Vergini Vestali PDF

Title Vergini Vestali
Course Diritto Romano
Institution Università degli Studi di Teramo
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Riassunto del libro Vergini Vestali di Luigi Sandirocco...


Description

VERGINI VESTALI La parcellizzazione della sacralità romana passa attraverso Sodalizi, Aruspici, Collegi Sacerdotali e Sacerdozi Individuali. I SODALIZI erano complessivamente 4 con una competenza legata a riti e feste di cui erano custodi e cerimonieri: 1) Luperci, traevano il loro nome dai lupercalia che cadevano il 15 febbraio quando solenni onori venivano tributati al Dio Faunus Lupercus trapiantato nell'Urbe dalla Grecia. A lui si rivolgevano pastori e mandriani per proteggere greggi e bovini dagli attacchi dei lupi. Il rito prendeva le mosse nell'antro lupercale che è il luogo in cui secondo la legenda la lupa avrebbe allattato Romolo e Remo. La liturgia iniziava con l'esibizione ai Luperci di due nobili fanciulli che venivano ad essere leggermente segnati nel volto con la lama utilizzata per il sacrificio che veniva ad essere successivamente ripulita con un panno di lana imbevuto nel latte. I Luperci, vestiti unicamente con un perizoma e tenendo in mano dei lacci realizzati con le pelli degli animali sacrificati, si esibivano in una rapida corsa lungo la via sacra toccando gli spettatori al cerimoniale e privilegiando soprattutto donne e fanciulle essendo un rito legato alla fertilità e alla profilicità. 2) Salii, erano 12 in qualità di Sacerdoti Guerrieri ed erano votati a Marte, Dio della Guerra. Erano vestiti con abiti militari, cimiero a punta e lo scudo a doppia rotondità; sovrintendevano a molteplici cerimonie legate alla guerra. Il rito prendeva la percussione degli scudi (ancilia), una danza rituale in 3 tempi (tripudium), il tutto intonando un inno sacro (carmen saliare). 3) Frates Arvales, erano depositari di riti propiziatori legati alla fertilità e alla produttività della terra. La festività più importante era a Maggio in onore di Dia sublimazione della terra, della natura e dei campi. Il rito prevedeva il tripudium intonando un carmen arvale. 4) Fetiales, erano 20 in qualità di Sacerdoti Diplomatici ed erano depositari di riti e procedure legati a negoziati, stipula dei contratti e formalizzazione delle dichiarazioni di guerra. I patti venivano ratificati in nome di Giove in modo da renderli sacri e infrangili. Gli ARUSPICI, analizzavano sacralmente le viscere degli animali sacrificati, interpretando attraverso di esser il futuro decorso degli eventi. Rito pervenuto dagli Etruschi, per un lungo periodo di tempo, gli Aruspici di questo popolo, il cui sangue non era estraneo a quello quirite, giunsero a Roma per consultazioni

da cui venivano a dipendere scelte politiche cruciali per l'Urbe. Solo nel I dC l'imperatore Claudio introdusse tale ordine anche a Roma, il collegio risultava formato da 60 sacerdoti. Al vertice della gerarchia sacerdotale romana troviamo il REX SACRORUM che insieme al PONTEFICE MASSIMO era l'incarnazione dei poteri religiosi del Sovrano. Nella realtà, tuttavia, rimase depositario di riti antichi che non avevano un concreto peso nella vita della città. Ogni potere venne ad essere successivamente esercitato dal PONTEFICE MASSIMO che ben presto divenne la massima autorità in campo religioso. Per quanto concerne i COLLEGI SARCERDOTALI troviamo: 1) Flamines, traevano il loro nome dalla fiamma che veniva accesa nell'are o dal filo di lana che sormontava il loro copricapo. Erano divisi in maggiori e minori. I maggiori erano 3: Diale, Marziale e Quirinale dedicati rispettivamente al culto di Giove, Giunone e Minerva. Venivano nominati dal Pontefice Massimo. I minori era 12 ma solo di 10 ci sono stati tramandati la divinità servita e il ruolo. 2) Pontefices, Collegio Sacerdotale più importante. Il loro numero da 9 venne portato a 16. I loro compiti erano: Sovrintendere tanto ai riti pubblici quanto a quelli privati, essere presenti a tutte le manifestazioni inerenti la vita della città e le personalità di rango, gli Annales Maximi e i Fasti stilavano il calendario per scandire gli avvenimenti e redigevano le liste con i nomi di tutti i magistrati. A capo del Collegio sedeva il Pontefice Massimo. 3) Augures, interpretavano i segni. Traevano auspicia e auguria dal volo degli uccelli. Il loro segno distintivo era il lituo, bastone ricurvo. Dapprima erano 10, in epoca sillana il loro numero fu portato a 15. Era affidato loro il compito di leggere i libri sibillini che potevano essere letti solo su ordine del Senato in occasione di gravi avvenimenti ed esclusivamente per dirimere questioni altrimenti non comprensibili neppure dai Pontifici. 4) Epulones, da 3 divennero 7. Costituivano il Collegio meno importante, il loro compito era meramente tecnico. Dovevano infatti provvedere al banchetto di Giove al quale erano invitati tutti i Romani e ai banchetti Sacri offerti durante i giochi pubblici. 5) Vestali, unica figura femminile ad infrangere un rigido mopolio maschile Donne in un mondo dominato dagli uomini, simbolo di purezza e di perpetuità dei valori della romanità.

Tutto in esse è simbolico e ieratico. L'ingresso nell'ordine avviene attraverso la captio virginis. Requisito indispensabile per accedervi: Assoluta Certezza della Verginità. Caratteri distintivi: Assoluta Intangibilità Materiale e Morale. La selezione era basata sulla valutazione di rigidi requisiti fisici, sociali, etici e giuridici: - Provenivano da famiglie patrizie - I genitori dovevano essere viventi - Erano scelte fra 20 bambine tra i 6 e i 10 anni - Non dovevano avere difetti o malformazioni - Non dovevano appartenere a famiglie nelle quali vi fossero già membri con cariche sacerdotali. Il Pontefice Massimo, compiuta la scelta, pronunciava le parole rituali con l'atto di consacrazione. Illustrava quindi alla prescelta doveri e privilegi ignoti alle altre donne e derivanti dal suo nuovo stato. Da quel momento, la Vestale lasciava la famiglia di origine ed entrava nell'Atrium Vestae rivestita unicamente dell'abito sacerdotale e soggetta per una sola volta, come segno di sacrificio al taglio dei capelli. La funzione prende il nome di captio virginis poichè la vergine veniva presa dalle mani del pater familias quasi come a volerla sottrarre al potere potestativo. Emancipata dall'autorità paterna senza alcuna formalità quasi come fosse una preda di guerra, il Pontefice pronunciava la formula rituale e la introduceva nel chiostro per consegnarla alle compagne che ne avrebbero curato l'educazione e l'istruzione. ATTI di PERTINENZA delle VESTALI 1) Ignis Vestae Renovatio, ciclicamente alle calende di Marzo le Vestali dovevano rinnovare il fuoco sacro custodito all'interno del tempio attraverso lo fregamento di pezzi di legno tratti da alberi di buon augurio quali il leccio, il faggio, il sughero e la quercia (arbores felices) o attraverso la rifrazione dei raggi solari utilizzando un vaso conico di rame detto scaphium. 2) Mola Salsa, dal latino mola macina, per estensione farro macinato e salus salato. Composto indispensabile nei sacrifici umani, era utilizzato per cospargere il capo delle vittime sacrificali. Il farro utilizzato era coltivato, raccolto, tostato e macinato dalle Vestali a giorni alterni tra le none e le idi di maggio dal 7 al 15. La mistura veniva preparata con sale non raffinato e trito nel mortaio. Il composto veniva poi versato in un contenitore di terracotta e portato con del gesso a corretta cottura nel forno, veniva successivamente sminuzzato e lavorato con acqua sorgiva. Veniva preparata 3 volte l'anno: 15 febbraio (Lupercalia), il 9 giugno (festa delle Vestali), alle idi di settembre.

3) Palilia, festa agricola pastorale in onore di Pales divinità che protegge le greggi e gli allevamenti in genere a cui si aggiungerà in un secondo momento la celebrazione del Natale di Roma. Il 21 aprile le donne romane si recavano a casa delle Vestali per ritirare i simboli necessari alla purificazione delle stalle e delle abitazioni. Le sacerdotesse preparavano un suffumigio realizzato con le ceneri del vitellino estratto ancora feto dalla madre nel giorno dei Fordicidia, feste in onore della Dea Terra con l'uccisione di una vacca gravida. Le ceneri venivano mescolate a steli di fave e al sangue del cavallo sacrificato a Marte alle idi di ottobre. DIVINITA' e SACERDOTESSE Tattandosi di una proiezione femminile anicònica sono rare le immagini e le rappresentazioni della divinità. Il sacrario della Dea non presenterà alcun simulacro anche quando nel tempo, l'ultilizzo delle immagini delle divinità sarebbe divenuto usuale e le statue finirono con l'adornare i templi. Il nome della Dea evoca una genesi greca, Hestìa presente nella lista delle divinità elleniche, era conosciuta come la Dea della casa e degli affetti. Vesta, malgrado la derivazione, rimane uno degli idoli romani più indigeni e lontani nel tempo. Nell'età delle origini e nella cultura primigenia romana è la trasfigurazione della terra in una duplice prospettiva: come dimora del genere umano e come personificazione della divinità. L'aspetto etico-religioso confluisce nella figura delle vergines Vestales, termine legale utilizzato negli atti pubblici per denominare le sacerdotesse consacrate alla Dea Vesta. L'appellativo di purezza è richiamato costantemente nelle epigrafi commemorative e da storici come Dionigi, viene anche travasato nella liturgia cristiana ove il lemma sarebbe stato successivamente riferito alla mater semper virgo di Dio. Le sacerdotesse conducevano una vita agiata: - Ricevevano donazioni - Godevano di lasciti testamentari e disponevano mortis causa dei propri averi - Viaggiavano precedute da un littore a bordo di un cursus arcuatus - Si avvalevano di una carrozza (plostra) - Possedevano una propria scuderia - Avevano al loro servizio un ministrorum comitatus costituito da statuari, pubblici addetti al tempio, liberti, littori, cocchieri, addetti alla stalla, personale medico. - Deponevano in giudizio senza prestare formale giuramento A fronte di tali privilegi le sacerdotesse dovevano: - Mantenersi illibate per un trentennio - Occuparsi in via esclusiva del fuoco sacro, di cui erano le solenni custodi

- Preparare la mola salsa - Curare l'acqua indispensabile per le attività di purificazione dell'Aedes - Astenersi dal partecipare ai combattimenti tra i gladiatori e agli spettacoli tra gli atleti: La fisicità esuberante dovuta all'attività ginnica e i corpi scolpiti dei contendenti avrebbero potuto turbare e oscurare il candore imposto loro dal ruolo. Nel caso di violazione del voto di castità: La Vestale veniva accusata di incesto mentre l'uomo di stupro. Quest'ultimo veniva condotto nudo nel foro, sollevato su di una croce e frustato a morte. La Vestale veniva sepolta vivo in un terrapieno nei pressi di porta collina ove veniva predisposta una catacombe con un unico accesso dall'alto e provvista di un giacilio, di una lucerna e di essenziali provviste alimentari. La condannata seguita da un corteo sarebbe stata chiusa in una portantina in modo da non poter essere vista. Sul luogo della sepoltura venivano pronunciate dal Pontefice le preghiere di rito, veniva dissiggillata la lettiga e fatta scendere la Vestale per mezzo di una scala. Il Pontefice senza mai voltarsi avrebbe abbandonato il luogo della sepoltura ove si sarebbe recato annualmente per tenere una cerimonia di purificazione. La procedura viene riportata da Plutarco. Apprendiamo da Gaio che: Raggiunta la pubertà i figli maschi cessavano di avere un tutore a differenza delle figlie femmine che permanevano sotto tutela per tutta la durata della loro vita e con l'unica eccezione rappresentata dalle Vestali. Il privilegio dello ius testamenti faciundi delle sacerdotesse risalirebbe all'antichità, sarebbe stato sancito in età regia e successivamente formalizzato nelle XII tavole. Gaio riferisce del richiamato privilegio dai veteres => termine ricondotto in modo singolare all'ambiente pre-decemvirale in quanto Gaio era solito usarlo per citare i giuristi di età repubblicana con la conseguenza che l'asserzione "itaque etiam lege XII tabularum cautum est" sarebbe stata una aggiunta apocrifa e cronologicamente successiva. Il ricorso alla memoria delle XII tavole è un riferimento consueto e diffuso nella mentalità romana come testimoniano sia in epoca antica le fonti annalistiche e in particolare Tito Livio e da ultimo la compilazione di Giustiniano che individua nella prima produzione scritta il punto di partenza e la forma di autorevolezza che anima le motivazioni dei giuristi di età tardoantica che non avrebbero rinunciato al vantaggio di richiamare una tradizione scientifica più che millenaria iniziata con le XII Tavole. Parte della romanistica, al contrario, ritiene il passo autentico e privo di alterazioni. Gaio avrebbe richiamato una norma di età regia e fatto uso del termine veteres nel suo significato più esteso di maiores o antiqui. La piena capacità di agire apparteneva ai cittadini romani maschi sui iuris a partire dai 25 anni di età. Il soggetto femminile sebbene sui iuris era sottomesso per l'intera durata della sua vita a forme di tutela ( da impuberum a mulierum), di conseguenza le donne avrebbero solo potuto amministrare il loro patrimonio tuttavia per gli atti cd straordinari (per aes et

libram, alienazione di res mancipi, costituzione di obbligazioni, remissione debiti, manomissione di schiavi, ecc) si rendeva necessaria l'auctoritas del tutore => senza il necessario intervento di quest'ultimo avrebbe potuto solo alienare res nec mancipi e formalizzare atti di incremento del patrimonio. Nel corso dei secoli, le matrone maturarono diritti in campo giuridico e patrimoniale ma senza avere la possibilità di incidere direttamente sul funzionamento dello Stato e delle sue strutture istituzionli. Il ruolo pubblico è prerogativa maschile ed emanazione del patriarcato. L'ordo matronum era comunque una classe privilegiata rispetto alle donne nella loro generalità. La matrona era destinata al matrimonio procreandorum liberorum causa. La sua sessualità era confinata nell'ambito familiare. La parola femminile nel foro e in pubblico era contraria ai mores maiorum. Per tutti questi motivi non dovevano partecipare alla spesa pubblica. Appiano a tal proposito, parla di un provvedimento fiscale emanato dai triumviri agli inizi del 42 aC con il quale si obbligavano 1400 uxores dotatae a finanziare le spese militari, al loro tentativo di appellarsi scattò immediatamente la convocazione innanzi al tribunale dei triumviri ove nessun uomo volle difenderle; proprio per questo motivo l'arringa venne pronunciata da Ortensia figlia dell'Oratore Quinto Ortensio Ortalo. Ortensia riuscì a ribaltare la prospettiva legando il ruolo di donne libere a ciò che gli antichi padri avevano da sempre voluto per proprietà e per stile di vita. Prendere il loro denaro significava mettere a rischio la tradizionale identità di ruolo, maschile e femminile. Quanto al fatto che una donna parli in pubblico la fictio giustificatoria viene trovata nello spirito redivivo del padre che ne ispira le parole senza impudentia. I triumviri dapprima cercarono di far allontanare le donne dal tribunale, poi, furono costretti ad aggiornare la seduta e a ridurre a 400 il numero delle matrone colpite dal provvedimento. Ortensia aveva vinto con estrema abilità: La levitas animi della donna imponeva il controllo maschile che possedeva la firmitas animi, concetto trasversale a tutti gli strati sociali; la donna è proiezione dell'uomo ed esiste in quanto sorella, moglie e madre. La società patriarcale è fondata su una idea antropocentrica di genere: Una astratta aspirazione all'uguaglianza può passare solo attraverso l'imitazione dei modelli maschili che restano cmq antitetici. Augusto con la quaestio de adulteriis coercendis colpiva il rapporto trasgressivo con donne ingenue e oneste: Rendendo incerta la paternità esso inquina il legame di sangue generazionale. L'imperatore da questa prospettiva è un restauratore dei mores maiorum che riaffermano i ruoli di genere; tuttavia lo stesso Augusto sottolineava che la donna dovesse essere solidale con il marito negli interessi e nella morale, riconoscendone l'autorevolezza e sottomettendosi ad esso. Non può delinearsi alcuna parificazione neppure ipotetica all'interno della famiglia ove la

dimensione della famiglia è scandita dal lavoro al telaio, dalla castità e dalla modestia. La purezza a garanzia della legittimità della discendenza ha un singolare parallelismo con il voto di castità delle Vestali,che devono garantire alla comunità, considerata nel proprio complesso, la loro intangibilità. L'offesa che si fà loro ricade sull'intera collettività. Mentre la matrona doveva essere controllata dall'uomo, la Vestale doveva controllare sè stessa e il proprio corpo. L'intervento femminile nella vita pubblica era limitato alla gestione del sacro attraverso i pubblici sacerdozi, unico ambito in cui poteva infrangere il monolite sessista e patriarcale. Da qui, il privilegio delle Vestali di disporre per testamento dei propri beni mentre alle donne romane non era permessa nemmeno la ricezione ereditaria. Le XII Tavole sembrano precisare che: Le potessero entrare in possesso dei beni paterni allo stesso modo dei figli maschi ma non attraverso lo strumento giuridico del testamento, bensì ab intestao in qualità di heredes suae: - Figlie - Nipoti in linea Maschile - Mogli in Manu oppure loco filiae del marito e del pater familias se il coniuge è alieni iuris. Solo nel tempo avrebbero acquisito la capacità testamentaria attraverso il testamento per aes et libram. Secondo parte della dottrina diversamente, in origine, sarebbero stati sui heredes solo i soggetti di sesso maschile: il pater familias avrebbe confezionato il testamento in caso di assenza di eredi maschi e per scegliere fuori dal proprio nucleo un erede dello stesso stesso. Al contrario: La capacità successoria ab intestato della donna potrebbe farsi risalire alla prima metà del III aC in concomitanza con la diffusione dell'usurpatio trinoctii. Quella testamentaria, alla seconda metà del III e alla prima metà del II aC Nel I dC i diritti e le prerogative delle donne sarebbero stati limitati ad ereditare: - Beni Paterni o Coniugali - In via collaterale, solo in presenza del vincolo di consanguineità - Testare solo in via indiretta Con le acquisite capacità successorie e in presenza di un matrimonio sine manu finì con l'ottenere una crescente autonomia e un graduale riconoscimento dei diritti con la conseguente idoneità alla gestione del proprio patrimonio. Sebbene emancipata e affrancata alla manus maritalis in assenza di un parente maschio che eserciti il suo potere in qualità di tutore legittimo era comunque costretta a soggiacere alla tutela dativa che trova la propria ratio nella infirmitas sexus e nella levitas animi. I giuristi della prima età imperiale e quelli di età severiana quali Papiniano,

confermavano che la condizione della donna fosse certamente inferiore a quella dell'uomo. Pur titolare della capacità giuridica, la donna non aveva la capacità di agire e di disporre del proprio patrimonio. Nonostante fosse sui iuris, non avrebbe potuto compiere atti giuridicamente rilevanti per il diritto, nè formalizzare negozi che presupponevano la piena capacità di intendere e dovere. Ancora, nel II dC la donna fu sottoposta a tutela con la conseguenza che, raggiunta l'età di 12 anni si passava dalla tutela impuberum a quella mulierum in cui restava per tutta la durata della sua vita, salvo quanto sancito da Augusto nella legge Giulia e Papia Poppea in merito al diritto di prole => ius trium liberorum. Da ultimo, l'imperatore Claudio abolita la tutela legittima cioè quella familiare, restrinse la tutela medesima a pura e semplice forma. Un elemento che scuote la condizione giuridica ed economica della donna nella percezione della societas romana è rappresentato dal dibattito che si innesca con l'abrogazione nel 195 aC della Lex Oppia Sumptuaria 215 aC sui limiti all'ostentazione del lusso femminile. Il provvedimento vietava alle donne di possedere più di una oncia d'oro, di indossare abiti sgargianti e di utilizzare la carrozza nelle strade di Roma o di altre città o a 1000 passi dall'Urbe, a meno che si dovesse partecipare ad una cerimonia pubblica. Prima di allora, a Roma il solo tributo era ex censu, e raggiungeva coloro che pur potendo o dovendo assolvere agli obblighi militari se ne fossero sottratti pagando una tassa il cui importo confluiva nelle casse statali per sovvenzionare le legioni. L'imposta aveva uno s...


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