JOSE Arguedas PDF

Title JOSE Arguedas
Course Letterature Ispanoamericane
Institution Università della Calabria
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riassunto della vita e delle opere principali di Arguedas...


Description

JOSE’ MARIA ARGUEDAS: Nasce in Perù nel 1911 e muore a Lima nel 1969. Figlio di un avvocato che gira il Perù per lavoro, e di una donna aristocratica che muore quando Josè ha 3 anni. Soffre molto perché il padre si risposa con una donna che lo tratta malissimo. A causa della scarsa presenza del padre, e dei cattivi rapporti con la matrigna e con il fratellastro, si rifugiò nell'affetto dei domestici di famiglia. La vicinanza in particolare con una donna gli permise di entrare in contatto con le tradizioni degli indios andini e con la lingua quechua. Si trasferisce a San Juan de Lucanas, sempre un paesino tra le montagne, che rappresenta l’unica fonte di salvezza. I critici vedono la fortissima impronta indigena nella sua scrittura. A 14 anni va a Abancay (liberazione perché si allontana dalla montagna). Ha un rapporto conflittuale con il fratellastro che lo tratta come un indigeno. Qui frequenta la proprietà terriera dello zio, che sarà l’esempio della persona più negativa e violenta nella sua opera principale (Los rios profundas). Vive un perenne stato di marginalità. Doppia marginalità. Emarginato dagli indios perché non rispecchia i tratti somatici tipici, ed emarginato anche dalla cultura aristocratica perché non si rispecchia. Sente un sentimento di ORFANEZZA ASSOLUTA. Diventa ossessivo nell’essere accettato ed uscire dalla situazione marginante. Studia lettere all’università di San Marcos e studia anche etnologia (studio del folklore peruviano). Si dedica alla promozione della musica popolare peruviana. Nel 1935 scrive il suo primo libro, Agua. Dal 37 al 38 viene chiuso in prigione. Si sposa, anche sua moglie è appassionata del folklore. Nel 65 divorzia e nel 67 si risposa con una donna più giovane di lui. Nel 69 si suicida nel suo studio. Il suo ultimo libro è ‘El zorro de arriba, el zorro de abajo’. Sopra e sotto rappresentano le Ande e la costa. La narrazione è interrotta da pagine di diario dove racconta se stesso, quindi unisce il mondo fittizio con un mondo estremamente personale. Si suicida perché: 1- Trauma infantile dell’orfanezza della madre; 2- Indole personale (incapacità di vivere la storia d’amore); 3- Tutta la sua vita è stata una lotta per l’emancipazione della cultura peruviana che non avrà mai. Tutte e 3 trattano dell’inadeguatezza, tutto porta al fallimento della sua esistenza. Cortazar, autore del fantastico, scrive sul Telurismo, una lettera legata alla natura. Josè risponde a Cortazar dicendo che non è necessario vivere in un determinato posto per capire quel mondo e Cortazar si infastidisce per quello che ha detto ma sottolinea quello che pensa dicendo che Josè soffre di un complesso di inferiorità. Nel 1969 nel Terzo Diario, Josè dice che Cortazar lo ha colpito e reso nullità, ma lui è un provinciale di questo mondo, perché solo vivendo una cultura si può conoscerla. Dei critici dicono che da questo dibattito Josè ne esce completamente sconfitto. Cortazar però è visto come un traditore che è scappato dall’America Latina per vivere in Europa. Questo può essere considerato un altro motivo che ha portato Josè al suicidio, frustrazione totale e fallimento come scrittore. Nonostante ciò proprio per questo far voler conoscere la vera realtà peruviana è diventato uno degli autori più importanti. In Arguedas esiste un preciso progetto culturale che non deve farci pensare in qualche modo che la letteratura sia al servizio di qualche ideologia, ma piuttosto che lo scrittore ha un forte impegno con la cultura alla quale appartiene. Quindi la letteratura diventa un modo per riscattare la cultura, nel suo caso la cultura andina. Per riscattarla lui aveva una prima possibilità di scrivere in lingua quechua, ma che rifiutò per non rimanere puramente nell’ambito andino e dunque in un ambito di ristrettezza e quasi intraducibilità. Le sue scelte linguistiche possono essere suddivise in due periodi:

- il primo a partire dal quale si fa partire il bilinguismo quechua-spagnolo è l’idea di un meticciato linguistico, che è quella che forma le prime due opere: Agua, una raccolta di racconti e Yawar Fiesta che è un romanzo breve. In realtà però la scelta di Arguendas che lo renderà famoso è l’opzione numero due cioè: - usare un lessico e una morfologia che sono nettamente spagnole, però la sintassi che proviene essenzialmente dalle strutture linguistiche della lingua quechua. Questo darà una grandissima particolarità ai suoi romanzi. Carlos Mariategui è molto importante perché rappresenta una riflessione su quello che è la letteratura indigenista. Marategui èun importante filosofo, antropologo e fondatore del partito comunista peruviano, quindi un intellettuale di importante formazione marxista. Tra i lavori più importanti abbiamo siete ensayos de interpretciòn de la realidad peruana che ha pubblicato nel 1928 e che ha avuto un’influenza enorme in tutti gli scrittori indigenisti peruviani e poi successivamente su tutti gli scrittori che si sono dedicati alla letteratura indigenista. M. fa una netta differenza tra la letteratura indigenista e quella indigena. Quella indigenista è quella che ha come nucleo essenziale il mondo indigeno. Che differenza c’è con quella indigena? Quella indigena è quella che è prodotta all’interno del mondo indigeno, cioè non è più un meticcio che parla di un mondo che non gli appartiene e nel quale vorrebbe entrare, ma è il mondo stesso che si produce una letteratura. Il processo dell’indigenismo è stato suddiviso in vari modi da vari teorici. In genere si parla di indianismo nella prima fase (1889). Nasce alla fine dell’800 quindi con il romanticismo e cerca di riscattare le proprie origini quindi in generale gli scrittori ottocenteschi che si occupano degli indigeni lo fanno con l’intento di riscattare la loro identità, il proprio passato culturale. Inoltre è fondamentale che gli scrittori vogliano denunciare una realtà quindi parlano degli indigeni per far capire le terribili condizioni i cui vivono, la loro esistenza dal punto di vista economico, culturale. Ad esempio il libro “Aves sin nido”, scritto da una donna peruviana e quindi contenente una prospettiva particolare, si configura come un romanzo a tesi, che quindi vuole dimostrare qualcosa. La sua tesi è: la società in cui viviamo è una società profondamente ingiusta e io con questo romanzo lo voglio testimoniare. Il romanzo è incentrato sulla denuncia degli abusi, quindi nel romanzo vi è una netta polarizzazione, da un lato ci sono i cattivi, che sono i bianchi, il sindaco del paese, il prete, tutto ciò che rappresenta il potere occidentale, di ascendenza bianca; dall’altra parte ci sono i buoni che sono gli indigeni che sono sempre buoni e innocenti in modo naturale, cioè il solo fatto di essere indigeni li rende innocenti. Infine si parla di integrazione, vista come una soluzione: gli indigeni devono superare questo stato di arretratezza, rinunciando ai propri costumi, al proprio modo di vedere il mondo, alle loro tradizioni. Quindi non si riesce a conoscere e accettare la diversità, l’unica cosa possibile è la rinuncia alla loro essenza. La seconda fase è quella dell’indigenismo canonico, classico, ortodosso che ha come esempio il libro … che significa “piccole faccende di terra”, i erano dei piccoli appezzamenti di terra che venivano dati a dei contadini. Scritto da … nel 1934 scritto da uno scrittore dell’Equador, paese con una forte componente indigena. Le caratteristiche di questo indigenismo sono: - fortemente legato al regionalismo, la tendenza a raccontare il proprio paese, i propri costumi, di conseguenza si parlerà degli indigeni che ricoprono in Equador circa il 30% della popolazione. Quali sono i difetti di questi romanzi? Innanzitutto questi personaggi non hanno mai una dignità individuale, infatti non vi è mai un personaggio indigeno che si differenzia dagli altri per il suo carattere, la sua storia. Questo ci fa capire che l’autore non riesce a vedere nel mondo indigeno un

mondo particolare, non vede dei singoli individui ma una massa di individui uguali. Questo è necessario sottolinearlo perché nel romanzo si muovono come una massa, fanno tutti la stessa cosa, non vi è un personaggio che si distingue, che ad esempio si innamora. Sono dei personaggi effettivamente animalizzati, sono trattati talmente male, picchiati, sfruttati che alla fine diventano delle vere e proprie bestie. Per quanto uno possa cercare delle giustificazioni diverse, che sono forse i limiti dello scrittore, in realtà colpisce che questi personaggi bestializzati sembrano quasi trattati con disprezzo dal narratore stesso. Lo scrittore è talmente preso dal brutalismo con cui vengono trattati che effettivamente li descrivere come animali. Una scena molto famosa è quella in cui gli indigeni hanno talmente tanta fame che scoprono che una mucca è morta. La mucca viene sotterrata. I personaggi si muovono in massa e da ogni capanna vanno a dissotterrare la mucca per mangiare un po di carne. Poco a poco però arrivano altri contadini per cui inizia una sorta di lotta tra di loro. La portano a casa ai bambini che la mangiano e iniziano a sentirsi male. E i genitori dicono di non vomitarla perché sarebbe un peccato. Quindi possiamo notare una completa ignoranza. Altro elemento fondamentale è che questi personaggi sono mossi, non da pensieri, sentimenti ma solo dagli istinti proprio perché non sono visti come delle persone ma come masse. Hanno sete, fame, freddo, sono stanchi, tutto molto animalesco. E quando alla fine si ha finalmente la rivoluzione, questa finisce sempre allo stesso modo: arrivano i militari che uccidono tutti e la situazione ricomincia di nuovo. Dell’indigenismo classico qui abbiamo una totale assenza di integrazione come soluzione, gli indigeni sono una specie di animali. Dunque quello che suscita un libro come questo è un sentimento di compassione, di grande pena per queste persone, ma quello che manca completamente è la comprensione: a livello politico non si conoscono le cause della loro povertà e della loro arretratezza, a livello culturale non abbiamo notizie sui loro usi, sulla loro lingua, infatti emettono versi più che parole. Quindi da una parte c’è la riproduzione della realtà e dell’altra c’è una totale lontananza tra lo scrittore e i suoi personaggi. Arguedas fa parte dei neoindigenisti. La parola neo indica una novità, che ci riaggancia alla nueva narrativa, di cui fanno parte Donoso e anche Garcia Marquez. Prima di Arguedas, che scrive Los Rios profundos nel 1958, Ciro Alegria scrive due romanzi: Los perros hambrientos (i cani affamati) nel 1938 e El mundo es ancho y ajeno (il mondo è grande e strano) nel 1941. Alegria precede di poco Arguedas. I romanzi di Alegria fanno già parte del nuovo indigenismo. Nei due suoi libri abbiamo il superamento di quasi tutti i problemi che presentavano le due correnti precedenti: vi è il superamento della dicotomia buoni e cattivi, l’eroe non è necessariamente un indigeno ma può essere anche un transculturale. Inoltre questa emarginazione degli indigeni, la loro estrema povertà diventano l’esito di un processo storico, economico e culturale, quindi se gli indigeni sono incapaci di parlare lo spagnolo, sono poveri, sporchi si deve a dei processi storici e politici, ciò significa che la responsabilità non è solo di governi ma anche dei cittadini. Arguedas è il vero rappresentante del neoindigenismo, le cui caratteristiche sono: - elementi mitici; nei romanzi dagli anni 50 in poi si riscontra una notevole presenza di elementi mitici e anche una fortissima presenza di una narrazione epica, una narrazione che ha la presenza di un eroe che segue un cammino che serve a realizzare un preciso scopo. L’utilizzo dell’elemento mitico ha una precisa giustificazione: questi scrittori si sono finalmente avvicinati a queste culture e hanno capito o forse interpretato che il loro modo di vedere il mondo è diverso, che per gli

occidentali è un mondo magico, mitico. La natura, i numeri, la scrittura hanno delle valenze magiche. Quindi gli scrittori riconoscono la cultura di questi paesi. - lirismo; proprio perché questo mondo è diverso da quello occidentale, molto spesso si utilizza la lirica, quindi la metafora, la sineddoche, l’onomatopea, una serie di elementi che appartengono alla dimensione poetica. Lo scrittore non sa descrivere questo mondo in un altro modo che non sia quello poetico, quello più vicino ad una dimensione spirituale. Poco a poco quindi l’indigenismo non è più una descrizione della realtà ma diventa una percezione della realtà. - il linguaggio; la narrativa tradizionale ottocentesca e del primo 900 legata al realismo raccontava questo mondo attraverso un linguaggio canonico e molto tradizionale. Ma se si conosce questo mondo e si sa che la loro cultura si tramanda oralmente, quindi spesso di padre in figlio, si utilizzeranno gli elementi come la ripetizione, che favorisce la memorizzazione, la rima, tutti elementi legati alla tradizione orale e alla musica. Tutta la letteratura precolombiana era una letteratura non soltanto orale ma anche una letteratura in cui la poesia, il teatro erano strettamente correlati alla musica, poiché sono poesie cantate, messe in scena quindi c’è una fortissima presenza del ritmo e dell’elemento musicale - ampliamento del problema indigeno; il problema indigeno non è soltanto relativo alla povertà e all’emarginazione ma è un problema che riguarda tutto lo stato, la nazione. - cambia la tecnica narrativa; si ha una fortissima manipolazione della struttura narrativa attraverso la rottura dell’unità narrativa, del tempo, dello spazio. Tutta questa rappresentazione del mondo indigeno ha una relazione con il real maravilloso. Quindi in tutti questi racconti confluiscono la realtà, il mito, gli archetipi (l’acqua, la terra, il fuoco). A differenza di Marquez che si inventava un mondo e di Donoso che si era inventato un mondo per scappare da tutti i suoi mostri e dalle sue angosce, Arguedas non si era inventato nulla, vuole invece render conto di questo mondo partendo da un elemento, ovvero la lingua quechua che lui parla, quindi lui è già dentro questo mondo e allora il suo obiettivo è partire da una piccola realtà di un villaggio per arrivare a parlare dell’intero Perù. Fa capire ai peruviani come il loro Perù sia un mondo diverso ma soprattutto estremamente degno, è quindi un tentativo di lotta per la dignità del suo popolo. All’interno della sua narrazione notiamo un ampliamento progressivo dei luoghi, si parte da un villaggio piccolino per arrivare a parlare di un’intera nazione e soprattutto da una storia molto semplice arriva ad una molto complessa (passaggio da Agua a El zorro de arriba y el zorro de abajo). Tre principali tappe dello scrittore: - all’inizio lo scrittore parla solo dell’aldea, villaggio piccolo, insieme di poche case, al cui interno si realizza l’opposizione tra il bianco padrone (nistis?) e gli indios. Quindi nella sua scrittura si ha il passaggio dal semplice al complesso, dal luogo piccolo a quello grande. - una seconda tappa in cui i luoghi iniziano ad essere più stratificati, è presente quest’opposizione ma non è possibile individuare i buoni e i cattivi, esistono delle sfumature per il semplice motivo che sono tutti essere umani: gli indigeni non sono ne tutti buoni ne tutti cattivi, sono degli esseri umani - nell’ultima tappa il conflitto diventa molto più ampio e non è il conflitto tra i ricchi e i poveri peruviani ma addirittura tra l’imperialismo soprattutto nord americano che sfrutta il Perù e la nazione peruviana. Uno sfruttamento che per Arguedas ha una portata di negatività gigantesca

non soltanto perché è simbolo di impoverimento del proprio paese, ma una perdita della propria identità. Cesar Vallejo è uno scrittore peruviano precedente ad Arguedas che per lui rappresenta il modello di riferimento. In un libro egli parla dello sfruttamento di una miniera da parte dei nord-americani, tutti i minatori perdono a poco a poco, i loro costumi, la loro identità. È stato uno dei primi a denunciare questa devastazione capitalista della cultura peruviana. Vallejo rappresenta per Arguedas un esempio della transculturation (qualcosa si perde, qualcosa arriva e si crea una nuova identità), nel senso che Vallejo era peruviano, ha vissuto per molto tempo in perù e all’inizio del 900 si è trasferito a Parigi, dove ha scritto due raccolte di poesie molto importanti. È quindi uno scrittore che esprime da una patte la sua cultura peruviana e dall’altro tutto ciò che egli ha sperimentato e conosciuto vivendo a Parigi. Arguedas afferma che Vallejo rappresenta il suo antecedente, era uno scrittore estremamente triste e in questo somiglia molto a lui. Agua rappresenta il primo tentativo di Arguedas di parlare del mondo indigeno (siamo nella prima fase). Nel libro si trova un romanzo il cui titolo è in quechua *Warma kuyay (appartiene al primo volume pubblicato nel 1935 con il titolo Agua), la traduzione è amor de nino, ma nel libro la traduzione non c’è. L’autore ha pubblicato molti libri con il titolo solo in lingua quechua, ma nella narrazione però viene poi spiegato il significato. La chiave di lettura fondamentale per comprendere l’opera risiede nella conoscenza delle vicende infantili che segnarono profondamente sia l’esistenza dell’autore sia la sua produzione letteraria. In questo racconto il protagonista oscilla tra la sfera culturale dei bianchi e quella indigena, alla ricerca della propria identità. Alla prima appartiene per nascita, mentre alla seconda per elezione, una scelta questa determinata dalla profonda empatia che per quell’universo culturale egli avverte. L’inizio non è molto semplice. La narrazione inizia con un’ambientazione (una notte di luna), in un luogo particolare vicino ad un burrone. Subito dopo ci sono quattro righi in corsivo, che rappresentano delle canzoni che Arguedas inserisce nella narrazione e che prende dal patrimonio orale. Vi è poi un dialogo senza conoscere il nome di chi parla, poiché sono elementi che vanno dedotti all’interno della narrazione. È un tipo di scrittura, che a differenza della scrittura realista, non racconta in modo dettagliato. Nel primo capitolo parla di un innamoramento, che presenta attraverso elementi lirici, e dialoghi tipici di una parlata popolare e semplice di un piccolo pese delle Ande. Vi è un bambino, Ernesto innamorato di Justina. Il bambino è bianco e quindi viene identificato dagli indigeni come padrone, invece la bambina, innamorata di un altro, Kutu, è india e per questo motivo gli risponde: “lasciami in pace, vai dalle tue signorine, quelle della tua stessa classe sociale, io sono un’indigena”. Nel primo capitolo Ernesto identifica Kutu come faccia di rospo. Possiamo quindi notare come il bambino bianco ricco, non è necessariamente buono, infatti non ha un’opinione positiva del mondo indigeno (può essere che vede la faccia di rospo per la gelosia, o forse lo identifica così per il semplice fatto di essere indigeno). In questo atteggiamento si delineano una serie di relazioni e comportamenti tra la classe al potere e quella subordinata: disprezzo motivato o immotivato? Questa incertezza rende molto più dinamica la rappresentazione, non buono-cattivo ma delle rappresentazioni diverse. La differenza tra i mondi culturali è quindi evidenziato da alcuni atteggiamenti. L’emarginazione dall’universo culturale indigeno ha luogo per l’esclusione fisica del fanciullo dal circolo delle altre indie, che tenendosi per mano, formano danzando un girotondo e deridono Ernesto. L’interno del cerchio rappresenta un luogo di appartenenza india che resta precluso ad Ernesto e in cui predominano l’allegria, la musica e altri elementi a valenza positiva. Ecco allora che lo spazio assume una connotazione simbolica. Come sottolinea Angelo Marchese

nel racconto possono essere individuati due diversi spazi: spazio topico, in cui si manifesta la trasformazione, e spazio eterotopico, che ingloba il primo precedendolo o seguendolo. A sua volta lo spazio topico si articola in: spazio utopico (del desiderio) e spazio paratopico (reale). Basandoci su questa visione dello spazio narrativo possiamo individuare l’interno del circolo come spazio utopico, poiché Ernesto desidera entrare a farne parte, e l’esterno di esso come spazio paratopico, spazio della sua sconfitta. La sequenza che deriva da questa esclusione può essere sintetizzata in: esclusione – sconfitta – vergogna il primo termine ha valor...


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