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Title Unplugged
Course comunicazione letteraria
Institution Università degli Studi di Palermo
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riassunti e appunti integrativi di the game unplugged...


Description

C.L – THE GAME UNPLUGGED LEZIONE 17.11.20 Questo libro è uscito un anno dopo di the game di Baricco, e su un’onda di critiche mosse al libro di Baricco, critiche di tutti i generi che ritornano su degli elementi ricorrenti, alcuni fra questi, ripresi da the game unplugged: - Critica su Baricco che in realtà non ha mai giocato il game, nessuna sua forma, appartiene a un’altra generazione; quando Baricco analizza the game, dice che non fa parte della generazione del game, e a volte tende ad avere un atteggiamento un po’ snob che nel libro stesso analizza, però è chiaro che non sia uno nato nella generazione del game - L’atteggiamento, nonostante questa sua dichiarata appartenenza ad un'altra generazione, è quello di avvicinare in maniera empatica il suo pubblico adottando atteggiamento giovanilista, presentando il libro certe volte sembra un po’ caricatura di sé stesso, finge di essere giovane ma per altri versi a questo giovanilismo viene legata all’eccessiva semplificazione delle argomentazioni (forse perché adotta a pieno ciò di cui scrive); il libro stesso è un game, fluido. - Critiche su alcuni elementi mancanti in questo libro, il più evidente quello che si concentra sulla mancanza di una lettura politica di questi fenomeni che vengono studiati nel loro funzionamento ma non come il frutto di una volontà politica, di un’ideologia politica che in qualche modo le ha generate e quindi si potrebbero capire quegli aspetti neri, cupi non illuminati dal game per capire cosa si nasconde dietro questa rivoluzione digitale; il fenomeno dei 5 stelle viene raccontato, ma l’analisi non è politica, i 5 stelle diventano un fenomeno equivalente ai meme, piuttosto che allo smartphone, una trasformazione che non è all’origine ma effetto dell’evoluzione. - Questione della rivoluzione mentale all’origine di quella digitale: Baricco fa esempi di innovazioni tecnologiche mostrando che queste non abbiano inciso sul funzionamento della nostra mente come invece è accaduto con la rivoluzione digitale, altri sostengono che qualsiasi introduzione di nuove tecnologie hanno profondamente cambiato il nostro modo di ragionare - Modalità di scrittura: accorgimento che lui utilizza, non solo in the game, ma negli altri suoi saggi, è la scelta di omettere le fonti; uno dei motivi per cui non citare le fonti potrebbe essere quello per cui dichiarare le proprie fonti sarebbe stato come dichiarare i propri limiti, le letture non fatte, e quindi Baricco ha preferito non farlo: è comunque caratteristica che si porta indietro in altre occasioni. Sull’onda di queste critiche la risposta di Baricco e della sua squadra è stata quella di dare un’altra occasione per discutere di questi temi con the game unplugged, che si presenta come controparte del precedente non solo per il titolo che richiama quello originale in maniera variata ma anche perché la copertina è identica soltanto nella contro parte bianca, il titolo è in rosso come nel caso precedente ma rimane una versione mixata infatti non si trova più a cura di, ma mixed by:. E poi featuring Alessandro Baricco, libro che si presenta come la continuazione di un libro precedente, porta avanti, in maniera leggermente diversa, gli stessi temi, le stesse questioni; la guida è sempre il direttore dei lavori, Baricco, ma gli autori del volume sono dei ragazzi, si fa per dire, 30enni e 40enni che lavora in giornali, riviste, università, centri di ricerca, persone che vivono nel game, un salto di generazione, non completo. Già qualche decennio primo si era inaugurata un’attenzione per i giovani, per le novità che potevano venir fuori dai ragazzi, tanto è vero che nel 96, esce un’antologia italiana dell’orrore estremo, di racconti un po’ Slash, dove parteciperanno scrittori che inaugurano una sorta di cannibalismo della letteratura: non parlano solo di atti atroci e di cronaca nera inventando anche racconti di finzione, ma perché sono cannibali nel senso che hanno cannibaliizzato la letteratura. Pattuglia di giovani sommozzatori. Tripartizione del libro molto chiara: - To bit or not to bit

- Play the game - Change the game (quelli un po’ più critici) Partendo dalla fine, vediamo come commenta Baricco questa antologia non curata da lui; Nota di Alessandro Baricco-fine del volume. Dice cose abbastanza semplici: io avevo scritto the game, ho tentato di fare una mappa, ho dato nomi, ho trovato altezze di fenomeni diversi con il tentativo di orientarmi in questo viaggio e documentare che ormai stiamo al mondo in maniera diversa e non possiamo non riscrivere la mappa; dopo la pubblicazione del libro sono arrivate delle critiche, lui le chiama correzioni, confutazioni o adozioni della mappa. C’è dunque hi ha voluto correggere, trasformare in parte, c’è chi l’ha voluto proprio confutare opponendosi a queste teorie, c’è chi invece ha adottato la mappa contento e sodisfatto. Alcuni giovani che vivono nel game hanno pensato di fare una cosa che io non mi sognavo di sperare cioè far diventare the game una serie di saggi; la fortuna di questo libro è stato il fatto di avere qualcuno che decidesse da lì in poi di continuare a studiare questi tempi, approfondire queste questioni. The game ha inaugurato dunque una serie di studi, ha dato l’avvio a una serie di studi e approfondimenti; Questi 12 saggi sono dunque nient’altro che un sequel, che fanno altri percorsi a partire dal libro madre. Questi ragazzi hanno portato avanti la mappa permettendogli di arrivare ad esplorare nuovi territori e quindi andare a piantare la propria bandiera in uno spazio ulteriormente nuovo. La cosa più interessante per lui è che siano stati proprio i giovani a continuare, ad approfondire quanto già iniziato da the game, indice di fertilità del libro e di queste tesi che seppur non adottate in pieno o dichiarate mancanti, sono sicuramente generatrici di nuovi studi e per questo meritano rispetto. In questo confronto tra una generazione e un’altra non c’è stato solo un apprendimento, accrescimento del sapere, solo da una parte, non sono stati solo i giovani che hanno imparato qualcosa da Baricco che è maestro, ma è stato anche lui, all’origine di questa stagione di studi, ad imparare nuove parole nuove e scoprire fenomeni che nemmeno immaginava; è stato uno scambio reciproco, hanno imparato entrambi, questo libro è per lui fonte di ulteriori scoperte e ulteriori studi. Su un aspetto rimane molto critico, quelle critiche che vengono mosse da alcuni di questi staggi, soprattutto quello di Mattioli, che lo attacca violentemente perché sostiene che manchi l’aspetto politico del fenomeno e quindi lo critica dicendo che the game in realtà è la catastrofe avvenuta di un sistema neoliberista che guidava il capitalismo novecentesco, è la catastrofe di questo sistema, estreme conseguenze di questo sistema, non è per niente felice e ottimista della civiltà in cui viviamo a differenza di Baricco che pensa che the game sia l’inizio di una nuova epoca. Baricco risponde a queste critiche, non soltanto quelle dentro questi saggi, ma anche quelle mosse altrove, lui sostiene che il suo sia un metodo di studio di analizzare i fenomeni come un manuale, si è comportato come si sarebbe comportato uno studioso di anatomia che si occupa di sezionare varie parti del fenomeno che sta studiando per capire come funziona la macchina, il funzionamento delle parti della società in cui viviamo, se avesse incluso la componente morale-politica, il suo studio dell’andamento della società sarebbe stato falsato dalla sua morale, dal suo pensiero politico. The game è un campo di gioco non giocabile per le vecchie forme di dominio, proprio a causa della sua complessità, il gioco non può essere controllato o dominato, è una novità non può essere considerato come la fine ma come l’inizio. Gli elementi di questa nuova forma di società-umanità si daranno da soli una giustizia sociale ed economica che deve intervenire per correggere alcune disuguaglianze già adesso evidenti. Baricco dice: non riesco a farmela raccontare come l’epopea di un manipolo di tossici tardocapitalisti col pallino idi una società per fighetti smart, splendente regalo delle élite per i propri figli viziati e disegnata implementando il modello dei quartieri residenziali, in un inarrestabile processo di gentifricazione alle anime. Impossibile farmi digerire uno scenario così stolidamente novecentesco. Per baricco vedere the game come catastrofe del novecentesco è impensabile, per lui è il nuovo.

1. Raffaele Alberto Ventura

Ci si concentra molto sul lato oscuro del game in questo secondo libro, è come se ci fosse una differenza generazionale: da un lato un libro ottimista di questa trasformazione, e dall’altra parte (unplugged) una versione più pessimistica di quello che sta succedendo, una visione più complessa, più con chiaro-scuri. Non per forza il gioco è qualcosa di bello, qualcosa di divertente: macchine fotografiche innovative, nuovi modi di parlare, nuovi strumenti, più opportunità che portano però a un maggiore conflitto. Dobbiamo sviluppare delle branche come i barbari in cui parlava Baricco nel suo precedente saggio, per vivere in questa nuova vasca insidiosa e pericolosa; quello che si è cercato fare con questo libero è prendere la metafora del gioco e tirare fuori tutto quello che si poteva tirare fuori, forse anche diventando cannibali di quel libro li. Ventura parte dal presupposto che secondo lui Baricco deve aver letto La bibbia dell’artista del rimorchio, libro che ha letto anche lui (finzione) metafora di quello che sta succedendo alla nostra società con promesse sfavillanti e regole crudeli. Il saggio di Ventura inizia da Play, questa parte di saggio utilizza la metafora della finizione creata da Cervantes e dal personaggio da lui narrato Don Chisciotte che si mostra come cavaliere ma che in realtà cavaliere non è e come questa sua finizione riesce a filtrare la realtà a sé circostante, lo stesso Sancho Panza inizia a vedere la realtà dalla prospettiva di Don Chisciotte, le sue regole diventano regole del mondo, è un po’ quello che succede nella nostra realtà, una realtà che si basa sulla finizione, la finizione prende il posto della realtà. Con la digitalizzazione abbiamo costruito un mondo che sorge dalla finzione ma che in realtà è più vero del vero perché produce effetti concreti, soltanto lo stare all’interno del game produce effetti concreti, attraverso la finizione dunque si interviene nel reale creando un miscuglio complesso. La finizione che produce realtà possiamo già vederla dalla preistoria, i disegni nelle caverne, un bisonte trafitto: è la raffigurazione di qualcosa accaduta o qualcuno ha deciso attraverso l’arte, qualcosa di astratto di rappresentare qualcosa ancora non accaduta che però potesse servire da guida per manovrare le azioni dell’uomo nel futuro? Se così fosse possiamo benissimo dire che già da qui la finizione ha iniziato a contagiare la realtà. “Lo facevano i primi uomini e lo fanno gli ultimi, usando la finizione come interfaccia di gioco per mezzo della quale è possibile produrre effetti reali” pag 16. Infatti Lasswell considerava come le moderne tecniche di comunicazione di massa avevano preso il posto degli antichi riti che servivano a saldare i loro membri eterogenei in una unità di combattimento. Nella sezione Pausa: I disegni nelle caverne altro non erano che rappresentazioni, interfacce finzionali che ci permettono di conoscere aspetti dell’esterno e di capire come interagire con essi. Lo sviluppo tra anni 80 e 90 di un nuovo genere di interfacce più realistiche e interattive come i videogiochi sono il punto culmine di finzionalizzazione della realtà. Il gioco struttura schemi mentali, promuove forme e canoni estetici, sviluppa skills. Secondo McGonigal i videogame possono creare un mondo migliore perché soddisfano esigenze umane che il mondo reale non è in grado di soddisfare, sarebbe possibile far leva sulla potenza dei giochi per reinventare tutto dal governo al marketing e all’imprenditoria per portare addirittura alla pace mondiale. Si parla di gamification come qualcosa di nuovo in realtà a cambiare sono state solo le tecnologie. L’intera storia umana è un gioco, sin dall’elogio della follia in cui Erasmo si chiedeva: che cosa distingue un re dall’attore che lo interpreta? Che cosa distingue il potere da un gioco? In realtà nulla, il potere stesso è un gioco, un gioco che può essere giocato anche con le parole. Riccardo III attravero le sue abili capacità di storytelling, attraverso le parole (il potere) riuscì a spodestare il re e divenire re lui stesso attraverso delle mosse di gioco messe in atto attraverso la sua abilità del parlare divenendo autore del play dentro al play. Re-Play: nella sezione replay anche ventura ha mentito e noi abbiamo creduto a lui, quindi questa finizione ha davvero degli effetti sulla realtà e comunque la finizione è capace a interagire con la realtà. In questa sezione prendiamo in considerazione come si vengono a fondere due capitali quello simbolico e quello economico. Per capitale simbolico intendiamo un mix di cultura, linguaggio, la reputazione, i gusti, le competenze e per accumulare tutto questo capitale spendiamo soldi. Adesso scambiarsi capitale simbolico, attraverso la digitalizzazione, attraverso il Game è divenuto più facile, quasi troppo da rendere difficile la realtà perché si crea una sorta di affollamento. Si viene a

creare una sorta di classe disagiata come dice ventura, cioè che a furia di ostentare finisce i soldi. Perché si spendono tanti soldi per il capitale simbolico se questo non può darci delle cose materiali direttamente cioè non ci permette di comprare le cose? Perché il capitale simbolico serve a ottenere qualcosa dagli altri. Il game, ci ha permesso dunque di accumulare tantissimo capitale simbolico, ma questo abbiamo detto non avere un valore intrinseco inoltre se è facile per tutti accumulare capitale simbolico non per tutti è facile ottenere da questo dei vantaggi! Basti pensare a chi acquista la gonna all’ultima moda, se tutti lo fanno perché adesso è più semplice, ci sarà bisogno della gonna all’ultimissima moda e così via, se adesso sono tutti ad ottenere dei titoli specifici perché è divenuto più semplice (università telematiche, master online per esempio) allora ci sarà bisogno di acquisire altri titoli, la strada per vincere il game diventa sempre più tortuosa e competitiva. Ma allora perché giocare? La nostra società, si basa sulle illusioni, senza di esse collasserebbe, sono le illusioni a spingere le persone a poter credere di poter vincere e allora perché non provare? Da qui la spendita di capitale economico per acquisire quello simbolico, il piacere di provare il brivido del rischio. Gli stessi smartphone ci promettono di realizzarci come fotografi, scrittori, dj etc. Ci viene ripetuto che tutti abbiamo una possibilità e allora iniziamo e continuiamo ad accumulare sempre più capitale simbolico anche se farlo ci costa più di quanto in realtà potremmo farcelo costare perché in realtà non sitamo pagando il valore d’uso, ma la possibilità di esserci, di concorrere per il premio, un gioco in cui si bruciano risorse. Flashforward presenta una prospettiva futura, la possibilità degli esseri umani di soddisfare ogni desiderio sulla piattaforma virtuale Oasis in cui per vincere abbiamo bisogno di prevalere sugli altri, non possiamo vivere senza competizione, senza un gioco a cui giocare.

2. Francesco Guglieri Marcel Proust: Forse non vi sono giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuto così pienamente, come quelli che abbiamo creduto di aver trascorso senza vivere; Quando una persona legge è come se non fosse lì, come se fosse disconnessa dalla realtà e immersa in una più intensa; esperienza simile è quella di giocare ai videogames, Commadore 64 fu la prima console, molto compless, poco intuitiva che portava a disconnettersi dal reale che in realtà ha portato a creare concetti come noia, ripetizione, perdita ecc. Secondo Guglieri quella che stiamo vivendo è una realtà di archivi, archivi che stiamo creando noi stessi anche nel mondo digitale, archivi che sono stati inventati per darci la possibilità di prendere dal passato per prendere qualcosa di nuovo diventando una gabbia che ci impedisce di vedere il futuro: considerazioni pessimistiche ma che poi, finito di finire il saggio è nata la figlia di lui, e anche sua figlia vivrà momenti di noia e trascuratezza che definiscono però l’identità così come l’ha vissuti lui, il padre. Il saggio di Guglieri parla in Infanzia digitale intorno al 1984 (critica al digitale che ormai controlla l’uomo non più viceversa come negli anni 80/90) parte iniziale del suo saggio, della nascita di prodotti culturali (Playstation Classic, Serie TV ambientate negli anni 80, film che citano omaggi agli anni 80, musica commerciale che ricorda i colori degli anni 80 90 rosa e azzurro le scritte a neon) come risultato della nostalgia di un passato recente. Un passato rimpianto, vissuto direttamente da chi ora si strugge per la sua fine e quindi l’effimero, il passeggero, il noioso viene sottratto all’oblio e messo su un piedistallo: questo avviene perché erano ragazzini gli adulti di oggi, i consumatori ad alto potere d’acquisto ma soprattutto perché gli anni ottanta sono stati gli unici anni in cui il digitale già esisteva, ma un digitale diverso, un digitale controllato dall’uomo e non viceversa come invece avviene ora. La retro mania vende il sogno di un digitale a misura d’uomo, id un tempo in cui era l’umano a dominare la macchina. Minaccioso e incombente il digitale è il sublime contemporaneo. Il saggio continua nella sezione: Memorie di un flânerd. (critica agli archivi digitali) La retromania può esistere perché esistono gli archivi digitali, altrimenti sarebbe soltanto nostalgia. Spotify, Youtube, Netflix e altre piattaforme sono archivi che ci permettono di andare a recuperare, quando vogliamo, se ne abbiamo la possibilità, quei prodotti culturali di cui sentiamo la mancanza. Il risultato però è quello di sentirsi schiacciati da questa massa di possibilità in cui viene meno il

principio di selezione. Anche prima c’era la totalità di informazioni a cui non era possibile accedere (non era possible leggere tutti i libri) bisognava scegliere in biblioteca, finire il libro, restituirlo, prenotare un altro, leggerlo, restituirlo, richiederlo ecc. Oggi gli archivi sono nelle nostre tasche che premono, non sono più prodotti culturali ma servizi erogati un flusso che ci immerge in cui è difficile trovare un proprio stile e allo stesso tempo assistere allo stile degli altri che ci appare come quello migliore e irragigungibile (vedi social network) l’unico esito che trova Guglieri è quelli di un conflitto generalizzato, il risentimento di tutti contro tutti. Nelle sezioni Libro/Game e Storicizziamo un po’ si parla dell’interattivo, Bandersnatch ambientato nell’84 una storia che lo spettatore può manovrare, una storia interattiva, Netflix ci dà la possibilità di segliere il proseguo. È un po’ quello che succede con le collane di librigame, fatto sta che Bandersnatch rimane un prodotto ottimo per i consumatori afflitti da nostalgia. Bandersnatch ci dice che il futuro della narrazione è interattivo, una narrazione in cui prevale il libero arbitrio un libero arbitrio che però ci viene dato perché in realtà siamo tutti come il protagonista di Bandersnatch, intrappolati in una realtà inumana chiamata neoliberismo. Perché tutta questa liberà? Tutto ha un prezzo e lo scopriamo nella sezione storicizziamo un po’. La retro mania è particolarmente devota gli anni settanta e ottanta perché è in quel contesto storico che nascono i colossi del game. L’esperienza non è finita è diventata dato, informazione, generiamo dati in continuazione si viene a creare intorno a noi una nuvola di dati che forniamo ad esempio alle piattaforme da cui traiamo servizi le quali utilizzano i nostri dati per il loro algoritmo. In bandersnatch per esempio, viene chiesto quali cereali vogliamo far mangiare al protagonista in base a ciò Netflix acquisisce informaizoni, quali cereali ci piacciono di più, probabilmente questi cereali verrano creati e immessi sul mercato grazie alle informazioni che i telespettatori hanno generato. Bandersnatch può essere visto dunque come grande beta testing o come sondaggio d’opinione. Fatto sta che ciò che preoccupa è chi utilizza i dati e come li utilizza. Nella sezio...


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