C. Laforet, Nada - Breve analisi PDF

Title C. Laforet, Nada - Breve analisi
Course Letteratura Spagnola I
Institution Università degli Studi di Parma
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Appunti letteratura spagnola O Perotti...


Description

CARMEN LAFORET Carmen Laforet nasce nel 1921 a Barcellona e trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Las Palmas nelle Islas Canarias. Muore nel 2004 a Barcellona. È ricordata soprattuttto come l’autrice di Nada (Niente), il suo primo romanzo, composto nel 1944, a soli 23 anni. Con questo testo, giovanissima, si impone all’attenzione della critica vincendo la prima edizione del Premio Nadal nel 1945. NADA (1944) Nada è quindi il romanzo degli esordi per Carmen Laforet, e anche la sua opera più riuscita. Inoltre è considerato, insieme a La familia de Pascual Duarte di Cela, tra i migliori romanzi spagnoli del dopoguerra. Ricordiamo che sono gli anni più difficili della dittatura franchista, in cui molti dei grandi scrittori spagnoli sono stati costretti all’esilio o, se rimasti in patria, ridotti al silenzio dalla censura, e il genere della narrativa fatica a trovare nuove strade dopo il trauma della Guerra civile. Carmen Laforet con Nada rinnova il genere del romanzo, determina come Cela una rottura rispetto alla tradizione precedente. Nel suo caso particolare, crea una narrazione completamente diversa dalla novela rosa (romanzo rosa) che tra le scrittrici dell’epoca era il genere più diffuso. Questo genere era gradito al regime perché le protagoniste femminili erano donne che rispondevano al modello tradizionale della ama de casa, moglie e madre dedita alla famiglia e alla vita domestica, oppure erano giovani donne che aspiravano al matrimonio come unica possibilità di affermazione nella vita e, dopo qualche traversia, trovavano l’amore e il conseguente matrimonio grazie all’incontro con il protagonista maschile, di solito rispondente al cliché dell’uomo di bell’aspetto, forte e dotato di ogni virtù. Il lieto fine era scontato e tutto il romanzo rifletteva una visione idealizzata della vita delle protagoniste. Nada, al contrario, riflette nelle pagine del romanzo tutto lo sconcerto e la desolazione dei primi anni del dopoguerra in Spagna, e in particolare a Barcellona dove la storia è ambientata. La protagonista del romanzo è Andrea, diciotto anni, che arriva a Barcellona al termine della guerra civile per frequentare l’università. Orfana dei genitori e piena di speranze, Andrea arriva nella grande città immaginando un avvenire di felicità, avventure, amicizie e amori, il riscatto da un’infanzia e un’adolescenza di ristrettezze e divieti. Ma il suo entusiasmo deve subito scontrarsi con le ferite della guerra, che hanno lacerato non solo la metropoli catalana, ma soprattutto la famiglia degli zii che la ospita nella casa di Calle de Aribau (dove aveva già trascorso momenti della sua infanzia e della quale conservava un ricordo felice) e i rapporti tra le persone. La follia, il rancore, la violenza e la fame rendono soffocante il clima nella casa di Calle de Aribau, dove un tempo (nei ricordi di Andrea e nei brandelli di racconti che ricostruiamo dalla trama) regnavano il benessere e l’allegria. Accanto alla nonna materna vivono un’orribile governante (Antonia) e tre zii della ragazza: la severa e ambigua Angustias, che decide di prendere Andrea sotto la sua ala protettiva, salvo poi andarsene per chiudersi in un convento; il misterioso Román, coinvolto in traffici poco puliti, ma al tempo stesso affascinante e talentuoso musicista; il nevrotico e violento Juan, pittore fallito che sfoga la propria frustrazione inveendo contro Angustias o picchiando la moglie Gloria, inquietante figura che funge da capro espiatorio per la rabbia di tutti i personaggi. La pazzia, la povertà, la miseria e lo squallore si riflettono nella sporcizia e nella pesantezza buia dell’ambiente e nell’assurdità di dialoghi sconnessi attraverso i quali trapelano, lentamente e frammentariamente, la storia della famiglia e i suoi segreti, le tensioni striscianti, i rancori e le

invidie. Tutto il romanzo risente di un’atmosfera asfissiante che è anche il simbolo dell’oppressione della dittatura franchista. Nonostante la narrazione in prima persona, la protagonista rimane come sullo sfondo: la sua voce si sente di rado e la sua figura assomiglia più a quella di una comparsa che sfiora gli avvenimenti, poco o per nulla coinvolta, anche sentimentalmente, nelle discussioni familiari. Come lei stessa dice in un momento del romanzo, è una “spettatrice passiva” della vita. Dopo la partenza di Angustias, Andrea cerca di realizzare il proprio sogno di libertà ed emancipazione, ma in modo del tutto irrazionale, come se la follia di calle de Aribau l’avesse ormai contagiata. La vediamo muoversi apatica e senza aspettative per le vie di Barcellona, le strade ampie ed eleganti dove vivono i suoi compagni dell’università, o i vicoli malfamati e sporchi frequentati dai suoi parenti. Magra e affamata, Andrea dilapida la sua piccola pensione di orfana per comperare doni agli amici, senza accorgersi, inizialmente, della distanza che la separa da loro, figli della buona borghesia con aspirazioni di artisti bohémien. L’unica eccezione sembra essere la bellissima e carismatica Ena, compagna di università, che si affeziona alla protagonista e la accoglie nella propria casa (e che, nel finale, le permetterà di cambiare vita, cioè di trasferirsi con Ena e la sua famiglia a Madrid, per lavorare nell’azienda del padre di Ena). Tuttavia anche l’amica, apparentemente piena di qualità, si rivela un personaggio tutt’altro che limpido, capricciosa e superficiale com’è, pronta ad allontanare, senza la minima spiegazione, il fidanzato e l’amica per seguire una sua propria ossessione, quella per lo zio di Andrea, Román, il quale (lo si scoprirà nel finale) aveva avuto in gioventù una relazione una relazione finita male con la madre di Ena, e per questo la ragazza vorrà vendicarsi. La forza di questo romanzo, ritratto impietoso della media borghesia spagnola e del vuoto (“nada”, appunto) lasciato dalla guerra, risiede nella crudezza e nel realismo con cui Carmen Laforet, allora giovanissima, tratteggia personaggi e situazioni. Non si salva nessuno: non la protagonista, abulica e apparentemente priva di una personalità forte o di grandi passioni. Non i suoi parenti, squallidi e meschini. Non gli amici, figli di una borghesia benestante e noncurante dei problemi dell’altra parte della Spagna, quella che è uscita distrutta dalla guerra. Andrea si dovrà confrontare per un intero anno (la narrazione si conclude alla fine del primo anno di corso, quando Andrea lascia Barcellona per iniziare una nuova vita a Madrid) con una famiglia che rappresenta la società borghese e conservatrice dei primi anni del dopoguerra, sottomessa al franchismo e affamata, disgregata dalla tragedia del conflitto fratricida appena concluso. Andrea trascorrerà questo anno alternando quotidianamente due spazi molto diversi tra loro che si contrappongono nel romanzo: da un lato, la casa familiare de la “calle de Aribau”, nella quale regnano la violenza e la fame; dall’altro lato, l’Università, piena di amicizie, di gioventù e vita, che le permetterà di sopravvivere all’esperienza negativa e opprimente della vita con gli zii e di maturare proprio nel confronto tra le due realtà. Anche la scrittura, asciutta e semplice, senza retorica né particolare ricercatezza, contribuisce a creare questo clima di oppressione e degrado, spezzato alla fine – in un rapidissimo passaggio – da una lettera di Ena (in cui offre ad Andrea di seguire la sua famiglia a Madrid e di lavorare per il padre), che riaccende le speranze della protagonista di iniziare una nuova fase della vita dopo l’anno difficile trascorso a Barcellona. Tuttavia, il finale rimane aperto, e questa è una novità rispetto al romanzo tradizionale: non sappiamo cosa sarà di Andrea da questo momento in poi, la protagonista ci dice solo, mentre scende le scale della casa di calle de Aribau (le stesse che aveva salito piena di aspettative il primo giorno) che dalla quella casa non portava con sé nulla (Nada, appunto, come dice il titolo), non aveva conosciuto niente di ciò che si aspettava da un anno di vita universitaria a Barcellona; MA aggiunge poco dopo: “O almeno, era quello che credevo allora”.

Con questa ultima frase suggerisce al lettore che in realtà quell’esperienza qualcosa le ha lasciato, le ha permesso di maturare, passando dall’adolescenza all’età adulta, però non se ne rende conto quando, delusa, alla fine della narrazione, lascia Barcellona. Se ne rende conto solo a distanza di tempo, nel momento in cui ricorda questo anno e racconta, in prima persona, ciò che ha vissuto: Bajé las escaleras, despacio. SentCa una viva emociDn. Recordaba la terrible esperanza, el anhelo de vida con que las habCa subido por primera vez. Me marchaba ahora sin haber conocido nada de lo que confusamente esperaba: la vida en su plenitud, la alegrCa, el interés profundo, el amor. De la casa de la calle de Aribau no me llevaba nada. Al menos, asC creCa yo entonces....


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