Fotografia 800 PDF

Title Fotografia 800
Course Storia della fotografia
Institution Università di Bologna
Pages 24
File Size 584.1 KB
File Type PDF
Total Downloads 61
Total Views 139

Summary

appunti esame...


Description

STORIA DELLA FOTOGRAFIA ‘800 1. CAMERA OSCURA Già nel IV sec a. C. Aristotele osservava i fenomeni delle eclissi tramite la “Camera Oscura”, che gli permetteva di non rimanere accecato. Si trattava di una camera completamente buia alla quale era applicato un foro su una delle pareti, attraverso il quale sulla parete opposta si rifletteva l’immagine ribaltata di ciò che stava al di fuori. Anche Da Vinci ne parla nel suo manoscritto “Il Codice Atlantico” nel quale emerge la similitudine tra camera oscura e occhio umano. Questa nasce come strumento scientifico, dal bisogno dell’uomo di conoscere il mondo, ma nel tempo il suo uso si diffonde anche molto nel campo artistico, come strumento capace di realizzare un’immagine ad alta precisione. Da stanza, riduce le sue dimensioni a scatola trasportabile, illustrata per la prima volta nel 1544. Dal XVI-XVII in molti ne fanno uso, in particolare i vedutisti. A metà del ‘500 Gerolamo Cardano inserisce una lente convessa in corrispondenza del foro per aumentare la luminosità e dunque la precisione dell’immagine riflessa. Daniele Barbaro aggiungerà una lente al diaframma. Nel 1646 Kircher progetta il modello a due camere, nella quale una era posta dentro l’altra, e l’artista ricalcava l’immagine riflessa sulle pareti dall’interno. Nel 1685 Johan Zahn mette a punto un modello di camera oscura “reflex”, dove sulla parete di fondo, su cui si proietta l’immagine, è aggiunto uno specchio inclinato a 45°, che ribalta e riflette l’immagine sulla parete orizzontale della camera, dove veniva poi ricalcata. LA PROSPETTIVA RINASCIMENTALE E LA FOTOGRAFIA Nel 1432, nel suo “De Pictura”, Leon Battista Alberti codifica il principio della prospettiva rinascimentale: con essa si poteva riprodurre la realtà tridimensionale su una superficie bidimensionale, mantenendo la profondità, il rilievo e rispettandone i rapporti spaziali. Con la prospettiva albertiana l’uomo moderno si è dato un modo ordinato per vedere il mondo. Giorgio Vasari racconta dello studio della prospettiva e delle sue applicazioni ed evoluzioni: nel ‘400 e ‘500 gli artisti sperimentano vari congegni atti ad applicare le regole della prospettiva, come il “Velo” di Alberti e il “Prospetto grafo” di Da Vinci. La camera oscura diverrà lo strumento più utilizzato dagli artisti. Non si può guardare alle origini della fotografia solo rivolgendosi alla pittura, perché la fotografia va considerata come un universo complesso non svincolabile da tutta la ricchezza di significati e implicazioni che anima la filosofia del fotografico. Ciò significa che non bisogna limitarsi ai rapporti che la fotografia presenta con la pittura, ma tentare di volgere lo sguardo anche alle sue proprietà concettuali, che caratterizzeranno e rivoluzioneranno l’arte del ‘900. 2. VISTA DALLA FINESTRA A GRAS, Nicéphore Niépce (1826-27) L’invenzione della fotografia nascerà nel 1839, dopo sperimentazioni e fallimenti di vari studiosi. Il primo che porta effettivamente sulla strada della fotografia è il francese Nicéphore Niépce, che già dal 1822 sperimenta una speciale resina, il Bitume di Giudea, un materiale fotosensibile che gli permette di ottenere delle immagini di tipo incisorio. Dal 1816 lavora alla camera oscura per riuscire a fissare le immagini proiettate e a mantenerle. Scrive al fratello di aver ottenuto delle immagini in negativo, ma a lui interessa un’immagine positiva e diretta del reale. Dopo circa 10 anni realizza la prima immagine fotografica positiva della storia: “Vista dalla finestra a Gras”. La veduta è un paesaggio di architetture di scarsissima nitidezza, impresso su una lastra di feltro spalmato di Bitume di Giudea e poi lasciata nella camera oscura per 10 ore. Il sole, in questo lasso di tempo, percorre tutto l’orizzonte, finendo per far risultare entrambe le facciate delle architetture colpite dal sole, come una sorta di mezzogiorno eterno, capace di donarci la sensazione di temporalità. In questo modo non è possibile stabilire l’ora della ripresa. Citazione di Alberti:”la prospettiva rinascimentale è una finestra aperta sul mondo”. Niépce battezza il risultato con il termine eliografia, ovvero del sole, e dicendo che l’eliografia è un’immagine spontanea, ci deriva la prima testimonianza protoconcettuale: decreta definitivamente la nascita di un mezzo meccanico in grado di produrre autonomamente delle riproduzioni della visione del reale. Nel 1827 si reca a Londra, per incontrarsi con la Royal Accademy, dove lascerà a Francis Bauer il manoscritto dell’eliografia, alcune fotoincisioni e la veduta di Gras. Incontra Jacques Louis Mande Daguerre, un pittore e scenografo che utilizzava la camera oscura per degli effetti di illusionismo, e stipula con lui un contratto societario. Purtroppo Niépce muore nel 1833, prima di vedere realizzate le sue scoperte, e subentra il figlio Isidore, che parteciperà solo marginalmente e dunque tutto il merito delle scoperte andrà a Daguerre. Il termine “fotografia” verrà coniato da Sir John Hershel nel 1839 (primo anche a parlare di negativo, positivo, istantanea). PROTESI TECNOLOGICHE E PUNTI DI VISTA Secondo la tecnica della litografia, a partire dal 1815, Niépce comincia a spalmare il bitume su lastre di diversi materiali, mettendole a contatto con un’incisione o una litografia rese trasparenti da olio o cera. Espone il tutto alla luce che passando attraverso la cera trasparente indurisce le parti di bitume a contatto

con il sole, lasciando molli quelle coperte dal disegno. Sciacquando via il bitume in eccesso con olio di lavanda, otterrà delle matrici che potrà inchiostrare e stampare a contatto. Queste prime produzioni si chiamano “fotoincisioni”e sono realizzate off-camera. Il concetto espresso da Niépce a proposito di camera oscura come “occhio artificiale”, anticipa in qualche modo l’idea di prolungamento sensoriale del mezzo formulata da McLuhan. Siccome vuole ottenere una copia della natura al massimo della precisione e fedeltà, usa lo stesso procedimento inserendo la lastra dentro la camera oscura, scoprendo con l’uso di lastre d’argento, di poter annerire maggiormente le parti con i vapori di iodio. 3. BOULEVARD DU TEMPLE, Louis-Jacques-Mandè Daguerre Alla morte di Niépce, Daguerre rimane il solo a poter continuare gli studi cominciati dal socio e convince Isidore a lasciare tutti i meriti delle future scoperte solo a sé stesso. Dopo la prova della fotosensibilità dello ioduro d’argento, nel 1835 scopre l’immagine latente: fenomeno secondo il quale una lastra di rame argentata posta in una camera oscura, se a contatto con vapori di mercurio, sviluppava un’immagine copia della realtà. Il mercurio, inoltre, accorcia i tempi di posa a mezzora. Perfezionando la tecnica con una fissazione a base di sale comune e acqua calda, la riduzione dei tempi di posa e sviluppo diviene uno degli aspetti determinanti per la nascita della fotografia. Nel 1837 realizza un’ immagine di una natura morta, ove si può notare il salto di nitidezza e lucidità rispetto alle immagini di Nièpce, che gli assicureranno il successo di pubblico. I materiali e la tecnica non gli consentono ancora di catturare oggetti i movimento, così nel suo “Boulevard du Temple”(1839), Daguerre riesce a fotografare per la prima volta una figura umana, rimasta ferma il tempo necessario dell’esposizione, mentre ciò che si muoveva è andato perduto. Così Daguerre decide di diffondere la sua invenzione, contattando François Domonique Arago, fisico e membro della camera dei deputati, che, con l’intento di far acquisire allo Stato francese i diritti per il brevetto e diffonderlo mondialmente, presenta al mondo, il 7 gennaio 1839, all’Accademia delle Scienze di Parigi, l’invenzione di Daguerre il “Dagherrotipo”. Il Dagherrotipo fissava una porzione di mondo che lasciava la sua traccia diretta e positiva su una lastra sensibilizzata, producendo un’unica copia invertita a dx e sx in positivo diretto. Il successo è immediato, i Dagherrotipi venduti e autenticati da Daguerre danno il via a una diffusione dell’invenzione. I Dagherrotipi erano custoditi in astucci di velluto per non sciuparsi, sono di tipo affettivo, voyeuristico. Nell’agosto dello stesso anno viene presentato anche all’Accademia delle Belle Arti: prima volta in cui la fotografia viene rappresentata come strumento utile all’arte. Con il tempo cadrà in disuso per la mancanza di riproducibilità tecnica. IL FASCINO DELLA COPIA UNICA Citando Walter Benjamin, l’opera d’arte stava entrando nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, a scapito dell’unicità. Tuttavia s deve ribadire la salvaguardia profonda della concettualità del dagherrotipo come impronta e indice del mondo. La scelta dell’unicità non è affatto sparita nel contemporaneo, ma si ripresenta in nuove forme come quella della Polaroid e della Fototessera. Nel 1947 l’americano Edwin Land, per i capricci della figlia impaziente, mette a punto la tecnologia della Polaroid, un apparecchio a sviluppo immediato (Polaroid da lenti polarizzate fatte di materiali polarizzanti). A metà anni ’60 la Polaroid Land Corporation ha venduto 14 milioni di apparecchi in tutto il mondo. La tecnica Polaroid è assai raffinata: la pellicola consiste in un’emulsione negativa e carta positiva avvolta su due rulli separati, tramite dei gusci contenenti prodotti chimici; fatta la foto si tirava una linguetta che faceva passare la carta, il negativo e i gusci attraverso i rulli, i gusci si rompevano e le sostanze chimiche mescolano negativo e positivo, trasferendo il negativo sulla carta, dove si formava il positivo. “Polaroid è la più tattile tra le fotografie”, lo dimostra l’attrazione che ha esercitato su tantissimi artisti, come Mapplethorpe, Warhol, Nobuyoshi Araki.. Anche il cinema ne ha tratto ispirazione dalle sue caratteristiche speciali (Christopher Nolan, Kubrick). Anche oggi la Polaroid è più viva che mai, dai vecchi amanti del vintage a Lady Gaga. 4. FINESTRA CON TELAIO A GRIGLIA, William Henry Fox Talbot (1835) Contemporaneamente, a Londra, l’inventore William Henry Fox Talbot, decide di comunicare anche lui i risultati dei suoi esperimenti alla Royal Institution di Londra, dove nel 1839, grazie al fisico Faraday, egli stesso leggerà un testo esplicativo del metodo da lui individuato. Racconta di aver avuto un’illuminazione durante un viaggio in Italia dove, non essendo un buon disegnatore, faceva uso della camera di Wollaston per disegnare i paesaggi. Stanco di questo metodo e desideroso di una riproduzione diretta della natura, usa le sue conoscenze chimiche per sviluppare “disegni fotogenici”: carta spalmata di sostanze fotosensibili con oggetti naturali o merletti sovrapposti, il tutto veniva esposto alla luce del sole e dopo un po’ di tempo, tolti gli oggetti lasciavano un’impronta in negativo mentre il resto risultava annerito dalla luce (immagini offcamera). Applica le sue scoperte alla camera oscura e nel 1835 ottiene il primo negativo della storia: “Finestra con telaio a griglia”. Ancora una volta finestra come metafora della fotografia. Il dagherrotipo era una copia unica, precisa, lucida, bella da vedere, la fotografia di Talbot era sgranata e indefinita a causa del

supporto cartaceo. Alcune modifiche la miglioreranno portandola al brevetto nel 1841, universalmente noto come “calotipia” (dal greco Kalòs:bello). Nel 1844 Talbot crea il primo libro fotografico della storia “The pencil of nature” in cui le calotipie erano incollate direttamente sulle pagine, avvertendo il lettore che quelle immagini erano state scattate senza l’ausilio del pennello o dell’uomo, ma sono immagini create dal sole, automatiche. Talbot esalta proprio l’automaticità impassibile del mezzo. Ha raggiunto il sogno di secoli, duplicare in maniera perfetta la realtà senza l’ausilio del pittore. I suoi soggetti sono: paesaggi, granai, piccoli oggetti e la famosa scopa appoggiata sullo stipite della porta. Alla fotografia sono necessarie 3 cose: soggetto, macchina e fotografo. La pittura è invece legata alla fantasia. LA SCRITTURA DELLA LUCE Johann Heinrich Schulze e Thomas Wedgwood avevano fatto nel ‘700 dei tentativi per individuare le sostanze chimiche fotosensibili. Schulze scopre che l’acido nitrico, mescolato all’argento scurisce al sole, mentre Wedgwood, collaborando con il chimico Davy, prosegue la sua scoperta realizzando immagini a contatto come i disegni fotogenici di Talbot, senza però riuscire a fissarle. Nel ‘900 molti artisti utilizzano questa tecnica, gli off-camera, come Man Ray e i Rayographs, Mohol-Nagy e i fotogrammi, e Christian Schad con le Schadografie, tutti rivendicano l’invenzione. Per Man Ray è un procedimento ambiguo, sospeso fra l’attrazione verso le poetiche dell’automatismo antiautoriale e un piacere visivo, formale della composizione. È un classico esempio di artista novecentesco in bilico tra forze contrapposte, come anche gli altri due: formalismo prevale sul concettualismo. 5. AUTORITRATTO IN FIGURA DI ANNEGATO, Hippolyte Bayard (1840) Con questa immagine sgranata e non ben definita, viene dichiarata pubblicamente la morte di Hippolyte Bayard, che inscena la sua morte attraverso il mezzo fotografico, come annegato nella Senna. Anche lui nel 1839, dopo l’annuncio della nascita della fotografia, si appresta a presentare le sue “imagés photogénées”, ovvero immagini positive dirette su carta sensibilizzata con ioduro d’argento, ad Arago. Questi verifica i risultati ottenuti da Bayard ma lo ignora e lo paga per il suo silenzio e non distogliere lo sguardo dal Dagherrotipo. Bayard organizza una sua personale esibizione di immagini, che passa alla storia come prima mostra pubblica di fotografia. Non accettando di essere liquidato dal governo francese, escogita una vendetta, ovvero l’immagine del 1840 in cui viene fotografato seminudo come un morto annegato, intitolata “le Noyé”, mentre sul retro scrive “povero signor Bayard che aveva scoperto la fotografia ma non gli era valso nulla, quindi dato che per il governo francese non c’era posto per lui, si era tolto la vita.”Non è solo il primo corpo nudo in fotografia, ma anche il primo falso, messo in atto da una macchina che attesta il vero. È dunque una specie di proto-bodyartista, la prima performance fotografica della storia. Barthes l’ha definita “una micro esperienza della morte”. IL RECUPERO FOTOGRAFICO DEL CORPO Barthes ha definito la fotografia “un cordone ombelicale che collega il corpo della cosa fotografata al mio sguardo, […] pelle che condivido con colui/colei che è stato fotografato.” Da questo momento tutti gli artisti hanno sentito il bisogno di mettere nel loro lavoro la dimensione performativa e la presenza del corpo, ricorrendo anzitutto al mezzo fotografico. Dalla fine degli anni ’60 e ’70 del Novecento, il corpo fotografato è diventato oggetto primario nelle operazioni artistiche della Body Art. Privata di ricercatezza formale e tecnica, la fotografia di questi anni diviene l’emblema della concettualità, realizzando con immagini in b/n, sciatte e sgrammaticate, la narrazione e presentazione di nuovi corpi liberati dai tabù e stereotipi sociali e culturali imposti, esperendo la realtà in prima persona. I body artisti sono protagonisti delle loro immagini, come Bayard, ostentano la loro pelle per vedere i propri limiti e verificare la propria corporeità (Rainer, Pane, Penone), ma anche chi vorrebbero essere e quali mondi vorrebbero abitare (Ontani, Luthi). Il corpo e le performance fotografiche si sono poi sempre arricchite di nuovi spunti, come i Film Stills della Sherman, gli scatti sadomasochisti di Mapplethorpe, o l’artificializzazione del corpo di Orlan. 6. IL GIOCOLIERE, Eugène Disderì (1860) Nel novembre del 1845, Eugène Disderì brevetta un nuovo apparecchio fotografico in grado di realizzare delle immagini di piccole dimensioni chiamate “cartes de visite”. Questa macchina è dotata di più obiettivi ed è quindi in grado di scattare dalle 4 alle 8 foto dello stesso soggetto, riprese sulla stessa lastra, da cui vengono tirate delle stampe positive tagliate singolarmente e incollate su dei cartoncini (6x10 come i biglietti da visita). Usate poi effettivamente come documento personale, dietro alla fotografia c’erano scritti i dati personali. Tutti si riversano nell’atélier di Disderì per farsi fotografare con il nuovo formato e molti clienti danno il via a situazioni paradossali e al limite dell’anarchia estetica durante le pose, arrivando con costumi teatrali, oggetti che richiamano la mitologia e la storicità, costumi carnevaleschi.. Insomma viene a mancare la serietà dell’artista, perché mancando un autore per via dell’automaticità del mezzo, la gente si sentiva

libera di sfogare la propria fantasia davanti all’obiettivo (anticipazioni performance body art). Vista l’effettiva economicità e le sue misure perfette per essere inserita in un album da famiglia o valere come ricordo e oggetto concettuale, la carte da visite apre la strada verso la massificazione della fotografia. Francesca Alinovi nel 1981 affermava che “la carte da visite era la prima fototessera o fotospia segnaletica della storia”. (ha ispirato le fototessere) L’AUTOMATISMO FOTOGRAFICO Nel 1889 i soci Carquerot e Guillaumot brevettarono il “car photographique” ovvero un carro nel quale si spingeva un bottone e appariva un otturatore dell’apparecchio che faceva la foto in automatica. In questo modo si apre la strada verso la commercializzazione della prima macchina per fototessere. Già dall’800 dunque ci si può ritrarre senza l’ausilio del fotografo. Ci sono altri prototipi come il “Bosco” o l’”Enjalbert”. Il prototipo infine ufficializzato e brevettato è quello del siberiano Anatol Marco Josepho, che nel 1924 a NY presenta la sua “Photomaton”. Da questo momento le cabine per fototessere viaggiano in tutto il mondo (nel 1926 apre a Broadway il primo salone fotografico automatico). La fotografia automatica diventa una necessità sempre più richiesta dai sistemi sociali, basati su controllo e sicurezza, che impongono documenti e certificati correlati da fototessere; ma viene usata anche per giocare e mascherarsi, per fare smorfie e performance divertenti come fa nel 1928 Renè Magritte, entrando in una cabina con la moglie Georgette (prima performance photomaton della storia). Anche altri artisti come Warhol o Vaccari ne faranno uso. 7. THE TWO WAYS OF LIFE, Oscar Gustav Rejlander (1857) Nel 1857 un “pittore mancato” di nome Oscar Gustav Rejlander realizza il primo fotomontaggio della storia, intitolato “The two ways of Life”. È strutturato come un mosaico, costruito combinando insieme 30 negativi differenti stampati su due fogli di carta sensibile accostati l’uno all’altro. La misura finale è anomala per le fotografie di quel tempo, 40x78 cm, grande formato per alludere ai quadri dell’alta pittura. Rejlander assume una troupe teatrale specializzata nei tableaux vivants. La costruzione finale è chiaramente ispirata ad alcuni quadri storici. Anche il soggetto, la lotta tra il bene e il male, vizio e virtù, è in linea con i gusti retorici e i temi mitologici della pittura dell’800. A partire dalla frase di Delaroche alla vista del dagherrotipo “Da oggi la pittura è morta”, è chiaro che molti pittori abbiano accolto la fotografia con freddezza e diffidenza o solamente come strumento d’ausilio alla pittura, arrivando addirittura a firmare un manifesto che accusa la Francia di aver danneggiato la pittura brevettando la pratica fotografica. Il fotomontaggio, che lui chiama Photographic Composition, è la reazione più immediata da parte di quei fotografi che volevano apparire artisti, difatti questa pratica richiede grande sforzo e laboriosità, manualità post produzione, per contrastare la freddezza della macchina. Il fotomontaggio è l’emblema del Pittorialismo, atteggiamento diffuso tra i fotografi dell’800 che vivevano il complesso di inferiorità rispetto ai pittori, e quindi inseguivano i loro codici e modelli, perché lo statuto dell’artisticità dell’immagine era uno solo: il quadro. La sua opera suscitò critica ma anche entusiasmo. Criticato e censurato per via della troppa presenza di nudo e la profanazione della pittura e di tematiche sacrali, il nudo faceva scandalo perché lo spettatore si trovava davanti a corpi veri, realmente offerti agli occhi del fotografo. Il secondo fotomontaggio della storia, di Henry Peach Robinson, del 1858 prende il titolo di “momento del trapasso” e rappresenta una scena di dolore familiare e privato che viene percepita come disturbante e shoccante. Eppure non c’è sangue o dramma disperato, solo una sc...


Similar Free PDFs