Serial classic riassunto PDF

Title Serial classic riassunto
Author Camilla
Course Strategic Management
Institution Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM
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SOMMAMENTE ORIGINALE, l’arte classica come seriale, iterativa, portatile. Salvatore Settis FANTASMI L’arte classica greco-romana abita ancora la nostra immaginazione. testi greco-latini sono da sempre letti come esempi morali e storici, veicolo privilegiato di valori utilizzabili per interpretare il presente. Due verità universalmente accettate sull’arte greco-romana: 1) è un insieme di opere originali, uniche, irripetibili di artisti mossi da ispirazione individuale 2) il culto greco della bellezza è il fondamento della concezione moderna di arte come libera da ogni vincolo di utilità. Dunque la stessa idea di arte che abbiamo oggi: arte come valore autonomo fuori dal tempo (*). riflessione sulla serialità dell’arte classica, sulla sua ripetibilità: in scala 1:1 (Milano, serial classic) e in formato ridotto (Venezia, portable classic) due mostre gemelle che intendono sfidare tali pregiudizi (*). L’arte classica ha questo di originale: ha per secoli concentrato energia nella creazione di modelli ripetibili e capaci di incanalare valori collettivi. L’arte greca è originale in quanto corale, la sua “esemplarità” è stata costruita consapevole per le generazioni future e con essa ci misuriamo ancora oggi. PAROLE Rigida solo in superficie, la parola Classico si è mostrata nel tempo versatile,“adjustable”. Nella Roma antica classicus fu un termine del gergo fiscale che indicava la classe più alta dei contribuenti. Dimenticato nel medioevo il termine classico, venne resuscitato dagli umanisti del rinascimento che lo usarono unicamente per le opere letterarie: solo dall’ottocento in poi che venne applicato anche alle arti figurative. Nell’uso comune classico denota un prodotto o un valore di prima classe e in Europa antichità classica è la civiltà greco-romana. Ma classico può indicare una categoria estetica (musica classica), un prodotto storico (il neoclassico), un prodotto industriale rispettabile ma tendenzialmente obsoleto (Macintosh classic). Nel novecento il termine classico inizia a designare momenti della civiltà Maya, cinese, indiana. Se ne è anche cercato l’equivalente in alcune lingue extraeuropee: in Cina al nostro classico corrispondono gudian e jingdian dove dian indica “canone”. La parola classico contiene una contraddizione: indica da un lato qualcosa di astorico, fuori dal tempo, irripetibile. D’altra parte il classico dei definisce a partire dalla sua ripetizione nella storia, ha senso solo in quanto usato come modello da imitare. Il classico e quindi un dispositivo dinamico che scompare e riappare di continuo: per esempio nelle sue svariate rinascite (dell'impero di Carlo Magno al tre e to di Petrarca), fino al rinascimento italiano (nuova nascita dell’antichità classica e della sua diffusione universale). Il classico è necessariamente dinamico, cambia nel tempo e nel cambiamento sta il suo vero significato. È un senso già esplorato da Wittgenstein a proposito del rapporto tra significato e temporalità: l’uso ripetuto necessario affinché vi sia significato, è qualcosa di esteso nel tempo: il significato è un concetto diacronico (che si evolve nel tempo). Ma quella del classico è una diacronia che procede per salti e ritorni.

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CONCETTI Oltre ad aver creato la filosofia e la democrazia, i greci hanno inventato la storia dell’arte: da sempre gli esseri umani producono arte, pochissime ne hanno anche scritto. In Grecia per primi gli architetti scrissero delle loro opere, poi scenografi e scultori come Policleto che verso il 450 a.c. Fissò in un trattato il canone per il nudo maschile, che era poi il suo Doriforo. A partire dal IV sec. A.c gli scritti sull’arte si moltiplicarono e a redigerla erano gli stessi artisti. Tutte quelle opere sono perdute, ma alcuni eruditi greci e romani (come Plinio il vecchio) le lèssero e le citarono abbondantemente. Da questi testi abbiamo un’idea della prima storia dell’arte d’Europa che secoli dopo ispirò i Commenctarii di Lorenzo Ghiberti (1450), le Vite di Giorgio Vasari (1568) e poi la storia dell’arte come la intendiamo oggi. Né in greco né in latino c’era una parola per dire classico, ma non manco l’idea di circoscrivere un’età simbolo di valori degni di essere imitati. Quest’idea nacque come reazione al subitaneo declino della massima creazione della civiltà greca, la polis (città indipendente e governata dai propri cittadini. L’incombete potere prima dei re macedoni (Filippo II, il figlio Alessandro Magnoe successori) e poi di Roma frantumo la coesione civica delle città e le loro pratiche culturali, indebolì l’identificazione dell’individuo con la collettività della polis e a partire dal IV-III secolo a.C. generò uno sguardo nostalgico verso la creatività e l’equilibrio del passato. Un carattere retrospettivo ispiro ogni narrazione della storia culturale greca con una tendenza alla svalutazione del presente di fronte alle glorie del passati. In quest esaltazione dei tempi andati, l’atene dell’età di Pericle 461-429 ac) ebbe un ruolo determinante. Sei secoli dopo Plutarco scrisse che ciascuna delle opere poste allora sull’acropoli ci appaiono oggi fresche come se fossero appena state ultimate, sembrano essere immuni dall’assalto del tempo come se avessero un’anima incapace di invecchiare. La nozione moderna di arte, in senso qualitativo e aspecifico (per opposizione a ciò che arte non è una creazione culturale formatasi a partire dal settecento. Gli antichi al contrario usavano la parola techne in greco e ars in latino solo in riferimento ad una specifica abilità del fare (calzolaio, scultore, medico... ciascuno ha la propria techne con il proprio patrimonio di conoscenze. Pur essendo estremamente sensibili alla qualità dei risultati, le civiltà classiche non innalzarono mai barriere tra ciò che merita di essere detto arte è quello che ne resta fuori. Il motto ottocentesco dell’art pour l’art sarebbe stato impensabile nell’antichità greco romana: il culto del bello, l’arte divorziata da ogni immediata utilità, la bellezza che trascende il tempo, l’immediatezza e la gratuità della creazione artistica sono costruzioni culturali del nostro tempo che senza fondamento attribuiamo ai greci. Se vogliamo capire l’arte classica dobbiamo considerarla utile e non inutile, funzionale e non gratuita, narrativa anziché estetica. CITTADINI La polis è il cuore della civiltà greca, ne esprime la cultura e il destino nella forma urbana, nei templi, nel teatro. Creazione collettiva, la polis è custode della tradizione, palestra di invenzioni e confronti, fucina del futuro. Una parola greca, definisce la condizione della città: “stasis” in senso culturale, politico e istituzionale. !2

Stasis ha due significati apparentemente opposti: una posizione data (da cui stasi in italiano), ma anche il radicamento in fazione, il conflitto, la rivolta. Un duplice significato che non comporta opposizione tra quiete e movimento, ma la loro complementarietà. La quiete non è che un momento che arresta il movimento. Nel linguaggio politico stasis è legato al conflitto, il che deriva dall’adozione del termine per definire il partito, la fazione identificata come tale perché prende posizione nel tessuto omogeneo della polis. La polis accoglie pratiche so io culturali che si esecutano collettivamente e per questo si ripetono, si modificano, si tramandano. Tra queste le narrazioni, i miti, i riti religiosi, il teatro. La Grecia non ha mai avuto un libro di miti, né mai potrebbe averlo: il mito greco non ha forma stabile ma spessite solo in forma di racconto continuamente ripetuto e variato. Ogni ascoltatore di un mito è per definizione narratore potenziale, autorizzato a riaccostare il mito a modo suo: c’è quindi un rovesciamento delle parti ascoltatore-narratore. Ogni versione è lecita e perciò, invano alcuni mitisti tenteranno di disporre le infinite varianti di ogni racconto mitico entro un’impossibile coerenza. Il mito di genera raccontandolo, esiste in quanto cambia. Un simile carattere performativo caratterizza anche la poesia, la tragedia e la ritualità religiosa; la poesia greca nasce dall’improvvisazione, si traduce in performance orale, si fissa nella memoria usando un patrimonio ripetuto di formule che viene arricchito di continuo. Lo stesso vale per ogni altro aspetto della performance poetica, nellalirica corale o nella tragedia: in particolare la musica, il gesto, la danza. Nella tragedia greca che non fu teatro in senso moderno ma alto rituale religioso e civile, gli stessi miti venivano narrati da autori sempre diversi davanti ad un pubblico che già conosceva bene la storia e perciò era tanto più attento ad ogni minima variante. Somma di testo, musica, danza la tragedia ebbe nel coro la sua caratteristica peculiare: Platone (libro delle leggi) usa l’interazione e l’integrazione fra loro dei membri del coro come modello di riferimento per i valori della comunità. Il coro incarna i modi espressivi del cittadino nella polis: . Oscilla tra la dimensione collettiva è quella individuale, tra la distanza del pubblico e il suo coinvolgimento . Ricorre al passato mitico per penetrare nell’attualità . Manipola il linguaggio poetico per imporre agli spettatore una violenta identificazione emotiva La maschera utilizzata dal coro apparentemente cancella l’individualità ma per proiettarla su un’identità più forte e coinvolgente perché collettiva. Questa dimensione l’abbiamo riscoperta ai giorni nostri quando abbiamo visto scendere in piazza migliaia di cittadini con la maschera di Guy Fawkes, un ribelle inglese che nel 1605 fu tra gli organizzatori della cosiddetta congiura dei poveri, che avrebbe dovuto uccidere re Giacomo I e i membri della camera dei lord; da allora una festa popolare celebra l’anniversario della scoperta del complotto. Il volto di questo rivoluzionario fallito viene oggi usato come maschera, per dar forza alla protesta sociale di gruppi che da Madrid a New York invadono strade identificandosi come Anonymus (vedi la casa de papel). Anonimia e collettività tendono a coincidere. Come una delle voci del coro, ogni artista greco lavora per la comunità civica, interpreta la polis è i suoi valori, anzi li incarna nella sua opera e in se stesso e perciò contiene in se la moltitudine dei cittadini. Ogni artista usa e riusa variando, tipologie e formule rappresentative familiari a tutti i cittadini. !3

Esempio: statue di Korai (fanciulle) e i kouroi (ragazzi) che popolavano i santuari come offerte votive sono al tempo stesso individuali e seriali. Se guardiamo queste statue insieme, ci possono apparire uguali; eppure un gran numero di minuti dettagli o di irregolarità ci dicono che non ci sono mai due korai o kouroi uguali tra loro. L’arte greca è diventata classica proprio grazie a questa coralità che dietro ogni creazione presuppone un linguaggio seriale. NARRAZIONI Sviati dal nostro approccio prettamente estetico fatichiamo a vedere la natura narrativa dell’arte greca. Il corpo del Discobolo di Mirone racconta un’impresa ginnica e lo fa ricorrendo ad una tipologia familiare, il nudo maschile atletico. La minuta osservazione anatomica e l’attenzione alle proporzioni corporee rende lo schema iconografico potentemente innovativo ma al tempo stesso convenzionale, che arresta l’attimo fuggente di un movimento rapidissimo. Il Discobolo è dunque la sintesi espressiva non solo di un corpo ma anche di un ethos (carattere) del personaggio rappresentato, è il frutto di una techne, quella esercitata da Mirone. Questo equilibrio tra marcatura individuale e tipicità ha reso il discobolo famoso è riconoscibile: pur essendo sparito l’originale bronzeo possiamo ancora vederne l’eco nella serie delle copie romane e nelle fonti che lo descrivono. Potremmo parlare in simili termini di uno dei due bronzi di Riace (Riace A) che nella ricostruzione della mostra Serial Classics, recupera, grazie all’aggiunta di alcuni dettagli narrativi (elmo, scudo, lancia) la sua probabile identità di re, forse Eretteo. Ne risulterebbe la collocazione originale dei due bronzi sull’Acropoli di Atene nonché l’attribuzione del Riace A allo stesso scultore del Discobolo, Mirone. L’utilizzo di specifici schemi, fu per i greci un processo interamente consapevole che si svolgeva secondo un continuum che trasporta lo stesso gesto/schema dalla vita al teatro alla danza e infine alla pittura e scultura. Per esempio, Aristotele diceva che i danzatori, mediante la gestualità della danza, imitano caratteri (ethe), emozioni (pathe) e azioni (praxeis) cioè modalità espressive, proprie tanto della parola scritta, quanto della vita vissuta. Si vede come in molteplici fonti scritte a noi giunte (Eustazio di Tessalonica sulle tragedie di Eschilo), la statua congeli lo schema della danza, che a sua volta condensa, codifica ed esprime i costumi e le passioni della vita. Il modo di produzione tipico dell’arte classica è modulare: tipologie come l’atleta, il sovrano, Apollo, Zeus, Afrodite sono continuamente ricreati, ripetuti e variati, come elementi di un repertorio. L’arte greca classica dunque, esalta la creatività dell’artefice (techne) promuovendo l’innovazione stilistica e la variazione, ma sempre rispetto a una catena concezionale e riconoscibile. Essa fu sempre intesa come estremamente utile e funzionale nell’ incarnare i valori di quel tempo; la stesssa bellezza non era mai intesa come un fattore puramente estetico, ma anche etico (bello=buono), che implica un assetto di valori morali legati alla polis. I moderni invece tendono a rappresentare il bello come una realtà autonoma indipendente dal bene e dal male. Gli artisti greci sono in massima parte anonimi: anche sommi artisti come Policleto e Prassitele hanno conquistato una anonimità postuma, con la perdita quasi totale delle loro opere. I loro originali si sono dissolti nella serialità delle copie e delle fonti letterarie in un’aura di nostalgia per la loro perdita ma anche di gioia per la possibile ricostruzione archeologica. !4

L’arte classica fu raccolta dalle rovine, collezionata, ammirata e imitata a partire dal quattrocento ma solo molto più tardi si è capito che molti dei capolavori ammirati da artisti del rinascimento, barocco, neoclassico non sono che copie degli originali perduti. Ancora più tarda è la consapevolezza che le copie si differenziano tra loro e pur derivando da un remoto archetipo, portano in se l’impronta visibile del loro artefice (il copista) che rifletteva il gusto del pubblico del suo tempo L’arte greca, seriale e corale per sua natura e ulteriormente serializzata attraverso l’industria delle copie, svela anche un’altra narrazione, quella dell’ archeologia come disciplina volta a ricucire il corpo smembrato dell’antichità. FUNZIONI Due mostre gemelle, un solo discorso: sugli usi e riusi dell’arte classica ma anche sulla sua natura, la sua funzione e il suo destino. Serial Classics, presentata a Milano negli spazi espositivi di fondazione Prada, si apre con un’assenza: i frammenti di statue bronzi di età classica, dagli scavi di olimpia, che rappresentano un vuoto, una perdita. Secondo Plinio il vecchio nella sola olimpia c’erano 3000 statue di bronzo, anche secondo gli archeologi dovrebbero esserci tra le 1000-3000 statue ancora sommerse dalle rovine e dalla terra. Nel 1875 si aprì una missione di scavo tedesca a olimpia attiva ancora oggi, tuttavia per quanto accurati, hanno recuperato poche decine di frammenti ti dita , occhi, piedi... nella lunga eclisse detta la fine del mondo antico, persino le statue dei più celebri maestri furono fatte a pezzi. L’umile testimonianza di questi frammenti racconta quanto accaduto nel mondo antico: i grandi bronzi greci più o meno interi, oggi non sono che un centinaio in tutto il mondo, spesso emersi dal mare. Nella mostra Serial Classics si rappresentano gli originali perditi con un piedistallo vuoto, sul quale viene posto il riassunto di fonti letterarie che raccontano del Discobolo di Mirone, del Doriforo di Policleto o di un satiro di Prassitele. Accanto, una sezione di copie romane dai rispettivi originali: la tensione tra originale e copia è quindi il tema centrale della mostra. La serialità tuttavia, non era propria soltanto delle copie: un’altra vetrina della mostra è dedicata alla serie di gusti in terracotta da Medma (piccola città greca della Calabria tirrenica) realizzati fra 500-460 a.c. molto somiglianti tra loro perché prodotti a matrice. Come le korai marmoree dell’Acropoli di Atene, anche queste terrecotte ripetono incessantemente uno stesso tipo eppure lo variano in piccoli dettagli (pettinature, posa...) e un tempo si differenziavano anche nel colore ormai andato perduto. Anche i grandi originali bronzei essendo realizzati a fusione a c’era persa (che presuppone l’uso di matrici) e in pezzi separati che venivano poi assemblati, potevano essere prodotti in serie con o senza varianti: secondo alcuni anche i bronzi di Riace sarebbero due copie di una serie. Solo nel momento in cui ciascun modello venne rifinito in dettaglio prima della fusione, le due figure devono aver acquisito le caratteristiche a loro peculiari. Dunque, gli originali in bronzo in quanto nati da una ripetizione meccanica a matrice, sarebbero ancor più seriali delle copie marmoree, dove il processi di riproduzione richiede la mano e lo scalpello del copista sul marmo, quindi comporta più ampia diversificazione.

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Anticamente, la differenza di materiale comportava una gerarchia di valori. Il bronza era ritenuto più prezioso del marmo, adatto a esprimere dignità e ethos di un dio, di un eroe, di un atleta vittorioso, di un sovrano. Questo concetto in greco si esprimeva con la parola “prepon” ovvero ciò che risalta, che è appropriato, che conviene; e quindi un termine che indica quello che in una determinata immagine è appropriato rispetto a ciò che essa intende rappresentare, lo stesso vale per la materia di una statua. Il colore: siamo abituati a pensare i marmi antichi come bianchi, i bronzi antichi con la patina verde scuro: ma anticamente i marmi erano colorati vivacemente, i bronzi erano polimaterici e la pelle resa luminosa da coloranti. Sulla questione della policromia antica la mostra serial Classics propone la nuovissima ricostruzione del Riace A di cui si accennava sopra. Rifacimento sperimentale che prevede la rifusione nel bronzo, integrazione di elementi mancanti (elmo, scudo, lancia) e la ricca colorazione della superficie bronzea secondo il costume antico che le conferisce una inedita pienezza narrativa. Apprezzata in età romana, (vedi mostra the passion for seriality a Milano) là servizio e delle sculture antiche non era limitata alle copie. In mostra è stata esposta la mirabile Penelope dolente un originale in marmo del 450 a.c. Con la serie completa di sei copie. Copie, ma di che cosa? L’originale oggi a Teheran fu trovato negli scavi di persepoli dov’era fra i detriti della distruzione del palazzo del re di Persia (ad opera di Alessandro Magno nel 331 a.c). Pur essendo assai simili alla statua di persepoli, le sei copie scolpite in Italia sei secoli dopo, devono necessariamente derivare da un secondo originale rimasto in Grecia. Esse attestano dunque una doppia serialità, quella delle copie e quella degli originali greci. Anche la misura delle sculture antiche ha un intenso valore narrativo esplorato dalla mostra portable classics mettendo accanto al gigantesco ercole Farnese (3,17 mt) una sequenza di otto repliche dal cinque al settecento in misura calante (fino ai 15 cm). Nonostante gli svariati materiali le copie ridotte di questa statua ne raccontano non solo l’identità la posa e la fama ma anche l’ubiquità (in più posti contemporaneamente). Quel riappropriarsi della cultura antica, detto rinascimento, ereditò da essa la tendenza a ripetere nella seriazione delle copie ma anche nella produzione di copie ridotte. Portable Classic insiste su questo confronto proponendo una galleria di capolavori in piccolo di epoca romana: esempio venere al bagno in cristallo (8,6 cm) accostata a una venere dello stesso tipo in bronzo (20 cm). Queste e altre sculture antiche in miniatura fanno da prologo alla rinascita del bronzetto, copia in scala dell’antico che invade le collezioni dal quattrocento in poi. Nel primo quattrocento venne di moda comporre collezioni di sculture antiche traendole dalle rovine di Roma, un piccolo numero di capolavori (Apollo de belvedere, laocoonte, la venere al bagno...) ; il l...


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