RUNE - RUNE PDF

Title RUNE - RUNE
Course Filologia germanica
Institution Università degli Studi di Palermo
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RUNE...


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RUNE 1. Definizione del fuþark e origine del termine "runa" I Germani, prima di adottare l’alfabeto latino, avevano un proprio sistema di scrittura di tipo epigrafico, utilizzato per stendere testi di una certa brevità su pietre o su oggetti mobili di varia natura e diverso materiale (osso, corna di animali, legno, metallo). Le forme ted. Rune, ingl. ned. dan. norv. rune, sved. runa hanno il significato specifico di “segno di scrittura” e costituiscono una nuova formazione dotta (del XVII secolo, forse di origine scandinava), derivata da una parola ampiamente testimoniata in tutte le lingue germaniche antiche, ma in via di estinzione già nella fase antica o in quella media: got. as. aat. rūna, ags. an. rūn < germ. *rūnō con significato di “mistero, segreto”. Ad un certo punto non viene attestata dalle fonti e va in disuso, per poi essere riesumata negli ambienti culturali della Scandinavia nel XVII secolo. Raunen (aat. Runen) – Parlare a bassa voce e in segreto, sussurrare L’iscrizione runica più antica risale al 160 d.C ed è iscritta sul Pettine di Vimose, ritrovato sull’Isola di Fiona, in Danimarca. Si tratta di un pettine in corno di cervo, che riporta l’iscrizione “harja”. Questa iscrizione può essere interpretato o come il nome del guerriero a cui l’oggetto appartiene, o il nome dell’oggetto stesso. Sulla base di otto epigrafi runiche del V e del VI secolo, il runologo danese Wimmer ha ricostruito una serie comune di 24 segni, alla quale si attribuisce il nome di futhark, dalla lettura dei primi sei segni che la compongono. La successione delle lettere non corrisponde a quella greca e latina, e per questa ragione non si potrebbe parlare in effetti di “alfabeto”, bensì di “serie runica”. L’antico fuþark in forma completa è attestato in tre iscrizioni: 1) nella pietra di Kylver (Gotland), che, datando alla prima meta del V secolo, è a tutt’oggi la più antica iscrizione a riportare un futhark; 2) nella bratteata di Vadstena 3) nella bratteata di Grumpan (Svezia). In forma incompleta è documentato nella colonna di Breza (ex Jugoslavia), nella fibula di Charney (Borgogna). In seguito, attraverso una serie di modificazioni, semplificazioni o ampliamenti, la serie runica originaria di 24 segni venne alterata per poter essere adeguata alle innovazioni fonologiche delle diverse lingue germaniche, sicchè nell’area delle Lingue del Mar del Nord (o Ingevoni) la serie viene allargata prima a 28 e poi a 33 segni, mentre in Scandinavia il futhark viene ridotto a soli 16 segni. 2. Il valore fonetico e semantico dei segni runici Ogni runa aveva un nome, il cui fonema iniziale ne dava (in base al criterio dell’acrofonia) il valore fonetico. Ad es., la runa aveva per nome germ. *fehu “bestiame; ricchezza” e il suo valore fonetico era quello della fricativa labiodentale sorda /f/.; il nome della runa /t/ era germ. tīwaz (il dio della guerra, anticamente il dio celeste per eccellenza). Unica eccezione è rappresentata dalla runa , il cui nome germ. *algiz "alce" contiene il valore fonetico in posizione finale, dal momento che in germanico non sono note parole con –z (-R) in posizione iniziale. I nomi delle rune sono tramandati per la prima volta in manoscritti dell’altomedioevo ( runica manoscritta) e in alcune poesie (nei cosiddetti poemi runici), ma si ha motivo di ritenere che la loro formulazione sia contemporanea alla nascita delle rune stesse.  Nel ms. Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 795 si conserva un fuþorc ingevone di 28 segni con i relativi nomi.  L’Abecedarium Nordmannicum, tramanda i nomi dei 16 segni della serie runica recenziore di area scandinava. I nomi delle rune sono in gran parte derivati dalla sfera religiosa e delle pratiche magico-oracolari e si riferiscono essenzialmente a esseri divini, demoni, animali sacri e piante connesse con le cerimonie di culto, nonché a fenomeni naturali ed atmosferici. Es. u = uruz “uro” (sorta di bue selvatico, animale ritenuto sacro).

3. Origine della scrittura runica: teorie passate e recenti L’inventio del F. è indice di un atteggiamento comune alle genti germaniche che, giunte in contatto con il mondo classico, si preoccupano di affermare la propria identità culturale.” A tal proposito, è possibile operare un confronto con l’alfabeto gotico elaborato da Wulfila, il cui intento fu indubbiamente quello di creare un alfabeto “nazionale”, sia pur utilizzando modelli stranieri, desunti dalle civiltà classiche e cristiane del mondo mediterraneo. Di recente la teoria di una derivazione latina del futhark è stata proposta da A. Quak. Lo studioso olandese perviene alle seguenti conclusioni: 1) per quanto attiene alla datazione, l’ipotesi avanzata vorrebbe la nascita delle rune intorno alla fine del I o all’inizio del II secolo d.C.; 2) in riferimento al modello utilizzato, Quak non ha dubbi che l’origine della scrittura runica debba essere ricercata nei contatti tra Germani e Romani databili ai primi secoli dell’era cristiana, contatti che si sono verificati, in particolar modo, nella zona renana. 4. Tecniche di incisione delle rune, ambiti di utilizzazione, supporti e relativa terminologia I Germani non usavano le rune per la stesura di documenti e, per la compilazione di manoscritti, ad eccezione di qualche caso raro e particolare, come la cosiddetta Scaanske Lov, una raccolta di norme giuridiche danesi, databile all’inizio del XIII secolo e vergata in caratteri runici in un manoscritto denominato, proprio per questo motivo, codex runicus. Usate inizialmente da un esiguo numero di individui, le rune divennero in un secondo momento una scrittura pubblica, sebbene la sua fruizione fosse pur sempre limitata ad una cerchia di lettori assai ristretta. I testi runici venivano graffiti su superfici dure con la punta di uno strumento acuminato. La terminologia relativa alle tecniche scrittorie comprende, infatti, verbi che indicano l’azione di “incidere”, “intagliare”, “scalfire” (ma anche “dipingere, colorare”): germ. *wrītana “incidere”. In antico alto-tedesco il termine, nel senso di “usare segni di scrittura” cade in disuso con la diffusione del Cristianesimo e la conseguente adozione dell’alfabeto latino. La tradizione runologica, inoltre, distingue due diverse figure cui attribuisce funzioni differenti: quella del Runenmeister e quella del Runenritzer. Il primo conosce il futhark ed è in grado di comporre e stendere un testo runico; il secondo è un semplice artigiano, che poteva anche essere illetterato e la cui funzione era semplicemente quella di incidere o dipingere le rune (in base ad un modello prestabilito). Spesso entrambe le funzioni erano svolte da un’unica persona, e si parla quindi di runografo. Un uso presente in tutti i tempi e diffuso presso tutte le civiltà è la riduzione del testo epigrafico al marchio di proprietà o alla firma dell’artigiano. Molte, infatti, sono, nelle varie tradizioni runiche delle singole popolazioni germaniche, le iscrizioni formate da una sola parola, ad esempio un antroponimo, maschile o femminile, inciso su un oggetto mobile (arma, monile, pettine, amuleto, ecc.). Può trattarsi del nome del possessore, del donatore o ancora dell’artigiano cui si deve la manifattura e/o l’incisione delle rune stesse. Esiste, a tal riguardo, un repertorio di formule cui i lapicidi e maestri di rune attingono per stesura dei testi epigrafici. Gli schemi formulari individuati sono fondamentalmente due: 1) Il tipo cosiddetto “alfabetico”, che si realizza nella compilazione di un futhark, ovvero nella successione di caratteri runici, senza alcun apparente significato o di significato indecifrabile; 2) il tipo che presenta la formula “autografa” del maestro di rune, ossia la firma dell’artigiano o del lapicida; nell’ambito di questo secondo modello si notano due varianti principali: a) il firmatario si limita ad apporre il suo nome (o il suo appellativo) e b) indica esplicitamente l’operazione che compie (“incidere, dipingere, tracciare, scrivere”). Sia nel primo, che nel secondo caso può esprimersi in prima persona, secondo lo schema “Io mi chiamo N”, ovvero “Io, N, ho fatto questo”. Nel secondo caso, si possono trovare anche frasi espresse in terza persona: “N. ha fatto questo”. Infine, a questi due – che costituiscono i modelli di più ampia diffusione nella produzione runica – è possibile aggiungerne un terzo, rappresentato dalle iscrizioni di “dedica”, che presentano solitamente uno o più antroponimi.  I testi in prima persona si riscontrano in Scandinavia dal V al VII secolo. I migliori esempi sono l’amuleto di Lindholm (ek erilaR sa wilagaR ha(i)teka “Io, ErilaR, sono chiamato SawilagaR”) e il corno B di Gallehus (ek HlewagastiR holtijaR horna tawido).  I testi in terza persona, con i verbi per “scrivere, dipingere, intagliare”sono un’imitazione dell’uso romano. Un esempio e l’iscrizione di Freilaubersheim, su fibula in argento, databile alla seconda metà del VI secolo: Boso wraet runa þ(i)k Daþena golida “Boso incise la runa. Te D. ha salutato”.  Un esempio di iscrizione di “dedica” e rappresentato, invece, dall’epigrafe sul pendente aureo di Wijnaldum B (hiwi, “mater familias”), del corpus frisone.

Assai diffusa era anche la pratica di incidere iscrizioni runiche di carattere monumentale su pietre, come quelle che si ritrovano in area anglosassone (ricorderemo la croce di Ruthwell), e, soprattutto, in Scandinavia, dove l’impiego della scrittura runica su grandi lastre (stele) di pietra avrà enorme diffusione durante tutta l’epoca vichinga, per continuare fino al XIV secolo. Il più delle volte tali stele avevano carattere funerario. Di solito questi testi contengono due nomi: uno del defunto e l’altro dell’autore dell’epigrafe.  Raramente si trovano indicazioni sul defunto, come si legge nella pietra norvegese di Kjølevik, dove sono indicati i presunti rapporti di parentela tra il defunto e l’autore del testo: HadulaikaR /ek hagustaldaR / hlaaiwido magu minimo “HadulaikaR (riposa qui). Io, HagustaldaR, ho sepolto mio figlio”.  Oppure indicano circostanze sulla morte, come nella pietra svedese di Möjbro: frawaradaR ana Hahai slaginaR “Frawaradar e stato ucciso a cavallo”. 5. Usi magici delle rune È opinione concordemente accettata il fatto che le rune fossero utilizzate anche per scopi magici e di culto, almeno inizialmente. Le rune avevano valenza simbolica ed erano impiegate nelle arti magiche e nelle cerimonie religiose. Tacito, al cap. X della Germania, descrive un rituale divinatorio (quello della Mantica), durante il quale si incidevano su delle schegge di legno alcune notae (le rune), che poi il sacerdote o il pater familiae interpretava per trarre gli auspici. Nella letteratura norrena sono presenti svariati passi che contengono riferimenti ad uno stretto rapporto tra rune e magia, ad esempio, nel Hávamál (Canzone dell’Eccelso); nel For Skírnis (Viaggio di Skirnir); nel Sigrdrífomál (Canto di Sigrdrifa). 6. I poemi runici Un discorso a parte meritano i poemi “runici”, ovvero quei componimenti poetici elaborati sui nomi delle stesse rune. Il piu antico e l’Abecedarium Nordmannicum, tramandato in un unico manoscritto del IX secolo, proveniente da Fulda; è un documento molto breve, redatto in una lingua ibrida che mescola tratti dell’antico sassone con elementi dell’antico alto-tedesco e del norreno e riguarda i nomi delle 16 rune della serie recenziore scandinava. Non si tratta di opere di notevole spessore letterario. Sono per lo più perifrasi dei nomi delle rune, corredate di immagini banali con qualche allusione cristiana. L’intento era evidentemente quello di fornire un supporto per la memorizzazione delle rune e dei relativi valori fonetici e semantici. 7. Il corpus anglosassone Il processo di trasformazione che il fuþark germanico13 di ventiquattro caratteri subisce nell’area ingevone si articola in due fasi. Dapprima la serie runica originaria viene innovata attraverso l’aggiunta di un gruppo di quattro segni; successivamente, forse a partire dal VII-VIII secolo circa, ha luogo, con molta probabilità in Northumbria, un ulteriore ampliamento della serie runica ingevone. Il documento più antico che tramanda la serie runica di ventotto segni è uno scramasax (un tipo di spada corta) del IX secolo, rinvenuto nel 1857 nei pressi di Battersea sul Tamigi. SCRAMASAX Lo scramasax (detto anche hadseax, sax, seaxe, scramaseax, seax e sachsum) era un arnese da taglio, caratteristico dei popoli germanici, con un solo margine tagliente ("filo"). Pare che venisse usato generalmente come attrezzo, ma che avesse pure valenza di arma in situazioni estreme. Ne è stata rinvenuta una gran varietà di fogge, con dimensioni comprese tra 7,5 e 75 cm; i più grandi (detti langseax) erano verosimilmente armi, i più piccoli (hadseax), attrezzi, mentre gli intermedi svolgevano le due funzioni. Lo scramasax faceva parte del corredo militare comunemente utilizzato dai Longobardi, come attestano le diverse guarnizioni da fodero in lamina d'oro lavorata a giorno pervenute. Lo stesso nome del popolo sassone potrebbe derivare proprio da seax, un'innovazione per cui al tempo erano noti. Il repertorio runico anglosassone annovera una novantina di iscrizioni riportate su supporti di varia tipologia. Molte epigrafi sono incise su oggetti mobili di diversa natura (monete, anelli, spille, fibule, armi o parti di armi, urne, pettini, bratteati, cofanetti) fabbricati con svariati materiali (oro, argento, leghe di rame, bronzo,

terracotta, osso, legno, giaietto, pietra). Fanno parte del corpus runico anglosassone anche alcune epigrafi incise su steli di pietra e croci localizzate in particolare nella Northumbria e nella Mercia. La tradizione runica si è sviluppata in Inghilterra attraverso due diverse fasi evolutive: il periodo arcaico, compreso tra il V e il VII secolo, che coincide con l’era pre-cristiana; e il secondo periodo, che si fa partire dal VII secolo, e che mostra chiaramente l’influsso della civiltà mediterranea e della scrittura (epigrafica e alfabetica) latina, manifestandosi attraverso la produzione di documenti runici in cui forte e l’impronta della cristianizzazione, evento culturale epocale che sembra fungere da linea spartiacque fra questi due periodi. PETTINE DI WHITBY Il pettine di Whitby (VII secolo), presenta una breve iscrizione runica di chiara ispirazione cristiana, in lingua latina e in antico inglese: d[æ]us mæus, god aluwaludo helipæ Cy-, da tradurre come “Dio mio, Dio onnipotente aiuti Cy-”. Anglo-Saxon bone comb with runic inscription, 7th century, presenta una breve iscrizione runica di chiara ispirazione cristiana, in lingua latina e in antico inglese: d[æ]us mæus, god aluwaludo helipæ Cy-, da tradurre come “Dio mio, Dio onnipotente aiuti Cy-” RELIQUIARIO DI SAN CUTHBERT Il reliquiario di San Cuthbert (VII secolo), custodito all’interno della cattedrale di Durham, è decorato con una serie di immagini intagliate nel legno, che rappresentano personaggi delle Sacre Scritture. Il reliquiario reca anche i nomi dei personaggi raffigurati (sebbene in alcuni casi non siano più leggibili), incisi sia con lettere dell’alfabeto latino che in caratteri runici. Come è noto, l’opera di evangelizzazione della popolazione anglosassone viene attuata con estrema cautela da parte dei monaci missionari, che mostrano grande rispetto e indulgenza nei confronti dei riti pagani ancora diffusi nella comunità locale. È a tale atteggiamento tollerante della Chiesa che probabilmente si deve l’affermarsi di questa originale combinazione fra due culture diverse, quella cristiana e quella germanica e che, sul piano della scrittura, porta ad una compenetrazione tra l’alfabeto latino e il sistema runico. COFANETTO DI AUZON Un mirabile esempio di ibridazione tra epigrafia runica, contenuti germanici e tematiche cristiane è tangibilmente rappresentato dal cofanetto Franks (VIII secolo), ritrovato intorno alla metà del XIX secolo ad Auzon, in Francia, e oggi conservato presso il British Museum di Londra. La denominazione del reperto deriva da August W. Franks, l’archeologo inglese che ne fece dono al British Museum. Si tratta di uno scrigno fabbricato con osso di balena e che serviva probabilmente a contenere oggetti preziosi o reliquie. Il cofanetto reca sia sui quattro pannelli laterali che sul coperchio una serie di iscrizioni runiche in dialetto northumbrese e, sul pannello posteriore, tre parole in caratteri latini. Inoltre è riccamente ornato con una serie di sculture a bassorilievo di soggetti eterogenei: vi si trovano raffigurate scene derivate da leggende e miti di origine germanica, come il fabbro Weland nella sua fucina e suo fratello Egill, l’arciere; immagini tratte dalla storia e dalle leggende romane, ossia la conquista di Gerusalemme da parte di Tito (70 d.C.) e Romolo e Remo allattati dalla lupa; e ancora la rappresentazione di un episodio biblico, l’adorazione dei re Magi (quest’ultima scena è peraltro accompagnata da una piccola disascalia che presenta, incisa in caratteri runici, la parola mægi). I motivi pagani e cristiani che si incrociano e si sovrappongono nel cofanetto Franks sembrano essere collegati ai temi della ricchezza e dei doni preziosi (con un velato riferimento al contenuto del cofanetto), enfatizzati anche dall’uso della runa feoh “ricchezza” e della runa giefu “dono”, che forniscono l’allitterazione del testo runico sul pannello frontale. CROCE DI RUTHWELL Un’altra preziosa testimonianza di questo singolare sincretismo tra elementi di tradizioni diverse, e che al tempo stesso costituisce un interessante esempio di intreccio di epigrafia e letteratura, è rappresentato dalla croce di Ruthwell, un monumento archeologico che reca, incisi in caratteri runici, alcuni versi in dialetto northumbrese del poema allitterante il Sogno della Croce, tramandato, in forma completa, nel ms Vercelli, Biblioteca Capitolare CXVII.39 Si tratta di una croce celtica in pietra dell’inizio dell’VIII secolo, che poggia su di una colonna

rettangolare di forma affusolata, alta ca. 5,28 metri. Intorno alla metà del XVII secolo, la croce – che fino ad allora si trovava accanto all’altare della Chiesa di Ruthwell nel Dumfriesshire (Scozia) – venne smontata e in parte deturpata; alcune sezioni furono interrate nel cimitero attiguo alla chiesa, mentre altre furono impiegate per pavimentarne la navata. Nel 1802 i resti del monumento vennero recuperati e riassemblati e nel 1887 la croce fu ricollocata dentro la chiesa, nella sua posizione originale. La croce, sebbene danneggiata, presenta nei quattro lati, una serie di sculture e di decorazioni a rilievo. Le sezioni più ampie (nord e sud) sono intagliate con scene bibliche ispirate alle Sacre Scritture: la crocifissione, l’annunciazione, Gesù nell’atto di guarire un cieco, Maria Maddalena che lava i piedi del Cristo, San Paolo e Sant’Antonio che spezzano il pane, Cristo al Giudizio con la mano destra alzata in segno di benedizione e i piedi poggiati su due animali, San Matteo e il suo angelo. Queste immagini sono inoltre circondate da una serie di citazioni e parafrasi bibliche in lingua e scrittura latina. Le sezioni meno estese (est e ovest) sono scolpite con motivi ornamentali che presentano tralci di vite intrecciati e corpi di animali attorcigliati (serpenti o uccelli) in forma stilizzata, che fanno parte della tradizione iconografica anglosassone e celtica. Il testo runico, che corre lungo il bordo esterno di queste due sezioni, corrisponde ai versi vv. 39-64a del poema del Codice di Vercelli e si divide in quattro parti, che risultano frammentarie dal momento che alcune porzioni della croce sono andate irrimediabilmente distrutte. La conservazione di questo componimento antico inglese sia in tradizione manoscritta che epigrafica rappresenta un caso eccezionale nella storia della letteratura anglosassone. La relazione tra i due testimoni del poema e a tutt’oggi materia di dibattito. Probabilmente il documento runico costituisce un’epitome di un originale anglico del 700 circa, mentre la redazione contenuta nel codice sarebbe una copia sassone occidentale più tarda di un ulteriore esemplare northumbrese, generalmente datato intorno all’inizio dell’VIII secolo. Tale testo northumbrese sarebbe antecedente all’iscrizione di Ruthwell, di cui peraltro avrebbe costituito una fonte. 8. Iscrizione sulla punta di lancia di Kowel Appartenente alla metà del III secolo, questa iscrizione si trova sulla punta di una lancia trovata nel 1858 in un campo...


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