The Pencil Of Nature PDF

Title The Pencil Of Nature
Author Debora Garritani
Course Storia della fotografia
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

Riassunto del libro ...


Description

THE PENCIL OF NATURE Talbot tra il 1844 e il 1846 pubblica in sei fascicoli, The Pencil of nature (La matita della natura) il quale è il primo libro illustrato da fotografie che sia mai stato pubblicato, corredato da esempi di suoi calotipi, realizzati nel Talbotype Manufacturing Establishment. La copertina dall’elaborata ornamentazione in nero e color mattone, fu progettata dal famoso architetto e decoratore Owen Jones. 

Nelle considerazioni introduttive, con cui Talbot introduce il suo libro, specifica che le tavole in esso contenute sono state create utilizzando la sola azione della luce su fogli sensibili, senza il contributo della matita dell’artista.



Nei brevi cenni storici sulla nascita della fotografia parla delle circostanze che hanno preceduto e preparato la scoperta della fotografia.

Dice che era a conoscenza delle ricerche sull’azione della luce compiute da Wedgwood e Davy e narra di come durante un suo viaggio sul lago di Como, volendo fissare la bellezza della natura, gli era venuta l’idea di fissare le immagini prodotte dalla camera oscura. Dopo avere spiegato gli esperimenti da lui realizzati, al suo ritorno in Inghilterra, e il procedimento a cui era pervenuto, la sua speranza di essere il primo ad annunciare al mondo la scoperta della nuova arte , viene frustrata dall’annuncio nel gennaio 1839 della scoperta di Daguerre, il cui processo fotografico era chiamato dagherrotipo. E’ evidente che Talbot era in polemica con Daguerre a cui fra le righe rinfaccia uno stile poco confacente alla ricerca scientifica e che oggi potremmo definire spettacolare e mediatico e politicamente pilotato. The Pencil of nature si compone poi di 24 tavole e cioè esempi di calotipi da lui realizzati, raffiguranti architetture, nature morte e opere d’arte, ciascuna accompagnata da una o due pagine di testo di commento, offrendo ai lettori esempi di applicazione e di impieghi

,

che la fotografia di recente invenzione, potrebbe avere. In alcuni casi il testo è una puntuale illustrazione dell’immagine dal punto di vista sia tecnico che contenutistico, in altri casi sembra non esservi alcun rapporto immediato, sicchè chi legge deve cercarlo nella struttura complessiva del libro. Inoltre le tavole non seguono un ordine lineare nè sono raggruppate secondo un ordine visibile, sicchè spetta al lettore stabilire delle categorie e costruire una sequenza al suo interno di raggruppamenti di fotografie.

L’opera risulta incompiuta, in quanto il progetto originario era quello di pubblicarla in 10-12 parti mensili, ognuna contenente 5 immagini. Tra il 1844 e il 1846 furono invece pubblicati solo 6 fascicoli per un totale di 24 tavole, circa la metà di quelle previste. I calotipi più interessanti sono vedute quasi banali di Lacock Abbey come La porta aperta o il granaio, in cui si ispira all’arte fiamminga del 600.

TAVOLA I PARTE DEL QUEEN’S COLLEGEN, OXFORD The Pencil of Nature apre con 2 vedute del Queen’s College di Oxford, prese con la camera oscura, soggetto che ricorre in molte tavole. Nella foto, che è realizzata al mattino, si vede l’edificio del Queen’s college la cui superficie reca i segni del clima e del tempo, come evidenziato dalla corrosione della pietra. Alla fine di una stradina stretta si vede la chiesa di St, Peter’s in the East, che si dice sia la più antica chiesa di Oxford di epoca sassone. Le due vedute iniziali dichiarano dunque la fedeltà dell’immagine della camera oscura nei confronti dell’antica pittura prospettica. Talbot ci fa passare dal presente al passato e cioè dall’attuale situazione del college, all’epoca sassone, e ci conduce dal visibile all’invisibile e cioè verso la storia del luogo che deve essere resa in parole. Inoltre Oxford che fornisce il soggetto di molte tavole, era la città di diffusione del positivismo di Comte, sicchè funge da simbolo della posizione sociale di gentiluomo occupata da Talbot.

TAVOLA II VEDUTA DEI BOULEVARDS A PARIGI

Nella tavola seconda è rappresentata una veduta dei boulevard a Parigi, soggetto molto simile a quello di una nota fotografia di Daguerre in cui si vede un boulevard deserto con l’unica presenza del lustratore di scarpe, analogia che evidenzia la rivalità tra i due. Questa veduta è stata presa nel pomeriggio, quando il sole sta ormai per tramontare, dalla finestra di un piano alto di un hotel. Il tempo è caldo e polveroso e la strada è appena stata

annaffiata come si vede dalle due strisce di tono scuro che si riuniscono in primo piano. Ai lati della strada si vedono carrozze da nolo e carrozze scoperte e una vettura in sosta sulla destra. L’orizzonte è delineato dai comignoli e dalle facciate già in ombra degli edifici emerge una persiana aperta che cattura uno sprazzo di sole. Anche qui Talbot fornisce indicazioni temporali, geografiche e spaziali. La scena è ricca di dettagli, di alcuni dei quali Talbot parla, come della persiana aperta che punge il campo visivo, mentre di altri non dice nulla come ad esempio l’assenza di passanti e veicoli in transito, cancellati dalla lunga esposizione, tema che affronterà in altre tavole.

TAVOLA III e IV OGGETTI DI PORCELLANA OGGETTI DI VETRO Le tavole III e IV rappresentano rispettivamente oggetti di porcellana e oggetti di vetro e mostrano all’osservatore oggetti allineati simmetricamente su piani orizzontali, che mettono in mostra porcellane e vetri posseduti da Talbot e custoditi a Lacock Abbey. Vi è una composizione più da inventario che da natura morta e l’impostazione è aprospettica, impostazione che sarà praticata con maggiore radicalità dalle avanguardie del 900 e che già nell’800 fa capolinea per influsso di modello di illustrazione scientifica o storico archeologica. Talbot paragona la fotografia ad un inventario scritto, quindi qui il rapporto testo immagine proposto da Talbot è quello della fotografia in luogo del testo. Talbot inoltre intuisce la fortuna che la fotografia avrà in ambito giudiziario come prova. Usa inoltre la metafora della camera -occhio, secondo cui la visione va intesa come una tecnologia. Dice che affinché l’immagine sia nitida e corretta, l’occhio deve avere una pupilla non troppo grande e allo stesso modo la lente deve essere ridotta di diametro attraverso un diaframma attraverso cui passano i raggi di luce. Ovviamente tanto più è ristretta l’apertura tanto più l’immagine impiega un tempo più lungo per imprimersi sulla carta.

TAVOLA V BUSTO DI PATROCLO Nella tavola quinta è rappresentato il busto di Patroclo. Qui Talbot spiega come i soggetti scultorei, si prestino bene ad essere fotografati, perché possono essere spostati i modo da direzionare i raggi del sole a proprio piacimento e ottenere effetti diversi e vari. Dice poi che un effetto migliore si può ottenere col tempo nuvoloso in quanto il sole brillante produce ombre confuse che tuttavia possono essere schiarite utilizzando un drappo bianco lateralmente a poca distanza dalla statua.

TAVOLA VI LA PORTA APERTA La tavola VI è la famosa THE OPEN DOOR, la porta aperta, una delle fotografie più famose di Talbot, che insieme al Pagliaio e alla Scala a pioli, può essere vista come un trittico. Le tre tavole sono infatti accomunate dal riferimento alla pittura fiamminga e quindi al rapporto tra fotografia e tradizione pittorica, ma anche dal tema iconografico costituito da un oggetto inclinato che getta un’ombra. Qui Talbot rivendica l’artisticità della fotografia , illustrando l’idea di poter produrre non semplici copie della realtà, ma immagini originali, alla maniera della scuola artistica olandese del 600 che pone l’accento su scene di vita quotidiana e familiare e su soggetti in cui l’occhio della gente comune non vede nulla di rilevante ma che sono tuttavia capaci di suscitare pensieri, sentimenti e fantasie pittoresche. La pittura descrittiva olandese del 600 costituisce dunque una antenata della fotografia.

TAVOLA VII FOGLIA DI UNA PIANTA Foglia di una pianta costituisce un dittico ideale con merletto, con l’unica differenza che è un positivo, mentre merletto è un negativo. Talbot descrive il procedimento per ottenere un disegno fotogenico e cioè generato dalla luce.

Dice che su un foglio di carta preparata e resa sensibile si pone la foglia di una pianta, sulla quale viene poi posto un vetro fissato con viti. Viene poi esposto alla luce. Quando le parti esposte diventano nere si porta all’ombra e sollevando la foglia si vede che questa ha ha lasciato un’impronta bianca se la foglia è opaca. Per ottenere il positivo si ripete la stessa operazione mettendo a contatto il negativo con un foglio reso sensibile alla luce.

TAVOLA VIII SCENE DI BIBLIOTECA Scene di biblioteca insieme a oggetti di vetro e di ceramica è una fotografia di inventario, e ha ad oggetto la biblioteca dell’autore in cui The pencil of nature sarebbe entrato a far parte. Anche questa tavola è un esempio in cui il rapporto fra testo ed immagine è vago e si da spazio all’immaginazione del lettore. Il testo che accompagna la fotografia è un brano di immaginazione fantascientifica in cui Talbot descrive una scena riguardante i raggi ultravioletti, preannunciando quasi la fotografia ad infrarossi e l ’immagine ai raggi X.

TAVOLA IX FACSIMILE DI UN’ ANTICA PAGINA STAMPATA Questa tavola insieme a Copia di una stampa litografica e ad Agar nel deserto, costituisce un trittico ideale. E’ l’immagine di una pagina scritta con caratteri gotici, proveniente dalla biblioteca dell’ autore, ottenuta per impressione diretta, e quindi ha la stessa dimensione dell’originale. Talbot sottolinea l’utilità di questo utilizzo della fotografia che consente di ottenere copie di testi o opere grafiche

TAVOLA X IL PAGLIAIO E’ una delle tavole più importanti, e anche qui come nella porta aperta e nella scala a pioli vi è un chiaro riferimento alla pittura olandese del 600. Qui Talbot affronta l’argomento del dettaglio fotografico, dicendo che la fotografia ci permette di introdurre nelle immagini un grande numero di dettagli che nessun artista si darebbe la pena di copiare, ritenendolo non all’altezza del proprio genio e ricercando l’effetto generale. Per la cultura accademica di fine 700 il successo di un’opera pittorica non era determinata dalla realizzazione di dettagli elaborati, ma dalla capacità di realizzare una composizione organica e quindi si dava importanza all’effetto generale. Questa concezione influenzò molto il giudizio sulla fotografia. Il dagherrotipo permetteva infatti di ottenere immagini molto dettagliate, e per questo motivo si riteneva che non potesse essere un mezzo esteticamente accettabile, in quanto mostrava troppo e metteva sullo stesso piano l’importante e l’irrilevante. Diversamente il calotipo essendo meno dettagliato per via della carta, era meglio accetto alla cultura pittorica dell’epoca. In questo contesto teorico-artistico Talbot non mette in discussione la teoria della priorità dell’effetto generale, ma sottolinea l’utilità economica di avere a disposizione mezzi per introdurre questi dettagli senza alcuna fatica, riconducendo il particolare fotografico alla sua più ordinaria funzione inventariale. Il dettaglio in ogni caso ha una storia nell’arte pittorica, che risale a Van Eyck e Durer.

TAVOLA XI COPIA DI UNA STAMPA LITOGRAFICA E’ la fotografia di una stampa litografica di una caricatura parigina, ottenuta non per contatto ma attraverso la camera oscura.

Talbot sottolinea l’utilità dell’utilizzo della fotografia per ottenere copie di incisioni, consentendoci anche di variarne la scala, semplicemente avvicinando o allontanando l’originale rispetto alla camera.

TAVOLA XII IL PONTE DI ORLÉANS È una veduta del ponte di Orléans, presa dalla sponda meridionale del fiume Loira. Talbot precisa che è una città ricca di storia, famosa in particolare per la cattedrale.

TAVOLA XIII IL QUEEN’S COLLEGE OXFORD PORTALE D’INGRESSO E’ ripreso il soggetto della prima tavola, ma qui è rappresentato il portale d’ingresso e quindi la parte centrale dell’edificio. Talbot dice anche che per esaminare i dettagli delle immagini fotografiche, occorre usare una lente di ingrandimento la quale ci consente di vedere dei minuscoli dettagli inaspettati, che lo stesso operatore non si era nemmeno accorto di aver fotografato, come ad esempio iscrizioni su edifici, cartelli su muri, orologi che registrano l’ora della ripresa. L’inconscio fotografico di Talbot è ciò che Barthes teorizza nella Camera Chiara quando parla dell’aspetto involontario del punctum dicendo che la veggenza del fotografo non consiste nel vedere quanto nel trovarsi in un luogo. Benjamin parlerà di inconscio ottico e Franco Vaccari di inconscio tecnologico.

TAVOLA XIV LA SCALA A PIOLI Questa tavola insieme alla porta aperta e al pagliaio, è una delle più famose e costituisce con esse un ideale trittico, in quanto sono accomunate a livello più profondo al riferimento alla pittura olandese del 600 e a livello più superficiale dal tema iconografico della presenza di un oggetto inclinato che proietta un’ombra. Inoltre è uno degli esempi in cui il rapporto tra immagine e testo è indeterminato e vago. Talbot parla infatti del ritratto, ma accompagna il testo con una immagine che non può essere considerata tale. Il ritratto godeva in quel periodo di grande successo , per cui probabilmente Talbot manifesta la sua resistenza verso tutto ciò che è commerciale. Parla inoltre delle difficoltà legate ai tempi di posa molto lunghi che non permettevano di ritrarre le folle in movimento, mentre invece era possibile ottenere foto di gruppi di persone artisticamente messi in posa e allenati a restare immobili.

TAVOLA XV LACOCK ABBEY NEL WILTSHIRE La tavola XV rappresenta Lacock Abbey, la residenza di campagna di Talbot, la quale è un complesso religioso risalente al 200, di cui una buona parte è tutt’ora in buono stato di conservazione, e la cui torre risale all’epoca della regina Elisabetta, mentre la parte inferiore è coeva alla fondazione dell’abbazia. L’abbazia è quindi vista da lontano riflessa nelle acque del fiume Avon. Molte tavole sono vedute architettoniche di Oxford e Lacock Abbey , località simbolo della posizione sociale di letterato e gentiluomo possidente, occupata da Talbot, il quale dice che questo edificio è stato il primo che abbia disegnato da se la propria immagine in 10 minuti. In realtà il primo edificio che abbia rappresentato da sè la propria immagine è la casa della tenuta di Niépce a Le Gras del 1826-27, ottenuta attraverso la camera oscura, su una lastra di peltro, ricoperta di bitume Giudea con il procedimento che chiamava eliografia e cioè disegno del sole.

TAVOLA XVI PORTICO DEL CHIOSTRO DI LACOCK ABBEY La tavola XVI rappresenta il portico dell’Abbazia di Lacock Abbey, dove è sepolta Ela, la fondatrice dell’abbazia che ne fu la prima badessa, vedova del figlio del re Enrico II. Talbot dice che il portico che si sviluppa sui tre lati risale al regno di Enrico VI e che si presume li le donne della comunità svolgevano le loro meditazioni. Al chiaro di luna il loro effetto è pittoresco e solenne.

TAVOLA XVIII INGRESSO DEL CHRISTCURCH La tavola XVIII rappresenta l’ingresso princpale del Christchurch College nell’università di Oxford. Talbot sottolinea come chi abbia visitato Oxford durante le vacanze estive sia stato sicuramente colpito dal silenzio e dalla tranquillità che vi regnano, come se fosse una città deserta ma non in rovina.

TAVOLA XIX LA TORRE DI LACOCK ABBEY La tavola XIX rappresenta la torre di Lacock Abbey la cui parte superiore risale all’epoca della regina Elisabetta, mentre quella inferiore è coeva alla fondazione dell’Abbazia e all’epoca di Enrico III. La torre si compone di tre locali, uno per ogni piano. Il piano centrale è adibito ad archivio e qui è conservato un documento di rarità inestimabile e cioè la Magna Charta di re Enrico III, di cui esistono solo 2 copie: una conservata nell’Inghilterra del nord che tuttavia è in cattivo stato e questa che invece è in ottimo stato e che è l’unica fonte che ha permesso di conoscere la grande carta. Una copia di essa era infatti inviata ad ogni sceriffo del Wiltshire e quindi anche ad Ela, contessa di Salisbury.

Talbot aggiunge che pare che dal parapetto di questo edificio, si sia lanciata una monaca, una certa Olive Sherington, tra le braccia del proprio amante, il quale fu buttato a terra dal colpo e giacque inanimato per qualche tempo, mentre lei si ferì, forse si ruppe un dito, storia che sembra assai improbabile. Per molto tempo si diceva anche che veniva visto girare il fantasma di una monaca col dito sanguinante. Le tavole di soggetto architettonico, oltre ad assegnare un pedigree alla fotografia e a chiarire i suoi compiti storici di conservazione e autenticazione, preannunciano un nuovo sistema di lettura-visione in cui il testo abita la fotografia.

TAVOLA XX MERLETTO Costituisce un dittico con foglia. E’ l’unica immagine negativa che troviamo. Talbot spiega come ottenerla per contatto, spiegando anche come ottenere il positivo, e precisando che il negativo è più dettagliato rispetto al positivo. Generalmente le immagini negative sono difficili da decifrare e leggere, eccetto che in alcuni casi come ad esempio quello del merletto in quanto l’occhio è in grado di distinguere sia il merletto bianco su sfondo nero che quello nero su sfondo bianco.

TAVOLA XXI IL MONUMENTO AI MARTIRI E’ la ripresa del monumento che dopo tre secoli è stato dedicato ai vescovi di Oxford, morti martiri durante il regno di Maria la sanguinaria. La statua che si vede nell’immagine è del vescovo Latimer.

TAVOLA XXII E’ l’immagine della facciata dell’abbazia di Westminister, annerita dall’influsso atmosferico

TAVOLA XXIII

AGAR NEEL DESERTO E’ una riproduzione fotografica ottenuta in dimensioni reali col metodo della sovrapposizione, di uno schizzo di Francesco Mola, intitolato Agar nel deserto, tratto da un facsimile realizzato a Monaco. Qui Talbot sottolinea che la fotografia permette di ottenere facsimili di schizzi originali di antichi maestri, preservandoli dal rischio di perderli e anche consentendo di moltiplicarli....


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