Gilbert RYLE PDF

Title Gilbert RYLE
Author Luca Di marcoberardino
Course Filosofia
Institution Università Vita-Salute San Raffaele
Pages 7
File Size 134.7 KB
File Type PDF
Total Downloads 9
Total Views 142

Summary

Download Gilbert RYLE PDF


Description

GILBERT RYLE – THE CONCEPT OF MIND (1949). 1) RYLE E GLI “ERRORI CATEGORIALI”. Un punto di vista altrettanto critico nei confronti del riferimento a stati intrinsecamente privati è espresso nel comportamentismo analitico di Ryle, autore del libro The Concept of Mind (1949), il manifesto di quella corrente di pensiero. Ryle mira alla soluzione dei problemi posti dal rapporto tra mente e corpo attraverso l’eliminazione degli errori categoriali associati all’uso del linguaggio naturalistico. Questo concetto di errore categoriale è imparentato strettamente con l’idea di violazione della grammatica filosofica sviluppata da Wittgenstein; supponiamo che un turista dopo aver visitato quella serie di edifici, prati, biblioteche, che costituiscono l’università di Oxford domandi: “D’accordo, ho visto edifici, prati, biblioteche, ma l’università dov’è?”. Egli commetterebbe lo stesso errore, per Ryle, di chi cerca di identificare la mente con qualcosa di differente dai comportamenti, o dalle disposizioni comportamentali, che associamo al vocabolario mentalistico. Analogamente, chi si interroga su uno pseudo-problema come il modo in cui la mente influenza il corpo, commette un errore categoriale simile a quello di voler decidere se l’italiano medio abita a Roma o Milano. Per Ryle, quando usiamo espressioni come “desiderare”, “amare” ecc., con esse non designiamo manifestazioni di un’entità invisibile (la mente, lo spirito), logicamente indipendenti dai comportamenti, ma indichiamo proprio certi comportamenti o disposizioni: se dico che Tizio è irritato o irritabile, intendo dire che si comporta (o si comporterebbe in certe circostanze) in questo e quel modo (ad esempio alzando la voce se contraddetto).

LA TEORIA DELLA CONOSCENZA DI SÉ CHE POSTULA UNA PARITÀ FRA SÉ E GLI ALTRI Questa tesi si può argomentare anche grazie alle considerazioni wittgensteiniane sopra ricordate: se il linguaggio è essenzialmente pubblico, l’unico modo in cui possiamo apprendere il significato dei termini mentalistici è osservando il comportamento altrui, non certo scrutando nella mente ( e nemmeno nel cervello) del nostro prossimo. Ryle guarda così con sospetto a ogni forma di riferimento a processi interni, anche quelli accertati da molti comportamentisti, come i movimenti muscolari non percepiti. Egli sviluppa una teoria della conoscenza di sé che postula una “simmetria” o una “parità” fra sé stessi e gli altri: i processi attraverso cui io acquisisco conoscenza della mia mente sono gli stessi processi con cui acquisisco conoscenza della mente altrui. Con le parole di Ryle (The Concept of Mind): «Il tipo di cose che posso scoprire su me stesso è lo stesso tipo di cose che posso scoprire sulle altre persone, e i metodi per scoprirle sono gli stessi […]. In linea di principio, anche se non in pratica, i modi in cui Mario Rossi scopre cose su Mario Rossi sono gli stessi modi in cui Mario Rossi scopre cose su Giovanni Bianchi.»

2) THE CONCEPT OF MIND The Concept of Mind è uno dei frutti più maturi di un modo di intendere e di praticare la filosofia che, con sfumature diverse, ha caratterizzato i primi decenni della storia della filosofia analitica. Negli anni della sua formazione, ispirato soprattutto dal Wittgenstein del Tractatus e dai neopositivisti, Ryle si convince del fatto che l’unico compito della filosofia sia quello di dissolvere i fraintendimenti creati dall’abuso del linguaggio. Abusi e distorsioni linguistico-concettuali hanno generato, nella tradizione filosofica, una lunga serie di pseudo-problemi e di confusi grovigli concettuali: il compito della nuova filosofia, sostiene Ryle, non è provare a fornire l’ennesima pseudo-soluzione a false questioni, ma è invece quello di mettere in ordine il linguaggio, mostrando l’infondatezza e il carattere fuorviante di molti grandi problemi filosofici. The Concept of Mind nasce proprio come il tentativo di applicare queste tesi meta-filosofiche a uno dei più famigerati nodi gordiani della filosofia: la questione del rapporto tra anima e corpo così come l’ha intesa la tradizione cartesiana. Attraverso l’analisi del linguaggio mentalistico ordinario Ryle intende distruggere quello che definisce un vero e proprio mito filosofico. 1 CAPITOLO: LA NATURA DEL MITO FILOSOFICO CHE COSTITUISCE LA “DOTTRINA UFFICIALE” Ogni essere umano ha (o è ) un corpo e una mente, e corpo e mente sono due tipi di cose molto diverse. Il corpo sta nello spazio e nel tempo, è materiale e visibile ed è soggetto alle leggi della fisica; la mente invece sta solo nel tempo, è immateriale e invisibile, non è soggetta alle leggi fisiche ed è legata al corpo da relazioni causali che sono tanto evidenti quanto misteriose. Sempre secondo la “dottrina ufficiale” ogni mente è testimone infallibile del suo privato flusso di coscienza, una vita mentale che è INACCESSIBILE alle altre menti se non per via congetturale. Secondo Ryle, Cartesio e i filosofi post-cartesiani sono arrivati a questa concezione osservando che il pensare, il sentire e il comportamento volontario delle persone non possono essere descritti solo nei termini usati dalle scienze naturali. Da ciò, Ryle suggerisce, si concluse che parole come “credenza”, “desiderio”, o “paura” indicassero stati e processi non-fisici appartenenti a una cosa immateriale, la mente, concepita come diversa dal corpo ma modellata concettualmente sull’esempio del corpo stesso. Questa concezione della mente come “abitatrice” di un corpo fisico viene definita DOGMA DEL FANTASMA NELLA MACCHINA, ove la macchina è, naturalmente, la macchina del corpo in cui il fantasma/mente misteriosamente risiede. E non solo il dogma del fantasma nella macchina è un errore, ma si tratta di un errore speciale, quello che Ryle chiama errore categoriale.

1.1 ERRORE CATEGORIALE Per illustrare la nozione di errore categoriale, che non è definita in modo esplicito, Ryle usa diversi esempi. Il più noto è il seguente. A uno straniero che visita Oxford per la prima volta, sono mostrati un certo numero di edifici, biblioteche, campi da gioco, musei, uffici amministrativi, e così via. Dopo aver visto tutto questo, lo straniero è però ancora curioso, e chiede di vedere l’università di Oxford. Il punto è che questa richiesta tradisce l’idea che l’università sia qualcosa che appartiene alla stessa categoria delle cose che gli sono state mostrate, e questa idea è appunto un errore categoriale. ESEMPIO DEL CONTRIBUENTE MEDIO ESEMPIO DEL NUMERO SETTE ROSSO ESEMPIO DEL MESE DI MAGGIO LUNGO SETTE KM

CAPITOLO 5 : NOZIONE DI DISPOSIZIONE La concezione tradizionale della mente è dunque fondata su una grave confusione concettuale: la collocazione della mente nella “categoria logica” delle cose. Ma se questa è la diagnosi di Ryle dei mali della filosofia della mente tradizionale, quale via d’uscita è offerta? Per capirlo occorre soffermarsi sulla nozione di DISPOSIZIONE. Una DISPOSIZIONE (O PROPRIETÀ DISPOSIZIONALE) è una tendenza ad agire in certi modi in determinate situazioni. E, sostiene Ryle, quando si dice che qualcosa ha una certa disposizione, ciò che si sta dicendo può essere ri-espresso, in una forma più perspicua, attraverso un enunciato condizionale della forma “se..allora”. Quando, ad esempio, si dice che X ha una certa disposizione D, ciò che si sta dicendo è che se X si trova nella situazione S, allora X farà Y, ove Y è la manifestazione della disposizione D. ESEMPI: 1) Quando si dice che il vetro è fragile, ciò che si sta dicendo è che se il vetro subisce un urto di un certo tipo, allora va in frantumi. La fragilità del vetro è dunque una sua disposizione, una tendenza ad agire in un certo modo in determinate situazioni. 2) E lo stesso vale per la solubilità dello zucchero. Se lo zucchero è immerso in acqua, allora si scioglie nel liquido in cui è immerso: la solubilità è una disposizione o una proprietà disposizionale dello zucchero.

NOZIONE DI COMPORTAMENTO I comportamenti sono attività, ossia “cose” come aprire una porta, proferire un enunciato, alzare un braccio e così via. Una disposizione comportamentale è una tendenza a comportarsi in certi modi in determinate situazioni: se il soggetto A è nella situazione S, allora A si comporta nel modo y. Se poi in S e in Y non compaiono termini mentalistici, la disposizione in questione è una disposizione puramente comportamentale. A questo punto è immediato formulare la tesi generale di Ryle circa la natura degli stati mentali Gli enunciati che ascrivono a un soggetto A stati mentali vanno analizzati ricorrendo a condizionali che attribuiscono ad A disposizioni puramente comportamentali, o attraverso asserti che descrivono comportamenti che manifestano tali disposizioni. Il che, passando dal piano semantico a quello ontologico, significa che, per Ryle, gli stati mentali sono identici a disposizioni puramente comportamentali o a loro manifestazioni 1. Per illustrare questa idea, consideriamo uno dei molti esempi di cui il testo è letteralmente disseminato. CAPITOLO 4 : ESEMPIO DELLA VANITÀ. Quando diciamo che qualcuno è vanitoso, ciò che stiamo dicendo è che quel qualcuno, nelle circostanze appropriate, si comporterà in certi modi; per esempio, parlerà molto di se stesso, rifiuterà le osservazioni critiche, cercherà di mettersi in mostra, eviterà le conversazioni sui meriti altrui e così via. La vanità, dice Ryle, è una disposizione puramente comportamentale che non coinvolge neppure in parte presunti “episodi occulti” nella vita privata di un fantasma cartesiano. E l’occorrenza effettiva della vanità è appunto una manifestazione di questa disposizione. Questo è solo uno dei tanti esempi della tesi generale di Ryle. Può essere utile soffermarsi su un altro paio di esempi. CAPITOLO 2: L’ANALISI DELL’AGIRE INTELLIGENTE. Ryle, nel discutere l’agire intelligente, introduce una distinzione che ha avuto grandissima fortuna nella filosofica analitica successiva. Ci sono, dice Ryle, (almeno) due tipi di sapere, il sapere-che, che riguarda la conoscenza di verità, e il sapere-come, un sapere che consiste nell’abilità di fare certe cose. Agire in modo intelligente è appunto una forma di sapere-come. E circa il sapere come agire in modo intelligente Ryle si impegna a sfatare quella che chiama la leggenda intellettualistica secondo cui ogni esercizio di questa forma di sapere-come richiede una previa pianificazione dell’azione che poi viene messa in atto. L’obiezione cruciale è la seguente: ogni pianificazione dell’azione è un atto intelligente, per cui se davvero ogni atto intelligente richiedesse una previa pianificazione dell’azione, allora ogni pianificazione dell’azione richiederebbe un’ulteriore pianificazione dell’azione, il che porta a un inaccettabile regresso all’infinito.

1 Ryle non enuncia in questo modo la sua tesi. Quella appena presentata è una posizione generale ricavabile da quanto Ryle va esponendo quando discute di casi particolari. Vale poi la pena sottolineare che, benché “ufficialmente” Ryle si occupi di concetti e di linguaggio, non è infrequente che si esprima in termini direttamente ontologici.

CAPITOLO 3 : CRITICA ALLA NOZIONE DI VOLONTÀ Il concetto di volontà è un concetto tecnico, come “Ionizzazione” o “flogisto”. Ma a differenza di “Ionizzazione”, e come accede invece per “flogisto”, la nozione di volontà è del tutto inutile e va rigettata. Uno degli argomenti critici che Ryle invoca per sostenere questa tesi è appunto parallelo all’obiezione cruciale contro la leggenda intellettualistica. Chi invoca la nozione di volontà, nota Ryle, sostiene che ogni azione volontaria è causata da un atto di volontà. Un atto di volontà è però a sua volta un’azione. È un’azione volontaria o involontaria? Se è involontaria, allora non ha più senso chiamare “volontaria” l’azione che l’atto di volontà causa. Se però è volontaria, allora, come ogni azione volontaria, richiederà un nuovo atto di volontà che la causi. E questo nuovo atto di volontà, a sua volta, ne richiederà un altro, innescando un regresso all’infinito. Un ultimo aspetto delle tesi di Ryle che merita di essere sottolineato sono le conseguenze della sua analisi comportamentale della mente sulla conoscenza che ognuno di noi può avere dei propri stati mentali. Secondo il modello cartesiano, ogni “fantasma” ha un accesso privilegiato – e infallibile – ai contenuti della propria mente, laddove su tali contenuti le altre menti psosono solo fare congetture indirette più o meno fondate. Ma se la mente è fatta di DISPOSIZIONI PURAMENTE COMPORTAMENTALI E DELLE LORO MANIFESTAZIONI, allora l’accesso ai miei stati mentali non sarà diverso dall’accesso che posso avere agli stati mentali altrui. In entrambi i casi, infatti, i comportamenti saranno L’UNICA evidenza su cui mi potrò basare per attribuire a me e agli altri disposizioni puramente comportamentali e per sostenere che quei comportamenti stessi manifestino tali disposizioni. CAPITOLO 6: I metodi che un soggetto ha disposizione per appurare qualcosa sulla propria vita mentale non sono diversi dai metodi che quello stesso soggetto può usare per appurare qualcosa sulla vita mentale degli altri.  Il libro ha avuto un immediato successo, imponendosi come un esempio canonico di applicazione della cosiddetta “filosofia del linguaggio ordinario”, e come espressione di una forma di comportamentismo molto diversa da quella proposta da psicologi come Watson e Skinner.  Mentre il comportamentismo psicologico ignorava metodologicamente gli stati interni, o ne rifiutava l’esistenza considerando il discorso mentalistico “cartesiano” alla stregua di una teoria falsa, Ryle in The Concept of Mind non si cura della metodologia della psicologia empirica, né rifiuta come falso il discorso mentalistico. Il discorso ordinario sugli stati mentali è, per Ryle, perfettamente accettabile, purché sia chiaro che ciò a cui i concetti mentalistici si riferiscono sono comportamenti e disposizioni al comportamento. L’insistenza sulla corretta analisi concettuale del discorso mentalistico è il motivo per cui alla posizione di Ryle è stato dato il nome di “comportamentismo concettuale” o “logico”.

3) CRITICHE E PROBLEMI Se l’influenza dell’opera è stata straordinaria, va sottolineato che la sua tesi centrale, ossia l’idea secondo cui la mente è fatta di comportamenti e disposizioni al comportamento, è stata immediatamente criticata e, già pochi anni dopo l’uscita del libro, è stata pressoché unanimemente rifiutata come del tutto insostenibile. 1) Putnam ha notato che la tesi di Ryle rende impossibili scenari che sembrano invece ovviamente possibili. Il caso super-attore che in tutte le circostanze adeguate si comporti come fa chi prova dolore: se si segue Ryle occorrerebbe dire che costui prova effettivamente dolore, e dunque che non è neppure un attore. Ma, di nuovo, la cosa appare del tutto assurda. 2) Difficoltà di dare un’analisi in termini di disposizioni puramente comportamentali di certi stati mentali. Cosa dire, ad esempio, della credenza che l’aritmetica è incompleta? O come analizzare in termini comportamentali ciò che sta facendo il pensatore di Rodin? Quest’ultima domanda è stata al centro delle riflessioni di Ryle per molti anni dopo la pubblicazione del libro e Ryle stesso ha infine riconosciuto che nessuna analisi comportamentista dell’attività di puro pensiero può avere successo. 3) Altri problemi sono stati sollevati da CHISHOLM (1957). Si consideri l’enunciato “Laura crede che il whisky è sul tavolo”. Quale condizionale potrà darne un’analisi comportamentale? “Se Laura desidera il whisky, allora si avvicinerà al tavolo e prenderà la bottiglia” sembra essere almeno sulla via giusta per fornire l’analisi desiderata. Il punto è che nel condizionale appena considerato figura un termine mentalistico non meno problematico della credenza che si voleva analizzare. Non sembra esserci modo di fornire analisi puramente comportamentali di questi concetti mentalistici paradigmatici. 4) Ulteriori obiezioni alle tesi di Ryle sono state sollevate da altri filosofi eminenti, come ad esempio LEWIS, che insiste sul ruolo di causa dei comportamenti degli stati mentali, un ruolo che la teoria di Ryle non riconosce. Ma il tramonto della dottrina di Ryle non è dovuto a obiezioni più o meno tecniche del tipo appena considerato, quanto piuttosto alla comparsa e all’affermazione, verso la fine degli anni ’50 del ‘900, di teorie filosofiche e scientifiche non compatibili con quella avanzata da Ryle stesso. E se la tesi filosofica dell’identità tra mente e cervello (PLACE, SMART) ha giocato senz’altro un ruolo nella sconfitta del comportamentismo di Ryle, il vero tracollo della sua tesi, e del comportamentismo tutto, si è avuto con la schiacciante affermazione della cosiddetta “scienza cognitiva classica”, per la quale la postulazione di rappresentazioni mentali “interne”, che Ryle avrebbe considerato come cedimenti cartesiani, è un assunto centralissimo e non discutibile dell’intero programma di ricerca. Nei lunghi decenni del dominio del modello classico in scienza cognitiva, dagli anni ’50 del secolo scorso, si è detto, fino a circa l’inizio del XXI secolo, il comportamentismo di Ryle è stato così considerato pressoché da tutti come una posizione senza speranza, un relitto da consegnare agli archivi della storia su cui era possibile infierire liberamente senza pericolo di contraddittorio.

E tuttavia la recente messa in discussione della scienza cognitiva classica ha fatto sì che Ryle conoscesse una almeno parziale rivalutazione. Sebbene gli esponenti della nuova scienza cognitiva si richiamino molto più spesso ad altri autori, come Gibson, Merlau-Ponty o Heidegger, è un fatto, come ha notato Dennett, che alcuni dei temi tipici della scienza cognitiva “Non classica” – l’abilità non richiede pianificazione mentale, l’intelligenza non ha bisogno di rappresentazioni interne, gli stati mentali non sono nel cervello, la cognizione è strettamente legata all’agire corporeo – siano idee che hanno un’immediata risonanza con temi ryleani a lungo screditati....


Similar Free PDFs