L\'Età della Restaurazione, Marco Soresina PDF

Title L\'Età della Restaurazione, Marco Soresina
Author Carlo Missiato
Course Storia del Risorgimento
Institution Università degli Studi di Milano
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Riassunto L'età della restaurazione di Marco Soresina, parti 1 e 2...


Description

L’età della Restaurazione L’Italia del Congresso Tra i principi di legittimità ed equilibrio propugnati dal Congresso di Vienna, fu il secondo a dominare in Italia. Le preoccupazioni geopolitiche dell’impero asburgico si concentrarono sulla penisola come area di confine tra Austria e Francia. L’Austria costituì all’interno del proprio impero il regno Lombardo-Veneto, inglobando la Lombardia, l’entroterra della Repubblica di Venezia e il territorio ferrarese a nord del Po. Le altre zone italoglotte del Trentino, dell’Istria, della Dalmazia e di Trieste entrarono a far parte dell’Impero e della Confederazione Germanica. Anche la restaurazione della sovranità in Italia centrale fu influenzata dalle esigenze austriache. Il Ducato di Parma fu assegnato a Maria Luigia d’Asburgo, moglie di Napoleone, e alla sua morte ritornò ai Borbone di Francia. Il Ducato di Modena era sotto il dominio di Francesco IV d’Austria d’Este. L’entità statale più grande era il Granducato di Toscana, retto da Ferdinando III d’Asburgo-Lorena, che nel 1847 inglobò il Ducato di Lucca. Nonostante l’egemonia austriaca, la debolezza degli staterelli coinvolti causò non pochi disordini. Nella sovranità di Roma e in quasi tutti i suoi territori italiani venne ristabilita l’autorità della monarchia elettiva dello Stato della Chiesa di Pio VII. Con la “prima recupera” il pontefice riebbe il Lazio e l’Umbria, con la “seconda recupera” delle Marche, dell’Emilia-Romagna e di Benevento. San Marino rimase una repubblica indipendente. La restaurazione nel Meridione ebbe qualche problema in più a causa dell’attivismo di Gioacchino Murat che dopo aver appoggiato il cognato durante i “cento giorni” propose la restaurazione di un regno d’Italia in Meridione ma fu catturato e ucciso dai Borbone. Il Meridione continentale ritornò ai Borbone e nel 1816 nacque il Regno delle Due Sicilie con Ferdinando I (ex III) come re. La dinastia borbonica di Napoli era legata a doppio filo agli Asburgo da una serie di trattati e alleanze: di fatto l’esercito delle Due Sicilie rispondeva ai militari imperiali. Lo stretto controllo austriaci si alleviava solo nel Piemonte dei Savoia: Vittorio Emanuele I possedeva la Savoia, la Liguria e la Sardegna. Anche se i Savoia in realtà erano legati familiarmente con gli Asburgo, il regno sabaudo era una creatura dell’intero consesso delle potenze del Congresso, in quanto stato cuscinetto tra Francia ed Austria. Torino volle mantenere la propria autonomia quando Von Metternich propose una Lega Italica sul modello della Confederazione Germanica. A ulteriore garanzia c’erano le alleanze internazionali: la Santa Alleanza proposta dallo zar che cessò di esistere con il cambio di regime in Francia e la successiva Quadruplice alleanza tra Inghilterra, Russia, Austria e Prussia per controllare la Francia. Assolutismo e monarchie amministrative La dominazione napoleonica aveva alterato lo stile e le pratiche di governo e trasformato le relazioni tra Stato e società civile. Nessuno degli Stati italiani ebbe una forma di governo costituzionale e in tutti fu instaurato un assolutismo rigido, tuttavia, tutti i sovrani, dovevano tener conto della stagione illuminata e della burocratizzazione napoleonica. L’assolutismo della restaurazione, a differenza di quello d’Antico Regime, si caratterizzava per l’accentuazione del monopolio statale del potere pubblico, che costituiva un limite ai desideri e ai tentativi di riemersione delle giurisdizioni cetuali e territoriali e al ripristino delle rappresentanze e delle immunità delle aristocrazie e del clero. Sui rapporti sociali e proprietari aveva inciso profondamente la codificazione civile napoleonica, che si rivelò uno strumento importante per impedire la ricostituzione di antiche prerogative oligarchiche. In controtendenza a queste razionalizzazioni dei diritti vi era una diffusa inefficienza dei sistemi processuali e una commistione tra potere esecutivo e giudiziario che rendeva spesso arbitraria la giustizia. Nella centralizzazione del potere statale operava anche l’accoglimento del sistema amministrativo napoleonico. La burocrazia moderna fondata sulle competenze, la ripartizione del territorio e il controllo di quest’ultimo tramite i prefetti furono mantenuti durante la restaurazione. Anche la coscrizione militare venne mantenuta, ad esclusione dello Stato della Chiesa e delle due isole maggiori. Il sistema di leva obbligatoria prevedeva la compilazione di elenchi di maschi ventenni arruolabili; tra di essi veniva sorteggiato il numero necessario, anche se gli individui più ricchi potevano pagarsi un sostituto. La ferma durava dai 5 agli 8 anni e questo implicava una totale alienazione dalla famiglia e dal luogo d’origine. Veniva a formarsi un esercito fedele ed addestrato, che veniva usato quasi esclusivamente al mantenimento

dell’ordine interno. Il concetto di sicurezza (ambientale, igienica, pubblica, sanitaria) si espanse in Europa già dalla fine del Settecento: la polizia era una delle caratteristiche della modernità. Nei primi decenni dell’Ottocento anche il controllo della beneficienza e della salute pubblica entrarono nelle preoccupazioni dei governi. La beneficienza pubblica diveniva un’importante cerniera tra potere centrale e comunità locali. La rete delle condotte mediche, che si occupavano della cura e dell’assistenza dei poveri, costituiva una grande risorsa per i governi centrali che in questo modo riuscivano a fondare delle politiche preventive e contenitive. Gli oneri e le spese della salute pubblica erano a carico delle comunità municipali ma il governo centrale operava per stabilire degli standard per la formazione dei sanitari. La maggior parte degli Stati italiani cerco di mantenere e rafforzare una “monarchia amministrativa”, cioè una forma di gestione dello Stato che manteneva nelle mani del sovrano il potere, pur vincolandolo all’osservanza di una normativa da lui stesso emanata, mentre l’apparato burocratico centralizzato controllava e stimolava le periferie. Istituzioni e amministrazioni fino al 1848 Non sottoposto all’influenza di Vienna il Regno di Sardegna si orientò verso una totale abrogazione dell’assetto istituzionale del periodo napoleonico. Con l’editto del 21 maggio 1814 si impose il ritorno in vigenza delle “regie costituzioni” del 1770. Con i “regi biglietti” Vittorio Emanuele I poteva modificare il contenuto o l’applicazione di leggi già esistenti. La codificazione civile francese venne abolita a favore di disparate fonti normative locali. Matrimonio civile e divorzio vennero soppressi, si tornò alle discriminazioni giudiziarie verso ebrei e valdesi, si aggravò la posizione giuridica della donna, furono reintrodotte limitazioni all’utilizzo della proprietà come i fedecommessi o i maggiorascati, tornarono alcune immunità ecclesiastiche o aristocratiche e furono ristabilite le corporazioni dei mestieri. Venne abolito il sistema prefettizio napoleonico e sostituito con uno simile gestito da governatori militari nelle province e da intendenti civili nei territori minori che avevano il compito di nominare gli amministratori e i consiglieri dei comuni tra i proprietari fondiari. Venne mantenuta la fiscalità francese ma l’eversione della feudalità raggiunse la Sardegna solo nel 1840. Nel 1847 un regio biglietto introdusse la legislazione vigente nel continente anche nell’isola. Altre distonie con l’assetto complessivo si manifestavano in Liguria, dove rimanevano in vigore la maggior parte dei codici civili e di commercio francesi. Il 13 marzo 1821 Vittorio Emanuele I, pressato dai moti rivoluzionari, abdicò in favore di Carlo Felice che sconfessò immediatamente la costituzione concessa dal reggente Carlo Alberto. A quest’ultimo toccò il compito di imprimere una svolta liberale al Regno di Sardegna, dopo morte del predecessore. Un passo decisivo fu compiuto con dei provvedimenti che cambiarono l’assetto delle amministrazioni locali e vennero introdotte forme di rappresentanza della popolazione sulla base del censo con l’inclusione di individui non aristocratici. Il sistema carloalbertino istituiva le Intendenze generali, ovvero ritagli territoriali più ampi delle province che avevano un bilancio autonomo, alla cui elaborazione concorrevano dei Congressi di delegati dei sudditi, eletti con un sistema che temperava il principio elettivo con la scelta dall’alto. I provvedimenti di Carlo Alberto precedenti allo statuto del 1848 erano improntati ad una istituzionalizzazione omogenea del territorio, superando i particolarismi locali. L’opera di Carlo Alberto fu determinante anche in ambito giuridico e giudiziario con l’abolizione delle giurisdizioni speciali e la creazione della corte di revisione con funzione di cassazione. Nel 1837 fu pubblicato il Codice civile, ispirato a quello napoleonico ma segnato anche dall’influenza della Chiesa. Parallelamente procedevano i lavori per il Codice penale, quello varato nel 1839 aveva molti tratti moderni per l’articolazione delle pene e l’introduzione di aggravanti e attenuanti. Anche in questo caso l’influenza della Chiesa era chiara, ad esempio in relazione ad alcuni comportamenti contro l’ordine familiare che divenivano reati contro lo Stato. Ci fu anche una riforma carceraria ispirata ad un carcere vicino New York e detta “auburniana” che consisteva nella rieducazione dei detenuti facendoli mangiare, lavorare e pregare tutti insieme ma impedendogli di comunicare tra loro e isolandoli la notte. Le istituzioni assistenziali e sanitarie si basavano sulle Congregazioni di carità. Il sistema funzionava nei grandi centri ma in campagna e in montagna no. Durante l’epidemia colerica del 1835 Carlo Alberto tentò di regolamentare uniformemente l’amministrazione delle opere pie. In seguito al regio editto del 1847 la sanità e l’igiene pubblica divennero appannaggio del ministero dell’Interno. Ulteriori interventi riguardarono anche l’istruzione, in direzione di una laicizzazione.

Il territorio del Regno Lombardo-Veneto fu annesso all’impero asburgico il 12 giugno 1814, il 24 aprile 1815 l’imperatore promulgò delle costituzioni che precisarono l’assetto istituzionale del regno. In seno alla Commissione aulica di organizzazione centrale, delegata dall’imperatore a occuparsi della sistemazione dei territori riconquistati, vi erano fautori di un mantenimento dell’assetto napoleonico e personaggi che premevano per una totale asburgizzazione. L’aristocrazia di Milano riteneva di poter mantenere il ruolo di governo assegnatogli da Napoleone, mentre l’aristocrazia di Venezia era più propensa ad un ritorno asburgico dato che l’occupazione francese l’aveva subordinata a Milano. Ne uscì un misto tra la struttura amministrativa napoleonica e il dispotismo illuminato. La corona reale fu assunta dall’imperatore che delegava un viceré. Vennero istituiti due Consigli di governo di nomina imperiale per le rivalità tra i due territori. Ogni governo si articolava in un Senato politico, per la politica generale ed un Senato camerale per le questioni finanziarie e fiscali. Dipendevano dai governi una serie di direzioni centrali che costituivano il braccio esecutivo. A guidare i governi vicereali erano dei governatori, ma l’ultima decisione spettava alla capitale imperiale. Il regno fu diviso in province, distretti e comuni. Le delegazioni provinciali erano un organo consultivo composto da funzionari ed erano presiedute dal delegato del governo che rappresentava l’esecutivo vicereale mentre l’amministrazione fiscale era opera dell’intendenza provinciale. A capo dei distretti era posto un commissario distrettuale che sovrintendeva alla regolarità amministrativa dei comuni. L’amministrazione di questi ultimi dipendeva dal numero degli abitanti e si basava sulle decisioni degli estimati, cioè dei possidenti terrieri. Nei piccoli comuni si riuniva periodicamente il convocato, sotto controllo del commissario distrettuale, un’assemblea di tutti gli estimati che approvava il bilancio e proponeva una deputazione comunale, ovvero l’organo di governo del comune. I comuni maggiori avevano un ristretto consiglio comunale la cui composizione spettava ai governi. Dai comuni venivano le indicazioni dei rappresentanti per la congregazione provinciale che a sua volta proponeva i rappresentanti per la congregazione centrale, organismo consultivo che affiancava il governo. Le rappresentanze erano strettamente cetuali e servivano per offrire alla nobiltà l’occasione di riacquistare un ruolo privilegiato di rappresentanza. Nel Lombardo-Veneto i codici francesi vennero aboliti e sostituiti con quelli austriaci. La legislazione reintroduceva deroghe al principio di uguaglianza ma mitigava la minorità giuridica della donna e tutelava maggiormente i minori. Il divorzio era consentito ai non cattolici. Relativamente ai diritti di proprietà la codificazione austriaca manteneva residui del passato come i fedecommessi, uniti a istituti avanzati napoleonici. Il processo civile si svolgeva in forma scritta e non prevedeva l’obbligo di motivazione delle sentenze. In campo penale venne introdotto il codice dei delitti e delle pene austriaco del 1803, particolarmente dura era la disciplina carceraria. Il processo penale costituiva il più grave ritorno al passato. Era improntato sul rito inquisitorio, lasciava l’accusato senza diritto di difesa autonoma e senza cognizione degli atti accusatori e con il magistrato che rivestiva il ruolo di accusatore, difensore e giudice. Punto di forza del regime austriaco era la polizia, sulla quale si basava il controllo capillare del regno. La mancanza di una rappresentanza popolare e la censura, consegnavano alla polizia il ruolo di raccoglitrice di lamentele e problemi dei sudditi. Nel settore delle opere pie venne abolita l’organizzazione centralizzata napoleonica ma i singoli istituti erano sottoposti alle autorità locali e gestiti da amministratori scelti dal governo su proposta dei comuni. Un settore particolarmente curato fu quello della pubblica istruzione, finanziato dallo Stato e articolato in scuole elementari minori e maggiori, nelle quali i cittadini potevano assolvere l’obbligo d’istruzione previsto dai 6 ai 12 anni. L’annessione all’Impero del Trentino avvenne tramite il suo accorpamento nella Contea del Tirolo, la quale godeva di una significativa autonomia da Vienna e aveva diritto ad una sua dieta rappresentativa. Organizzati in base all’importanza demografica, i comuni prevedevano la presenza tra gli amministratori di una componente eletta dai contribuenti e in alcune città anche dei consigli eletti allo stesso modo. La restaurazione comportò la reintroduzione di tribunali separati per nobili ed ecclesiastici e delle giurisdizioni civili degli antichi signori. La Dalmazia fu costituita regno a sé, mentre Gorizia, Gradisca, Istria e Trieste con parte della Croazia, Carniola e Carinzia divennero il Regno dell’Illiria. Trieste, porto franco, era governata da amministratori scelti a Vienna e non aveva nessun organismo rappresentativo. Il Ducato di Parma di Maria Luigia e di Adam Neipperg conobbe numerose risistemazioni degli ordinamenti istituzionali. L’impianto rimase decisamente assolutista e l’architettura di impronta napoleonica. Il duplice

esecutivo di Parma e Piacenza trovava il suo coordinamento nel Consiglio di Stato, che affiancava i sovrani con funzioni consultive, e i commissari svolgevano la funzione dei prefetti. I comuni erano dotati di organismi rappresentativi, i consigli degli anziani, nei quali erano inseriti i principali contribuenti, nominati dal duca sulla base di liste scelte dai consigli stessi. Di nomina ducale erano anche i podestà con i loro assessori. Nel 1821 Parma varò una sua codificazione completa civile e commerciale; contemporaneamente stabilizzò l’ordinamento giudiziario, articolandolo in tre gradi di giudizio, con un Tribunale supremo che fungeva anche da controllo sulla magistratura. A capo dell’amministrazione sanitaria fu posto un Consiglio medico-chirurgico-farmaceutico con funzioni giurisdizionali sulle professioni, mentre le opere pie erano coordinate dal ministero dell’Interno. Il piccolo Ducato di Lucca venne governato dai Borbone con un regime prettamente assolutistico incentrato sulla figura del segretario di Stato. Nel Ducato di Modena il potere era concentrato nelle mani del duca, senza corpi consultivi, né ministeri, né distinzione tra finanze pubbliche e patrimonio del sovrano. I territori di Massa e Carrara non vennero mai integrati istituzionalmente. L’amministrazione locale era poco evoluta, i comuni erano ordinati sulla base di un consiglio di proprietari fondiari, mancava uno snodo intermedio provinciale e i governatori, ex prefetti, non avevano strumenti adatti. Venne ripristinata la codicistica estense del 1771, il sistema giudiziario era arretrato e subiva le ingerenze del sovrano. Il duca Francesco IV era vicino alle tendenze cattoliche più conservatrici. Nel Granducato di Toscana la figura del sovrano era centrale e il grado di autonomia degli organi esecutivi era ridottissimo. L’assolutismo granducale si fondava sul governo personale che controllava tutti i pubblici affari senza l’intermediazione di ministri. Il carattere arretrato era confermato dalla commistione tra apparato giudiziario e legislativo: venne reintrodotta la reale Consulta civile e criminale, un organismo composto da giudici che fungeva da tribunale supremo, controllava il sistema giudiziario e proponeva leggi. La confusione riguardava anche l’amministrazione della periferia: i commissari e i governatori avevano compiti amministrativi, polizieschi, militari e giudiziari. A capo delle amministrazioni comunali vi era un magistrato, guidato da un gonfaloniere composto da alcuni priori. La partecipazione al consiglio municipale era regolata dal sorteggio. In campo penalistico si tornò alla “legge leopoldina” del 1786 considerata all’epoca un testo di avanguardia. Del diritto civile francese venne tenuta in vigora la maggior parte delle norme sulla proprietà e sul commercio, la revisione riguardò specialmente i diritti della persona, in particolare le donne che non ebbero più indipendenza giuridica. Leopoldo II nel 1838-41 razionalizzò il sistema processuale e legislativo sulla base della separazione delle funzioni giudiziarie da quelle amministrative e l’articolazione in tre gradi di giudizio oltre la pubblicità degli atti del processo penale. L’istruzione primaria era appannaggio quasi esclusivo del clero. La consapevolezza dell’irreversibilità di alcuni mutamenti napoleonici e della necessità di tenerne conto era stata fatta propria anche da Pio VII, con il “motu proprio” del 1816. Sino a quel momento le province di prima recupera erano state amministrate in maniera reazionaria da due prelati, Pacca e Rivarola e le province di seconda recupera mantennero alcuni ordinamenti francesi grazie al cardinale Enrico Consalvi. Il territorio dello Stato fu ripartito in province dette legazioni rette da ecclesiastici affiancati da congregazioni consultive. Ogni legazione era divisa in governi con governatori ecclesiastici dotati di funzioni amministrative e giudiziarie. I comuni prevedevano un consiglio, un sindaco e una giunta. Roma faceva storia a sé, non era organizzata come un comune, dipendeva dalle finanze dello Stato ed era retta da una Camera capitolina affiancata da un Senato vitalizio. La riforma razionalizzava l’amministrazione statale ma reintroduceva una concentrazione di poteri, i privilegi, le immunità, diversi ordini giudicanti. Con Leone XII fu ancor più reazionario: operò una politica restrittiva nel campo dei comportamenti privati e pubblici e ghettizzò gli ebrei. Gregorio XVI condannò il liberalismo politico, la libertà di stampa e ogni libertà di coscienza religiosa. In seguito a dei moti nelle legazioni e al conseguente intervento dell’Austria, le maggiori potenze europee fecero pressioni sulla Santa Sede perché avviasse un processo di laicizzazione delle cariche pubbliche e la creazione di consigli consultivi su base elettiva; il governo accolse le richieste. Lo stretto intreccio tra sfera spirituale e temporale che caratterizzava lo Stato rese irrealizzabile la separazione tra diritto canonico e civile, e a complicare il quadro vi era un’infinità di fonti legislative. Questo portava ad una difficile gestione e piena disponibilità della proprietà privata. Nel campo dei diritti personali vennero ridotti drasticamente quelli delle donne. Nel dir...


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