Zitkala-Sa PDF

Title Zitkala-Sa
Author Nessun Nome
Course Letteratura Angloamericana
Institution Sapienza - Università di Roma
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AMERICAN INDIAN STORIES, ZITKALA-SA, Washington 1921 Gertrude Simmons Bonnin, o meglio conosciuta come Zitkala-Sa (uccello rosso), nasce nel 1876 presso la Yankton Indian Reservation, appartenente alla tribù nativa americana Dakota Sioux. Fu scrittrice, traduttrice, musicista, insegnante e attivista politica. Cresciuta da sua madre nella sua Riserva indiana nativa fino all’età di otto anni, quando nel 1884 un gruppo di missionari bianchi bussarono alle porte della Riserva, decise di partire alla volta dell’Est in un istituto dove imparò a parlare, leggere e scrivere in inglese, come racconta nella sua raccolta American Indian Stories, pubblicata nel 1921. Leggendo le prime tre storie contenute nella raccolta, è interessante notare come temi principali strettamente riguardanti il proprio popolo nativo, Cultura e Tradizioni, Natura, Spirito e Libertà, siano costantemente presenti come fili conduttori del discorso, nonostante il cambiamento attitudinale e razionale, che inevitabilmente l’esperienza vissuta lontano dalle sue origini le comporta. L’amore che prova per la sua terra natia, ma soprattutto per la madre, si dirama nei racconti costituendone una colonna portante. Sebbene alle volte serberebbe mancarle di rispetto o educazione, valori così tanto devoti alla loro popolazione e impartitile dalla stessa madre sin dalla tenera età, quando ad esempio inviava la figlia a invitare gli anziani della tribù dicendole prima “If other plans are being discussed, do not interfere, but go elsewhere”, non appena partita il suo primo pensiero andò direttamente alla madre, “I was in the hands of strangers whom my mother did not fully trust”, che per la saggia donna non erano infatti altro che “white men’s lies”. La stessa madre è presente ancora una volta nei suoi pensieri quando nel nuovo istituto “because they are strong” viene obbligata a tagliarsi i capelli, quelle trecce che lei tanto adorava e che la sua cultura venerava simbolicamente, poiché “only unskilled warriors who were captured had their hair shingled by the enemy” le raccontava la madre. “I grew bitter”, rivela Zatkala-Sa, in un mondo pieno di “unjustifiable frights and punishments”, dapprima invece da lei stessa così atteso e desiderato, tanto che fu perfino “the first time I had ever been so unwilling to give up my own desire that I refused to hearken to my mother’s voice”, e osannato come “a more beautiful country than ours”, come le fecero credere i missionari. Se dopo tre anni passati lontani dalla sua famiglia e dalle sue origini normalmente il lettore potrebbe aspettarsi una descrizione emotivamente dettagliata del suo ritorno a casa, Zitkala-Sa non ne fornisce nemmeno uno. “I lost my spirit” e con lui “even nature seemed to have no place for me”. Se da un lato sembra che tutto intorno a lei sia cambiato, ancora una volta è la madre l’unica persona in grado di smuovere quell’animo che ella stessa ritrova “as I realized that my unrestrained tears had betrayed my suffering to her, and she was grieving for me”, quasi a lasciar intendere, che sebbene i suoi occhi possano inizialmente essere diventati amari, il suo cuore non è mai realmente cambiato, né tantomeno l’amore materno dal quale sembra trarne la sua forza e il suo coraggio, che la spingono ogni giorno a combattere “the strong prejudice against my people”. Quell’empatia che la scrittrice ha indubbiamente emesso nella descrizione del primo ritorno, è ora finalmente presente. Tra “plum bushes” e “wild sunflowers” Zitkala-Sa descrive con toccante delicatezza e sensibilità quell’abbraccio con la madre tanto atteso , “she hastened out to hold my head against her cheek”, come se la sua stessa anima non aspettò altro che quel momento per rinascere tra le braccia di colei che nonostante tutto non l’ha mai abbandonata....


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