Capaneo Franceschini PDF

Title Capaneo Franceschini
Author lisa dell'arsina
Course Storia della lingua italiana B
Institution Università di Pisa
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Saggio sulla figura di Capaneo in primo levi....


Description

CAPANEO DI PRIMO LEVI: EBREO PISANO. IL POLACCO E LE STORIE Fabrizio Franceschini 1) Capaneo “Me, mi conoscete. Può essere che allora e laggiù, in quegli stracci da zebra, colla barba ancora peggio rasa che d’abitudine, ed i capelli tosati, avessi un aspetto molto diverso da oggi; ma la cosa non ha importanza, il fondo non è cambiato.” Primo Levi seconda metà 1959: uscito poco dopo Se questo è un uomo. Plurilinguismo di questo libro→ inizia con un verbo in prima persona . Tale inizio forse ricorda il: chiamatemi Ismael (MobyDick Melville) Segna un’innovazione linguistica, che trova confronto nella Tregua, e in alcuni capitoli della Chiave a Stella. (1978) Questo Incipit è divenuto nel centenario della nascita di Levi, l’insegna di un importante iniziativa teatrale. ( Me mi conoscete, Primo Levi a teatro. Progetto teatrale ideato da Valter Malosti con Teatro Piemonte europa. Il racconto in questione esce nel 1959, con il titolo Capaneo, sulla rivista fiorentina Il Ponte. Vi sono state diverse modifiche come l’eliminazione dell’incipit citato. Il testo sarebbe comparso in terza pagina della “Stampa” il 28 maggio 1978, ed in apertura del volume Lilit e altri racconti 1981. Era già stato integrato nella versione teatrale di del 1966. Già nella copia del 1947, per la nuova edizione Einaudi di Se questo è un uomo, nell’ultima pagina scritto a penna aveva il titolo Capaneo “segno di un progetto di racconto scaturito dopo la pubblicazione del libro negli anni 40,50”. 2)L’ebreo Pisano il compagno di Levi I protagonisti del racconto sono due ebrei strettamente legati a Pisa, e prigionieri come il narratore nel Lager di Auschwitz-Monowitz. Il primo denominato nella redazione originaria Vidal, viene così presentato subito dopo del racconto in prima persona: Vidal era stato un ometto piccolo e grasso; piccolo era rimasto, e della sua pinguedine di un tempo, testimoniavano melanconicamente le flaccide pieghe sul viso e sul corpo. Era un ebreo pisano; deportato con il mio trasporto […]. Avevamo lavorato per molte settimane insieme, nel fango. A tutti noi capitava di cadervi, nel fango viscido e profondo di quel tristo luogo: ma, per quel tanto di nobiltà animale che sopravvive in ogni uomo, cercavamo con ogni mezzo di evitare le cadute, o di ridurne al minimo gli effetti […]. Ora Vidal cadeva continuamente nel fango […]. Il fango era il suo rifugio, la sua difesa. Era l’omino di fango: il colore del fango era il suo colore. Lui lo sapeva, col poco di luce che le sofferenze gli avevano lasciata, sapeva di essere grottesco. E ne parlava, perché era loquace. Raccontava senza fine delle sue sventure, delle cadute, degli schiaffi ricevuti, delle derisioni, come un Pulcinella; senza la minima velleità di salvare in qualche modo una particella di sé stesso, di lasciare velate le note più abiette; anzi, accentuando gli aspetti buffoneschi e vili delle sue avventure, con un’ombra di gusto scenico in cui si indovinavano vestigia ormai remote di bonomia conviviale (pp. 1440-1441). L’autore, ponendosi sul piano dell’enunciazione,e rivolgendosi ai lettori come fa anche in Se questo è un uomo aggiunge:

Conoscete uomini come lui? Non è probabile, ma se sì, saprete che sono adulatori, naturalmente e senza secondi fini. Se ci fossimo incontrati nella vita, non so per cosa mi avrebbe adulato: laggiù, ricordo che ogni mattino lodava l’aspetto sano del mio viso. Pietà? Sì, probabilmente provavo anche pietà per lui, benché non gli fossi superiore di molto. Ma la pietà di quel tempo, essendo inoperante, si disperdeva appena concepita, come pioggia sulla sabbia, e lasciava in bocca un vano sapore di fame. Tale era dunque Vidal nell’anno 1944, che fu l’ultimo della sua vita (p. 1441). Ci si chiede chi possa essere questo ebreo pisano, di Primo Levi. Il nome Vidal, impiegato nella prima redazione, diviene Sonnino nell’adattamento teatrale del 1966 e Valerio nella definitiva in Lilit. Nessuno di questi nomi o cognomi trova corrispondenza nell’elenco dei compagni di Levi sul convoglio RSHA numero 8 partito da Fossoli il 22 febbraio 1944 e giungo ad Auschwitz il 26 successivo ( elenco ricostruito da Italo Tibaldi in relazione ai nomi dei deportati) Nella versione pubblicata su «La Stampa» del 28 maggio 1978 l’«ebreo pisano» è invece indicato come Lonzana, denominazione che rinvia a Cesare Lonzana Formiggini, effettivamente portato ad Auschwitz col traporto di Levi, marchiato col numero 174 521 (mentre Primo aveva ricevuto il 174 517) e deceduto «in luogo ignoto dopo il 21.4.1944» Levi ambienta il suo racconto «in un caldo giorno di settembre» del 1944, questo sposta in avanti il termine post quem della morte del compagno. Lo stesso Primo ha inserito il nominativo di Lonzaga, come n 42 nella lista, il quale su 96 uomini che entrarono con lui nel campo di Monowitz è riuscito a ricostruirne 75. s accanto al nominativo: Vuol dire che Lonzaga fu mandato al gas dopo una selezione, come si evince dal Capaneo, la selezione potrebbe essere quella dell’ottobre 1944, dove Levi ne dedica un capitolo di Se questo è un uomo. Cesare Lonzana Formaggini è nato a Modena il 21 aprile del 1897, da Davide Barone Gilda Ambrom e la sua cattura avvenne nel 1943 ( dicembre ) alla frontiera italo-svizzera, mentre evidentemente cercava di espatriare. L’unica cosa che rinvia a Pisa è il nome della madre, dato che gli Ambron vi sono presenti, e a tale famiglia ebraica pisana appaerteneva Luisa, la madre di Vittorio Gasman, e non a caso nel Sorpasso, il personaggio da lui interpretato di Bruno Cortona, ha un cognome di tipo ebraico e cita: “un proverbio ebbreo che diceva sempre mia nonna”. Non essendo questo Cesare, come del resto come nessuno dei compagni di Levi sul treno di Fossoli, nato a Pisa, si potrebbe ipotizzare che questo Lonzana fosse venuto ad abitare nella città pisana o studiare, appoggiandosi ad un parente di qui. Nella figura 3 che troviamo a pagina 190, dove c’è la lista possiamo evincere che: «Lista di 75 nomi che ho potuto ricostruire dopo il mio ritorno in Italia […], sui 95 o 96 uomini adatti al lavoro che entrarono con me nel campo di Monowitz», compilata da Primo Levi, consegnata il 3 maggio 1971 al pubblico ministero Dietrich Hölzner, per il processo contro Friedrich Bosshammer.> In alternativa, si può pensare a una sovrapposizione tra il Lonzana modenese, compagno di Levi già sul treno da Fossoli, e qualche detenuto di Monowitz effettivamente pisano, con cui Levi era in rapporto. Si pensa a Ettore Abenaim, nato a Pisa il 5 agosto 1909, da Umberto e Linda Cassuto; infatti la lista dattiloscritta stilata da Primo, probabilmente a fine dicembre 1945, con trenta nominativi di detenuti costretti nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1945 alla ‘marcia della morte’ da Auschwitz a Buchenwald, presenta al primo posto «Abenaim toscano sapeva fare l’orologiaio» Con questa testimonianza di Levi ne va confrontata un’altra, coeva o di poco precedente, che qui si presenta per la prima volta nella sua origine. Si tratta di una cartolina inviata il 18 settembre 1945 da Angiolo Cassuto, da Torino, al nipote Carlo Abenaim a Piacenza, che così si apre:

“ Carissimo Carlo, ieri parlando con un ex-internato di ritorno dalla Germania, mi accennò che Ettore si trovava in buona salute nel campo di Austcwitz (Slesia) nel febbraio 1945, anzi era molto ben voluto e, a suo dire, fa un sacco di soldi ad accomodare gli orologi.” Nella figura 4 a pagina 192 vediamo :”Relazione del dott. Primo Levi n. di matricola 174 517 reduce da Monowitz-Buna, lista dattiloscritta stilata probabilmente a fine dicembre 1945, con trenta nominativi di detenuti costretti, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1945, alla ‘marcia della morte’ da Auschwitz, con al primo posto «Abenaim toscano sapeva fare l’orologiaio».” Il cognome Abenaim e l’identico e così particolare riferimento alla riparazione degli orologi, in Lager, tolgono ogni dubbio sull’identificazione del compagno di Levi con Ettore Abenaim, fratello di Carlo e nipote pure lui dello scrivente. L’ex-internato incontrato da Cassuto indica Ettore come vivo «nel febbraio 1945», e anzi intento a «fare un sacco di soldi ad accomodare gli orologi»; secondo Levi sarebbe morto durante (o poco dopo) la ‘marcia della morte’ del gennaio precedente. Si potrebbe pensare a un lapsus di memoria dell’«ex-internato» (febbraio per gennaio), ma è più probabile che in questo come in altri casi, nel fornire notizie sugli internati ad Auschwitz, si potessero intrecciare elementi di verità e manipolazioni dell’accaduto, per non colpire con la cruda realtà le famiglie già duramente provate. La famiglia di Ettore, di ceppo sefardita livornese, apparteneva alla borghesia pisana, abitava in piazza Mazzini 1. Possedeva anche una casa a Rezzano di Calci . Il padre Umberto, si è laureato in legge il 13 gennaio 1897, era avvocato, membro nel 1900 nel Consiglio comunale di Pisa e rivestì sino alla sua morte, avvenuta il 30 novembre 1940, incarichi nella Comunità ebraica pisana, «sia come consigliere, sia come segretario, sia come consulente legale» Nella figura 7 a pagina 196 vediamo: Messaggio di condoglianze del Presidente della Comunità ebraica di Pisa Giuseppe Pardo Roques a Linda Cassuto vedova Abenaim, 2 dicembre 1940, in seguito alla morte di Umberto,il 30 novembre 1940. Il figlio maggiore Carlo, nato il 7 giugno 1905, si laurea in ingegneria civile nel 1928, è chiamato alle armi nel 1929 e intraprende la carriera militare, va alla guerra d’Etiopia guadagnandosi la Croce al merito di guerra e prosegue una brillante carriera, sino ad acquisire nel 1938 il comando del reparto proiettificio dell’Arsenale di Napoli21. Il figlio minore Ettore diviene Tenente di Fanteria e Capo Manipolo della Milizia a Roma dove viveva lo zio cattedratico di Urologia. Con le leggi razziali Carlo è espulso dall’esercito ed Ettore dalla Milizia fascista. Carlo, esentato dalla legislazione razziale per meriti di guerra, ottiene un posto di ingegnere presso l’impresa di costruzioni Bonini di Torino, senza nemmeno l’indicazione di «razza ebraica» sul libretto di lavoro. Dopo l’8 settembre 1943 lascia Torino e torna a Pisa, nascondendosi a Rezzano, spostandosi variamente per mantenere i contatti coi familiari e riparando infine ad Arena Metato, ove era sfollata la madre. Secondo testimonianze raccolte presso la Comunità ebraica di Pisa, sarebbe stato catturato dai tedeschi nell’agosto 1944, a Limiti presso Pontasserchio, non venendo comunque riconosciuto come ebreo; è più probabile che, grazie a documenti falsid ove figura come Carlo Abenaini, si sia fatto passare per italiano e sia entrato nella Todt Organisation, andando a lavorare nella zona di Piacenza e tornando poi in clandestinità. Dopo la liberazione sarebbe stato reintegrato nell’Esercito, sino a raggiungere la Direzione dell’Arsenale di Piacenza e il grado di generale. Ettore a sua volta, espulso dalla Milizia, diviene segretario della Comunità ebraica di Roma, sino al 1942, e si sposta poi a Torino ove, come a Roma, vivevano dei suoi parenti Cassuto, tra i quali il citato zio. Nella città della Mole assume l’incarico di direttore o, Segretario dell’Ospizio israelitico dove, grazie all’opera del vice-rabbino Giacomo De Benedetti, sino allo scorcio del 1943 si

organizzarono funerali ebraici29. Colle prime retate dei nazisti contro gli ebrei, la sorella di Ettore Vanda, moglie del rabbino di Genova Riccardo Pacifici (figura 9), che aveva potuto rifugiarsi a Firenze nel convento delle Suore Francescane Missionarie di piazza del Carmine, è catturata dalle SS il 26 novembre 1943, per essere inviata al carcere di Verona e quindi ad Auschwitz, dove muore. Riccardo,il marito,già arrestato a Genova il 3 novembre e giunto ad Auschwitz, l’11 dicembre 1943, sarà subito ucciso. Col moltiplicarsi degli arresti di ebrei in seguito all’ordinanza di polizia n. 5 del Ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi (30/11/1943), viene colpito anche il gruppo dell’Ospizio israelitico di Torino. Ettore Abenaim è arrestato il 15 dicembre 1943, presso la famiglia Varesio di viale Bligny mentre Giacomo De Benedetti lo sarà il 20; entrambi sono trasferiti da Torino al carcere milanese di San Vittore e deportati da Milano ad Auchswitz il 30 gennaio 1944, col convoglio RSHA n. 6 sul quale viaggiava anche Liliana Segre. Ettore, marchiato col numero 173 398, fu inviato a Monowitz dove fu in rapporto con Levi. Ci si chiede però se questi avesse potuto incontrare Abenaim già a Torino, evenienza che in Capaneo da un lato è negata («se ci fossimo incontrati nella vita») e dall’altro pare suggerita dal riferimento al suo aspetto fisico prima della deportazione: “era stato un ometto piccolo e grasso; piccolo era rimasto, e della sua pinguedine di un tempo”

3)Il polacco Il «polacco laureato in medicina» Dopo l’inizio in prima persona e la descrizione dell’«ebreo pisano», comincia la parte propriamente narrativa di Capaneo: «in un caldo giorno di settembre suonarono sul fango le sirene dell’allarme aereo» e quindi il personaggio che dice io,Levi, scende in un «nascondiglio segreto […], un budello sotterraneo», ma vi trova l’ebreo pisano che l’accoglie «con verbosa cordialità mal ricambiata», cominciando a raccontargli «non so quali sue lamentose avventure» (p. 1441). Intanto Fuori, era il silenzio neutro del cielo: scialbo e lontano, pieno di minaccia. Ma a un tratto si udì un fracasso sopra le nostre teste, e vedemmo, in cima alle scale, disegnarsi il contorno nero e vasto di Rappoport con un secchio in mano. Come ci scorse, «Italiani!» gridò, e lasciò rotolare il secchio con grande strepito giù per gli scalini. […] Rappoport poteva avere allora trentacinque anni. Polacco di origine, si era laureato in medicina in Italia, e precisamente a Pisa: donde la sua simpatia 32 Ivi, pp. 44-45 e 94, e vedi Abenaim, Abenaim, Una famiglia ebrea e le leggi razziali, cit., p. 71. 201 CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE» per gli italiani, e la sua strana amicizia per Vidal, il piccolo pisano ]. […] Viveva in Lager come una tigre nella giungla: abbattendo e taglieggiando i più deboli e girando alla larga dei più forti, pronto a corrompere, a fare a pugni, a tirar cinghia, a mentire o a sottomettersi, a seconda delle circostanze. Della sua vita libera aveva conservato, oltre al vigore corporale, una robusta, gioiosa volontà di godimento e di conoscenza: ed ecco, era questa la sua chiave, questa la ragione per cui, pur sentendo in lui un nemico, la sua vicinanza mi è sempre riuscita gradevole (pp. 1141-1142). Ebreo polacco: laureato in medicina, nato nel 1909 e nel settembre poteva avere 35 anni ed era chiamato Leon Rappoport in tutte le redazioni del racconto ma Leon Golder nella versione teatrale. La macchina della discriminazione e della persecuzione sfociata nelle prime leggi razziali – ossia i Decreti 5 settembre 1938 Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista e 7 settembre 1938 Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri si attiva con la redazione di liste, da un lato, dei docenti universitari ebrei e, dall’altro, degli studenti ebrei di nazionalità straniera, come da circolare riservata urgentissima del 19 gennaio 1938. Il Rettore dell’Università di Pisa, Giovanni D’Achiardi, pur nella difficoltà di sceverare gli ebrei tra gli studenti stranieri,risponde

che «attualmente trovansi iscritti presso questa Università n. 290 studenti ebrei di nazionalità straniera»; un documento successivo, di cui si conserva il dattiloscritto con correzioni a mano, specifica che si tratta di 250 maschi e 40 femmine (figura 10). Secondo i dati dell’Annuario della R. Università di Pisa per l’anno accademico 1937- 1938, il complesso degli studenti stranieri iscritti a Pisa risulterebbe di poco superiore, ossia 291 su un totale di 1977 studenti in corso, ma secondo altri computi il loro numero sale a 308 se non di più. In ogni caso l’Ateneo pisano risulta secondo solo a Bologna per questo tipo di attrattività; ben 236 di tali studenti sono di nazionalità polacca e 175 di essi sono iscritti alla sola facoltà di Medicina e Chirurgia; seguono per numero, distanziati, gli studenti tedeschi, lituani, rumeni. L’afflusso era stato favorito, sul piano internazionale, dal numerus clausus per gli studenti ebrei a Medicina e Giurisprudenza in Germania, Romania, ecc. e, sul piano locale, dalla politica dell’Ateneo che dimezzava le tasse agli studenti esteri e talora li ammetteva anche con documentazione imperfetta. Il fortissimo afflusso verso Pisa dalla Polonia si deve anche alla specifica attività di intermediari quali il Dr. Leopold Weintraumb di Leopoli o il Dr. Wolf Fajgeles di Lublino, che orientavano i giovani polacchi, specie ebrei, verso l’Ateneo pisano, favorendo il buon esito delle pratiche di iscrizione e la sistemazione degli studenti tramite un rapporto diretto con la segreteria dell’Università. Nell’elenco della Facoltà non di Medicina e Chirurgia ma di Medicina Veterinaria, nel quale i nominativi stranieri sono contrassegnati da crocette o trattini. Fig. 11 Elenco degli studenti iscritti alla Facoltà di Medicina e Veterinaria con indicazione della provenienza geografica, 1938. N° 9 un Rapaport ma di nome Shemuel, senza indicazione di nazionalità, iscritto solo al I anno e destinato quindi all’espulsione (figura 11). Se invece che al cognome guardiamo al nome fornito da Levi, nell’elenco generale degli Studenti stranieri (A: figura 12a) troviamo, tra i polacchi iscritti a Medicina e Chirurgia, un Leo Singer (n° 70, Med. I), un Leon Fast (n° 208, Med. II) e altri.; il candidato più plausibile è l’ebreo polacco Leone Abraham Zucker (n° 226: figura 12b)45, unico tra questi giunto alla laurea secondo l’Elenco nominativi degli stranieri laureati durante l’anno 1937-38, che ne indica anche la nascita a Debica, nel voivodato della Precarpazia (figura 13b). Un’ulteriore conferma viene dagli Annuari dell’Università di Pisa che per ogni anno accademico, dal 1935 al 1940, indicano tutti i laureati, Facoltà per Facoltà, col titolo della tesi e le votazioni dove per l’anno accademico 1938-1939, cit., p. 285, mostra tra i laureati in Medicina e Chirurgia il nostro Zucker Abraham di Debica. Tirando le somme, tra i compagni di Levi nel viaggio da Fossoli ad Auschwitz non troviamo nessun Vidal o Valerio o Sonnino, mentre c’è un Lonzana, morto presumibilmente nell’ottobre 1944 ma non nato a Pisa; nato a Pisa, ma giunto ad Auschwitz con altro trasporto e sopravvissuto sino alla ‘marcia della morte’ del gennaio 1945, è invece Ettore Abenaim. Tra gli studenti polacchi a Pisa, nello scorcio degli anni Trenta, non c’è alcun Leon Rappoport.

Rappoport: un Rapaport, si trova a veterinaria e solo al I anno, dunque lontano dalla laurea; però, tra i polacchi di nome Leon e simili,un Leone Abraham Zucker di De- bica si è effettivamente laureato in Medicina, nel 1938, quando il Leon di Levi avrebbe avuto una trentina di anni. In questo quadro, dobbiamo credere a Primo Levi e alla veridicità del suo racconto? Nella prefazione a Moments of Reprieve, edizione americana di vari racconti di Lilít, Levi comunica che gli episodi su cui ho costruito queste storie sono realmente avvenuti, e ne sono esistiti i personaggi, anche se, per evidenti motivi, spesso ne ha alterato il nome. Queste manipolazioni onomastiche del genere sono frequenti nelle opere di Levi: tra i suoi compagni di prigionia c’era uno Steinlauf, ma il personaggio chiamato Steinlauf in Se questo è un uomo è in realtà il «Gluksmann Eugenio» ricordato nell’elenco degli evacuati da Auschwitz, che si apre con Abenaim. Il personaggio che in Se questo è un uomo compare come Sonnino (pseudonimo usato invece per l’ebreo pisano nella

versione teatrale di Se questo è un uomo) è lo stesso che nella Tregua e in uno dei racconti di Lilít è chiamato Cesare e in realtà corrisponde alla persona di Lello Perugia. Allo scambio di nomi può unirsi l’integrazione in un unico personaggio di tratti appartenenti a persone reali diverse, ma in qualche modo associate nella memoria di Levi; questo avverrà in particolare per Faussone della Chiave a stella,che,anche se non anagraficamente vero,viene definito perfettamente autentico.

4. Vita goliardica a Pisa Alla parola dell’autore si aggiunge lo stesso testo, coi suoi riferimenti concreti e realistici alla vita goliardica pisana: testo pag. 213 del documento. Rappoport ...


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