Sbriccoli-giustizia-criminale PDF

Title Sbriccoli-giustizia-criminale
Course Storia dell'esperienza giuridica
Institution Università degli Studi del Sannio
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GIUSTIZIA CRIMINALE La giustizia penale negoziata La storia del penale può essere pensata come la storia di una lunga fuoruscita dalla vendetta; mentre la storia del processo penale può essere letta come la storia del faticoso avvento di un apparato di protezioni e garanzie disposte intorno all’accusato e ai suoi diritti. Nella prima fase dell’esperienza cittadina medievale, tra XI e XIII secolo, la vendetta della vittima è un diritto, un modo per ottenere un risarcimento e ottenere soddisfazione; rappresenta un mezzo ordinario di giustizia, di carattere privato, tanto da non coinvolgere i poteri pubblici. La vendetta però non è pratica priva di inconvenienti per la vita associata: i poteri pubblici la contrasteranno cercando di orientare i cittadini verso modi di conseguimento della soddisfazione diversi da quello che si risolve nel fare all’altro quello che lui ha fatto a te. L’idea che il delitto è in primo luogo un’iniuria (offesa) è presente nella cultura delle prime comunità cittadine e condiziona la loro concezione della giustizia. I cittadini godono di una forma di tutela che fa della giustizia negoziata un affare di consociati, e che opera, per così dire, verso il basso. Essa esclude i forestieri, i vagabondi, e tutti quelli che, pur membri della comunità, se ne sono separati per essersi messi contro di essa (banditi, incendiati): costoro sono “intractabiles”, e perciò sottoposti a sommarie procedure pubbliche finalizzate alla pena e dettate dallo spirito eliminativo. E’ in ogni caso un’altra l’idea di giustizia: quella che combatte il crimine dall’alto, quella che assicura la vendetta pubblica e punisce per retribuire, ma anche per dissuadere attraverso la “pena esemplare”. La giustizia negoziata riposa inizialmente sul consenso, e successivamente sulla certezza. Quindi, appartenenza, protezione, e consenso non fanno altro che rimandare al carattere comunitario della giustizia negoziata. I mutamenti costituzionali, poi, si rifletteranno inevitabilmente sul carattere del penale, modificandone i caratteri. E così, tra XII e XV sec., il sistema cittadino italiano passa da una fase comunitaria, gestita con regole consuetudinarie, ad una fase autoritaria attenta a garantirsi forme efficaci di giurisdizione. La giustizia egemonica di apparato Si delinea così, tra fine XIII e inizi XIV sec., un nuovo modo di fare giustizia: al penale viene impresso un forte carattere di pubblicizzazione. I governi cittadini avvertono che la giustizia penale è un decisivo mezzo di governo e che non ha senso lasciarla alla sola iniziativa delle vittime. I giudici iniziano ad agire ex officio (per dovere) indagando a vasto raggio, incoraggiano le accuse perché i delitti non restino impuniti. Si impone il principio per cui chi commette un delitto danneggia la sua vittima, ma offende anche la respublica, che ha il diritto di soddisfarsi infliggendo una pena. Al giudice vengono accordati strumenti assai come l’uso della tortura e poteri arbitrari in ordine al modo di procedere alla raccolta delle prove e alle pene da applicare. Il nuovo modo di fare giustizia assume rapidamente caratteri egemonici: riduce gli spazi della trattativa in materia penale imponendo l’idea che non c’è giustizia senza punizione del colpevole. Questa “nuova giustizia” egemonica si fonda così su quattro presupposti tecnici: la legge, l’azione, la prova, la pena, senza però dimenticare l’importanza degli apparati. 1

-la legge E’ facile comprendere come la legge costituisca il fondamento primario per una giustizia che privilegia la via della certezza. La legislazione fino alla fine del XV sec. muoverà tra rare costituzioni imperiali, statuti, ordinamenti; i giuristi, interpretandoli, produrranno altre norme, cercando di orientare la pratica della giustizia. -l’azione e la prova Sono i due pilastri del processo pubblico, a carattere inquisitorio, che sostanzia la giustizia di tipo egemonico. L’azione privata e discrezionale, oppure pubblica e obbligata, orienta per vie differenti le forme processuali al fine di raccogliere le prove. La giustizia di tipo egemonico si serve di un processo a prevalente azione pubblica nel quale la raccolta delle prove è affidata al potere di inchiesta del giudice ed è supportata da mezzi coercitivi. -la pena La giustizia egemonica sostiene che non esiste giustizia senza punizione del colpevole. L’obiettivo è quello di mettere il giudice in condizione di punire coloro che hanno provocato un danno; la pena deve essere mezzo di esempio e dissuasione, un espediente retributivo. Si introducono così concetti come “responsabilità penale”, “colpevolezza”, “elemento psicologico”. -gli apparati Gli apparati sono prodotti dagli stati per amministrare persone, risorse, rapporti, e quindi la stessa giustizia egemonica. Le praticae criminales e l’autonomia del diritto penale Le “practicae criminales” si fondano su un duplice registro: legittimare con la c.d. “consuetudo praticandi” la procedura così come è, e dettare al giudice cosa deve decidere sul punire o meno, sul come e il quanto, davanti all’infinita casistica che gli si può presentare. Con le practicae viene governato il processo e da esse si delineerà un diritto penale aggiornato e soprattutto autonomo. Ippolito Marsili loda la practica perché l’uso pratico, insieme all’esperienza, rende fruttuoso il lavoro di chi ha il compito di amministrare i pubblici interessi. La practica prescrive al giudice di accertare, prima di muovere qualsiasi altro passo, che il delitto sia veramente avvenuto, e poi di proseguire con sopralluoghi, raccolta di indizi materiali, ricerca di testimoni, interrogatori. Una volta poi individuato il sospetto, seguiranno l’inculpatio, la ricerca di prove o indizi a suo carico, il tentativo di ottenerne la confessione. Le practicae non devono occuparsi dell’ esecuzione della pena, saranno le sfere amministrative a farlo. Le practicae sono sì orientate al processo, ma dettano principi nel campo del penale del sostanziale molto più di quanto facciano sul versante della procedura, visto che dal punto di vista strettamente processuale sono povere. Il paradigma dell’infrazione politica e l’espansione del penale tra 500 e 600 Una nuova concezione del penale si impone in Italia e in gran parte dell’Europa lungo tutto l’arco del XVI sec.; concezione che riposa sullo spostamento della rilevanza penale di un comportamento dal piano del danno a quello della disobbedienza, il che corrisponde all’estensione dello schema dell’infrazione politica a ogni violazione penale di qualche rilievo. In questo passaggio si delineano due 2

profili: il primo, teorico, sta nell’assunzione di ogni trasgressione penale nello schema dell’offesa alla respublica: la sola disobbedienza alla legge penale diventa motivo di pena. Il secondo profilo, per così dire storico, riposa sul fatto che tutti i reati di qualche rilevanza vengono trattati in un processo penale secondo cui fare giustizia consiste nel reprimere. Compito degli apparati giudiziari sarà quello di combattere il crimine; i criminali devono essere considerati nemici, e gli Stati hanno il dovere di trovare e far applicare una efficace vendetta contro di essi. E’ possibile constatare come nel sistema a cui ci stiamo riferendo la coincidenza tra giustizia e repressione produce un vero e proprio fall out di effetti secondari: a)la trasfusione dei principi dottrinali elaborati nella practicae in grandi Leggi generali emanate da principi, come la Constitutio Criminalis Carolina promulgata da Carlo V nel 1532 per i territori dell’impero, e l’Ordonnance criminelle emanata per la Francia da Luigi XIV nel 1670. b)il sistema penale si orienta verso obiettivi di prevenzione generale; il complesso delle incriminazioni si allarga, per giungere ad un processo di disciplinamento della società. L’inasprimento del sistema sanzionatorio attraverso l’esemplarità della pena porta, tra il 500 ed il 600, a perseguire in modo organizzato soggetti e comportamenti ritenuti borderline (stregoneria, dissenso religioso,devianza morale). c) emergono, in termini che possiamo considerare moderni, le esigenze di ordine pubblico. Tra sei e settecento inizia a prendere forma un altro livello penale, non estraneo ad alcuni aspetti del modello dell’Inquisizione romana. Il modello dell’Inquisizione romana Il processo praticato dall’Inquisizione romana non è diverso dal processo ordinario usato dagli Stati italiani: hanno in comune le origini normative, usano le stesse regole fondamentali, si fanno governare dalla stessa dottrina. Anche il processo inquisitoriale è strutturato allo stesso modo del processo penale pubblico: la stessa azione, le stesse regole, le stesse prassi per gli interrogatori, le stesse regole per la tortura, gli stessi criteri per la valutazione delle prove, lo stesso arbitrium concesso al giudice in ordine all’irrogazione della pena. Il sistema processuale dell’inquisizione mostra tuttavia tratti peculiari propri, come la centralizzazione dell’attività giudiziaria; la legalizzazione dell’agire dei giudici, vincolati da testi normativi certi, e non orientati dalla propria interpretazione; professionalità del personale giudiziario; linearità di condotta nell’eventuale varietà delle soluzioni adottate. L’inquisizione è infine anche molto attenta al rigore delle forme, al rispetto delle procedure, alla verbalizzazione e conservazione dei documenti. Il precedente della “Carolina” L’inquisizione si trovò dunque a costruire la giustizia della legge; lo fece adottando le stesse garanzie e accorgimenti di una legge famosa: la Constitutio Criminalis Carolina, messa in vigore da Carlo V nel 1532. Tale legge vigeva su quasi tutto l’impero germanico e disponeva di un testo normativo certo e valevole erga omnes. Il giudice, nel caso di incertezze, avrebbe dovuto consultare le autorità superiori; egli doveva giurare di non operare differenze tra poveri e ricchi, deboli e potenti, e di non 3

voler ricevere alcun tipo di ricompensa; dettagliate norme lo guideranno negli interrogatori e nella raccolta e valutazione delle prove. L’inquisitore è in primo luogo il giudice delle “intentiones” e della “conscientia”, mentre il suo omologo ordinario va soprattutto alla ricerca di azioni e di fatti. Il primo ha come mezzo primario l’extorsio verborum, il secondo la collectio indiciorum. La legge si occupa dell’affidabilità del processo, regola l’uso della tortura, la tutela dei testimoni, l’adozione di “cautelae”. Inquisizione e legge : tutte le cautelae adottate dagli inquisitori sono già assicurate dall’art.31 della Carolina. Infine, un’attenta disciplina prescrive verbalizzazioni, disciplina la conservazione degli atti, dà vita ad un archivio. La degenerazione della practicae, gli intellettuali e le prime codificazioni penali Nel corso del 700 due tendenze approdano al loro differente epilogo: da un lato quella concezione del diritto e della giustizia criminale denominata egemonica, si impadronisce in maniera definitiva dell’intero campo; dall’altro, la giustizia della practicae risolve la sua decadenza in una intollerabile degenerazione. Per la prima volta nella storia d’Europa gli intellettuali svolgono una funzione critica di opposizione,e lo fanno sul terreno penale: da Montesquieu a Voltaire, da Rousseau a Beccarla, un coro di intellettuali, impose prima la discussione e poi la riforma del sistema penale europeo. Si assiste così al trionfo dell’egemonico coniugato alla legge; una legge dettata da un legislatore che rappresenti il volere di tutta la società, che individui con certezza delitti e pene, cosicché il giudice, primo servo della legge, si limiterà solo ad applicarla. Laicità, ragione, utilità, certezza, proporzione, saranno concetti che ispireranno il principio di legalità dei delitti e delle pene; tale principio porta con sé quello della irretroattività della legge penale e il divieto di applicarla in via analogica. Le norme saranno astratte, generali e conformi all’utilità sociale; la responsabilità penale sarà personale, e personale sarà la pena, che dovrà essere pubblica, certa, proporzionata al delitto; la pena di morte dovrà essere bandita, così come dovranno esserlo le pene corporali. La via migliore da seguire sarà quella di sottoporre rigorosamente i giudici alla legge, negando loro i poteri interpretativi e relegandoli alla sola funzione dell’accertamento dei fatti. Il processo andrà ricollocato su principi diversi da quello delle practicae: niente più accuse segrete, ma solo accertamenti trasparenti; l’onere della prova competerà soltanto a chi accusa,e gli accusati non saranno sottoposti a giuramenti; le sentenze saranno motivate e soggette ad appello; le decisioni saranno collegiali, coinvolgendo più magistrati. Leggi del passato che aprono al futuro Nel Codice generale sui delitti e sulle pene del 1787 e nell’Ordine giudiziario criminale del 1788, voluti dall’imperatore Giuseppe II, che è possibile individuare il primo esempio di codificazione penale moderna. Qui si trovano accolti il principio di legalità, il divieto di analogia, generalità e astrattezza delle norme, proporzione delle pene, abolizione della tortura. La Rivoluzione francese diventerà la madre di questi principi: prima con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, poi con il Codice di 4

istruzione criminale del 1808, sino ad arrivare al Codice Napoleone del 1810, che abrogando il codice del 1791 metterà in vigore il suo Codice penale, con l’intento di difendere e proteggere lo stato e il governo, minacciando e intimidendo, attraverso pene molto severe, soprattutto quelli che è possibile definire come “recidivi”. Giustizia,politica e legge nel XIX secolo Adottati in tutta Europa, i nuovi codici sanciscono l’ingresso della giustizia nell’esclusivo dominio della legge. Tema politico comune è la centralità della questione penale. In Italia, tra il 1815 e il 1860, la giustizia è fortemente condizionata dalla difesa di regimi politici deboli; dove garanti dell’ordine sono le polizie, provviste di proprie regole. I loro codici sono ispirati a concezioni autoritarie, con livelli di penalità elevatissimi. Il processo nuovo viene di regola orientato dalla fase di indagine riseravata alle polizie e si presenta comunque ostile. Il Regno d’Italia nasce nel 1861 sotto il segno dell’emergenza. L’insurrezione di uomini armati in alcune delle regioni meridionali (brigantaggio) sembrò mettere in drammatico pericolo l’unità dello Stato appena realizzata. La reazione del governo fu tale da infliggere al sistema penale italiano una radicale e irreversibile torsione. L’Italia si adattò a quel duplice livello di legalità, e lo conservò ben oltre il limite segnato nel 1948 dalla Costituzione repubblicana. Alcuni giuristi si opposero a questa corrente: il primo fu Francesco Carrara, che criticò a fondo l’intrusione della ragion di stato nella logica del penale e della giustizia. Una generazione di penalisti liberali, successivamente, realizzò con un difficile lavoro durato trent’anni, un codice penale di rilevante qualità. Lo ispirarono uomini come Carrara, Pessina, Brusa; lo realizzò principalmente Luigi Lucchini, collaboratore del ministro Zanardelli, che gli diede il suo nome. Codice liberale, con pene equilibrate, il codice Zanardelli si affiancava a un codice di procedura di tutt’altra ispirazione. Fascismo e Stato forte. La lunga fase del penale autoritario La questione penale, dopo essere stata al centro di un grande dibattito nell’Europa del XIX secolo, conosce nella prima parte del 900 una fase di ricomposizione e stabilizzazione. In Italia la dottrina, sollecitata da Arturo Rocco, mette il diritto penale al passo del quadro costituzionale reale del paese, assumendo la legge come perno fondamentale della riflessione del giurista. Successivamente, con l’avvento del fascismo, si tende a mettere al centro del problema penale la questione dello scontro politico. Il penale viene disancorato dalla tradizione liberale, per essere ridotto ad arma che lo Stato rivolgerà contro i suoi nemici, a difesa non della società o dei cittadini, ma di se stesso. Lo Stato per essere forte deve farsi temere, e a questo fine strumentalizzerà la repressione penale, con lo scopo di annientare gli oppositori politici. La legislazione penale del regime si delineò tra le leggi fascistissime del 1926, quelle antiebraiche del 1938, e nel 1930, con un’imponente riforma dell’intero sistema collegata ai due codici, penale e di procedura, voluti da Alfredo Rocco. Le leggi del 1926 soppressero i partiti e la stampa libera, ripristinarono la pena di morte per i reati politici, istituirono il Tribunale speciale per la difesa dello Stato.

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I codici del 1930 si ispirarono ad una visione meramente difensiva, alzarono il livello della repressione inasprendo il sistema delle pene puntando sull’intimidazione; la carcerazione preventiva era diventata la regola. Democrazia e Stato sociale Sarà solo con la Costituzione del ’48 che si delineeranno il principio di legalità e quello del giudice naturale, il diritto alla difesa, la funzione rieducativi della pena e l’abolizione della pena di morte. A partire poi dagli anni 50, il sistema penale italiano, bisognoso di riforme, venne investito da una serie successiva di emergenze: l’ordine pubblico in relazione ai conflitti politici, sindacali, studenteschi, nel corso degli anni 50 e 60; il terrorismo nei 70; la criminalità organizzata di stampo mafioso negli anni 80 e primi 90; la corruzione politica tra il 1992 e il 1994. E così facendo, il sistema normativo penale si è fatto ipertrofico. Al codice e alle tante leggi penali speciali prodotte nel tempo si è aggiunta una miriade di norme speciali; il codice penale ha perso la sua centralità. Lo Stato sociale ha dilatato enormemente il campo delle contravvenzioni, e così la pena cessa di essere presa sul serio, viene indebolito il suo ruolo strategico quale mezzo di prevenzione generale. Ridotta al rango di semplice segnalatore di pericolo, la minaccia di pena perde quel po’ di funzione dissuasiva che poteva esserle rimasta. Lo Stato sociale sta visibilmente evolvendo verso forme che si possono definire con l’espressione “Stato di sicurezza”. La questione della sicurezza è già al centro dell’attenzione delle politiche penali in molti paesi dell’Europa di oggi. L’unico modo per cercare di trasmettere sicurezza ai cittadini è quello di dar vita ad un lungo lavoro strategico che sposti sulla criminalità diffusa parte dell’attenzione che da sempre è rivolta altrove; anche perché, non bisogna dimenticare che la fuoriuscita dalla vendetta non è , senza dubbio, impresa da poco.

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CARATTERI ORIGINARI E TRATTI PERMANENTI DEL SISTEMA PENALE ITALIANO Le origini Il sistema penale italiano si sviluppa dentro una lunga storia di coerenza e continuità: ci sono costanti nel mondo del suo sviluppo e caratteri originari, acquisiti fin dai primi decenni che seguirono all’Unità. Il Regno d’Italia nasce e si sviluppa, come sappiamo, sotto il segno dell’emergenza: l’insurrezione di una parte delle popolazioni meridionali mette in pericolo da subito l’unità dello stato appena realizzata. Il modo in cui quella classe dirigente reagì impresse nel sistema penale italiano un segno che si sarebbe rilevato praticamente incancellabile. Entrò così nell’ordinamento un duplice livello di legalità: l’emergenza legittima la prevenzione; la libertà dei sospettati può essere diminuita con l’uso di istituti di polizia preventiva. Alla polizia vengono così affidate estese funzioni di prevenzione e di governo delle classi pericolose, che essa svolge con amplissimi margini di discrezionalità. Il duplice livello di legalità distingue i “galantuomini” dai “birbanti”, e contribuisce alla tendenziale identificazione dello Stato con il governo. Il problema penale nella vita politica italiana Il dibattito sul problema penale è rimasto costantemente tra le questioni centrali ella vita politica italiana. Il problema penale emerse certamente come problema cruciale nei primi decenni che seguirono l’Unità, quando si comprese che col penale avevano a che fare la crescita delle libertà, l’ammodernamento dei rapporti tra Stato e cittadini, la maturazione civile della società nel suo complesso. Mettere le mani nel penale significava dunque entrare nel vivo della vita del paese. La centralità del penale sta innanzitutto nella rilevanza politica del...


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