Cielo d\'alcamo PDF

Title Cielo d\'alcamo
Course LETTERATURA ITALIANA
Institution Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
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Summary

Cielo d'alcamo...


Description

Il "contrasto" di Cielo d'Alcamo, databile tra il 1231 e il 1250, e tramandato da un unico manoscritto (il codice Vaticano Latino 3793), è tradizionalmente incluso nella prima produzione volgare dell'Italia meridionale: il fondo linguistico del componimento coincide con quello della coeva lirica siciliana, pur contenendo qualche elemento di derivazione campana. Oltre a ciò, e a frequenti latinismi, presenta al suo interno numerosi provenzalismi e gallicismi, assieme a metafore tipiche della tradizione cortese (si prenda ad esempio il paragone della donna con il fiore del verso iniziale e il contiguo “madonna mia” di fine strofe), che lo collegano direttamente al codice poetico occitanico. La formula del “contrasto”, inteso come un dialogo tra un cavaliere e una dama di estrazione popolare, e ritenuto un vero e proprio genere letterario, è inoltre presente nella precedente tradizione trobadorica d'oltralpe, in autori come Marcabruno e Rambaldo di Vaqueiras. Questi elementi, uniti alla sapienza metrico-stilistica dell'opera, contribuiscono a collocare l'autore di Rosa fresca aulentissima (di cui nulla sappiamo all'infuori di pochi indizi deducibili dal manoscritto Vaticano Latino e da fonti del Cinquecento), in ambito colto, a dispetto dell'ambientazione popolare del testo, testimoniata dai modi realistici e dalle frequenti battute di genere basso presenti al suo interno. Cielo d'Alcamo mostra dunque un'eccellente familiarità con le formule linguistiche e retoriche cortesi, pur rimanendo in ambito popolare: per questo viene spesso identificato dagli studiosi in un giullare o in un poeta di corte, desideroso di riprodurre in chiave comica le formule del nuovo linguaggio della lirica siciliana. L'elemento comico del dialogo dei due innamorati, il corteggiamento che si trasforma in schermaglia e i tratti tipicamente anticortesi della donna, oltre alla messa in scena del desiderio sessuale, dell'inganno e dell'aggressività reciproca, fanno di questo contrasto il modello ideale della lirica dei successivi poeti realistico-giocosi di area toscana (si confronti ad esempio Cielo d'Alcamo con il Cecco Angiolieri di Sed i' avess' un sacco di fiorini). Dal punto di vista strettamente metrico il testo si compone complessivamente di trentadue strofe che corrispondono alle alterne battute di dialogo dei due protagonisti, costituite da cinque versi ciascuna: tre alessandrini iniziali (e cioè, due settenari monorimi, AAA) e due successivi endecasillabi a rima baciata (BB).

Parafrasi discorsiva Rosa fresca profumatissima, che compari verso l’estate, le donne ti desiderano, sia le ragazze, sia quelle sposate: toglimi da questi fuochi, se è nella tua volontà; per colpa tua non ho pace notte e giorno, pensando sempre a voi, o donna mia. Se ti tormenti per me, te lo provoca la pazzia. Potresti arare il mare, seminare ai venti, accumulare tutti quanti gli averi di questo mondo; non potresti, invece, avere me in questo mondo; prima mi toglierei i capelli (mi farei suora). Se ti tagliassi i capelli, vorrei prima morire, poiché con essi perderei la gioia e il piacere. Quando passo di qui e ti vedo, rosa fresca dell’orto, mi doni sempre un grande piacere: facciamo in modo che il nostro amore si congiunga. Non voglio che mi piaccia che il nostro amore si congiunga: se ti trova qui mio padre con gli altri miei parenti, stai attento che non ti raggiungano questi veloci corridori. Come ti sembrò una cosa buona venire qui, ti consiglio di fare attenzione alla partenza. Se i tuoi parenti mi trovano, che cosa mi possono fare? Vi assegno una multa di duemila augustali: tuo padre non mi toccherebbe per tutti gli averi che possiede la città di Bari. Viva l’imperatore, grazie a Dio! Comprendi, bella, quello che io ti dico? Tu non mi lasci vivere né alla sera né al mattino. Io sono una donna che possiede monete d’oro, d’oro massamotino. Se mi donassi tanti beni, quanti ne ha il Saladino, e in aggiunta quanti ne ha il Sultano, non potresti toccarmi su una mano. Sono molte le donne testarde, e l’uomo con le parole le domina e le convince: tanto l’incalza tutto intorno, fino a che non ce l’ha in suo potere. La donna non può fare a meno dell’uomo: stai attenta,

bella, di non doverti pentire. Che io mi dovessi pentire? Possa io piuttosto essere uccisa che qualche buona donna sia rimproverata per causa mia. Tempo fa, sei passato di qui, correndo a gambe levate. Prenditi un po’ di riposo, canterino: le tue parole non mi piacciono per niente. Quanti sono i dolori che mi hai messo nel cuore, anche solo a pensarci di giorno quando esco! Non ho ancora mai amato tanto una donna di questo mondo, quanto amo te, rosa desiderata: credo proprio che tu mi sia stata destinata. Se ti fossi stata destinata, cadrei in basso, poiché con te le mie bellezze sarebbero sprecate, mal riposte. Se tutto questo mi succedesse, mi taglierei le trecce, e diventerei consorella in un convento, prima che tu tocchi il mio corpo. Se tu diventi consorella, donna dal viso luminoso, vengo al convento e mi rendo un confratello: lo farei volentieri, per averla vinta su di te con una prova tanto notevole. Starei con te la sera e la mattina: bisogna che io ti tenga in mio potere. Ahimè, povera infelice, com’è crudele il mio destino! Gesù Cristo, l’Altissimo è proprio arrabbiato con me: mi ha concepita per incontrare un uomo empio. Cerca in tutta la Terra che è molto grande, troverai una donna più bella di me. L’ho cercata in Calabria, Toscana e Lombardia, in Puglia, a Costantinopoli, Genova, Pisa e in Siria, in Germania e a Baghdad e in tutto il Nordafrica: qui non ho trovato una donna altrettanto gentile, per cui ti ho assunta come mia signora. Poiché ti sei tanto tormentato, ti faccio la mia preghiera di andare domani da mia madre e mio padre a chiedermi in sposa. Se degnano di darmi in sposa a te, portami in chiesa e sposami davanti a tutti; e poi obbedirò ai tuoi desideri. Di ciò che tu dici, vita mia, niente ti serve, perché delle tue parole non ne parlo neanche più. Pensavi di mettere le penne, invece ti sono cadute le ali; e ti ho dato il colpo di grazia. Dunque, se puoi, rimani una contadina. Non mi incuti timore di nessuna macchina da guerra: me ne sto in questa gloria di questo imponente castello; considero le tue storie meno di quelle di un bambino. Se tu non ti levi di torno e te ne vai di qui, anche se tu giaci morto, ciò mi piace molto.

Figure retoriche • Cablas capfinidas ripresa, in apertura di strofa, di elementi che chiudono la strofa precedente (m’arritonno, v. 10 – aritonniti, v. 11; che s’ajunga il nostro amore, v. 15 – ke ‘l nostro amore ajungasi, v. 16; pur de repentere, v. 35 – pur repentesseme, v. 36; fosti destinata, v. 45; distinata fosseti, v. 46); • Apostrofe “Rosa fresca aulentissima”, v. 1; “madonna mia” (v. 5); “rosa fresca de l’orto” (v. 13); “bella” (v. 25, 35); “canzonieri” (v. 39), “”rosa invidiata” (v. 44); “donna col viso cleri” (v. 51); “vitama”(v. 71); • Iperbole “per quanto avere ha ‘n Bari” (v. 23); “Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino, / e per ajunta quant’ha lo soldano, / toc[c]are me non pòteri a la mano” (vv. 2830); “Cercat’ajo Calabr[ï]a, Toscana e Lombardia, / Puglia, Costantinopoli, / Genoa, Pisa e Soria, /Lamagna e Babilonïa [e] tut[t]a Barberia (vv. 61-63); • Perifrasi “li cavelli m’aritonno” (v. 10); • Metafore “este focora” (v. 3); “caderia de l’altezze” (v. 46); “penne penzasti mettere, sonti cadute l’ale” (v. 73); “d’esto forte castiello” (v. 77). • Adynaton “Lo mar…asembrare” (vv. 7-8)

Commento La poesia Rosa fresca aulentissima appartiene al filone della cosiddetta “poesia giullaresca”, molto sviluppato nel Medioevo e così chiamato perché di solito tali componimenti erano trasmessi oralmente dai giullari, poeti vaganti, di condizione sociale non elevata, ma di buon livello culturale.

Spesso i testi sono anonimi; in questo caso, ci è stato trasmesso dalle note dei manoscritti rinascimentali il nome di Cielo D’Alcamo: la lingua impiegata ci fa capire la sua provenienza siciliana. Si tratta di un testo composto da trentadue battute dialogiche alternate di un uomo e di una donna, che, a poco a poco, cede al corteggiamento dell’uomo e gli si concede. Ciascuna strofa corrisponde alla battuta di uno dei due protagonisti (tecnicamente questa forma poetica è detta “contrasto”). Il testo, probabilmente destinato alla recitazione pubblica, costituisce un’evidente parodia del modello provenzale cortese, in cui era frequente il genere della “pastorella”, ossia un dialogo tra un cavaliere e una pastorella che egli tentava di conquistare. Qui, a termini aulici e metafore tipiche di quella letteratura, si affiancano costantemente, con intento satirico, proverbi e immagini popolaresche, oltre ad espressioni dialettali; inoltre, a iperbolici complimenti si alternano brutali ordini. La metafora iniziale della rosa, il motivo della ferita d’amore, il viso luminoso della donna sono motivi tipicamente cortesi, che vengono, tuttavia, messi in ridicolo, poiché inseriti in una concezione dell’amore materialistica e prettamente fisica, con una concretezza tipica del mondo popolare a cui appartengono i due dialoganti, che, con ogni probabilità, sono un giullare e una contadina, che cercano di imitare goffamente i raffinati modelli cortesi, facendo però continuamente emergere la loro reale condizione sociale bassa. Cielo D’Alcamo costruisce un dialogo particolarmente vivace e si dimostra raffinato e colto, in quanto manifesta una buona conoscenza della letteratura cortese e delle regole metriche: è evidente che per poter parodiare la letteratura ufficiale ed elevata, egli deve conoscerla molto bene. L’obiettivo polemico è soprattutto la ritualità dell’amore di tipo cortese e i suoi schemi eccessivamente rigidi. Contribuiscono alla resa comica i tratti decisamente anticortesi della donna, la messa in scena del desiderio sessuale e le risposte aggressive, oltre alla già citata commistione di termini e registri linguistici, che permea ogni battuta del testo. La rosa con cui si apre il componimento è metafora della femminilità e dell’amore; inizialmente, la donna appare ritrosa e sprezzante; il primo cambiamento nel suo atteggiamento si nota ai vv. 66-70, in cui la donna si dichiara disposta a sposare l’uomo, purché lui la richieda ufficialmente in sposa ai genitori. La base linguistica è analoga a quella della coeva scuola siciliana, ma il testo contiene altresì moltissimi latinismi, oltre ad alcuni gallicismi e provenzalismi....


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