Sergio RIBICHINI, “Agros e Agruheros. Immagini e gente d’un tempo che fu” , in O. Loretz – S. Ribichini – W.G.E. Watson – J. Á. Zamora (edd.), “Ritual, Religion, and Reason. Studies in the Ancient World in Honour of Paolo Xella” (= AOAT 404), Münster 2013, pp. 467-477. PDF

Title Sergio RIBICHINI, “Agros e Agruheros. Immagini e gente d’un tempo che fu” , in O. Loretz – S. Ribichini – W.G.E. Watson – J. Á. Zamora (edd.), “Ritual, Religion, and Reason. Studies in the Ancient World in Honour of Paolo Xella” (= AOAT 404), Münster 2013, pp. 467-477.
Author Sergio Ribichini
Pages 13
File Size 226.4 KB
File Type PDF
Total Downloads 200
Total Views 379

Summary

Agros e Agruheros Immagini e gente d’un tempo che fu Sergio Ribichini, Roma Paolo, senza saperlo, ha visto in anticipo l’Abstract di questo contributo. Anzi: potrei dire che lo ha letto e corretto, nella forma di “voce” che sullo stesso argomento gli ho consegnato, per il Dizionario Enciclopedico de...


Description

Agros e Agruheros Immagini e gente d’un tempo che fu Sergio Ribichini, Roma Paolo, senza saperlo, ha visto in anticipo l’Abstract di questo contributo. Anzi: potrei dire che lo ha letto e corretto, nella forma di “voce” che sullo stesso argomento gli ho consegnato, per il Dizionario Enciclopedico della Civiltà Fenicia1, più o meno nei giorni in cui raccoglievo con Oswald, Wilfred e José Ángel le prime adesioni al nostro comune omaggio. È appunto per compilare il lemma su Agros e Agruheros nella Storia fenicia di Filone di Biblo che ho riesaminato un paio di articoli scritti con Paolo alla fine degli anni ’70. Poi, alla luce di lavori da noi due successivamente e autonomamente elaborati, mi è sembrato che qualcosa di nuovo da dire ci fosse e che questa fosse l’occasione per tornare a riflettere sulla materia, rettificare qualche punto e ricordare in tal modo una fraterna collaborazione scientifica durata decenni. ****** Nella lista degli inventori al tempo della primitiva umanità, tra i discendenti di Technites e Geinos Autochthon Filone di Biblo annovera i capostipiti di campagnoli e cacciatori, nella forma che segue2: Mετὰ ταῦτα ἐκ τοῦ γένους τούτων γενέσθαι νεανίας δύο, καλεῖσθαι δὲ αὐτῶν τὸν μὲν Τεχνίτην. τὸν δὲ Γήϊνον Αὐτόχθονα· οὗτοι ἐπενόησαν τῷ πηλῷ τῆς πλίνθου συμμιγνύειν φορυτόν, καὶ τῷ ἡλίῳ αὐτὰς τερσαίνειν· ἀλλὰ καὶ στέγας ἐξεῦρον. ἀπὸ τούτων ἐγένοντο ἕτεροι, ὧν ὁ μὲν Ἀγρὸς ἐκαλεῖτο, ὁ δὲ Ἀγροῦ ἥρως ἢ Ἀγρότης, οὗ καὶ ξόανον εἶναι μάλα σεβάσμιον καὶ ναὸν ζυγοφορούμενον ἐν Φοινίκῃ· παρὰ δὲ Βυβλίοις ἐξαιρέτως θεῶν ὁ μέγιστος ὀνομάζεται. (13) ἐπενόησαν δὲ οὗτοι αὐλὰς προστιθέναι τοῖς οἴκοις καὶ περιβόλους καὶ σπήλαια. ἐκ τούτων ἀγρόται καὶ κυνηγοί. οὗτοι δὲ καὶ Ἀλῆται καὶ Τιτᾶνες καλοῦνται.

1

Cf. Xella et al. 2010. Ph. Bybl., F 2 Jacoby, FGrHist, n° 790, in Eus., PE, I 10,12–13. Cito qui di seguito, e per comodità del lettore, la traduzione di Troiani 1974, 120: «In seguito sarebbero nati dalla stirpe di costoro due giovani: di essi l’uno si chiamava Technites, l’altro Geinos Autochton; costoro avrebbero inventato di unire all’argilla del mattone comune paglia tritata e di asciugarli al sole. E inventarono anche i tetti. Da essi discesero altri due, dei quali l’uno si chiamava Agròs, l’altro Agrueros o Agrotes: di quest’ultimo esisterebbe in Fenicia uno xoanon molto venerato ed un tempio portato da due buoi. A Byblos in particolare è chiamato il dio più grande. Costoro avrebbero inventato di aggiungere alle case cortili, vestiboli e cripte. Da essi deriverebbero i campagnoli e i cacciatori. Costoro vengono anche chiamati Aletai e Titani».

2

468

Sergio Ribichini

Filone scrive in greco e usa per lo più nomi greci, in una storia delle origini che poggia su un impianto evemeristico ed è ricca di personaggi assolutamente umanizzati, spesso citati in coppia3. In questo caso, l’abbinamento è formato da due appellativi, presentati come se fossero la traduzione greca di originali denominazioni fenicie. Il nome del primo personaggio, Agros, s’interpreta bene con “Campo” (gr. ἀγρός); quello del secondo richiama il primo ed è duplice, giacché secondo Filone egli era detto Agruheros o Agrotes (Ἀγροῦ ἥρως, “Eroe dei terreni coltivati”, e Ἀγρότης, “Rustico”, “Agricoltore”). A differenza, poi, dei loro diretti discendenti (ἀγρόται καὶ κυνηγοί: i “campagnoli” e i “cacciatori”), l’uno e l’altro non sono presentati come generiche designazioni di gruppi di antenati4, bensì come soggetti dotati di personalità propria. Anche per questo motivo, dunque, mi pare che l’attribuzione della qualifica con cui si chiude tale paragrafo della Storia fenicia (οὗτοι δὲ καὶ Ἀλῆται καὶ Τιτᾶνες καλοῦνται) si riferisca direttamente ai personaggi in questione5, e che di riflesso essa coinvolga anche i gruppi umani dei quali Agros e Agruheros sono gli antenati. Per altro verso, nel racconto sulle origini della condizione umana tracciato da Filone, la generazione che con loro prende inizio e contrassegno è distinta dal passaggio da un’economia primitiva (in cui ci si limitava ad appropriarsi di quanto esiste in natura e ci si spostava in cerca di selvaggina e vegetali commestibili) alle prime forme di coltivazione della terra (che comportavano lo sviluppo di un artigianato e l’avvio di una vita sedentaria in agglomerati urbani relativamente compositi). Detto nei termini della sequenza cronologico-culturale fissata dallo scrittore di Biblo per la sua Storia fenicia, è ormai lontano il tempo in cui gli antenati Usoos e Hypsuranios avevano inventato l’uso d’indumenti con pelli animali e la costruzione di ricoveri (con canne, giunchi e papiro) tipici di una vita nomade e di clan numericamente ristretti; ed è parimenti passata l’epoca in cui Agreus e Halieus avevano dato inizio a forme arcaiche di economia, basate sulla caccia e sulla pesca. Anche l’invenzione dei mattoni crudi e la copertura delle abitazioni con tetti più solidi sono realizzazioni già compiute, a opera dei precursori Technites e Geinos Autochthon. Significativamente, e a prescindere dall’etimologia dei loro nomi, Agros e Agruheros si qualificano a questo punto della Storia fenicia come ideatori di un’architettura più complessa per le residenze fisse: si deve a loro infatti l’aggiunta di cortili, recinti e cripte alle case, cioè degli spazi nei quali si organizza la vita agricola e l’organizzazione societaria dei gruppi umani divenuti stanziali. In questo ruolo di eroi civilizzatori, inoltre, essi precedono direttamente la generazione di Amynos e Magos, che introdurranno l’allevamento del bestiame e l’organizzazione in villaggi; compariranno più avanti anche la scoperta dell’uso del sale, l’invenzione 3

Ad esempio e nell’ordine: Kolpia e Baau, Aion e Protogonos, Genos e Genea, Samemrumos/Hypsuranios e Usoos, Agreus e Halieus, tutti predecessori di Technites e Geinos Autochthon; quindi, dopo Amynos e Magos e prima della stirpe degli Uranidi: Misor e Sydyk, Eliun/Hypsistos e Beruth, Epigeios Autochthon/Uranos e Ge. Su questo procedere per coppie cf. Ribichini 1999. 4 Ma cf. le considerazioni di Lipiński 1995, 101 a proposito anche di Agreus e Halieus: «Ce ne sont pas de vrais théonymes, mais des noms d’anciennes castes professionnelles. S’inspirant d’une tradition sémitique qui rattachait les castes des nomades pasteurs, musiciens, forgerons ambulants, à des ancêtres dont le nom rappelait les métiers de leurs descendants (Gn. 4,20– 21), Philon de Byblos semble attribuer un ancêtre aux chasseurs, aux pécheurs et aux paysans, qu’il insère dans une généalogie fictive». 5 Così anche Ebach 1979, 195.

Agros e Agruheros: immagini e gente d’un tempo che fu

469

della scrittura e la prima navigazione; posteriore, infine, sarà la guerra tra le schiere di Uranos e di Kronos, con la conseguente e stabile partizione dell’universo secondo le sfere di competenza degli dèi vincitori. Come antenati mitici ed eroi culturali, insomma, Agros e Agruheros sono presentati nella lista dei primi abitatori della terra in un momento precipuo e con un ruolo specifico; la loro importanza, stando a Filone, si riflette anche nel tempo reale, nel quale essi furono dai Fenici ricordati come protagonisti della storia delle origini e anche onorati, almeno il secondo e perlomeno a Biblo, con oggetti cultuali e con epiteti sovrumani assolutamente peculiari. ****** L’ipotesi che Agros costituisca la traslitterazione o il fraintendimento di un teonimo ugaritico (Ugaru, messaggero di Baal insieme a Gapnu nella formula gpn w ugr), benché suggestiva, non mi sembra accettabile, per varie e convincenti ragioni già bene illustrate da A. I. Baumgarten6. Altrettanto problematica mi pare la proposta d’intendere Ἀγρότης come traduzione di un titolo fenicio analogo all’epiteto di “Principe, Signore della terra” (zbl bʿl arṣ), attribuito a Baal nei miti ugaritici7. L’etimologia di Agros e di Agruheros/Agrotes, a mio avviso, è senz’altro greca e su questa base sia il primo che il secondo personaggio appaiono esplicitamente connessi alla coltura dei campi. In questa linea interpretativa, mi sembra invece ammissibile il parallelo tra l’Agros di Filone di Biblo e il teonimo attestato in una iscrizione latina da Timna, con dedica per I(ovi) O(ptimo) Beelseddi, verosimilmente da Beelseddes e forse derivato da un originario bʿl šd8. Agros è stato accostato anche al greco Σίτων, “Campo di grano”9, che però, nella Storia fenicia, è appellativo di un’altra divinità: si tratta di Dagon, espressamente associata al cereale in questione e bene aderente alla tradizione semitica nord-occidentale10. Dall’insieme di queste indicazioni, comunque, ritengo possibile concludere che al momento di registrare tali nomi nella sua opera Filone avesse davanti a sé una tradizione composita e solidificata, alla quale forse attingeva liberamente, secondo i suoi propositi evemeristici e nazionalistici per una autentica e “fenicia” ricostruzione delle origini. Su Agruheros/Agrotes, inoltre, Filone fornisce qualche informazione ulteriore, che collega il personaggio alla religione di Biblo. L’indicazione che gli abitanti di

6

Dati e bibliografia in Baumgarten 1981, 171–172. Cf. Lipiński 1995, 101–102, che aggiunge: «Comme Philon souligne que les gens de Byblos le considéraient comme le plus grand des dieux, ce pourrait bien être Adonis ou le Baal de Byblos». 8 Cf. IGLS 2925. Agros è il nome utilizzato anche per la personificazione allegorica dei campi coltivati in un mosaico da Antiochia (IGLS 1011). Sul controverso parallelo con il biblico El Shadday, cf. in particolare Ebach 1979, 198–200; Baumgarten 1981, 171; Attridge – Oden 1981, 85; DDD, 749–753 (E. A. Knauf). 9 Cf. gr. σιτῶν, in fen. šd (si veda DNWSI, II, 1110). Per questo parallelo cf. in particolare du Mesnil du Buisson 1970, 46–48; Troiani 1974, 127–128; Ebach 1979, 201 ss. 10 Ph. Bybl., F 2 Jacoby, in Eus., PE, I 10,16: παραλαβὼν δὲ ὁ Οὐρανὸς τὴν τοῦ πατρὸς ἀρχὴν ἄγεται πρὸς γάμον τὴν ἀδελφὴν Γῆν καὶ ποιεῖται ἐξ αὐτῆς παῖδας τέσσαρας, Ἦλον τὸν καὶ Κρόνον καὶ Βαίτυλον καὶ Δαγὼν, ὅς ἐστι Σίτων, καὶ Ἄτλαντα. Cf. anche il § 25 dove si legge che Dagon inventò il frumento e l’aratro e che venne chiamato per questo Zeus Arotrios, cioè “Zeus protettore dell’agricoltura” (ὁ δὲ Δαγὼν ἐπειδὴ εὗρε σῖτον καὶ ἄροτρον, ἐκλήθη Ζεὺς Ἀρότριος). Per questo teonimo cf. DDD, 216–219 (J. F. Healey). 7

470

Sergio Ribichini

questa città lo veneravano quale θεῶν ὁ μέγιστος11, in primo luogo, invita a ricordare anzitutto la menzione di Adodos12 nella stessa Storia fenicia, nella sezione dedicata al conflitto tra gli dèi Uranidi (cronologicamente successivo, come si è detto, rispetto a quelle dei primi inventori, tra i quali figura anche la coppia qui esaminata). Suo padre El/Kronos, vincitore dello scontro e fondatore di Biblo, secondo lo stesso Filone, affida a questo Adodos il potere di regnare insieme ad Astarte su tutta la Fenicia, e Filone lo dichiara “re degli dèi” (βασιλεὺς θεῶν). Si riconosce in lui il dio semitico che i testi ugaritici conoscono più precisamente come Baal Haddu o Hadad (bʿl hd)13. I titoli di θεῶν ὁ μέγιστος e di βασιλεὺς θεῶν, evidentemente, non sono la stessa cosa e anzi distinguono, nell’opera di Filone, due diversi personaggi, peraltro non contemporanei. E tuttavia l’ipotesi che, come nel caso di Agros, Filone abbia qui tenuto presente e liberamente rimaneggiato un insieme di tradizioni locali appare assolutamente verosimile. Il collegamento con Biblo dell’epiteto attribuito ad Agruheros/Agrotes (παρὰ δὲ Βυβλίοις ἐξαιρέτως θεῶν ὁ μέγιστος ὀνομάζεται), d’altro canto, suggerisce di ricordare in parallelo anche il racconto mitico conservato nel De Iside et Osiride di Plutarco, in un brano nel quale lo scrittore colloca sul trono di questa città un re Malkandros, anch’esso affiancato da Astarte in qualità di regina14, entrambi premurosi anfitrioni per la dea Isis vagante alla ricerca dello sposo scomparso. Il greco Мάλκανδρος più specificamente, è stato inteso come una deformazione di un originario teonimo fenicio mlk ʾdr: un “Re Potente” che è stato immaginato come qualifica di un eventuale Signore fenicio degli Inferi15. Nella religione di Biblo, per altro verso, è testimoniata la presenza del culto di un dio bʿl ʾdr, da intendere come un “Baal Potente”. Il teonimo compare infatti in una iscrizione reale di questa città, databile intorno al 500 a. C. (KAI 9), ed è poi testimoniato in Occidente, in varie iscrizioni fenicie, puniche e neopuniche. Si ritrova infatti in Tunisia16 e soprattutto in Algeria, nella regione di Costantina, in una ventina di dediche incise sulle stele del santuario-tofet scoperto a El-Hofra, presso l’antica Cirta, dove plausibilmente bʿl ʾdr è utilizzato nel III–II sec. a. C. come appellativo di Baal Hammon, che è il destinatario della maggioranza assoluta delle offerte17. In una iscrizione, più particolarmente, bʿl ʾdr è accompagnato dall’epiteto mlk ʾdr, che richiama quel Malkandros gublita di cui ho appena detto. Nella stessa

11 Nella letteratura greca il titolo di ὁ τῶν θεῶν μέγιστος sembra costituire una prerogativa di Zeus (Hes., Th., 44–49; Diod. Com., F 2; Ath., VI 36; XIII 20) e di Eros (Men. Com., F 198 e 235; Hld., Aeth., IV 10,5; Stob., IV 20 a,14). 12 Cf. Ph. Bybl., F 2 Jacoby, in Eus., PE, I 10, 31: Ἀστάρτη δὲ ἡ μεγίστη καὶ Ζεὺς Δημαροῦς καὶ Ἄδωδος βασιλεὺς θεῶν ἐβασίλευον τῆς χώρας Κρόνου γνώμῃ. Concordo con quanti intendono Demarus e Adodos come due denominazioni per lo stesso dio fenicio, identificato con il greco Zeus. 13 Cf. tra l’altro DDD, 377–382 (J. C. Greenfield). 14 Cf. Plu., De Is. et Os., 357 c: ὄνομα δὲ τῷ μὲν βασιλεῖ Μάλκανδρον εἶναί φασιν· αὐτῇ δ’οἱ μὲν Ἀστάρτην οἱ δὲ Σάωσιν οἱ δὲ Νεμανοῦν, ὅπερ ἂν Ἕλληνες Ἀθηναΐδα προσείποιεν. 15 L’ipotesi, accolta da R. du Mesnil du Buisson 1970, 61, è di Isidore Lévy. Ne ho trattato brevemente in Ribichini 1994, 221–222. 16 Cf. KAI 138 da Bir Tlelsa, e Journal Asiatique 1916, 460–463 da Henchir Guergour. 17 Cf. EH 4–19, 27, 42, 63, 241; SPC 128 e forse 101. Il nome divino è seguito dall’epiteto mlk ʾdr in EH 31; in KAI 162, invece, bl ʾdr segue, come fosse un epiteto, il nome di Baal Hammon; in EH 27 (= KAI 115), infine, l’iscrizione si chiude con la menzione del “tempio di Baal Addir” (bt bʿl ʾdr).

Agros e Agruheros: immagini e gente d’un tempo che fu

471

Algeria, inoltre, sono testimoniate dediche per Baliddir18, forma latina dello stesso teonimo. Si tratta in questi casi, secondo le diverse ipotesi, d’un dio dai caratteri agrari e ctonii, identificabile con il Plutone africano e forse per questo equiparabile al dio Baal Hammon19. Anni fa, io stesso ho proposto20 un confronto tra i due personaggi riferiti a Biblo, suggerendo di leggere le concise notizie filoniane su Agruheros alla luce delle testimonianze epigrafiche su Baal Addir e viceversa. Senza proporre qui una riconsiderazione delle testimonianze, rettifico qualche dettaglio e ricordo che in tempi recenti la personalità del dio in questione è stata oggetto di vari studi, alla luce di testi inediti e di ulteriori indagini. G. Garbini, in primo luogo, ha pubblicato con P. Bartoloni una nuova iscrizione punica da Sulcis21. Si tratta di un’epigrafe della metà del III sec. a. C., incisa su una coppa d’argento, che ricorda la dedica del vaso al “Signore Baal Addir” da parte di funzionari pubblici. Il documento si aggiunge ad altre due testimonianze epigrafiche sul culto di Baal Addir in questa città precedentemente note: una prima, su una stele del santuario-tofet a lui dedicata, e una seconda, su un disco di piombo che reca il suo nome. Garbini, più in particolare, ha cercato di chiarire l’identificazione di Baal Addir con Baal Hammon, sia nel Nordafrica sia in Sardegna, sulla base della probabile connessione con il mondo funerario del primo teonimo; egli condivide in proposito le mie osservazioni circa l’iscrizione di Biblo e la plausibile identificazione con Baal Addir del Plutone frugifer ricordato nelle iscrizioni latine nordafricane, e rileva, in aggiunta, una possibile evoluzione in senso funerario anche di Baal Hammon, sicuramente “signore” del santuario-tofet sulcitano. Così, a suo avviso, troverebbe una qualche giustificazione il processo di parziale sovrapposizione dei due teonimi, entrambi connessi a una peculiare ideologia relativa alle divinità dell’oltretomba. A. Cadotte, in secondo luogo, ha respinto l’accostamento che avevo proposto a suo tempo (seguendo J.-G. Février), tra Baal Addir e Plutone in Nord-Africa, proponendo piuttosto l’ipotesi di una identificazione del latino-punico Baliddir / bʿl ʾdr con il romano Mercurius (specificamente assimilato a Silvanus). A suo avviso, nel contesto territoriale dell’attuale Algeria, esso probabilmente non era altro che un diverso modo per definire Baal Hammon22. Mentre su quest’ultimo punto posso anche concordare (se non altro per via di quanto ha scritto G. Garbini circa gli aspetti ctoni che sembrano collegare il dio in questione con l’oltretomba e con il riposo dei defunti), resto meno persuaso dall’ipotesi di Cadotte sull’interpretatio di Baal Addir con Mercurius, proprio in ragione delle testimonianze nordafricane su Plutone e della stretta connessione a El-Hofra di Baal Addir con Baal Hammon. Non mi pare soprattutto dirimente la constatazione che Mercurius fosse venerato a Cirta e la conseguente affermazione che, solo per questo, il caduceo raffigurato sulle stele di El18

Cf. in particolare: Antiquités Africaines 26, 1990, 135 n. 4: Baliddiri Aug[usto] (Aïn Guettar, regione di Costantina); ILAlg I 445: Baldir Aug[usto] (Guelaat bou Sba, territorio di Calama); tre iscrizioni di Siagu: ILAlg II 6486 (Deo patrio Baliddiri Aug[usto]), 6487 (Baliddiris Aug[usti] sancti patrii dei / statuam …) e 6488 (D[eo] sancto [Ba]liddiri). Cf. inoltre CIL VIII 19121–19123; 5279; AEp 1989, 850. 19 Cf. Février 1949 e Lipiński 1995, 88–90. 20 Cf. Ribichini 1986, 135–136. 21 Cf. Bartoloni – Garbini 1999 (cf. p. 85 per le due precedenti attestazioni sulcitane del teonimo). 22 Cf. Cadotte 2007, 113–164.

472

Sergio Ribichini

Hofra debba essere inteso come attributo di Baal Addir, identificato con questo dio romano23. Se l’ipotesi dello studioso è corretta, peraltro, essa porterebbe come conseguenza un’ulteriore equivalenza tra il Saturnus africano e il Mercurius Silvanus: ora, per quanto i sistemi dell’interpretatio romana fossero duttili e riplasmabili nel corso del tempo, sia a livello teologico sia sul piano della devozione individuale, ritengo eccessiva e non necessaria l’ipotesi di questa ulteriore “confusione” tra le morfologie degli dèi dell’Africa romana ereditati dal mondo punico. Del resto, anche P. Xella ha ribadito che nelle dediche del santuario-tofet di ElHofra, Baal Addir non è invocato come un dio autonomo, rispetto a Baal Hammon, bensì come «una sua epiclesi di carattere ctonio (sarà identificato con Plutone)»24. ****** Sempre a proposito di Agruheros o Agrotes, Filone registra che v’erano per lui in Fenicia un simulacro molto venerato e un tempietto portatile tirato da buoi: uno ξόανον μάλα σεβάσμιον e un ναός ζυγοφορούμενος, che possiamo intendere come connessi tra loro, nel senso che verosimilmente il primo era (o poteva essere) contenuto nell’altro. Da tempo sono noti i paralleli proposti a questo riguardo: l’identificazione dell’edicola gublita con il tabernacolo su carro in onore di Jupiter Heliopolitanus a Baalbek25; il raffronto con l’arca dell’alleanza trainata da due giovenche di cui al capitolo 6 del primo libro di Samuele; il confronto, a mio avviso più utile, con lo ξόανον Ἀπόλλωνος portato a spalla a Hierapolis di Siria secondo quanto si legge nel De Syria dea26. Di tempietti portabili in contesti fenicio-punici si è occupato anche P. Xella, scrivendo a proposito della testimonianza di Diodoro su quei χρυσοῖ ναοί che i Cartaginesi tolsero dai loro templi e inviarono a Tiro, nel 310 a. C., come offerta destinata ai simulacri divini (τοῖς ἀφιδρύμασις) della madrepatria27. Paolo ha bene accertato l’esistenza, nei santuari di tradizione fenicia e punica, di cappelle o sacelli destinati a contenere le statue divine (appunto, i “simulacri” diodorei), poste sotto una sorta di baldacchino. Si tratterebbe, in questo caso, di pezzi pregiati e di alto artigianato, appositamente real...


Similar Free PDFs