Kant-Fichte-Shelling-Hegel confronti PDF

Title Kant-Fichte-Shelling-Hegel confronti
Author Camilla Mastriani
Course Filosofia teoretica
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Summary

Utilissimo confronto, amato dai professori, tra i filosofi più importanti studiati durante l'ultimo anno di liceo. Voto alto garantito! ...


Description

FILOSOFIA PRATICA, MORALITÀ ED ETICITÀ: KANT, FICHTE, HEGEL. Per Kant l’eticità coincide ancora con la moralità. Questa presuppone e a sua volta è garante della libertà dell’uomo: quest’ultima, di fatto, è possibile solo grazie alla capacità umana di autodeterminarsi e, quindi, di essere morale. Inoltre, la moralità kantiana ha validità universale e necessaria, quindi non è un qualcosa di soggettivo e di ipotetico, ma di strettamente categorico, ossia che ordina il “dovere per il dovere”, senza fini o scopi personali. Di fatto, assumendo la forma del dovere, la moralità kantiana riesce a superare la tensione bipolare tra essere e dover-essere. In ultimo, la formalità: secondo il rigorismo kantiano, infatti, la morale non può essere contenutistica, indicando COSA fare o no, ma può solo essere formale, suggerendo al più COME agire, senza perciò perdere i connotati di universalità e anti-utilitarismo. Quasi ad anticipare le critiche di Hegel, Kant, sebbene agnostico, apporrà il secondo e terzo postulato (dell’ “immortalità dell’anima” e del “mondo di Dio”) come meta ultima a cui condurrà una vita trascorsa moralmente e dove verranno riconosciuti meriti o colpe. Anche Fichte condivide il kantiano “primato della ragion pratica”. Spiegando i principi del suo idealismo etico, il filosofo parla dell’io pratico come ragione dell’io teoretico, il cui agire consiste nell’imporre al non-io le leggi dell’io e la cui opera risulta essere morale poiché assume la forma del dovere proprio nel momento in cui l’imperativo fa trionfare lo spirito sulla materia; in sintesi, l’attività morale fichteiana è il superamento dell’ostacolo rappresentato dal non-io e l’ideale etico per eccellenza è la realizzazione dell’infinità dell’io come attività politica e libertà. Con Hegel, invece, nella sezione dello Spirito oggettivo della sua Logica, abbiamo per la prima volta la chiara differenziazione tra morale ed eticità: la prima, infatti, presente come momento dialettico (antitesi) dello Spirito oggettivo, si oppone al diritto astratto per mezzo di una buona volontà, soggettiva, che, come in Kant, vuole superare la contraddizione tra essere e dover-essere. Subentra allora, come moralità sociale, l’eticità, che, in qualità si sintesi, annulla la separazione tra la soggettività e il bene ritornando al diritto arricchito proprio della moralità. Sviluppandosi attraverso il rapporto dialettico “famiglia- società civile- stato”, l’eticità hegeliana è contenutistica, poiché impone suddetti passaggi per essere conseguita, e non presuppone la libertà: è, infatti, lo stato garante della libertà dei cittadini, senza il quale sarebbero solo una “massa informe”. Si assiste così all’annullamento dell’individuo.

ARTE IN KANT, SHELLING ED HEGEL. Segnando il passaggio dall’Illuminismo al Romanticismo, Kant per primo, nella Critica del giudizio, rivaluta il sentimento, in particolare quello del “bello”, il “giudizio di gusto” che si prova di fronte ad un’opera d’arte. Inaugurando il concetto di “estetica” come dottrina dell’arte e della bellezza, l’arte risulta l’oggetto, il fenomeno per eccellenza che permette all’uomo di dare spazio alle emozioni, altrimenti oscurate da una razionalità puramente meccanica e calcolatrice. Grazie al “genio” artistico, che riesce a far trasfigurare la natura in arte, ha inizio la rivalutazione romantica dell’arte. Per Shelling, se la filosofia era riuscita a cogliere la corrispondenza tra spirito e natura, tenendoli però ancora distinti, e la storia ne aveva colto l’unità, rimandandola però sempre al futuro, l’arte è, aristotelicamente, l’organo per eccellenza in grado di esprimere l’Assoluto, Dio, l’unità tra finito ed infinito. Grazie all’ispirazione del genio, colui che riesce a esprimere l’infinito in forme finite, e

attraverso la facoltà umana dell’intuizione, è possibile adesso cogliere l’Assoluto nelle creazioni di un pittore, di uno scultore, di un musicista e via dicendo. Come per Kant, l’arte diventa un sentimento che si prova di fronte ad un’opera d’arte, quale è anche la stessa natura, nient’altro che la creazione artistica di Dio. Da qui la denominazione dell’idealismo shellinghiano come estetico. Secondo Hegel, invece, l’arte, sintesi del processo dialettico dello Spirito Assoluto, permette di conoscere l’Assoluto attraverso un’intuizione sensibile; per cui, shellinghianamente, lo spirito vive immediatamente e spontaneamente la fusione tra soggetto e oggetto, tra spirito e natura. All’interno di questa sintesi, troviamo, secondo una dialettica cronologica, il susseguirsi delle principali forme artistiche nel tempo: arte simbolica, dove la forma prevale sul contenuto; arte classica, quella tale per eccellenza, in cui si ha un perfetto equilibrio tra forma e contenuto e che rimarrà canone di giudizio artistico anche per i posteri del filosofo, come per lo stesso De Sanctis; arte romantica, in cui si ha un nuovo squilibrio col prevalere del contenuto sulla forma, che si rivela a sua volta inadatta a contenere il messaggio spirituale datole, determinando, così, la “crisi moderna dell’arte”. È tuttavia fondamentale notare come l’arte venga a porsi come sintesi dello Spirito Assoluto, quindi tra quegli elementi che superano filosoficamente e praticamente lo Spirito oggettivo, affermandosi come realtà eterne e fondamentali, che prescindono dallo Stato che, sebbene massimamente esaltato dal filosofo, resta comunque transeunte.

LA DIALETTICA IN KANT, FICHTE E HEGEL. Kant per primo recupera il concetto di dialettica, pur senza esaurirne e specificarne la funzione e la struttura. Nella Dialettica trascendentale, a dimostrazione dell’impossibilità di fare dell’ “idea di mondo” una scienza (teologia razionale) e quindi di emettervi giudizi sintetici a priori, egli si serve delle cosiddette antinomie, posizioni assunte dai filosofi passati, empiristi e innatisti, che risultano opposte nella forma di tesi ed antitesi: poiché la dialetticità, per Kant, è solo una facoltà dialogica, ma non logica della mente umana, è impossibile per l’uomo giungere ad una sintesi. Tuttavia, fa eccezione la terza antinomia, quella sulla libertà del mondo, che sarà risolta nella Critica della ragion pratica riconoscendo all’uomo libertà di azione in virtù e a presupposto della sua moralità. La dialettica di Fichte, invece, si snoda in modo distinto secondo i tre momenti di tesi-antitesisintesi, da subito evincibili dai principi della sua dottrina: l’io pone sé stesso o principio di “autocreazione” per rendere possibile l’applicabilità del principio d’identità alle altre cose; l’io pone il non io, affinché abbia un ostacolo da superare e si realizzi attraverso la sua attività; l’io supera il non-io, ma non definitivamente. Come sarà infatti detto da Hegel, che si riferirà al procedimento fichteiano come “cattiva infinità”, questa dialettica risulta aperta in quanto non giunge mai ad una vera sintesi, o meglio, nel momento in cui la raggiunge, questa diventa una sorta di nuova sintesi cui contrapporre un’altra antitesi. In tal modo la realizzazione dell’io è un processo infinito. Praticamente, l’antitesi è il momento fondamentale, che nella sua massima espressione rappresenta un ostacolo “quotidiano” che l’Io, attraverso lo streben, deve superare con l’impegno politico. Hegel fa della dialettica il fondamento, la struttura portante di tutto il suo sistema filosofico. Questa si sviluppa secondo i noti tre momenti, che, anche se non esplicitamente, vengono

delineati con maggiore precisione: la tesi è il momento astratto-intellettuale, della posizione; l’antitesi rappresenta invece il vero momento dialettico, quello della negazione, che permette il progredire del pensiero; la sintesi, momento speculativo, è il ritorno alla tesi arricchita dell’antitesi, che razionalmente chiude il processo in modo finito. La dialettica hegeliana vale sia logicamente, come struttura del pensiero, sia ontologicamente, in quanto viene applicata sia all’individuo sia allo sviluppo dell’umanità, seguendo quindi uno svolgimento filogenetico ed ontogenetico. È perfino possibile applicare questo sistema al filosofo stesso, vedendolo come un ritorno a Fichte arricchito di Shelling....


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