Riassunti strumentazione biomedica PDF

Title Riassunti strumentazione biomedica
Author Giacomo Battaglia
Course Strumentazione biomedica e ingegneria clinica
Institution Università di Bologna
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Summary

Dispense integrate sul corso di strumentazione biomedica tenuto presso la facoltà di Cesena di Ing.Biomedica...


Description

STRUMENTAZIONE BIOMEDICA

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Sommario 1 – Introduzione ai sistemi per misure biomediche

Pag. 4

2 – Sensori

Pag. 23

3 – Acquisizione dati, termocoppie, bilancia a estensimetri

Pag. 39

4 – Circuiti con amplificatori operazionali

Pag. 46

5 – Circuiti ad OPAMP in ambito biomedico

Pag. 55

6 – Sicurezza Elettrica

Pag. 69

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1 – INTRODUZIONE AI SISTEMI PER MISURE BIOMEDICHE Aspetti generali La strumentazione biomedica può essere classificata in base alla grandezza fisica misurata, al principio fisico sfruttato per misurarla (resistivo, capacitivo, induttivo, elettrochimico, a ultrasuoni…), in base all’ambito di intervento, inteso come organo, sistema o funzione biologica, o in base all’area di impiego in medicina, sia essa la diagnosi o la terapia/riabilitazione. Proprietà di un sistema di misura

Se, istante per istante, grazie al contenuto del segnale z (t ) come è rappresentato in figura, si può risalire ai valori del segnale y(t ) , allora il sistema M può essere considerato un sistema di misura, a prescindere dalla natura della sorgente S del segnale y(t ) . Un sistema di misura ideale è un sistema di misura che soddisfa le seguenti proprietà: - l’uscita dovrà essere sensibile selettivamente solo alla grandezza fisica in ingresso che si vuole misurare e non ad altre grandezze; - la sua relazione ingresso/uscita deve essere nota, in qualunque forma essa sia espressa (genericamente z = f ( y ) ); - l’interconnessione tra sorgente e sistema di misura non deve alterare in modo apprezzabile il segnale y(t ) rispetto al suo stato non perturbato in cui è generato dalla sorgente. I problemi fondamentali che si pongono durante la progettazione di un sistema di misura riguardano la gestione, entro limiti accettabili per la qualità della misura, delle sue non idealità, e cioè: - l’influenza dei disturbi sul segnale in uscita dal sistema di misura; - l’errore di interconnessione (o effetto di carico), cioè la perturbazione introdotta inevitabilmente sul segnale da misurare dallo scambio di energia tra sorgente e sistema di misura una volta che questi vengono collegati. È possibile tuttavia intervenire sull’entità di questa perturbazione in fase di progetto. Gli obiettivi perseguibili nella misura di uno o più segnali sono: - monitoraggio: si effettua la misura per poter semplicemente visualizzare l’andamento del segnale (es. frequenza cardiaca di un paziente ospedaliero); - classificazione: si effettua la misura con procedure particolari per poter assegnare ogni segnale ad una specifica classe (ad es. in base alla gravità o alla patologia, come nei moderni elettrocardiografi); - controllo: si effettua la misura per poter intervenire adeguatamente sulla sorgente e far sì che generi un segnale che rientri entro determinati parametri (es. infusori di glucosio per diabetici);

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-

identificazione: si effettua la misura, sfruttando ingressi standard, per poter determinare la relazione ingresso/uscita dello strumento di misura.

Architettura funzionale dei sistemi per misure biomediche

Il flusso principale va chiaramente dalla sorgente al sensore verso il sistema di visualizzazione… La semplice catena sensore-sistema di manipolazione-sistema di visualizzazione è detta catena elementare di misura. Nell’ordine le caratteristiche dei vari blocchi sono: - sorgente: è in genere il tessuto vivente e genera il segnale da misurare (misurando, y(t ) ); - sensore: converte la grandezza fisica da misurare in un segnale, per lo più elettrico, che sarà poi sfruttato dai restanti blocchi del sistema di misura; i sensori sono composti da un elemento sensibile primario, che è a diretto contatto col misurando e risponde ad esso variando una sua proprietà fisica, e da un elemento di conversione, che traduce tale variazione in un segnale elettrico; - alimentazione: necessaria per i sensori passivi, in particolare per il loro elemento di conversione. Se invece i sensori sono attivi, essi ricavano l’energia per la conversione in segnale elettrico direttamente dal misurando e non necessitano di alimentazione elettrica (es. sensori piezoelettrici); - blocco di manipolazione e condizionamento: è necessario per amplificare l’uscita del sensore, in genere molto debole in ampiezza, in modo che essa sia sufficientemente intensa per poter essere apprezzata dagli altri sistemi che la tratteranno, in particolare eventuali convertitori analogico/digitale. Normalmente il segnale viene qui anche filtrato e ormai, in molti casi, anche digitalizzato; - blocco di visualizzazione: consente la visualizzazione dell’andamento del segnale misurato su qualsiasi supporto, sia esso lo schermo di un oscilloscopio o un supporto fisico (es. carta millimetrata per tracciato elettrocardiografico); - sistema di calibrazione: serve per verificare che il sensore abbia la relazione ingresso/uscita e il comportamento in frequenza, o in altre parole le prestazioni statiche e dinamiche, voluti; - sistema di memorizzazione: salva i dati su supporti di vario tipo (cartaceo, dischi magnetici, dischi ottici, etc.), per renderli così disponibili per eventuali elaborazioni future; - sistema di trasmissione: consente l’invio dei dati ottenuti anche a utenti remoti; - sistema di controllo: agisce in retroazione sulla sorgente di segnale, per ottenere segnali con particolari caratteristiche, ma può agire anche sui sistemi di memorizzazione e trasmissione.

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Classificazione degli ingressi Gli ingressi di un sistema di misura sono divisibili in 3 categorie: - ingressi desiderati ( y d ): sono rappresentati dai segnali che effettivamente il sistema è costruito per misurare. Ad essi il sistema risponde con una funzione di trasferimento Gd ; -

ingressi indesiderati ( y i ): sono grandezze fisiche diverse dal/i misurando/i a cui il sistema di misura è accidentalmente sensibile. Ad essi il sistema risponde con una funzione di

trasferimento Gi ; -

ingressi modificanti o interferenti ( y md , y mi ): possono a loro volta essere divisi in desiderati e indesiderati, ciascuno con una propria relazione ingresso-uscita. Essi intervengono modificando le funzioni di trasferimento Gd e Gi . Complessivamente gli ingressi indesiderati e gli ingressi modificanti sono detti ingressi spuri. L’uscita è perciò legata ai vari ingressi dalla seguente relazione:

z = Gd ( yd + Gmd y md ) + Gi ( yi + Gmi y mi ) È opportuno anche definire una grandezza molto importante nell’analisi dell’influenza dei disturbi su un sistema generico, cioè il rapporto segnale-rumore o signal-noise ratio (SNR). Esso può essere calcolato sia per l’ingresso che per l’uscita del sistema ed è espresso come:

SNR =

S S ( yd , ymd ) = D D( y i , y mi )

Metodi di riduzione dell’influenza dei disturbi 1) Metodo dell’insensibilità intrinseca: attraverso modifiche fisiche dello strumento di misura lo si rende sensibile esclusivamente agli ingressi desiderati ( → Gi = Gmi = Gmd = 0 ). È la via più intuitiva ed efficace, almeno in apparenza, ma non è quasi mai praticabile per ragioni per lo più di tipo tecnologico; 2) Metodo della compensazione (o degli ingressi in opposizione): consiste nell’introdurre deliberatamente dall’esterno nel sistema di misura un ingresso aggiuntivo che compensi complessivamente gli ingressi spuri (v. a lato, y i 2 è l’ingresso che compensa). Anche questo metodo è di difficile applicazione, poiché è difficile prevedere esattamente come si comporteranno i disturbi durante la misura (e anzi, è quasi sempre impossibile perché i disturbi sono per lo più aleatori, NdR); 3) Metodo del filtraggio: prevede l’utilizzo di specifici elementi, detti filtri, in grado di separare i segnali in base al contenuto armonico, applicati all’ingresso, all’uscita o in punti intermedi dello strumento. Non è sempre detto che la loro azione si basi sul comportamento 6

in frequenza. Chiaramente i filtri devono essere progettati accuratamente, conoscendo a priori le caratteristiche dei disturbi che si vogliono filtrare; Filtri sull’ingresso Filtro sull’uscita

4) Metodo della retroazione ad elevato guadagno: consiste nell’amplificazione degli ingressi desiderati, come rappresentato in figura:

z = αGd ( yd − Hz) + Gi yi αG d y d Gi y i ⇒z= + = S u ( y d ) + Du ( yi ) 1 + αGd H 1 + αGd H ⇒ SNRu =

αGd yd Su = ⇒ SNRu ∝ α Du Gi yi

α → ∞ ⇒ Su =

αGd yd α/G/ d y d y d ≅ = 1 + αGd H α/ G/ d H H

Di conseguenza, più alto è α, meno l’uscita verrà influenzata dal guadagno Gd e da ciò che lo modifica e dagli ingressi indesiderati.

Ponte di Wheatstone Il ponte di Wheatstone è una configurazione circuitale comune a molti sensori passivi, soprattutto resistivi o capacitivi, che basino il proprio funzionamento sulla variazione di resistenza o capacità indotta dalla deformazione. È un circuito dotato necessariamente di un’alimentazione esterna. 7

I vertici A e B sono detti vertici di alimentazione, mentre C e D sono i vertici di rilevazione . Applicando il partitore di tensione, per il ponte di Wheatstone vale:    V OUT = VC − V D  R2 R1 R4    ⇒ V OUT = V A  − VC = V A  R1 + R2  R1 + R 2 R3 + R4   R4 V  D = VA R + R 3 4  ( R1 tra A e C, R 2 tra B e C, NdR) Si possono anche invertire i vertici di alimentazione e rilevazione, ottenendo uno schema del tipo:  V  OUT = Va − Vb  Rd Rc Rd  ⇒ VOUT = V A  − V a = V A R a + Rd  R a + R d Rb + Rc  Rc  V b = V A R + R b c 

  

Se il ponte di Wheatstone ha tensione di uscita nulla quando le resistenze che contiene non hanno ancora subito variazioni rispetto al loro valore nominale, si dice che esso è bilanciato. Qual è, perciò, la condizione di bilanciamento del ponte? Considerando il ponte con un ramo attivo, cioè occupato da una resistenza o altro componente circuitale variabile, tale che per esso valga una relazione del tipo R = R 0 + ∆R , e considerando il primo schema circuitale per il ponte di Wheatstone, con R1 variabile (e perciò pari a R1 = R10 + ∆R1 ), varrà:

 R10 R 40   = 0 V OUT = 0 ⇒ V A  −  R10 + R 20 R 30 + R 40  R10 R40 R R ⇒ = ⇒ R 30 R10 + R40 R10 = R20 R40 + R10 R40 ⇒ R30 R10 = R20 R40 ⇒ A = 10 = 40 R10 + R20 R30 + R40 R 20 R 30 Con più rami attivi il discorso non cambia, proprio perché per la verifica del bilanciamento si fa riferimento solo ai valori nominali. Linearizziamo ora l’espressione della tensione di uscita, troncando al primo ordine il suo sviluppo in serie di Taylor. Consideriamo ancora un solo ramo attivo per semplicità, verificheremo cosa succede con più rami attivi in seguito.

  R1 R4   − VOUT = VA  R R R R + +   1 2 3 4  df  ⇒ VOUT = f ( R1 ) ≅ f ( R10 ) + ⋅ ∆R1 = R1 = R10 + ∆R1 dR1 R  10 R R  A = 10 = 40 R 20 R30  Il primo termine dello sviluppo si annulla per il bilanciamento del ponte…

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R40 R + R 20 − R10   R10  + V A 10 ⋅ ∆R 1 = V A  − 2  R10 + R 20 R 30 + R 40  ( R10 + R20 )  14444244443 =0

⇒ V OUT = V A

R 20

(R10 + R 20 )

2

/ 20 R

⋅ ∆ R1 = VA

 / R R20 2 ⋅  10 +1   R20 R10 R A R ∆ ∆ 1 1 VA ⋅ ⋅ ⋅ 1 = VA ⋅ ⋅ 2 2 R20  R R R (1 + A) 10 10 {  10 +1 A  R  4 20 1 243

2

⋅ ∆ R1⋅

R10 = R10

(1+ A )2

Perciò il guadagno del ponte G p , cioè il coefficiente che lega la variazione relativa di resistenza alla tensione di uscita, varrà:

Gp =

VOUT A =VA ⋅  ∆ R1  1 + A )2 (   R  10 

Come si può notare, il guadagno del ponte dipende dalla tensione di alimentazione e da A. Come possiamo perciò intervenire su di esso per aumentarlo? Possiamo aumentare la tensione di alimentazione indefinitamente, ma questo non è possibile per questioni tecnologiche, di consumo energetico e di riduzione dei disturbi, che potrebbero divenire di entità non più trascurabile per tensioni molto alte; oppure possiamo agire su A: esiste infatti un valore di A che massimizza il guadagno del ponte. Ricaviamolo annullando la derivata prima di quest’ultimo:

dG p dA

2 ( 1 + A) − 2 A(1 + A) = 0 ⇒VA ⋅ = 0 ⇒ 1+ A− 2 A = 0 (1 + A) 4

⇒ 1− A = 0 ⇒ A = 1 ⇒ G p =

VA 4

Ciò vale a dire che il massimo guadagno del ponte si ha in presenza, a ciascun nodo dell’uscita, di resistenze a 2 a 2 di pari valore nominale. E se invece usassimo un ponte con 2 rami attivi, ossia ponendo anche R2 = R20 + ∆R2 ? Otteniamo in questo caso, assumendo il ponte già bilanciato:

  R1 R4   = VA ⋅ f ( R1 , R2 ) − VOUT = V A  + + R R R R   1 2 3 4    R1 = R10 + ∆ R1 , R2 = R20 + ∆ R2  R R  A = 10 = 40 R20 R 30 

⇒ f ( R1, R 2) ≅ f ( R10, R 20) + =

∂f ∂R1

⋅ ∆ R1 + R10 , R20

∂f ∂R 2

⋅ ∆R 2 = R10 , R20

− R10 R10 R 40 R20 − + ⋅ ∆ + ⋅ ∆R = R 1 R10 + R20 R30 + R 40 (R10 + R20 )2 (R10 + R 20 )2 2

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=

R 10 R40 − + R10 + R20 R30 + R40

R20

=

R 10 R10 + R20

=

R 10 R40 A − + R10 + R20 R30 + R40 (1 + A )2

2

⋅ ∆R1 ⋅

R10 + R10

− R10

  2 R 2 R R20  10 + 1 R20  10 + 1   R20  R20   R 10 R10 ∆R2 ∆R R40 R 20 R 20 ⋅ ⋅ 1− − + 2 2 R30 + R40  R R 20   R10  R10   10 + 1  + 1     R20  R 20

2

⋅ ∆ R2

 ∆ R1 ∆R 2  −   R 20   R 10

Poiché assumiamo il ponte bilanciato, otterremo:  ∆ R ∆R  A VOUT = VA ⋅ ⋅  1 − 2  2  (1 + A)  R10 R20  A cosa serve avere più rami attivi? Sostanzialmente ad aumentare il guadagno del ponte, se si fa in modo che le resistenze variabili subiscano sollecitazioni che ne causino variazioni di resistenza uguali e contrarie per resistenze collegate allo stesso nodo dell’uscita (nel nostro caso è possibile, poiché R1 e R2 sono collegate entrambe al nodo C di VOUT ). Se soddisfiamo questa ipotesi otteniamo, infatti, con 2 rami attivi:

A ∆R2 ∆R ∆R1 ∆ R ∆R =− = ⇒ VOUT = VA ⋅ ⋅2 ⋅ , 2 R20 R 0 R10 R0 R0 (1+ A) A = 1⇒ G p =

V VOUT = A ∆R 2 R0

Se invece volessimo attivare tutti e 4 i rami, otterremmo, saltando per semplicità il procedimento di linearizzazione:

 ∆R ∆R2 ∆R3 ∆ R4   ⋅  1 − + − (1 + A)  R20 R10 R30 R40  A ∆R1 ∆ R3 ∆R ∆R 2 ∆R4 ∆R ∆R = = = =− ⇒ VOUT = V A ⋅ ⋅ 4⋅ , 2 R10 R30 R0 R20 R 40 R0 R0 (1 + A)

VOUT = V A ⋅

A

A = 1 ⇒ Gp =

VOUT = VA ∆R R0

2

Perciò, in generale, considerando un qualsiasi numero di rami attivi del ponte e la condizione di variazioni uguali e contrarie rispettata come sopra, possiamo scrivere in generale:

VOUT = VA ⋅

∆R A , n = 1,2,4 ⋅ ⋅ n R0 (1 + A )2

(consiglio: la cosa migliore è saper fare tutta la dimostrazione, a prescindere dai nomi delle resistenze che vengono messe nel ponte di Wheatstone, in modo da non rimanere fregati quando la Magosso vi farà sto giochetto all’orale, come in effetti succede spesso)

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Errore di interconnessione Collegando il sistema di misura alla sorgente di segnali, tra i 2 sistemi si verifica un inevitabile scambio di energia che altera il valore dell’ingresso desiderato rispetto al suo valore non perturbato, scambio che possiamo minimizzare agendo opportunamente sulle caratteristiche di ingresso del sistema di misura.

In particolare, l’errore di interconnessione è definito come la variazione relativa della grandezza misurata, e cioè:

E=

∆y y 0 − y = y0 y0

Di conseguenza, studieremo i casi più generali di errore di interconnessione: errore di interconnessione derivante da misure di tensione, in cui la sorgente di segnali è descrivibile, per approssimazione di linearità, attraverso il teorema di Thevenin; ed errore di interconnessione derivante da misure di corrente, in cui la sorgente è descrivibile attraverso il teorema di Norton. Lo strumento di misura è sempre rappresentato come una resistenza d’ingresso singola. Nel primo caso (v. a lato), al collegamento di sorgente e strumento di misura si chiude una maglia di circuito e perciò si crea una caduta di tensione ai capi della resistenza d’ingresso dello strumento di misura, che genera l’errore di interconnessione. Varrà infatti:

y = y0

Ri

M

R u + Ri S

M

∆ y y 0 − y y/ 0 ⇒ = = y0 y0 y/ 0

M  Ri  ⋅ 1 − S M Ru + R i 

S  Ru =  R S +RM u i 

In fase di progettazione si desidera in genere che l’errore di interconnessione sia minore di una certa percentuale, e quindi di un certo numero ε molto più piccolo di 1. Sostituendo nel confronto appena delineato otteniamo:  RS ∆y = S u M y 0 Ru + Ri  S S  Ru Ru ∆y S M M S (1 − ε ) M ≤ ⇒ − ≤ ⇒ ≥ ≈ ⇒ Ri → ∞ ≤ε ( ) ε ε ε 1 R R R R  S u i i u M ε ε y0  Ru + Ri  ε 0 G( jω) = G0 , ∠ G( jω ) =  − π G0 < 0 Perciò se consideriamo un ingresso standard a gradino, il sistema risponderà ad esso mostrando un comportamento dinamico ideale: U t ≥ 0 K = G 0U 0 t ≥ 0 y( t) =  0 ⇒ z (t ) = G 0 y (t ) =  t1 si creano 2 radici reali distinte, perciò si torna nel caso di 2 poli con pulsazioni di rottura diverse. E per quanto riguarda il diagramma delle fasi? Basti sapere che le pulsazioni estreme dell’intervallo di discesa sono pari a ω a ,b = ω n ⋅ 4,81±δ , perciò al calare di δ questo intervallo si restringerà sempre di più attorno a ωn , aumentando la pendenza del diagramma in quell’intervallo fino a far sì che, per δ nullo, il diagramma asintotico delle fasi si riduca ad un gradino. Come si ricavano sperimentalmente δ e ω n ? Riferendoci ad un sistema sottosmorzato, sappiamo che al picco di sovraelongazione nella risposta al gradino vale:

t picco =

π ωn 1 − δ

2

(

⇒ z (t picco ) = K 1 + e

−δωn t picco



∆z = z (t picco ) − z (∞ ) = z (t picco ) − K = Ke − ∆z =e K

πδ 1−δ 2

⇒δ =

ln ∆z

K = 2 ∆z 2 ln +π K

)

−   = K 1+ e  

πδ 1− δ

2

1  π 1+  ln ∆z K  21

   

2

πδ 1 −δ 2

   

E così si ricava δ . Come si ricava invece ωn ? È sufficiente registrare il periodo di oscillazione della risposta sottosmorzata, ricavare la relativa pulsazione e sapere, avendo precedentemente calcolato δ , che tale pulsazione è legata a ω n dalla relazione ωˆ = ω n 1 − δ 2 già espressa sopra. Perciò varrà: ωˆ = ωn 1 − δ 2  2π   ⇒ ωn = 2π ωˆ = Tˆ 1 − δ 2  Tˆ 

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2 – SENSORI Sensori resistivi La resistenza di un conduttore elettrico dipende dalle proprietà del materiale, dalle sue dimensioni e dalla temperatura, secondo le relazioni: ρ = resistività del materiale L, A = lunghezza e sezione del conduttore R 0 = valore di resistenza nominale, riferito a una temperatura di riferimento T0 1 1 β( − ) β = temperatura caratteristica T T0 α = coefficiente di temperatura 0

R=ρ

L A

R(T ) = R e

R(T ) = R 0 [1 + α (T − T0 )]

Le relazioni con la temperatura saranno meglio spiegate in seguito… Di conseguenza si può sfruttare una variazione di geometria o di temperatura per indurre una variazione di resistenza su un conduttore e misurare, attraverso l’azione su un segnale elettrico, grandezze termiche e meccaniche. Di seguito i principali esempi di sensori resistivi, tutti chiaramente passivi.

Potenziometri I potenziometri e i trimmer sono resistenze divise in 2 parti da un contatto strisciante mobile, in modo che la tensione ai capi di questo contatto possa essere variata, anche spostandolo manualmente, poiché tale tensi...


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