Cenerentola PDF

Title Cenerentola
Author Sergio Aurora
Course Letteratura Per L' infanzia 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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Summary

Tesina sulla fiaba di Cenerentola, analizzata in alcune delle sue molteplici versioni, attraverso i secoli e e le diverse culture....


Description

Cenerentola La fiaba di Cenerentola è uno dei grandi classici della letteratura e della tradizione orale mondiale. Ha origine nell’Antico Egitto, ben 2.600 anni fa, e il nome della fanciulla destinata a diventare Regina è Rodopì, una schiava al tempo del Faraone Ahmose II, nel VI Secolo avanti Cristo. Storicamente, il faraone Ahmose II in realtà sposò davvero una cortigiana di nome Rodopi, facendo di lei una regina, e la storia ci giunge grazie a numerosi fonti fra cui Esopo, che conobbe personalmente la donna. Durante il periodo di apertura alla Grecia dell’Egitto, la fiaba, mutata rispetto ai fatti originali del matrimonio fra Ahmose II e Rodopi, divenne eccezionalmente popolare, giungendo all’orecchio dei cantastorie di tutto il mondo. La funzione pedagogica della favola, in quasi tutte le sue versioni, è racchiusa nella morale del sacrificio, attraverso il quale si può ottenere la più alta felicità, rappresentata un tempo dallo status sociale di principessa. … La versione dei fratelli Grimm, analogamente a quanto accaduto per Il Pifferaio Magico e Biancaneve, fu ampiamente rimaneggiata per esser resa accettabile dal grande pubblico. Nella storia originale il padre non è morto, ma vivo e connivente con la matrigna, che è il mezzo attraverso il quale le due sorelle comandano Cenerentola. Quest’ultima coltiva un albero di nocciolo, che altri non è che la reincarnazione sotto forma di vegetale della madre morta. La defunta madre vestirà la figlia per i tre giorni del ballo, e saranno i colombi (aiutanti magici) a svelare al principe l’inganno delle due sorelle che avevano tentato di calzare la scarpetta. Queste infatti non si arrendono alla grandezza dei propri piedi, tagliandosi l’una le dita e l’altra il tallone pur di calzare la scarpa. Il sangue che fuoriesce dalla scarpetta tradirà le intenzioni delle due sorelle, le quali verranno addirittura accecate dai colombi durante il matrimonio di Cenerentola con il Principe. … Quella di Perrault è la versione che maggiormente si avvicina a quella resa famosa dal cartone animato Disney del 1950. In questa variante i fatti sono edulcorati rispetto alla tradizione orale presente a quell’epoca, e la fata e i suoi aiutanti magici (topi e lucertole) sono a grandi linee quelli visti nel film hollywoodiano. La versione di Perrault venne scritta per compiacere la corte del Re di Francia, dove in un ambiente così regale poco si adattavano squartamenti e mutilazioni podaliche. Da un punto di vista a-storico e letterario, la Cendrillon di Perrault è un capolavoro assoluto. Le ragioni sono chiare e oggettive: semplicità di vocabolario e sintassi, una struttura in perfetto equilibrio tra elementi fantastici straordinari e realistici, e pochi ma essenziali personaggi. Tutto ciò è conforme a un’idea della narrazione folkloristica comune ai nostri tempi. Ma questa perfetta correlazione con la nostra moderna concezione della fiaba popolare deve essere rivisitata, soprattutto perché la semplicità è qui riferita alle classi popolari e all’infanzia, che erano entrambe oggetto di disapprovazione all’epoca di Perrault, mentre per noi sono sinonimo di genuinità e verità (si vedano le teorie dei romantici tedeschi). Se consideriamo la versione di Basile oltre alle versioni della storia di Cenerentola raccolte dagli studiosi di folklore in epoca moderna, si vede che la semplicità psicologica e la chiarezza che caratterizzano la Cendrillon di Perrault sono in profondo contrasto con l’inquietudine psicologica alla base degli altri racconti su Cenerentola nel resto del mondo. Alcuni di essi dipingono la matrigna di Cenerentola come una persecutrice; tutti parlano di forme d’odio che, se non determinano una perdita di status sociale, adombrano il rischio di traumi fisici, della morte per fame, di orrende pratiche di cannibalismo, di omicidi attentati o portati a termine, a volte compiuti dall’eroina stessa. Il fantastico non è mai spiegato o razionalizzato: vi sono tombe da cui emergono strane apparizioni, persone uccise che tornano in vita. Contrariamente alla rappresentazione di un mondo ordinato e sicuro in Perrault, questa straordinaria inquietudine psicologica

allude a desideri e impulsi molto più temibili della paura della pubertà e della sessualità, spesso citata dagli psicologi in relazione alla fiaba. … In Italia Cenerentola non è “benevola” come nelle altre nazioni, ma è addirittura un’assassina. Nella versione narrata dallo scrittore napoletano Basile, infatti, la protagonista viene guidata da una matrigna diabolica, che per prima cosa fa uccidere alla ragazza la seconda moglie del padre, e poi comincia a torturarla insieme alle sei figlie tenute nascoste sino al momento del matrimonio. Anche il padre di Zezolla, questo il nome italiano, non è da meno, e si dimentica completamente della figlia una volta sposata la terza moglie. … La versione cinese della fiaba parte da una condizione di bigamia del padre di Yeh-Shen, il nome in lingua originale. La madre naturale della ragazza muore, lasciando la figlia in compagnia del padre e della matrigna. L’unico amico di Yeh-Shen è un pesce, che viene ucciso dalla matrigna e servito per cena. Le ossa del pesce diventeranno l’aiutante magico della ragazza, che perderà la famosa scarpetta a una festa di paese. La scarpetta era così piccola che nessuna donna in Cina sarebbe stata in grado di calzarla, eccezion fatta per Yeh-Shen, che si recherà nella bacheca dove era esposta e verrà così scoperta dal Re. … La Cenerentola è un melodramma giocoso di Gioachino Rossini su libretto di Jacopo Ferretti. Il titolo originale completo è La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo. La prima rappresentazione ebbe luogo il 25 gennaio 1817 al Teatro Valle di Roma. Il debutto, pur non provocando uno scandalo paragonabile a quello del Barbiere, fu un insuccesso, ma dopo poche recite, l'opera divenne popolarissima e fu ripresa in Italia e all'estero. La Cenerentola si iscrive nella grande tradizione, ormai già consolidata, dell’opera buffa italiana, e si racconta la vicenda della misera e sventurata Angiolina, orfana di madre e tenuta prigioniera in casa a sbrigare le faccende domestiche dal patrigno Don Magnifico, nobile di Montefiascone. Cenerentola conduce una squallida esistenza quotidiana, fatta di angherie e soprusi, vivendo all’ombra del patrigno e delle due sorellastre Tisbe e Clorinda, le quali sognano di maritarsi un principe ricco e famoso. Quando l’occasione propizia si presenta, grazie all’arrivo in casa del principe Ramiro, nobile di Salerno, le due sorellastre fanno di tutto per farsi notare e invitare al ballo. Ma Ramiro si presenta in realtà sotto mentite spoglie, travestito da scudiero, lasciando che a recitare la sua parte sia il fido Dandini, suo personale cameriere. Mentre Dandini non potrà che constatare la superficiale arroganza e il bieco arrivismo delle due sorelle, il filosofo di corte, Alidoro, escogiterà un astuto piano per far arrivare a palazzo la sua prescelta, la misera Angiolina, della quale ha sin da subito riconosciuto la virtù e il cuore puro e sincero. Tra equivoci e travestimenti, rivelazioni e colpi di scena, Ramiro ritroverà la sua amata accanto al fuoco, riconoscendola per un braccialetto che si erano scambiati a palazzo (la scarpina non garbava al Ferretti), e i due convoleranno a giuste nozze. L’epilogo felice, in cui a trionfare non è la ricchezza materiale ma la virtù morale, non poteva esimersi da un catartico perdono collettivo per le sofferenze subite, che la futura principessa accorda alla sua famiglia, dimostrando di essere l’emblema della bontà e della rettitudine. … Obbediente e semplice Cenerentola incarna il comportamento corretto per una ragazza che vuole raggiungere ciò che sembra la più desiderabile realizzazione sociale – il matrimonio ed in seguito, probabilmente, la maternità. Il nome di Cenerentola indica prima di tutto la miseria della sua condizione. Ma le ceneri sono anche il marchio della mortalità e del dolore: trascurata dal padre e dalla matrigna, Cenerentola piange la madre morta ed è contaminata dalla morte stessa:

“I canti e le narrative della letteratura medievale sono affollati di eroi ed eroine afflitti dal lutto, che non si laveranno o taglieranno i capelli o la barba, ma si stringeranno allo sporco per restare accanto ai loro amati morti, per essere emarginati essi stessi come lo è chi muore, osservando la loro personale Quaresima, con il capo cosparso di cenere”. L’esistenza di Cenerentola è determinata dall’aiuto dei defunti: la madre, secondo la versione dei Grimm , o le ossa del pesce rosso nel racconto cinese Yeh-hsien, che rappresentano sia l’horror vacui del distacco finale che l’ultima residenza dell’anima. Mentre la carne è corrotta dal tempo, infatti, le ossa resistono alla morte, contengono la bianchezza dell’eternità, dove si trova l’essenza di una futura rinascita. Nella fiaba di Perrault, dove la madre morta è sostituita con la fata madrina, la relazione con l’aldilà è racchiusa nella figura stessa di Cenerentola e nelle sue abitudini quotidiane: “Quando aveva finito di lavorare, era solita andare nell’angolo del caminetto, e sedersi tra i tizzoni e le ceneri”. Cenerentola siede nel focolare, il luogo della casa anticamente adoperato per la sepoltura dei morti: il caminetto simbolizzava il passaggio da una dimensione domestica ad una soprannaturale, nel cielo, la residenza delle anime che ancora vegliavano sui propri cari. Costituiva dunque il canale per un potere straordinario di comunione, accentrato nel suo elemento vivo, il fuoco, in cui le genti Indoeuropee ravvisavano un demone da ingraziarsi con libagioni. Questa credenza, priva del suo aspetto rituale, sopravvive nella versione dei Grimm, dove si traduce nel comportamento delle sorellastre: “La ridicolizzavano e gettavano piselli e lenticchie tra le ceneri, cosicché doveva accovacciarsi e raccoglierli uno ad uno.” In tempi medievali e moderni il focolare veniva utilizzato come una tomba specialmente per i neonati morti senza aver ricevuto il battesimo. La loro condizione era drammatica, paragonabile al destino infamante dei suicidi o di chi moriva in peccato mortale: era proibito seppellirli nei cimiteri o in terra consacrata, perché non riscattati e lavati dall’acqua benedetta. I cadaverini si trovavano intrappolati in un margine: non riconosciuti socialmente (e religiosamente) dalla comunità durante la loro esistenza, né condannati alla dannazione per peccati che non avevano avuto abbastanza tempo per commettere, erano presi tra la morte e la vita – fantasmi, spiriti vaganti il cui desiderio per una pace eterna non sarebbe mai stato soddisfatto. Come confluiscono questi temi nella storia di Cenerentola? Secondo lo studioso russo Vladimir Propp c’è un rapporto di reciprocità indiretta, una “trasposizione di senso” tra la fiaba ed il culto religioso. Questa si realizza tramite un elemento che viene sostituito, diventato nel tempo inutile o incomprensibile nella sua versione originale, o – e questo è il caso – con l’attribuzione ad un medesimo rituale di un significato differente oppure inverso. Cenerentola non appartiene alla schiera dei defunti, tuttavia si colloca in una terra di transito, dove attende di abbandonare le ceneri per gli abiti meravigliosi di principessa – un rango che meglio si accordi con la sua natura: scaltra e ingegnosa nelle versioni più antiche quali la cinese Yeh-hsien o La Gatta Cenerentola; gentile e sottomessa in Perrault e Grimm. Fa esperienza della morte: inizialmente nella perdita della madre, in seguito nella sua stessa trasformazione dallo stato informe (coperta di cenere) e privato del corpo infantile, alla completezza della vita adulta e sociale. Questa indistinta identità originaria è fortemente confermata nella versione del Basile, La gatta Cenerentola, dove l’eroina è paragonata ad un animale domestico, una creatura totalmente altra dall’umano, che rinforza il legame della protagonista con i morti, spesso descritti nel folklore con caratteristiche teriomorfe. Riassumendo i significati del nome Cenerentola, le ceneri rivelano: – una parentela tra la protagonista ed i morti;

– la scoperta dell’identità individuale e sociale durante l’adolescenza; – una condizione di distacco e purezza, che caratterizza sia la protagonista che i morti. Quest’ultimo punto ha bisogno di una spiegazione ulteriore. Le ceneri sono lo scarto del fuoco, l’elemento che sacrifica la fragilità della carne alla perfezione incorporea dello spirito. Una conferma a questa lettura viene direttamente dalla filosofia medica rinascimentale e moderna, dove il tempo materiale di una vita era visto come il risultato dell’interazione di due sostanze nel corpo: l’umido radicale, contenuto in quantità limitata negli umori e nel sangue, e il calore vitale, derivante direttamente dall’anima, che lentamente “bruciava” il liquido dell’esistenza. Essere coperta di ceneri indica dunque un percorso di assimilazione ad un particolare tipo di morti, coloro che hanno esaurito tutto il tempo e la sostanza umana, che sono altrove, innocenti e “salvi”. Le ossa, le ceneri sono fredde, asciutte da ogni peccato. Così la scarpetta perduta calza perfettamente all’eroina, mostrando il suo stato virginale, mentre le sorellastre devono strizzarvi il piede dentro, tagliare via l’alluce o il calcagno, sanguinando e rivelando la loro impurità, che è indicata al principe dagli uccelli dell’innocenza e dell’amore: le colombe bianche che sostano sulla tomba materna. Cenerentola è intatta, preservata dalla corruzione che affligge sia l’anima (la cattiveria e la vanità delle sorellastre), che il corpo (la lussuria e la perdita della verginità), che una volta all’opera non può essere fermata, come si esprime al meglio nella riscrittura poetica della fiaba di Anne Sexton: La più anziana andò nella stanza per provarsi la scarpetta ma l’alluce non c’entrava così semplicemente lo tagliò e si mise la scarpa. Il principe la portò con sé finché la colomba bianca gli disse di guardare il sangue che sgorgava. È sempre così con le amputazioni. Non guariscono come vorremmo. L’altra sorella tagliò via il calcagno ma il sangue la tradì come suo solito. … Dimentichiamo la favola tutto zucchero e bontà della Cenerentola classica che piace tanto alla bambine (targata Walt Disney), Emma Dante annunciò che la sua Cenerentola ossia La bontà in trionfo di Rossini in scena al Teatro dell’Opera di Roma sarebbe stata ben poco rassicurante ed edulcorata da ogni tipo di leggerezza. In pratica più un incubo che una favola vera e propria. La Cenerentola in scena fu in toto una creatura di Emma Dante che ne mise in luce la tragicità insita e con il ritmo serrato e l’impronta scenica trascinò e quasi sottomise alle sue scelte stilistiche perfino la frizzante, concitata e strettissima direzione d’orchestra del giovane Alejo Pérez impegnato sul podio. D’altra parte la Dante si era già misurata in prosa con una versione tanto personale quanto rivisitata della celeberrima fiaba di Perrault con Anastasia, Genoveffa e Cenerentola: nel suo primo approccio a Rossini, la regista rispettò fino in fondo il libretto di Jacopo Ferretti (basato su quello francese di Etienne per la Cendrillion di Isouard e ricavato dalla fiaba di Perrault) scevro di elementi magici e con tanto di lieto fine, agognato, ma ben poco rassicurante. Dramma giocoso-operetta morale dove trionfa la bontà, nonostante tutto e fra mille avversità, la Cenerentola della Dante è esteticamente molto accattivante e passa attraverso una chiave di lettura spiccatamente pop surrealista nei colori e nelle acconciature, fra cartoon, fumetti e tatuaggi quasi in contrasto con le cerulee e abbaglianti scene uniche (rassicuranti e avvolgenti grazie alle luci di Cristina Zucaro,) di Carmine Maringola che si aprono sugli interni di un palazzo nobiliare. Cuore della rilettura della regista palermitana (che ha chiaramente adattato alle sue corde l’opera) è la violenza insita nei rapporti umani a cominciare dalla famiglia: Cenerentola è costretta a subire le angherie e

la prevaricazione morale psicologica, ma anche fisica del patrigno Don Magnifico e delle due sorellastre Clorinda e Tisbe agghindate di tutto punto, ma tremendamente racchie e sgraziate come mostra nella scena del temporale dove la sventurata viene barbaramente picchiata dalla “famiglia” o quando viene legata in casa con una catena come il più maltrattato dei cani. La miserrima Cenerentola (che non figura mai accanto alla cenere) è costretta a subire non solo le violenze domestiche, ma anche le cattiverie spietate della società che si concretizzano in una delle scene più violente (un po’ stridente con l’opera) con le invitate/invitati en travesti in svolazzanti abiti da sposa che rose dall’invidia le puntano armi di ogni genere contro per poi suicidarsi in un rito collettivo. La violenza, che di fatto serpeggia un po’ in tutta l’opera nonostante la proverbiale leggerezza rossiniana, contrasta con quel che resta di fiabesco, esemplificato negli abiti (di Vanessa Sannico) celesti di una Cenerentola biondissima, negli stivaletti color cielo, nelle divise azzurre dei camerieri o nei drappi color canard che scendono dalle finestre fino ai dettagli rossi che scuotono l’insieme. Perfino il bianco appare ben poco rassicurante dato che viene sfoggiato dalle sorellastre e dalle spose mancate tanto più che in una visione quasi ribaltata i “buoni” (Cenerentola e il principe) appaiono di nero vestiti e la protagonista si presenta al ballo quasi in versione sposa in nero. Altro dettaglio peculiare introdotto dalla regista sono le bambole meccaniche dotate di enormi chiavette di ricarica, un po’ replicanti-automi di Cenerentola (quasi a rimpiazzare i topini di disneyana memoria) un po’ a raddoppiare i camerieri: è a loro che spesso e volentieri la Dante affida il raddoppio dell’azione a tratti movimentando e sovraccaricando quel che accade sul palco. Insomma se la Dante forse tradisce in qualche tratto Rossini, non tradisce sé stessa con momenti spiazzanti e scelte già apprezzate nel suo personalissimo teatro di prosa in un allestimento di Cenerentola interessante e sui generis, tutto da vedere. … “E poi? E poi? E poi?”, Roberto Piumini, dà un seguito alle fiabe di Cenerentola, Pollicino e Il gatto con gli stivali”. Ci dice che per poter apprezzare “il poi”, bisogna partire dal “prima”, e cioè dalla lettura delle tre fiabe classiche. E POI? “Si sa che la scarpetta di cristallo, come la bella fiaba canta e dice, persa fuggendo via dal grande ballo, poi rese Cenerentola felice: ecco perchè, quando si fu sposata, per ricordare la bella avventura, la tenne insieme all’altra conservata in uno scrigno, con affetto e cura.” LA GUERRA DELLA SCARPETTA Cenerentola e il principe avevano conservato con grande cura, in uno scrigno, le scarpette di cristallo. Ma un brutto giorno le scarpette furono rubate. Le aveva fatte rubare il re Farfaglia su richiesta di sua moglie: la regina credeva che le scarpette fossero così magiche da far diventare belli i piedi di chiunque le calzasse. Sperava che calzando quelle scarpette sarebbero diventati belli anche i bruttissimi piedi delle sue tre figlie. Per riavere le scarpette, il principe e Cenerentola partirono dunque con l’esercito per andare ad assediare la città del re Farfaglia.

La città però non si arrendeva e l’assedio sembrava non finire mai. I soldati del principe avevano così tanta nostalgia di casa, che abbandonarono la guerra e i loro sovrani. Intanto le tre principesse, costrette dalla regina a cercare di calzare le magiche calzature senza alcun risultato, erano così stanche e doloranti, che si buttarono giù dalle mura della città e fuggirono abbandonando le scarpette. Cenerentola e il principe poterono così recuperarle e tornare finalmente al loro regno. … La versione di Roald Dahl, e quella di Rodari, risultano sovversive e giocose. In Favole a rovescio, scrive: Qualche volta le favole succedono all’incontrario e allora è un disastro: Biancaneve bastona sulla testa I nani della foresta, la Bella Addormentata non si addormenta, il Principe sposa una brutta sorellastra, la matrigna tutta contenta, e la povera Cenerentola resta zitella e fa la guardia alla pentola. G. Rodari, Filastrocche in cielo e in terra, Einaudi I finali di Dahl sono molto ironici, vivaci e divertenti. In genere le fiabe tradizionali hanno un lieto fine e i personaggi, anche se la trama cam...


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