Riassunto edises tfa sostegno PDF

Title Riassunto edises tfa sostegno
Course Tirocinio formativo attivo su sostegno
Institution Università degli Studi di Padova
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Summary

TFA le attività di sostegno didattico....


Description

- Dalle scuole speciali all'inclusione degli alunni con disabilità (tutti i documenti e le azioni promosse dal governo per arrivare ad una vera inclusione, per es. Riforma Gentile, Documento Falcucci, legge 227 del 1975, legge 104 del 92, Legge Bassanini, POF) - Concetto di BES _ Gruppi di lavoro per l'inclusione GLI, GLH, GLO, etc.. - Programmazione, progetto di vita, Didattica dell'integrazione (Dewey, Montessori, etc..) Mediatori didattici Empatia ed intelligenza emotiva Psicologia dello sviluppo (Piaget, Vygotskij, Bruner, etcc) I disturbi del linguaggio I disturbi della comunicazione Motivazione Gardner e le intelligenze multiple Goleman Teoria delle emozioni La formazione della personalità La definizione dell'identità (identità sessuale, Freud - Erikson) Legame di attaccamento (Bowlby) I disturbi psichici Psicosi, psicoterapie Le principali teorie dello sviluppo (comportamentismo, condizionamento classico e operante - Pavlov e Skinner) Socializzazione e aggressività in età scolare Modelli educativi contemporanei Disturbi specifici dell'apprendimento Didattica individualizzata e personalizzata Compiti del docente e della famiglia Principali manuali diagnostici

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L’evoluzione dell’integrazione scolastica Il problema dell’integrazione e delle persone con disabilità non è mai stato considerato seriamente fino alla fine del XIX secolo. La pedagogia si concentra sulla specificità e diversità della persona. Emerge un nuovo significato di diversità intesa come specificità esistenziale. L’intento dell’educazione diviene, quindi, quello di organizzare un progetto pedagogico in grado di garantire a ciascun soggetto la facoltà di esprimersi e di migliorare al massimo la propria originalità. L’attenzione si sposta verso l’identificazione delle particolarità di ciascun soggetto in funzione delle forme multiple della sua intelligenza. Nascono, quindi, nuove opportunità formative idonee a favorire lo sviluppo dell’individuo nella sua complessità. Educare la persona con disabilità non significa favorire esclusivamente un processo di socializzazione, bensì rinforzare le sue capacità innate e potenziare le capacità presenti o emergenti, attraverso la realizzazione di percorsi alternativi, allo scopo di conseguire l’obiettivo, comune a tutti gli allievi, della formazione dell’individuo. Prima che subentrasse un approccio di tipo medico al problema della disabilità, l’interesse del soggetto in difficoltà era di tipo caritatevole assistenziale. Nel tempo assunsero un ruolo essenziale i medici per cui nacque quel processo noto come “medicalizzazione”: l’interesse medico al problema dei soggetti con disabilità costituisce uno dei passaggi essenziali per l’affermazione del concetto di integrazione, nelle sue varianti interpretative e metodologiche. In ruolo assistenziale, visto sotto il profilo sia sociale che medico, ha consentito negli anni ai disabili di uscire da una situazione di totale abbandono per intraprendere un percorso di recupero e riabilitazione. Il filosofo francese Claude Bernard evidenziò l’importanza di un connubio tra le scienze della natura e le scienze dello spirito; le sue riflessioni costituirono infatti i presupposti teorici che stimolarono l’interesse dei medici verso le questioni educative. I medici s’interessarono, quindi, sia all’aspetto igienico che di quello educativo di coloro che venivano definiti “anormali”, in modo particolare, dei malati psichici. Esquirol scriverà nel 1818 il celebre rapporto al ministero degli Interni, proponendo la creazione di Istituti pubblici specializzati per le cure degli alienati. La relazione di Esquirol e i suoi interventi condussero alla legge del 30 giugno 1838 sugli alienati che sancisce che “ciascun dipartimento è tenuto ad avere un istituto pubblico specialmente destinato a ricevere e curare gli alienati”. In seguito, Itard e Séguin, entrambi allievi di Esquirol, segnarono il passaggio dall’ortopedagogia alla pedagogia speciale. ILLUMINISMO L’interesse verso il soggetto da educare e i suoi modi d’apprendere iniziano a manifestarsi nel periodo dell’Illuminismo, sulla spinta di conoscenze maturate nell’ambito di altre discipline, soprattutto della psicologia. Il maestro, per Rousseau, doveva condividere il mondo dell’allievo, adattarsi alle sue logiche e ai suoi linguaggi; doveva renderlo protagonista dell’educazione determinandone la crescita. Pur trattando questa tematica nell’ Emile, Rousseau non dedicherà mai l’attenzione ad un disabile. Per lui il maestro che si occupa di un disabile smette di essere educatore e diventa infermiere. 2

Secondo il filosofo, è necessario che il corpo abbia vigore per obbedire all’anima. Un corpo debole affievolisce l’anima. In Rousseau, come in altri suoi contemporanei, il ragazzo disabile generava solo curiosità nei confronti dell’insolito. Denis Diderot si rivolse ai minorati sensoriali. Nei suoi scritti si nota una certa freddezza e disprezzo nelle descrizioni di chi risulta affetto da disturbi della vista e dell’udito. Per il filosofo percezione ed intelletto erano un tutt’uno. Charles de l’Epée, fondatore di un istituto per sordomuti, è conosciuto per essersi interessato ad individuare gli strumenti più idonei per l’istruzione dei sordomuti. Si occupò, infatti, dell’educazione dei bambini sordi attraverso il potenziamento dei canali visivi, tattili e cinestetici. Il suo impegno nei loro confronti fu esemplare. Egli compì un passo che oggi potrebbe essere definito ‘rivoluzionario’ perché non collocò i bambini sordi in un ospizio o in un asilo, ma in un istituto specializzato per i sordomuti. Il XVIII secolo costituì, quindi, una svolta nell’atteggiamento sociale verso i disabili, soprattutto quelli sensoriali e dunque una notevole vittoria sulla discriminazione. IL SENSISMO Nella storia della pedagogia speciale la teoria sensista riveste un ruolo molto importante. Condillac elaborò una teoria dello sviluppo che segue costantemente la conoscenza attraverso l’esperienza sensoriale fino a realizzare un modello psicologico completo. Egli si opponeva alla teoria dell’innatismo delle conoscenze, sostenendo che l’uomo era una tabula rasa, e che ogni sensazione visiva e uditiva diventava un tassello di quel grande mosaico che è l’intera conoscenza della realtà. Ogni neonato era, per l’ipotesi sensista, una statua e come tale una tabula rasa naturale. La pedagogia speciale si sviluppa in Italia solo dopo la metà del Novecento. La dichiarazione dell’Unesco del 1968 definisce in modo generico la pedagogia speciale come una forma arricchita di educazione generale, che tende a migliorare la vita di coloro che soffrono di handicap diversi, arricchita nel senso che fa appello a metodi pedagogici moderni e a materiale tecnico per porre rimedio a certi tipi di deficienze. In mancanza di un intervento di questo genere, molti soggetti rischiano di rimanere, in qualche misura, disadattati e handicappati sul piano sociale e di non pervenire mai al pieno sviluppo delle loro capacità. Scopo della pedagogia speciale, non è quindi quello di fare scomparire le anomalie ma di effettuare, per quanto possibile, gli obiettivi propri dell’educazione normale, che consiste nel favorire lo sviluppo della personalità; è quindi la rieducazione la promozione dell’individuo secondo le sue disponibilità interiori ed esteriori attraverso la rimozione, il contenimento o la compensazione delle difficoltà.

Prima del XIX secolo il problema dell’inserimento sociale della persona con disabilità non venne mai preso in considerazione. I motivi sono storici, morali e scientifici. In una cultura dominata dalla necessità della sopravvivenza fisica, non vi era posto per la pietà. Se si volesse fare un quadro storico relativo al problema delle persone con disabilità ossia alle scelte fatte dall’umanità nei secoli passati, si potrebbero individuare quattro periodi diversi in cui il problema è stato preso in considerazione in maniera diversa: 3

1. Il primo periodo riguarda l’antichità, in cui domina la necessità della sopravvivenza alimentare. Il più debole non trova una grande considerazione. 2. Il secondo periodo è caratterizzato dalla pietà cristiana. Il disabile viene tollerato ma vive ai margini della società vengono istituiti dei centri di raccolta per i minorati, gli abbandonati e i poveri. Per gli esposti o i derelitti, tra cui si trovavano probabilmente molti disabili, venero istituiti i “torni” e le “ruote” presso conventi e ospedali. 3. Il terzo periodo è caratterizzato da un approccio scientifico ai problemi dell’handicap considerato un accidente naturale e non una colpa individuale. Si passa dall’idea di uomo come puro spirito a quella di un essere come meccanismo vivente. In questo periodo si colloca il pensiero di Condillac. 4. Nel quarto periodo predomina l’aspetto economico. Alla fine del XIX secolo, sotto la spinta dello sviluppo scientifico e in particolare, di quello industriale e per la pressione della presa di coscienza della classe operaia , emerge con chiarezza che la possibilità di impiegare alcune tipologie di disabilità poteva essere utile all’economia di una società moderna. LA NASCITA DELLE SCUOLE SPECIALI IN ITALIA Le istituzioni più diffuse riguardavano soprattutto ciechi e sordomuti e solo successivamente vennero presi in considerazione i minorati psichici. La prima scuola per sordomuti fu fondata a Roma nel 1784. Un contributo molto importante ai problemi educativi dei sordomuti arrivò da Tommaso Pendola che riconobbe le loro capacità intellettuali e approfondì la tesi dell’oralismo. Pertanto venne istituita una scuola per la preparazione di insegnanti qualificati all’applicazione di tale metodo. La prima scuola per ciechi sorse a Napoli nel 1818. Il passaggio da un interesse curativo ad uno educativo e sociale nei confronti dei minorati psichici si sviluppò in maniera sistematica verso la fine dell’Ottocento con la creazione di istituti medicopedagogici che si distaccarono dai manicomi per assumere una loro autonomia e valenza educativa – ad opera di studiosi come: Antonio Gonnelli Cioni che ricolse il suo metodo alla persona e non alla disabilità puntando sullo sviluppo delle capacità residue, valorizzando la vita di relazione e l’inserimento nella società. La sua opera rappresentò il primo momento di totale distacco dalle concezioni esclusivamente mediche. Un altro studioso da ricordare è Sante de Sanctis (1862-1935) che fondò a Roma nel 1935 il primo asilo-scuola. In De Sanctis si possono riconoscere i precursori dei moderni centri medico-psicopedagogici. Il problema delle minoranze psichiche veniva affrontato sotto diversi profili: psichiatrico, psicologico e sociale. Nel 1910 nacque la prima classe differenziale. A Maria Montessori si deve la prima applicazione dei principi pedagogici di interazione del soggetto con il suo ambiente e di sviluppo delle sue capacità attraverso l’aiuto e gli stimoli che il docente è in grado di offrire. La Montessori, ispirandosi ai metodi di Itard e Sèguin, destinati ai bambini con disturbo atipico, scoprì la loro applicabilità nell’educazione dei bambini senza difficoltà. In Italia, almeno fino al 1923, si lamenta la totale assenza dello Stato nel settore dell’educazione speciale. Lo Stato trascura, infatti, il problema dell’educazione dei minorati e lascia che di essi si occupino i privati e i Comuni. Infatti le prime scuole speciali in Italia sorsero grazie all’iniziativa di grandi comuni e non dello Stato. 4

Il primo intervento dello Stato nei confronti dell’educazione speciale è la riforma Gentile del 1923 con la quale viene sancito l’obbligo scolastico per i ciechi e i sordomuti e vengono istituite scuole speciali e classi differenziali. La legislazione prevede anche la preparazione di insegnanti specializzati. Ci si inizia ad occupare, quindi, di ciechi e sordomuti, mentre si continuano ad escludere i bambini con anomalie psichiche. Si pensava, quindi, che solo alcuni minorati fossero “rieducabili”. I minorati fisici “gravi” e quelli “psichici” erano normalmente considerati “non rieducabili” o comunque “non scolarizzabili” neppure nelle scuole speciali. Con la costituzione del 1948 furono consolidate le istituzioni speciali e le relative scuole di metodo per gli insegnanti. Prima della Costituzione l’educazione degli anormali veniva affidata a tre tipi di scuola: classi differenziali, classi annesse e asilo-scuola, chiamato anche “scuola autonoma” o “scuola ausiliare”. In queste scuole vi erano dei principi di base: la possibilità di sviluppo intellettuale e morale degli anormali psichici; la curabilità delle malattie che causavano l’anormalità. Le classi differenziali avevano carattere provvisorio e servivano per permettere il recupero di quegli alunni “tardivi” che successivamente sarebbero stati accolti nelle classi “normali”. Nel caso in cui, invece, non vi fosse stata alcuna forma di recupero, gli stessi ragazzi passavano nelle “scuole autonome” e venivano classificati come “anormali psichici veri”. Con la Costituzione si riconosce pari dignità sociale a tutti i cittadini. Le disposizioni contenute in essa rappresentano il punto di partenza per la futura normativa a favore dell’integrazione scolastica e sociale dei disabili. La circolare del 4 gennaio 1962 definì le varie tipologie di classi differenziali: tardivi e falsi minorati psichici, minorati psichici, minorati fisici, ambliopi (alterazione della visione dello spazio), sordastri. Veniva inoltre stabilito che le suddette classi non potevano avere più di 15 alunni e che questi dovessero avere appositi programmi e orai d’insegnamento. Inoltre potevano avere un calendario speciale. L’anno successivo, il 1963, si avviarono alle scuole speciali anche alunni affetti da minoranze psichiche più gravi, mentre erano da avviare alle classi differenziali gli allievi con lievi anomalie del carattere o gli alunni scarsamente dotati, con un quoziente intellettivo di poco inferiore a quello normale. Si sosteneva l’importanza di una collaborazione costante tra le famiglie e le istituzioni speciali. Il decennio dal 1960 al 1970 è caratterizzato dall’aumento di classi differenziali e di scuole speciali. Questo rappresentò un punto critico nello sviluppo della scuola, spesso accusata di praticare forme di esclusione. Vi fu, infatti, un lento declino delle scuole speciali a partire dal 1974 per inserire gli alunni con disabilità nelle classi comuni. Con la legge n. 118/71 si chiedeva l’abolizione delle classi differenziali e di quelle speciali che si erano rivelate strumenti inefficaci in quanto portavano alla segregazione e al’alienazione e si chiedeva la parità dei diritti anche per i disabili. Negli anni Settanta, quindi, tante classi differenziali si convertirono in classi comuni e vennero impiegati insegnanti speciali in funzione di sostegno per gli studenti con disabilità. Il movimento del ’68 contribuì a creare un nuovo approccio nei confronti delle categorie deboli: non più oggetto di aiuto e assistenza di tipo umanitario, ma possibile risorsa della società. Tale idea 5

si concretizza con la legge 118 del 1971 che è entrata nella scuola italiana come il primo riconoscimento giuridico ufficiale a favore dell’inserimento dei soggetti disabili nelle scuole normali. Riconosce loro il diritto di frequentare la scuola dell’obbligo e varie provvidenze di tipo sociale, sanitario ed economico. Tale legge poneva, tuttavia, alcuni condizionamenti, quando faceva eccezione per i casi in cui i soggetti fossero affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche tali da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle classi normali. Il Documento Falcucci può essere considerato il primo studio sistematico sull’inserimento dei ragazzi con disabilità nelle scuole comuni dal quale trasse origine la legge n. 227 del 1975. Il punto saliente del D. Falcucci era il superamento della distinzione normale/anormale per evitare il pericolo di emarginazione. I portatori di handicap, secondo il documento, erano tutti quei “minori che in seguito a evento morboso o traumatico pre-peri-post natale presentano una menomazione delle proprie condizioni psichiche o fisiche che li mettono in difficoltà di apprendimento o relazione”. Per questo motivo la scuola avrebbe dovuto favorire i processi di socializzazione e il tempo peno venne ritenuto uno strumento utile in tal senso. La valutazione non doveva essere circoscritta la mero voto ma anche e soprattutto al livello di maturazione. Il Documento segnava la decisa presa di posizione verso l’integrazione della persona con disabilità. Veniva confermata la tendenza, già in atto, di abolire le classi differenziali per favorire il processo di inserimento nella scuola normale. Di particolare importanza si presentava la proposta di revisione dei programmi, ritenuti statici, da sostituire con la programmazione, in vista del raggiungimento di obiettivi personali e differenziati. Il Documento Falcucci sottolineava l’importanza dell’individualizzazione degli interventi didattici, di nuove attività integrative, della scoperta di nuovi linguaggi espressivi, del riconoscimento di un’intelligenza non soltanto logico – astrattiva ma anche senso-motoria e pratica. Le conseguenze operative più immediate del documento Falcucci furono l’istituzione di un ufficio speciale per i problemi degli alunni handicappati presso il Ministero e l’emanazione della circolare 227/1975 con la quale si adottava il principio della massima integrazione nelle classi normali per cui le scuole comuni dovevano essere rinnovate al massimo per accogliere tutti i discenti. Questo tentativo d’integrazione prevedeva che in ogni provincia uno o due gruppi di scuole disponessero di qualche aula in più per attività speciali, di una palestra o salone, di un apposito locale per il servizio medico e di sufficiente spazio all’aperto. Gli accessi agli edifici e alle aule non avrebbero dovuto presentare impedimenti per alunni con difficoltà. Uno dei provvedimenti più rilevanti per quanto concerne l’innovazione didattica e l’integrazione scolastica dei soggetti con disabilità è la legge n. 517/1977 che rappresenta l’atto legislativo più importante in materia. Questa legge abolisce le classi differenziali e stabilisce il diritto all’integrazione dei disabili in una classe normale aperta, composta da non più di 20 alunni con la presenza di un insegnante specializzato. La programmazione è vista come strumento flessibile che può comprendere attività scolastiche integrative. L’insegnante di sostegno viene introdotta nella scuola elementare e media. Nella scuola elementare venivano previste attività scolastiche integrative per gruppi di alunni della classe oppure di classi diverse. Nella scuola media veniva 6

utilizzato un insegnante di ruolo on possesso di titoli di specializzazione. Ogni insegnante di sostegno veniva affidato ad una sola classe per un massimo di sei ore settimanali. Nel decennio 1980-1990 il Ministero avvia due importanti iniziative: il D.M. del 26 agosto 1981 che offre importanti chiarimenti sulle prove d’esame di licenza media per gli alunni disabili (nascono le prove differenziate) e la legge 20 maggio 1982, n. 270 che rivede la disciplina i reclutamento del personale docente della scuola materna, elementare e media. Nelle scuole elementare e media doveva essere assicurato un rapporto di un insegnante di sostegno ogni 4 alunni portatori di handicap e non più nel limite delle sei ore ma a seconda delle effettive necessità del discente. Di notevole importanza è poi la C.M. n. 148/1990 con la quale l’insegnante di sostegno assume la contitolarità della classe in cui opera e collabora con gli altri insegnanti, con la famiglie e con gli specialisti delle strutture territoriali per attuare progetti educativi personalizzati. A partire dagli anni ’60 e ’70 si è puntato molto sulla specializzazione degli insegnanti di sostegno. Con l’articolo 8 del DPR n.970/1975 l’insegnante per gli alunni con disabilità conseguiva un titolo al termine di un corso biennale. Nel ’76 furono previsti corsi monovalenti, per minorati della vista, dell’udito e psicofisici. Ma dopo 10 anni i corsi monovalenti risultarono inadeguati per rispondere alle diverse esigenze e furono istituiti, nel 1986, i corsi polivalenti grazie ai quali l’insegnante di sostegno ampliavano le tematiche generali di carattere metodologico e didattico e potevano qu...


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