (*) EPISTEMOLOGIA: scienza del sapere (**) TEORETICO: contemplativo, speculativo

CAPITOLO I I SENSO COMUNE E TEORIE GIURIDICHE ODIERNE 1) Va preliminarmente considerato un dato assai significativo della contemporanea cultura giuridica, che è costituito dalla divaricazione, sino alla SCISSIONE attuale, tra ciò che il senso comune intende per diritto e le concezioni giuridiche odierne più diffuse. I 2 versanti della scissione: ฀ il senso comune percepisce il fenomeno giuridico in termini di giustizia, della quale ha invero un’idea generica, ma spontanea e perciò convinta. Se si traduce in forma filosofica, per il senso comune LA GIUSTIZIA E’ L’ESSENZA DEL DIRITTO. ฀ per le concezioni odierne, invece, diritto e giustizia appartengono a due ambiti diversi. Il diritto viene collocato sul piano dell’esserci constatabile di fatto, la giustizia su quello del dover essere: LA GIUSTIZIA E’ L’IDEALE AL QUALE DEVE O DOVREBBE CONFORMARSI IL DIRITTO EMPIRICO-FATTUALE. Infatti nel passato le dominanti concezioni filosofico-culturali di un armonico ordine naturale riconducevano ad esso la determinazione della giustizia e quindi del diritto che, essendo naturale, era considerato per ciò stesso giusto. La riscoperta del Corpus iuris giustinianeo ha poi dato vigore a codesta “scientia iuris”. Nel tempo poi sono state numerose le trasformazioni di tale “scienza”, ma in essa è rimasto costante il riconoscimento del primato concettuale del diritto naturale, quale diritto giusto non soltanto ideale ma vigente e applicabile in giudizio, al di sopra o ad integrazione del diritto positivo. Questa “scienza” è stata dapprima disprezzata dai philosophes settecenteschi come contraria all’ideale illuministico del diritto naturale, limpido e semplice nella sua naturalità. Successivamente, a partire dal XIX secolo, è stata rifiutata per il suo fondamentale giusnaturalismo che ricollega il diritto alla giustizia. QUINDI la scissione odierna trae la sua origine dal ripudio del giusnaturalismo, che metteva in comunicazione il senso comune con la scienza del diritto. • In ambito filosofico, ne è responsabile lo STORICISMO per il suo radicale anti-naturalismo che, riducendo la natura dell’uomo alla sua esclusiva dimensione fisicalistica, le contrappone la storia come libera attività inventiva e innovativa. • In ambito scientifico, ne è responsabile il POSITIVISMO GIURIDICO, per il quale è qualificabile diritto solo quello positivo, mentre quello naturale è mera proposta di un diritto ideale. Oltre a codeste posizioni anti-giusnaturalistiche, ha contribuito all’abbandono del modo comune e spontaneo di percepire il diritto il recente processo di trasformazione delle società avanzate; infatti l’avvento ottocentesco dell’età industriale ha determinato un innegabile processo di complessificazione della società.

Per quanto riguarda il diritto, la nuova società complessa comporta il tramonto dell’ideale illuministico di un sistema giuridico costituito da poche leggi generali; si rende invece necessaria l’introduzione di norme sempre più particolari e contingenti e sempre più tecniche. Pertanto il diritto viene a presentarsi come una costruzione normativa artificiale, con la conseguenza che tanto la sua giustezza tecnica quanto la sua giustizia sostanziale risultano difficilmente percepibili dal sentire comune. Ciò solleva una questione conturbante: la netta separazione concettuale tra diritto e giustizia comporta una frattura insormontabile all’interno della coscienza del soggetto, che apre la strada al RISENTIMENTO, in nome della simbiosi tra diritto e giustizia. Nonostante l’evidenza di codesti rilievi, la problematica del dato scissionistico non risulta al Cotta aver suscitato l’interesse che merita nella giusfilosofia contemporanea dell’Europa continentale. Per quanto riguarda l’Italia va tuttavia ricordata la costante attenzione di Giorgio Del Vecchio al “sentimento giuridico”; ma soprattutto l’opera di Giuseppe Capograssi, la cui analisi è sorretta dalla salda convinzione della continuità tra il senso comune, espressione della concreta esperienza vissuta, e l’agire giuridico in essa immanente. 2) Ma vediamo meglio di precisare in quali termini si ponga la questione della scissione. A prima vista, una singolare ambiguità appare presente nel senso comune del diritto; vi coabitano infatti 2 convinzioni diverse: quella della obbligatorietà del diritto e quella sua origine da una volontà superiore. Considerate separatamente, codeste convinzioni appaiono incoerenti: infatti il senso comune attribuisce obbligatorietà agli imperativi che gli appaiono conformi a giustizia. Ma l’apparente incoerenza si dissolve grazie ad una distinzione ben presente al sentire comune: esso riconosce capacità di obbligare alla volontà prescrittiva allorché essa provenga non dal semplice POTERE, bensì dall’AUTORITA’. Il senso comune non ha atteso gli studiosi per avvertire la differenza del potere dall’autorità; nel passato questa gli si presentava come derivante da un suo qualche rapporto con la trascendenza e proprio da tale derivazione il senso comune ha ricavato la determinazione dell’autorità, in termini di giustizia e quindi di durata, rispetto alla attualità e alla contingenza del potere. Una coerenza del sentire comune circa l’obbligatorietà del giuridico è attestata da una ulteriore distinzione: quella fra il diritto in generale e le singole leggi particolari. Mentre quello è giusto e naturale, e quindi obbligatorio, queste non sempre sono giuste, e pertanto in tal caso traggono origine da una pura volontà costrittiva e quindi non obbligante.

In conseguenza delle suddette distinzioni, i caratteri dell’obbligatorietà e della volontarietà del diritto diventano compatibili, anzi si integrano, grazie al loro comune radicamento nella giustizia. Ma di là da imprecisione concettuale, questo ordine è avvertito come “naturale” e non in...


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