Documentario - Adriano Aprà PDF

Title Documentario - Adriano Aprà
Course Storia del Cinema Italiano
Institution Università degli Studi di Padova
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Riassunto descrizione del documentario e spiegazione...


Description

“Documentario” di Adriano Aprà 

Il dilemma vero/falso

C'è un rapporto ontologico con la realtà filmata, che si pretende restituita sullo schermo come si è manifestata davanti alla macchina da presa, senza mediazioni. Il film è il documento di tale realtà, la prova che le cose si sono svolte come risultano proiettate. Il cinema di finzione rappresenta invece una realtà mediata, manipolata dal regista per esprimere ciò che ha immaginato. È una realtà messa in scena. L'effetto magico di illusione di realtà che il cinema di finzione produce viene, per così dire, sospeso nel documentario. Nella pratica, le cose stanno un po' diversamente da come possono essere definite in teoria. Il fotografo e cineasta Curtis usò nel 1914 le locuzioni materiale documentario e opere documentarie per definire i propri film sui pellerossa. La critica storica tende però ad attribuire l'impiego cosciente del termine al cineasta e produttore scozzese John Grierson che, recensendo Moana di Robert Flaherty, parlò di «valore documentario» del film, per poi teorizzare il genere in vari saggi scritti nel 1932-1934 su «Cinema quarterly». Va notato tuttavia che Grierson ritiene il valore documentario di Moana secondario rispetto al suo valore estetico, ponendo con ciò il dilemma proprio del genere. La messa in scena, congenita al cinema di finzione narrativo con attori, non è, né può essere, estranea al documentario. Con l'introduzione del sonoro, che pure incrementò con la presa diretta l'impressione di realtà, non va sottovalutata la mediazione del microfono e del missaggio, e poi, in proiezione, quella di amplificatori e altoparlanti. La realtà, in altre parole, è sempre, nel d. come nel film di finzione, una realtà 'registrata', quindi mediata, 'impura'. Flaherty, considerato il padre del genere, realizzò film, assai belli, con strutture narrative precise, pur se dissimili da quelle tipiche del film di finzione, e interpretati da attori, anche se non professionisti, chiamati a rivestire i panni di personaggi più che a essere sé stessi. A questa irrisolvibile impasse teorica, o definitoria, si oppone tuttavia il buon senso, che fa istintivamente distinguere il film costruito per raccontare una storia inventata da quello che racconta una realtà attuale. Forse non si dovrebbe dire racconta ma descrive, riporta, registra, documenta, o parlare come i cineasti anglosassoni di factual film, o come quelli sovietici di cinema 'fattografico' o 'non recitato'. Ma si resta sempre nell'ambito di definizioni in negativo, che trovano il loro senso in opposizione al cinema di finzione dominante, mentre mancano definizioni in positivo, forse perché solleverebbero troppe contraddizioni nel cinema. Gli anni del muto Fu un documento scientifico negli esperimenti protocinematografici fatti negli anni 70 dell'800 dallo statunitense Eadweard Muybridge e dal francese Étienne-Jules Marey, dove la moltiplicazione di scatti fotografici ravvicinati consentiva l'analisi del movimento, così scomposto, di animali o di esseri umani. Contemporaneamente, fra le evoluzioni e i perfezionamenti degli spettacoli della lanterna magica si distinse il prassinoscopio del francese Émile Reynaud, che si situava sul versante opposto delle 'attrazioni', utilizzando non fotografie ma disegni in rapida successione, che davano l'illusione del movimento. Le 'vedute' che componevano i loro cataloghi si aprivano alla realtà, al contrario di quelle di Edison e di altri pionieri, come il francese Georges Méliès e il catalano Segundo de Chomón, che portarono alle estreme conseguenze la concezione del nuovo mezzo come trucco.

Non mancava peraltro nei cataloghi Lumière qualche 'veduta fantasmagorica', come non mancavano 'vedute all'aria aperta' in quelli di Méliès e di de Chomón. Questa commistione si evolse successivamente nella composizione dello spettacolo cinematografico, dove il feature, il 'pezzo forte', cioè il film di finzione, era preceduto da cortometraggi, cinegiornali, comiche, pubblicità, secondo i casi e le epoche. «Nelle vedute non c'è quell'impulso alla drammatizzazione e quel senso del ritmo che caratterizzano il cinema di finzione coevo, dove il montaggio viene piegato in modo sempre più evidente alle esigenze narrative e di intervento ideologico. Le vedute tendevano a produrre la sensazione che il soggetto filmato preesistesse all'atto della ripresa o che l'evento si sarebbe verificato comunque, anche in assenza della macchina da presa. La qualità più caratteristica delle vedute è il modo in cui esse mimano l'atto del guardare e dell'osservare. Nelle vedute l'aspetto decisivo rappresentato dalla relazione fra il soggetto e la macchina da presa. Le vedute inscenano davanti a noi quella pulsione a 'guardare soltanto' che è così centrale per la nostra epoca moderna». 

Il cinema esplora

Fu importante, agli inizi, il 'film di viaggio'. La possibilità offerta dal nuovo mezzo di abolire le distanze riproducendo luoghi lontani venne sfruttata da subito, a cominciare dai Lumière, a fini non solo documentari ma ben presto anche pubblicitari, per promuovere il turismo. Si ricordino, per fare un solo esempio, gli Hale's Tours , promossi fra il 1905 e il 1912 dallo statunitense George C. Hale. Nacquero i primi film di esplorazione vera e propria: The great white silence di Herbert G. Ponting, primo rimontaggio dei materiali da lui girati al seguito della tragica spedizione di R.F. Scott nell'Antartico nel 1910-11, utilizzati dapprima in appoggio a conferenze, quindi ulteriormente rielaborati nella versione sonorizzata del 1933, 90° South; South di Frank Hurley, su un'altra spedizione al Polo Sud, quella di E. Shackleton. Successivamente va citato almeno: sempre in Gran Bretagna, The epic of Everest di Joel B.L Noel. L'evoluzione del d., come sottolineò Grierson nel 1932, è «da una banale descrizione del materiale naturale a una elaborazione o rielaborazione creativa di tale materiale», o, come recitava il titolo di una retrospettiva del Museum of Modern Art di New York del 1939: The nonfiction film: from uninterpreted fact to documentary, o ancora, come dice Gunning, dalla concezione del film come puro sguardo a quella del film come discorso, affidato al montaggio e alle didascalie. Tale evoluzione viene tradizionalmente identificata in due lungo-metraggi, Nanook of the North di Flaherty e Kinoglaz di Vertov. La pretesa di entrambi di «cogliere la vita sul fatto» è corretta da Flaherty con il desiderio di narrativizzare, e a volte di mettere in scena gli eventi rappresentati, e da Vertov con quello di piegarli, attraverso un elaborato lavoro di montaggio e con didascalie non descrittive, a un discorso fortemente ideologico. 

Il documentario urbano

La realtà rappresentata era riscoperta non più come lontana e misteriosa ma, guardata con altri occhi, come presente a fianco della comune esperienza quotidiana. La critica della realtà divenne anche impegno politico e sociale con i film di Vertov e di Ivens, come Zuiderzee , sulla costruzione della grandiosa diga sul mare del Nord, e, basato in buona parte sullo stesso materiale e con voce fuori campo dell'autore, Nieuwe gronden. Gli anni 30 e la questione del sonoro L'avvento del sonoro alla fine degli anni 20 mise in crisi tanto il cinema di finzione quanto quello documentario, ma in maniera diversa. Le pesanti attrezzature necessarie per la presa diretta del

suono, che restarono in vigore sino alla fine degli anni 50, costrinsero il cinema di finzione a rinchiudersi negli studios, dove esse potevano più facilmente essere gestite. Tanto più sorprendenti sono perciò alcuni coraggiosi tentativi di presa diretta sincrona con l'immagine. Egli utilizzò sincronismo e contrappunto in un gioco di voci, rumori, musica che compongono, con un montaggio incredibilmente articolato, la prima grande sinfonia astratto-concreta del cinema sonoro. Pochi altri film si avventurarono nei primi anni del sonoro sul terreno impervio della presa diretta, e comunque sporadicamente, quando utilizzavano interviste, come in La croisière jaune, Campo de' Fiori , Housing problems degli inglesi Edgar Anstey e Arthur Elton, nonché nei cinegiornali e nei documentari. 

Il suono e la voce

L'introduzione della voce di commento, praticamente sempre maschile, pose il serio problema dell'imposizione di un senso alle immagini, molto più marcato che con le didascalie. Si rischiava non solo la radio illustrata ma anche, dato l'anonimato di una voce onnisciente, non a caso denominata nei Paesi anglosassoni voce di Dio, una sovradeterminazione autoritaria del messaggio. 

Il documentario di finzione

Negli anni Trenta si realizzarono film in cui narrazione e personaggi sopravanzavano gli intenti puramente documentaristici, anche se la narrazione riattivava accadimenti reali e accoglieva le accidentalità delle riprese, e i personaggi erano esseri viventi in un mondo reale incarnati da non professionisti. Si ricordino, ancora in periodo muto, i film di Flaherty, Menschen am Sonntag, Ums täglische Brot di Phil Jutzi, Chang, L'or des mers, il d. svizzero di propaganda socialdemocratica Ein werktag di Richard Schweizer; quindi l'incompiuto ¡Qué viva México! di Sergej M. Ejzenštejn, Redes di Strand e Fred Zinnemann, Man of Aran di Flaherty, girato nell'arcipelago a ovest dell'Irlanda, The edge of the world , girato da Michael Powell nelle isole Shetland, En handfull ris, girato in Tailandia dall'ungherese Paul Fejos e dallo svedese Gunnar Skoglund, Native land, Fires were started di Jennings, sull'opera dei vigili del fuoco durante un blitz tedesco su Londra; sino ai primi assaggi del Neorealismo italiano, che questi film stranieri prefiguravano, come Uomini sul fondo e Alfa Tau! di Francesco De Robertis e La nave bianca di Roberto Rossellini. 

Il film saggio

Un'altra forma di d. 'impuro', che si impose molto più tardi ma di cui è possibile intravedere le tracce nel muto e negli anni 30, è il film-saggio. Esso venne definito, forse per la prima volta, da Hans Richter, a proposito del suo Die Börse als Markt (1939, cm): "Il compito di questo tipo di documentari è quello di rappresentare un concetto. Anche ciò che è invisibile deve essere reso visibile. […] Per riuscire a dare corpo al mondo invisibile dell'immaginazione, dei pensieri e delle idee, il film-saggio può servirsi di una riserva di mezzi espressivi incomparabilmente maggiore di quella del semplice film documentario". 

Il cinema educa

La tendenza non va confusa con quella, assai meno ambiziosa, del cinema didattico, scientifico o sull'arte, spesso realizzato all'interno di istituzioni come, in Italia, l'Istituto Luce. Rispetto a tanti prodotti anonimi , vanno ricordati i cortometraggi scientifici del francese Jean Painlevé e dell'italiano Roberto Omegna, e nel campo dell'arte quelli di Luciano Emmer, che 'narrativizzò' una

serie di opere pittoriche e proseguì la sua attività nel dopoguerra, influenzando autori come Alain Resnais . Chi si pose il problema educativo in maniera strategica fu Grierson che, dopo un'ottima esperienza registica nel muto , promosse e diresse in qualità di producer settori cinematografici di enti pubblici, come l'Empire Marketing Board, dal 1928 al 1933, e il General Post Office, dal 1933 al 1937. Altra forma di documentarismo didattico è quello che deriva da un impegno sociale e politico. Roosevelt utilizzarono il d. con intenti progressisti di propaganda democratica, e a volte decisamente di sinistra. In questo ambiente politicamente impegnato ruotarono e operarono anche cineasti noti come Ivens, con Power and the land , sull'elettrificazione delle campagne, e Flaherty, con The land. Più direttamente legati alla politica governativa, e anche stilisticamente meno innovatori, ma più famosi, sono i d. di Pare Lorentz, The plow that broke the plains e The river. 

Il cinema fa propaganda

Nei regimi dittatoriali il d. si piegò in maniera più diretta e univoca alle esigenze propagandistiche. In Unione Sovietica, le esperienze avanguardistiche del muto e dei primi anni del sonoro vennero criticate in campo documentaristico forse più che in quello della finzione. Si lasciò mano abbastanza libera al globetrotter Ivens per Pesn′ o gerojach ‒ Komsomol; ma Vertov ebbe enormi difficoltà, di cui risentì Tri pesni o Lenine, fino a essere ridotto a opere impersonali o al silenzio, destino che lo accomunò alla Šub. In Giappone, Tatakau heitai di Kamei Fumio fu proibito e distrutto dalle autorità. In Germania si manifestò lo straordinario talento di Leni Riefenstahl con Triumph des Willens e Olympia in due parti: Fest der Völker e Fest der Schönheit . Nel dopoguerra la regista respinse puntigliosamente, e inutilmente, le accuse di connivenza con il regime, rivendicando la propria indipendenza artistica; la sua resta tuttavia un'estetica del «fascino fascista» , anche se di grande, e moderna, elaborazione tecnica e formale. Un altro veicolo della propaganda nazista, oltre al cinegiornale Deutsche Wochenschau, furono i 'Kulturfilme' (film educativi), riassemblati criticamente anni dopo in Deutschlandbilder di Hartmut Bitomsky e Heiner Mühlenbrock. In Italia l'approccio propagandistico del d. fu in genere più morbido e meno efficace. Fra gli esempi migliori, Dall'acquitrino alle giornate di Littoria , Il cammino degli eroi , sulla guerra d'Africa, e Milizie della civiltà sulla costruzione dell'E 42 (il quartiere EUR di Roma) di D'Errico, La battaglia dello Jonio e Mine in vista di De Robertis. 

Il documentario di guerra

La guerra offrì al d. un terreno propizio. Negli Stati Uniti vennero richiamati importanti cineasti hollywoodiani per realizzare, da militari, una serie di film di propaganda destinati sia alle truppe sia, in alcuni casi, ai civili. Frank Capra supervisionò per il Sig-nal Service Photographic Detachment dell'esercito la serie di medio e lungometraggi Why we fight , Know your ally ‒ Britain , Know your enemy ‒ Germany e Know your enemy ‒ Japan , questi ultimi due ritirati, e altri, come The negro soldier di Stuart Heisler. Furono coinvolti anche in URSS registi di film di finzione, a volte per film di montaggio, come Aleksandr Dovženko , Sergej I. Quasi tutti questi film conservano un epos non intaccato da intenti propagandistici, secondo la migliore tradizione sovietica. De Robertis, che promosse il Centro cinematografico del Ministero della Marina, realizzando o producendo, in accordo con l'Istituto Luce, una serie di film, già citati, di notevole interesse e quasi sempre privi di retorica, anche se di impianto militaristico di Jennings, ma anche in opere più

legate alla guerra combattuta, come il 'documentario di finzione' Target for to-night di Watt o film di montaggio come Desert victory di Roy Boulting o The true glory di Garson Kanin e Carol Reed. Il dopoguerra e gli anni 50 Le cinematografie dei Paesi vincitori e vinti, dopo la guerra, si ritrovarono unite nella condanna di un'esperienza che aveva coinvolto combattenti e civili, aprendo gli occhi su una realtà nuova fatta di atrocità, sensi di colpa, miseria. L'innocenza dello sguardo, anche quando poteva diventare in buona fede propaganda, andò persa; un nuovo sguardo, e un nuovo realismo, accompagnarono gli anni della difficile ricostruzione. 

Il cinema nei lager

Emblema di questo mutamento epocale fu la scoperta dei campi di concentramento nazisti. Il cinema fu in prima linea per testimoniare, con oggettività surreale, ciò che le truppe di liberazione scoprirono al loro arrivo. Compilate organicamente in alcuni film o lasciate allo stato di 'giornalieri', queste immagini risultarono troppo atroci e deprimenti per le autorità, che le ritirarono dalla circolazione o le secretarono. Lo stesso avvenne con le immagini del disastro atomico. Una nuova generazione vide con i propri occhi ciò che molti sapevano ma non dicevano. La crudeltà di questi eventi, di questo cinema, segnò anche l'ingresso del d., privo ormai di innocenza, nella modernità. Il vasto materiale archiviato dai militari alleati fu utilizzato in vari film di montaggio che ricostruirono criticamente la parabola nazista. 

Per non dimenticare

Gli archivi servirono anche per riscoprire altri periodi della storia: Paris 1900 di Nicole Védrès, Cavalcata di mezzo secolo di Emmer, Das Lied der Ströme di Ivens, sul movimento sindacale mondiale, Nezabyvaemye gody di Kopalin, fino a All'armi, siam fascisti di Lino Del Fra, Cecilia Mangini, Lino Miccichè, Mourir à Madrid di Frédéric Rossif, 14-18 di Jean Aurel, e molti altri. 

Documentario formale

Allontanandosi dalla guerra, il d. ritrovò l'ambizione, ormai quasi dimenticata, di un realismo controllato dalla forma, dove montaggio, musica e voce fuori campo si intrecciano in composizioni altamente stilizzate. 

Ritorno alla realtà

Al Festival di Cannes del 1946, non furono solo i film neorealistici italiani a colpire, ma anche Farrebique di Georges Rouquier, d. narrativizzato, in presa diretta, che segue per un anno intero una famiglia contadina nel villaggio omonimo della Francia centro-meridionale. È una realtà che il regista conosceva bene e le vicende furono ricostruite con le stesse persone che le avevano vissute. La verità veniva colta attraverso una finzione quasi inavvertibile. In Rouquier emerge invece il sapore del vissuto, di una realtà colta sul farsi nonostante la ricostruzione. La realtà premeva nuovamente per essere 'colta sul fatto', dopo essere stata splendidamente 'inquadrata'. Vittorio De Seta girò in Sicilia, a colori, sette cortometraggi, senza musica né commento, ma con suoni registrati sul posto, su un mondo destinato di lì a poco a scomparire . Negli Stati Uniti, James Agee, Janice Loeb e Helen Levitt girarono con una cinepresa 16 mm nascosta, muto, In the street , definito giustamente «la quintessenza del documentario» .

Agee come sceneggiatore e Meyers come regista realizzarono in 16 mm The quiet one , un film di finzione su un bambino nero di Harlem, così dissimile per il suo realismo da quelli hollywoodiani da sembrare un documentario. In Gran Bretagna, sotto l'etichetta Free Cinema , si riallacciarono a questa tendenza ex critici come Lindsay Anderson e Karel Reisz, che entrano con immediatezza nelle realtà urbane periferiche, grazie anche alla presa diretta e a una macchina da presa molto mobile, e nonostante la sovrapposizione di musica e commento. Su un fronte diverso, il documentarismo approdò al moderno con le teorizzazioni di Cesare Zavattini, che prefigurò tendenze come il film diaristico e autobiografico, il cinema-verità e il filmsaggio, e che nella pratica, a parte i suoi contributi di sceneggiatore, coordinò con Riccardo Ghione e Marco Ferreri L'amore in città e promosse Siamo donne che, pur essendo in massima parte film a episodi di finzione, propongono con la loro struttura un'idea di giornalismo o di inchiesta pretelevisiva e quasi autoriflessiva sul mezzo impiegato. Nel 1958, con Lettre de Sibérie, girato in 16 mm, Chris Marker portò alle estreme conseguenze il dilemma verità/finzione del documentario. In India, nel 1957, R. la tendenza saggistica si fece strada anche nel film sull'arte, dal citato Guernica a Le mystère Picasso di Henri-Georges Clouzot, a Picasso di Emmer, rielaborato anni dopo in Incontrare Picasso. 

Documentarismo in grande

Negli stessi anni operavano in direzione opposta cineasti che sfruttavano il d. per spettacolarizzarlo, a spese il più delle volte della verità. Si andava dalla sua utilizzazione per promuovere il Cinerama e altri nuovi sistemi di megaproiezione, a produzioni Disney come The living desert di James Algar, a Le monde du silence di Jacques-Yves Cousteau e Louis Malle. Il documentario moderno e gli anni 60 

Il suono in presa diretta

Coutant modificò con M. Mathot la macchina da presa 16 mm della Éclair, rendendola leggera e sufficientemente silenziosa per non interferire con la presa diretta del suono. Solo nel 1971 il Nagra IV acquisì il pilotaggio al quarzo, che rese macchina da presa e magnetofono indipendenti, mentre la Éclair-Coutant venne migliorata in leggerezza e silenziosità. Para...


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