Scugnizzo PDF

Title Scugnizzo
Course Linguistica italiana
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Riassunto del testo Scugnizzo per l'esame di Dialettologia italiana...


Description

SCUGNIZZO Introduzione -

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Erroneamente fatto risalire al termine latino EXCUNEARE cioè colpire. ‘900 SCUGNIZZO e l’etimologia con la trottola (colui che scugna, ma il suffisso dovrebbe essere – tore, nomen agentis, che si forma aggiungendo un suffisso al verbo). Colui che compie l’azione. Quindi avremmo dovuto avere scugnatore e non scugnizzo. Mancata attestazione del termine nei vocabolari dialettali anteriori al Novecento (buco, vuoto documentario di molti secoli. Se deriva dal latino come mai non ci sono attestazioni scritte in nessun vocabolario, nemmeno dialettale?). Prima attestazione del termine in una poesia “E scugnizze” di Ferdinando Russo, 1897. Evoluzione semantica da ragazzino a monello di strada. Nelle opere lessicografiche compare per la prima volta nel 1908 nel DIZIONARIO MODERNO DI Alfredo Panzini a seguire nel 1922 nel VOCABOLARIO di Nicola Zingarelli La parola non rientra nei lessici dialettali campani perché è una coniazione gergale entrata in italiano prima ancora di passare al dialetto grazie alle pubblicazioni di Russo. RIASSUMENDO: SCUGNIZZO non è sinonimo di ragazzino, non deriva dal latino EXCUNEARE, non è parola del dialetto napoletano tradizionale.

CAPITOLO 1 E SCUGNIZZE di Ferdinando Russo è una raccolta di poesie nelle quali si presenta in ambito napoletano la vita dei bambini di strada, ossia dei minori abbandonati (1897). Sull’argomento dell’infanzia abbandonata avevano scritto già diversi autori, si pensi a Dickens in Oliver Twist o Antonio Ranieri in Ginevra, ma nessuno aveva mai utilizzato il termine “scugnizzo”. Ma lo scugnizzo, ossia il monello di strada, non era presente solo a Napoli: in ogni città c’erano minori abbandonati, ma questi non vengono chiamati scugnizzi, almeno non prima del 1897. Nel 1926 Ferdinando Russo spiega come ha conosciuto il termine scugnizzo: lo sentì dalla bocca di un bambino di strada che chiamava un suo coetaneo. Affermò che il termine apparteneva al gergo basso. Articolo di Ferdinando Russo USI E COSTUMI NAPOLETANI. PICCOLI CAMORRISTI compare per la prima volta nel 1897 su Il Mattino. Nel 1897 quando escono le poesie di Russo, Ernesto Serao le recensisce su Il Mattino. L’articolo dei PICCOLI CAMORRISTI era già stato pubblicato nel 1895 su un giornale romano, La Riforma, dallo stesso Russo. Nell’articolo Russo spiega anche il significato del termine, perché avrebbe dovuto? E in oltre aggiunge che “scugnizzo”appartiene al gergo della malavita. Scugnizzo= con il mozzicone di sigaretta, gioca a carta e a fine gioco chiede il soldo di camorra (tangente). In poche parole si tratta di piccoli delinquenti. Dal 1897 sono frequenti nelle cronache de Il Mattino accenni agli scugnizzi (giovani delinquenti). Nel 1897 l’antropologo Abele De Blasio scrive dei saggi sulla malavita nei quali tratta della delinquenza minorile. Nella prima edizione i piccoli delinquenti non vengono chiamati “scugnizzi”. Nello stesso anno, nel giro di pochi mesi, Abele modifica l’opera e nella seconda edizione i monelli vengono chiamati “scugnizzi”. Perché corregge? Ovviamente perché prima non aveva mai sentito il termine scugnizzo, non lo

conosceva ma dopo l’uscita delle opere di Russo e soprattutto dei suoi articoli di giornale sull’argomento, Abele deve correggere perché ormai si è dato un nome specifico a quel determinato tipo di ragazzino. 1900 nel volume Napoli d’oggi, compare un saggio di Teresa Ravaschieri, Napoli nella sua città, accompagnato da una fotografia che illustrava un monello di strada con tanto di didascalia “Piccoli Scugnizzi”. 1899 il magistrato Giulio Caggiano pubblica una raccolta di novelle dal titolo “Novelle napoletane” in cui tratta del tema della malavita. In questa edizione non compare mai la parola scugnizzo. 1906 seconda edizione della raccolta di novelle di Giulio Caggiano. Nella prefazione espone un quadro sociologico della delinquenza napoletana e compaiono gli scugnizzi (l’opera fu stampata a Milano). 1928 terza edizione aggiorna l’opera inserendo le diverse iniziative sociali a favore degli scugnizzi. Nell’opera di Giulio Caggiano sono presenti anche delle fotografie che ritraggono degli scugnizzi: -

Trio musicale di scugnizzi: uno con mandolino, l’altro con tamburello, l’altro con una trombetta sono gli scugnizzi della Festa di Piedigrotta. Quattro ritratti infantili con didascalia scugnizzi.

L’autore di queste foto inserite nella raccolta di novelle “Malavita” è Aurelio Caggiano, lo stesso artista che curò le 42 fotografie della raccolta di poesie di Russo (nell’opera di quest’ultimo compaiono due bambini scalzi che dormono sulle scale fuori ad un portone chiuso). Prima esistevano raffigurazioni simili e cioè di bambini di strada tratti in atteggiamenti quotidiani, ma nelle didascalie o nei titoli non compare mai la parola scugnizzi, ma pescatori, pescatorelli, monelli. Si tratta di scugnizzi ante litteram. TEATRO. Raffaele Viviai nel suo repertorio di macchiette inserì la canzone O’ scugnizzo del 1905 scritta da Giovanni Capurro. Alla fine di ogni spettacolo seguiva la capriola che preludeva alla richiesta del soldo (di camorra). L’attore è acclamato dal pubblico come vero scugnizzo. Un’opera teatrale di Raffaele Viviani è Festa di Piedigrotta (1019), in cui si dava ampio spazio agli scugnizzi. In questa festa i monelli si aggiravano tra le bancarelle, disturbavano con gli strumenti musicali, chiedevano soldi, oppure derubavano (scippavano) i passanti. LETTERATURA FUTURISTA. Il poeta futurista Francesco Cangiullo scrive la poesia Piedigrotta in cui si dà spazio agli scugnizzi. Il termine “scugnizzi” dal piano della realtà passa a quello della metafora e dell’analogia. Il termine è usato come parola in libertà per la sua evocazione simbolica e per la pregnanza fonica. Nel testo Cangiullo inserisce anche frasi registrate, cioè prese direttamente dal parlato come se uscissero dalla bocca degli scugnizzi. Cangiullo fu indicato quale poeta scugnizzo dal Marinetti, che crea un’ANALOGIA (Cangiullo=scugnizzo). Si tratta di una metafora per dire che Cangiullo come poeta ha un atteggiamento anticonformista e di rottura. Atteggiamento sbarazzino e monellesco. Lo scugnizzo è qui visto come un campione di libertà anziché come vittima della miseria. Nel 1913 Cangiullo scriverà un’altra poesia, “Scugnizzi” che sarà recensita da Ferdinando Russo sulla rivista Vela Latina. Saranno presenti analogie (rese graficamente con il segno uguale). OPERETTA E CINEMA. Nel 1922 esce l’operetta Scugnizza”, che segnerà la fortuna del termine al femminile. Al cinema nel 1938 Raffaele Viviani reciterà ne L’ultimo scugnizzo di Gennaro Righelli. Gli scugnizzi saranno poi protagonisti del film Le quattro giornate di Napoli 1963 di Nanni Loy che narra le vicende di un fatto realmente accaduto: le vicende del 28 settembre e del 1 ottobre 1943 quando gli scugnizzi si scontrarono con i tedeschi. Nel 1989 Nanni Loy propone il film “Scugnizzi”.

CAPITOLO 2 Bambini di strada, minori a rischio e delinquenza minorile sono spesso oggetto di attenzione da parte di giornalisti e viaggiatori di fine Ottocento. La condizione del minore abbandonato, a fine Ottocento, si avverte come allarme sociale. In un articolo intitolato “Il monello di Napoli” si tratta della condizione del minore abbandonato e figura una prima opposizione tra monello e guaglione. Il guaglione sarebbe connotato oltre che dalla giovane età, da una condizione di precarietà, infatti la parola parte dall’iniziale significato di aiutante; poi in senso più generale di giovane e ancora di ragazzo di strada. Il fenomeno sociale dell’infanzia abbandonata era presente non solo a Napoli, ma in tutte le grandi città d’Europa. Nel 1863 nell’opera “I vermi”di Francesco Mastriani viene descritta la via del “guaglione”, in nota glassato come monello. Il guaglione di fine ottocento è un figlio del popolo abbandonato nel mezzo della pubblica via. Anche ne “Il ventre di Napoli” di Matilde Serao c’è una forte partecipazione umana nell’affrontare il problema dell’infanzia abbandonata. Questi bambini dormono per la strada raggomitolati per terra. Il Mattino di Napoli tratta di questo fatto di cronaca e accoglie sulle proprie pagine una sorta di rubrica “reclami del pubblico”. Ne lo Schiacciapensiero, invece, si sottolinea che esistono strutture e istituiti per il recupero di minori deviati, ma non iniziative a favore di bambini delinquenti. All’inizio del Novecento fu la nobildonna Teresa Ravaschieri a proporre iniziative di recupero per questi ultimi. Questi bambini abbandonati diventavano dei delinquenti per sopravvivere e poi dei veri e propri criminali. Scrittori stranieri si sono interessati del fenomeno napoletano come Marc Monnier e Jessie White Mario. Nel 1888 l’antropologo Abele De Blasio conduce un’inchiesta sull’infanzia abbandonata servendosi di carteggi tra Prefettura e Questura e ancora tra Questura e pubblica sicurezza. Si evince dalle lettere che i precedenti governi (cioè quelli del Regno delle Due Sicilie) non avevano fatto nulla a favore dell’infanzia abbandonata e viene descritto il modo in cui questi bambini vivevano e alcuni episodi che li vedevano protagonisti. Ricca è la documentazione sul furto di “fazzoletti”, tra l’altro presente in diversi scritti di scrittori che hanno trattato il tema dell’infanzia abbandonata. Ma perché i fazzoletti? Il fazzoletto era di per sé appetibile perché spesso di seta e quindi di tessuto pregiato, ma soprattutto perché contenitore di monete e banconote (in quanto non esisteva il portafoglio). C’è di più: i bambini venivano addestrati al furto di fazzoletti attraverso mirate e particolari iniziative didattiche e Abele De Blasio nei suoi scritti ci parla di una vera e propria scuola del furto. Un “masto” insegnava come rubare utilizzando una struttura che simulava una donna con una serie di campanellini in testa che al più lieve movimento suonavano. L’abilità stava nello svestire la donna di carta pesta senza far suonare i campanellini. Anche Dickens in Oliver Twist parla cita questa pratica. In alcuni scritti di psicologia criminale è dimostrato che agli inizi dell’Ottocento era ancora diffusa la pratica della vendita dei bambini da avviare all’accattonaggio, al furto o a una vita al seguito di girovaghi. Come affermano gli psicologi: dall’abbandono e dall’esposizione alla violenza, scaturiscono comportamenti criminosi. SENSIBILITA’ VERSO L’INFANZIA ABBANDONATA. Verso la metà dell’Ottocento si pone al centro del dibattito sociale il problema dell’infanzia abbandonata. Si cerca aiuto alle istituzioni per risolvere il problema. Goethe in un suo viaggio in Italia, fa una descrizione nitida del problema dell’infanzia abbandonata e afferma che il popolo napoletano era non curante del problema, scevro di pensieri. In Goethe non c’è partecipazione umana. In ogni caso si iniziò ad affrontare seriamente il problema solo dopo l’Unità d’Italia e quindi dopo il 1861.

FIRENZE. “Firenze sotterranea” è un’opera di Giulio Piccini che include un capitolo intitolato “Bambini mendicanti di notte”. Anche in quest’opera si fa accenno al furto e a una scuola di ladri. Jarro, pseudonimo di Piccini, si farà promotore di una società protettrice dei fanciulli, da lui invocata fino al 1881. “Le avventure di Pinocchio” di Collodi tratta tra l’altro del tema del traffico dei bambini che finivano al seguito di girovaghi. Sembra una vera e propria biografia esemplare a lieto fine di un bambino esposto ai rischi della vita di strada. MILANO. Anche a Milano era diffusa la pratica del furto e del borseggio ad opera di minori. Ne parla Cletto Arrighi, autore de “Il ventre di Milano”. Il problema dell’abbandono dei minori non viene trattato in modo lamentoso, ma i monelli vengono presentati quasi come anticonformisti . l’immagine del vagabondaggio milanese è presentata paradossalmente come realismo involontario. Inoltre Arrighi accusa addirittura la Serao per aver denigrato l’immagine di Napoli presentando gli aspetti problematici della sua città. TORINO. Su La Gazzetta di Torino, negli stessi anni, compaiono articoli simili a quelli de Il Mattino. Ne traccia un quadro Manuela Leonessa. Attraverso le indagini di alcune sentenze si evince che anche a Torino è assai diffuso il furto di fazzoletti, ma nelle giustificazione dell’atto, non si fa mai accenno alla fame o ad un esigenza economica. Si tratta di abitudine e non di esigenza. Si ruba giusto per fare qualcosa. Verso la fine dell’Ottocento qualcosa si smuove: grazie anche all’istruzione scolastica obbligatoria si cerca di arginare il problema dell’infanzia abbandonata. A Napoli grazie a Teresa Ravaschieri si creano le cosiddette “navi asilo”, una sorta di convitto galleggiante di orfani pescatori, i marinarielli. Dopo la Seconda guerra mondiale fu fondata la Casa dello scugnizzo da Mario Borrelli. Scrive Francesco D’Ascoli che nel secondo dopoguerra i giovani non vivono più il disagio dell’infanzia abbandonata . lo conferma anche Mario Borrelli: che la presenza dei giovani di strada non era più avvertita come una minaccia sociale. CAPITOLO 3 IPOTESI ETIMOLOGICHE. Carmelo Rapisarda da EXCUNEARE in quanto lo scugnizzo a teatro spingeva gli altri; Michela Loporcaro associa scugnizzo al bambino sdentato (scugnizzato). Inoltre scugnato+ izzo non dà scugnizzo ma scugnatizzo, quindi la base è un participio abbreviato “scugno” nel Quattrocento il participio abbreviato era molto diffuso. Alfonso Leone fa risalire la parola scugnizzo a CUGNO dal latino CUNEUS “piccoletto”, attestato anche nel tipo dialettale siciliano cugnettu “uomo di piccola statura” e nel calabrese cugnu “nano”. Il significato per tutti e tre gli studiosi resta quello di ragazzino e cioè di bambino al quale successivamente si sarebbero aggiunte altre eccezioni connotative, tipo “monello di strada”. Il prof. De Blasi parte da cugno forma arcaica e dialettale di cuneo che oltre ad indicare il cuneo per spaccare la legna indica anche il pezzettino di legna che si usa per dare stabilità alla sedia o per tappare buchi. Etimologia della trottola. Inoltre il parallelismo con scugnizzo e guaglione non è adeguato perché guaglione deriva dal francese e appare in un testo italiano solo nel XIII secolo, in Basile. SIGNIFICATO DELLA PAROLA. Nel dizionario del 1922 di Zingarelli, scugnizzo non era il semplice ragazzino, ma il monello di strada. Non possiamo parlare di evoluzione semantica perché scugnizzo non è

attestato in nessun lessico dialettale se non dopo il Novecento. E la prima attestazione risale alle poesie di Russo E’ scugnizze del 1897, anche se in un articolo dal titolo USI E COSTUMI NAPOLETANI. LA PICCOLA CAMORRA del 13 luglio del 1895, pubblicato su una rivista romana, usa il termine scugnizzo nel senso di “monello di strada”. PAROLA NEL SUO CONTESTO. La parola fu scoperta dal cronista Ferdinando Russo, l’aveva sentita per la prima volta per bocca degli stessi scugnizzi, mentre stava svolgendo alcune indagini in certi ambienti marginali. Nell’opera Lo scugnizzo di Russo, la parola è inserita, infatti, in un discorso diretto “chiullu là e nu scugnizz”. Per la prima volta Russo la sente e indaga così su di essa. Lo scugnizzo è il monello di strada, abbandonato a sé stesso, che non ha superato i 16 anni. VARIANTI IN ABELE DE BLASIO. È criminologo e dirige l’ufficio antroprometico della Questura di Napoli. Nel 1897 pubblica un libro sugli usi e i costumi dei camorristi. Nel giro di pochi mesi Abele ripubblica l’opera apportando delle modifiche. Inserisce la parola “scugnizze” con quella e finale che riproduce la pronuncia napoletana. Da ciò si percepisce che De Blasio non conosceva il termine scugnizzo. Con De Blasio scugnizze non è più il monello, ma è proprio un ragazzo di mala vita. Inoltre De Blasio glossa il termine scugnizze. In un secondo libro “La mala vita a Napoli” De Blasio torna a parlare degli scugnizzi, questa volta usando il termine italiano. Il contesto qualifica la parola come gergale anche in De Blasio: gli scugnizzi non hanno fissa dimora, vivono all’aperto, nelle piazze e per procurarsi il pane quotidiano “rubano”. PRECEDENTI DESCRIZIONI DI MONELLI NAPOLETANI. Monnier è uno scrittore fiorentino che si dedica al lessico della delinquenza organizzata. Nelle sue opere non compare la parola scugnizo, ma per monello di strada corrisponde tamurro. In Cossovich il bambino discolo è chiamato lazzariello e banchiere, mentre Francesco Mastriani prolifico scrittore dei bassifondi napoletani, non adatta la parola scugnizzo nelle sue opere. Si limita a scrivere che il ragazzino che occupa il primo grado della milizia camorristica si chiama tamurro. SILENZIO DI LESSICI SU SCUGNIZZO. Anche su Il Mattino, prima del 1897, quando si parla dei monelli di strada, minori abbandonati o piccoli ladruncoli, non si usa mai l’espressione scugnizzi. La parola manca nei lessici campani, in tutti i vocabolari troviamo il verbo scugnà, trebbiare, ma mai scugnizzo. Questo ci dimostra che scugnizzo non è una parola da sempre radicata nel lessico campano. CAPITOLO 4 Scugnizzo è un neologismo post-unitario che si è diffuso grazie al giornale. TESTIMONIANZE LAMBROSIANE. In un’opera di Cesare Lombroso sulla camorra si legge la serie palatin> vagabondo, scugniz> giovinetto o ladro, maestro>ladro adulto (1889). Compare qui l’espressione scogniz rance> scugnizzo dacci, allude ad un’esortazione per dire scugnizzo fai presto a rubare (deruba costui/ costei). In ambito non gergale rance significa anche dare, nel senso di percuotere. Il gergo che è nelle liste lambrosiane proviene dall’Archivio di psichiatria, un’opera di De Paoli (sconiz rance). La parola scugniz poteva essere nota solo a chi conosceva il lessico della malavita e intercettata da chi cercava informazioni su questo lessico. Ma molto probabilmente De Blasio non consultò o non conobbe queste liste. È con Russo e la sua pubblicazione su un giornale nazionale che la parola esce dal gergo per entrare a far parte del lessico italiano. Per quanto riguarda i gergalismi però, la loro origine, spesso, non va rintracciata nella linguistica storica e cioè nel latino; sono rilevanti per questo gli aspetti ambientali delle vicende lessicali. a coniare il gergo, sono infatti i gerganti e spesso le motivazioni semantiche sono tutt’altro che trasparenti. Forse il monello di strada che esisteva già prima dell’Ottocento, fu visto e denominato scugnizzo da nuovi osservatori, forse provenienti dall’esterno.

COGNIN/CUGNIN, FRATELLO MAGGIORE DELLO SCIGNIZZO. Spesso le voci gergali vengono prese dal dialetto, riadattate sul piano fonetico e reinterpretate sul piano semantico. Giuseppe Alongi, alcuni anni dopo le liste lombrosiane, pubblica un più ampio elenco di voci gergali napoletane, inoltre afferma che alcune di esse sono state prese dal dialetto di Favignana. Lo stesso De Paoli parla della circolazione del lessico, il quale, riferendo il gergo del reclusorio di Savona precisa che molti di chi ve ne facevano parte erano camorristi provenienti da Napoli. Quindi erano frequenti gli spostamenti dei camorristi e da Favignana a Savona si potevano rintracciare le tracce di questo gergo camorristico. Ma la parola scugnizzo ha qualche somiglianza con parola del lessico di una diversa zona? In Lombardia e Piemonte è diffuso il tipo lessicale gognin (pronunciato gugnin). Il termine gognin è presente nel dizionario storico dei gerghi italiani che parte dal Quattrocento di Ernesto Ferrero. Il significato di gognin è ragazzino, discolo, monello, birichino. Ma più che un termine gergale, si tratta di un termine del dialetto torinese e milanese. Anche nel vocabolario italiano-milanese di Francesco Cherubini compare il termine cognin con significato di ragazzo che fa la spia per i ladri (palo). In oltre a Pavia è diffuso gugnini “maialetto lattante, piccolo”> affinità con CUNEUS. . Tra l’altro negli articoli di cronaca che ritraggono ambienti marginali lombardi è presente con lo stesso significato di scugnizzo gognin. In alcuni documenti di Lodi troviamo la conferma della forma cognin in area lombarda. Infatti, Cognin è il soprannome di un giovane di 16 anni, un giovane delinquente. Poi è precisato in una nota che si tratta di un nomignolo dato ai piccoli furfanti. La storia di Gognino, un giovane perdigiorno dedito alla vita di strada, vende fiammiferi e gioca con la trottola) raccontata da Vittorio Bersezio pubblicata a puntate s...


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