Neoclassicismo e preromanticismo in europa e in italia PDF

Title Neoclassicismo e preromanticismo in europa e in italia
Author Costanza Gucci
Course Italiano anno 5
Institution Liceo (Italia)
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Neoclassicismo e preromanticismo in europa e in italia...


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NEOCLASSICISMO E PREROMANTICISMO IN EUROPA E IN ITALIA Neoclassicismo: quando ritorna di moda il classico. Romanticismo: dovuto alla scoperta di Pompei e all’Illuminismo, nasce dall’opposizione del mondo fenomenico con quello noumenico di Kant e si oppone al Neoclassicismo. Negli ultimi decenni del Settecento le scoperte archeologiche di Pompei ed Ercolano avevano sollecitato la curiosità e l’ammirazione per le forme dell’arte classica. D’importanza fondamentale furono le opere dell’archeologo Johann Joachim Winkelmann, egli sosteneva che l’arte greca avesse realizzato l’ideale del bello assoluto ed eterno, diceva che la bellezza consiste nell’armonia delle forme e che si può definire arte quando c’è un senso nelle proporzioni. Le teorie di Winkelmann fornirono all’estetica neoclassica i principi fondamentali: l’arte e la letteratura devono mirare al bello ideale, cioè trasfigurare la realtà contingente in forme perfette. Il Romanticismo, la cui patria è la Germania, arrivò in Italia grazie a Madame De Staël ma male e molto tardi. La parola del Romanticismo è senz’altro “WANDERER” che significa “viandante”, questo viandante non lo sa neanche lui perché viaggia, ma ne ha bisogno, non riesce a stare fermo come se avesse una specie di inquietudine. Negli ultimi anni del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento iniziarono a manifestarsi delle tendenze che apparivano opposte a quelle del Neoclassicismo. Queste tendenze, che si possono riconoscere dall’interno di opere di scrittori neoclassici come Vincenzo Monti, Ippolito Pindemonte e Ugo Foscolo, si manifestavano come esasperazione passionale e soggettiva, concentrazione gelosa sull’io, amore per il primitivo, il barbarico e l’esotico, per atmosfere malinconiche e cupe, lugubri e tenebrose, dominate dall’idea e dalla presenza ossessiva della morte.

UGO FOSCOLO La vita Niccolò Foscolo (Ugo fu un nome assunto più tardi dal poeta) nacque nel 1778 a Zante, isola greca ma facente parte del possedimento della Repubblica veneta. Il padre era medico, la madre, Diamantina Spathis, era greca. Il poeta per tali origini si sentì profondamente legato alla civiltà classica e al suo ideale erede. Politicamente era entusiasta dei principi della Rivoluzione francese e assunse posizioni fortemente libertarie ed egualitarie, ebbe pertanto noie con il governo della Repubblica di Venezia e nel 1796, per sfuggire ai sospetti del governo, lasciò la città rifugiandosi per qualche tempo sui Colli Euganei (in cui è ambientata la lettera di apertura di Jacopo Ortis a Lorenzo Alderani). Nel frattempo, le armate napoleoniche avanzavano nell’Italia del nord, Foscolo fuggì a Bologna, arruolandosi nelle truppe della Repubblica cispadana. In questo periodo esaltava il generale francese Napoleone come portatore di libertà. Quando seppe che a Venezia si era formato un governo democratico vi fece ritorno, ma dopo che Napoleone

cedette la Repubblica veneta all’Austria con il trattato di Campoformio, lasciò di nuovo Venezia e si rifugiò a Milano. Il “tradimento” di Napoleone fu un trauma che segnò profondamente l’esperienza di Foscolo, cancellando tutte le sue speranze politiche. A Milano Foscolo conobbe Parini (che costituiva per lui un modello di figura intellettuale) e strinse amicizia con Monti. Dopo le varie sconfitte di Napoleone, Foscolo fuggì da Milano, prima in Svizzera, poi a Londra. Morì nel villaggio di Turnham Green nel 1827, a 49 anni. Nel 1871 i resti furono portati in Italia e sepolti in Santa Croce, vicino ai grandi uomini da lui cantati nei Sepolcri. Foscolo si colloca al confine di due epoche, il Settecento, contrassegnato da classicismo, razionalismo illuministico, e materialismo, e il primo Ottocento romantico, caratterizzato dalla crisi della ragione, dall’imporsi delle illusioni e dal fascino della morte. Nel poeta si trovano compresenti ambedue le tendenze. L’esperienza di Foscolo è segnata dalla delusione degli ideali della Rivoluzione Francese e dallo scontro con la realtà del dominio napoleonico in Italia. Di qui nasce in lui un senso di sradicamento, che si traduce nel tema dell’esilio e nella costruzione di un’immagine di sé come senza patria. L’impossibilità di trovare alternative al negativo della storia entro il corso della storia stessa induce il poeta a vagheggiare la morte come unico scampo, ma il suo ideale eroico non gli consente di adagiarsi in questa soluzione nichilistica e lo spingono a lottare comunque per trovare soluzioni positive. A entrambi i vicoli ciechi, quello politico e quello filosofico, Foscolo risponde affermando il potere delle illusioni: la sepoltura lacrimata, che dà l’illusione di vivere ancora dopo la morte e permette di superare l’idea paralizzante del “nulla eterno”, la memoria storica dei grandi del passato, che spinge a compiere imprese gloriose, la bellezza e l’arte che in contrapposizione al caos della storia hanno il compito di rasserenare l’animo umano.

Le Ultime lettere di Jacopo Ortis La prima opera importante di Foscolo fu un romanzo (il primo della letteratura italiana). Una prima redazione dell’Ortis fu parzialmente stampata dal giovane Foscolo a Bologna nel 1798, ma restò interrotta per le vicende che spinsero lo scrittore ad andare a combattere. Il romanzo fu poi ripreso e pubblicato a Milano, con profondi cambiamenti, nel 1802. Su di esso Foscolo tornò ancora durante l’esilio, ristampandolo nel 1816 a Zurigo e nel 1817 a Londra, con ritocchi ed aggiunte. Si tratta di un romanzo epistolare: il romanzo si costituisce attraverso una serie di Lettere che il protagonista scrive all’amico Lorenzo Alderani. Il modello a cui Foscolo guarda è soprattutto “I dolori del giovane Werther” di Goethe. Chiaramente ispirato al Werther è il nodo fondamentale dell’intreccio, un giovane che si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro. Goethe per primo aveva colto questa situazione di conflitto tra intellettuale e società ed aveva avuto la geniale intuizione di rappresentare il conflitto attraverso una vicenda privata e psicologica. Foscolo riprende questo nucleo tematico, sviluppandolo in relazione alle particolari caratteristiche del contesto italiano dei suoi anni.

Il dramma di Jacopo Ortis è il senso angoscioso di una mancanza, il non avere una patria, un tessuto sociale e politico degno di questo nome entro cui inserirsi. Dietro il giovane Ortis c’è l’Italia dell’età Napoleonica, con i suoi tumultuosi rivolgimenti ed il delinearsi del nuovo regime oppressivo del tiranno straniero. In Jacopo Ortis c’è tutta la disperazione che nasce dalla delusione rivoluzionaria, dal vedere tradite tutte le speranze patriottiche e democratiche, dal vedere la libertà finire in tirannide, dal rendersi conto che lo strumento rivoluzionario è ormai impraticabile. L’Ortis non è solo un’opera nichilistica, al suo interno si trova una ricerca di valori positivi che possano permettere di superare il vicolo cieco della storia.

Dei Sepolcri I Sepolcri sono un poemetto in endecasillabi sciolti sottoforma di epistola poetica indirizzata all’amico Ippolito Pindemonte. L’opera riprende una discussione avuta a Venezia con il destinatario a proposito dell’editto napoleonico di Saint-Cloud. In tale editto si imponevano le sepolture fuori dai confini della città e si regolamentavano le iscrizioni sulle lapidi. Pindemonte, da un punto di vista cristiano, sosteneva il valore della sepoltura, mentre Foscolo, da un punto di vista materialistico, aveva negato l’importanza delle tombe, poiché la morte produce la totale dissoluzione dell’essere. Nel carme, steso nel settembre dello stesso anno, rielaborato nei mesi successivi e pubblicato nell’ aprile del 1807, Foscolo riprese appunto quella discussione ribadendo inizialmente le tesi materialistiche sulla morte, ma superandole poi con altre considerazioni che rivalutavano il significato delle tombe. Nei Sepolcri si può cogliere il punto terminale ella ricerca di un superamento del nichilismo. Anche il carme ha al centro il motivo della morte, ma è superata l’idea che essa sia semplicemente un “nulla eterno”. La prima parte: il valore affettivo delle tombe Dal verso 1 al verso 22 il poeta ribadisce le tesi materialistiche dalle quali dovrebbe discernere l’inutilità delle tombe e l’indifferenza per il modo di seppellire i defunti. Secondo Foscolo la morte è la distruzione totale dell’individuo e non lascia possibilità di sopravvivenza, per questo il morto, che non sente più nulla, non può trarre conforto dalla tomba. La continua trasformazione della materia impedisce anche la sopravvivenza nel ricordo, perché il corso del tempo cancella ogni traccia dell’esistenza. Queste posizioni costituiscono la base di tutta la sua visione della realtà, ma non lo soddisfano più interamente. Pur non essendo in grado di proporre alternative, egli sente che quelle idee hanno esaurito la funzione che avevano nell’età illuministica. Esse sono state il lievito della rivoluzione, ma hanno anche portato ad un vicolo cieco, la tirannide napoleonica. Se il materialismo non viene superato da Foscolo sul piano teoretico, viene superato sul piano pratico con le illusioni. La sopravvivenza dopo la morte, se è impossibile secondo la ragione, diventa possibile grazie all’illusione. L’illusione della sopravvivenza è affidata alle tombe: l’uomo può illudersi di continuare a vivere anche dopo la morte, poiché la tomba mantiene vivo il ricordo ed istituisce ed istituisce un rapporto affettivo con i familiari e gli

amici. La prima parte del carme dunque si concentra sull’utilità delle tombe sul piano privato ed affettivo. I versi che concludono questa prima parte un esempio in negativo della prima tesi dimostrata: l’errore di non attribuire il giusto valore al sepolcro, privando così il morto del ricordo. L’esempio si incentra sulla figura del poeta Parini, nei cui confronti la città natale è stata ingrata non concedendogli una degna sepoltura. Nel suo caso, il ricordo che la tomba dovrebbe serbare non è solo limitato alla sfera privata, ma contiene un messaggio civile per la società. La seconda parte: la funzione civile delle tombe Le tombe e la pietà per i defunti sono uno dei fondamentali segni distintivi della civiltà, il sorgere di questi istituti ha segnato il passaggio dell’uomo dalla ferocia belluina dell’età primitiva al rispetto reciproco dell’età civile. Le tombe quindi sono un metro per misurare il grado di civiltà di una data società. Foscolo propone quattro esempi di tale funzione civile delle tombe. Il primo esempio è il medioevo. Foscolo condanna il medioevo come età di barbarie, che è denunciata dalla mancanza di igiene, dalla superstizione, ma soprattutto da una visione della vita tetra e macabra, ossessionata dal terrore della morte, vista come qualcosa di ripugnante e spaventoso. Questa barbarie si perpetua per il poeta nell’uso cattolico di seppellire i morti nelle chiese, che viene associato pertanto nella condanna. Il secondo esempio, in contrapposizione al precedente è costituito dalla civiltà classica. Essa aveva una visione serena della morte, testimoniata dallo scenario gioioso e luminoso che circondava le sepolture. Questa visione serena della morte e prova di un altissimo livello di civiltà. Il terzo esempio, anch’esso positivo è quello dei giardini dei cimiteri suburbani inglesi. Nell’Inghilterra moderna le sepolture sono indizi della presenza di valori civili profondamente radicati, che uniscono lo spirito del popolo intorno alle glorie e agli eroi nazionali. Il quarto esempio, a contrasto, è la mancanza di spirito eroico di valori civili nell’Italia napoleonica. In paesi come l’Italia, in cui la vita civile è dominata dalla smania di arricchirsi e dal timore servile verso il potere, le tombe non possono avere alcuna funzione e si riducono ad un inutile sfoggio di lusso o a lugubri immagini di morte. In conclusione, Foscolo spera di lasciare dietro di sé un’eredità di affetti ed un esempio di impegno civile. La terza parte: il valore storico delle tombe Nella terza parte dei sepolcri la tomba viene vista come messaggio che travalica la successione del tempo. Per questo il poeta passa dalle tombe in genere alle tombe degli uomini grandi, il cui ricordo dura nei secoli. Domina in questa parte il motivo delle tombe di Santa Croce, qui il tema dei grandi di Santa Croce è riproposto in positivo, le tombe dei grandi uomini stimolano gli animi generosi a compiere grandi azioni e rendono sacra la terra che li accoglie. In un’Italia senza futuro il giorno in cui si presenterà di nuovo una speranza di gloria alle anime grandi, dalle tombe dei grandi del passato si trarranno le energie per l’azione. A differenza dell’Ortis, Qui l’azione sul terreno politico non è più esclusa, ma è data come possibile, sia pure in un ipotetico futuro. Foscolo a superato il vicolo cieco della delusione rivoluzionaria giovanile ed ha ristabilito le basi per una

partecipazione attiva alla storia. Foscolo canta le tombe dei grandi uomini, che devono stimolare all’agire eroico, riproponendo una concezione eroica in chiave moderna. In questa terza parte del carme si offre un’altra figura esemplare di poeta: Alfieri. Esso è poeta politico e profetico ed il messaggio lanciato dalla poesia di Alfieri è l’immagine esemplare del poeta che esige questa parte del carme, che è appunto politica e profetica. La quarta parte: la funzione della poesia La quarta parte del carme propone un tema nuovo: la funzione della poesia. E se le tombe hanno il compito di vincere l’opera distruttrice della natura e del tempo, che tutto trasforma cancella, anche se, in quanto oggetti materiali, sono sottoposte a questa opera di distruzione. La loro funzione e quindi limitata nel tempo. Ma quando esse saranno scomparsi, tale funzione sarà raccolta dalla poesia, poiché non è sottoposta alle leggi materiali. Foscolo vive in un’epoca in cui è entrato in crisi, in seguito ai grandi rivolgimenti che ha subito l’Italia, infatti esso non contempla il ruolo tradizionale del poeta rinascimentale, cioè il poeta cortigiano che si rivolge ad un’Élite aristocratica. Foscolo non scrivo più per il pubblico, ma non ancora ben delineato dinanzi a sé il nuovo, borghese e nazionale. Per questo assegno alla poesia una funzione profetica, e insiste sulla sua azione nel lungo corso dei secoli futuri, il poeta parla infatti alle generazioni a venire. I versi che concludono il carme, sono una vasta esemplificazione del motivo della poesia che raccoglie l’eredità delle tombe nel perpetuare la memoria. Vi si delinea l’immagine delle grandi civiltà che cadono in rovina e scompaiono per l’azione del tempo. L’esempio è ancora tratto dalla storia di Troia, in cui si rievocano gli antichi fatti di Aiace, delle armi di Achille, di Ulisse. Cassandra conducendo giovinetti a venerare i sepolcri degli antenati, profetizza la prossima rovina della città, ma un poeta, Omero, si ispira alle tombe dei padri di Troia tramandando il ricordo di quella civiltà scomparsa. Omero canta non solo gli eroi greci vincitori, ma anche Troiani sconfitti e perpetua il ricordo di chi è morto per la patria. Questo è un tema molto caro a Foscolo e su di esso si chiude il carme. Anche in questa quarta parte spicca la figura di un poeta, se Parini e Foscolo costituivano esempi di poesia civile, Alfieri di poesia profetica e politica, Omero è il poeta nei cui versi si raccoglie e si tramanda tutta la tradizione di un popolo, che può sopravvivere così nel tempo.

Alla sera PARAFRASI: (1-8) O sera, forse giungi a me così cara perché sei l’immagine della pace eterna (fatal quiete)! Scendi sempre da me invocata e sai raggiungere dolcemente le zone più segrete del mio cuore, sia quando ti accompagnano liete le nubi estive ed i venti tiepidi che rasserenano il cielo (sereni), sia quando dall’aria nevosa protendi all’universo tenebre lunghe ed inquiete. (9-14) Mi fai vagare con i pensieri sulle tracce (orme) che conducono al nulla eterno; e intanto questo tempo malvagio (reo) passa, e porta con sé la folla degli affanni (torme delle cure), per cui ci consumiamo sia io sia l’età presente; nella contemplazione della pace della sera trova pace (dorme) anche il mio animo (spirto guerrier ch’entro mi rugge).

ANALISI: Il sonetto è diviso in due parti che corrispondono rispettivamente alle due quartine e alle due terzine. La prima parte descrive lo stato d’animo dell’Io davanti alla sera, colta in due momenti diversi, l’imbrunire di una bella giornata estiva ed il calare delle tenebre in una fosca sera invernale. La seconda parte è più dinamica, perché rappresenta alcuni processi di trasformazione, qui si colloca il nucleo del componimento, da cui si sprigiona il “nulla eterno”. La sera, in quanto immagine della morte, è cara al poeta perché ha un’efficacia liberatoria, rappresenta infatti l’annullamento totale, in cui si cancellano conflitti e sofferenze.

A Zacinto PARAFRASI: (1-11) Non tornerò più alle tue sacre rive dove il mio corpo di bambino riposò, o mia Zacinto, che ti specchi nel mare greco da cui nacque la vergine Venere, e rese (fea) le isole Ionie fertili con il suo primo sorriso, di cui celebrò (non tacque) le tue nuvole bianche e la tua vegetazione l’insigne poesia (inclito verso) di colui che cantò le peregrinazioni per mare di Ulisse, volute dal fato (colui che l’acque cantò fatali), e il suo esilio errabondo (diverso) per cui, reso bello dalla fama e dalla sventura, baciò infine la sua Itaca rocciosa (petrosa). (12-14) A te, al contrario, o mia terra natale, non resterà altro che la poesia di tuo figlio; a noi il fato preservò una sepoltura senza il compianto dei cari (illacrimata). ANALISI: Grazie ai continui enjambements, il discorso si presenta come un flusso ininterrotto e la sintassi sembra voler riprodurre l’errare dei due eroi. Si profila così una contrapposizione tra il poeta e l’eroe omerico. Foscolo non toccherà mai più le rive di Zante (codice romantico), Ulisse baciò la sua petrosa Itaca (codice classico). È un tema tipicamente romantico quello di un errare senza approdo che si conclude con la morte in terre lontane e sconosciute. Questi viaggi sono la proiezione simbolica di una condizione di smarrimento, di incertezza e di mancata identificazione con un dato sistema sociale. L’eroe romantico sentendosi in una società in cui non si riconosce, ama rappresentarsi come un esule, condannato ad un perenne vagabondare.

JOHN KEATS La vita Keats nasce a Londra nel 1795, era di famiglia modesta e non studiò in scuole prestigiose, ma fu posto un apprendista presso un chirurgo. Abbandonò però questa attività per la poesia, pubblicando un volume di versi a 22 anni, nel 1817, e, nel 1818, il poema Endimione. Tra il 1818 il 1819 si colloca il periodo più fervido della sua creazione: compone le famose odi Ad un usignolo, Su un’urna greca, All’autunno, Alla malinconia, A Psiche, ed il poema mitologico Iperione che rimane incompiuto. La sua breve vita fu segnata dalla malattia del fratello. Nel 1820 si manifestò anche lui la malattia, la tisi, parti quindi per l’Italia alla ricerca di un clima più mite e si stabilì a Roma, dove morì nel 1821. Il mondo classico è per lui la realizzazione suprema della bellezza, intesa come armonia sottratta al tempo, che si contrappone agli affanni in cui distrugge la vita effimera dell’uomo. Keats si

può vedere come un precursore dell’estetismo, la corrente che nel secondo Ottocento individuerà nel Bello il valore supremo a cui sottomettere tutti gli altri valori. Per lui la bellezza ancora un valore etico, coincide con il bene e con il vero, come sostiene la chiusa famosa dell’ode Su un’urna greca. Caratteristico infine della poesia di Keats è un linguaggio estremamente prezioso, ricco di parole inusuali.

Ode su un’urna greca Il poeta si rivolge ad un’antica urna greca, su cui sono scolpiti nel marmo due scene: un giovane che tenta di baciare una fanciulla, in uno scenario pastorale, ed un sacerdote che si accinge a compiere un sacrificio. Prima stanza: viene fornita una descrizione della reazione immediata del narratore al primo impatto con l’urna greca nella seconda parte della stanza, inizia una serie di domande, il narratore si chiede chi siano quelle figure rappresentate sull’urna, quali leggende narrino e da dove vengano. Seconda stanza: Il narratore si sofferma su un’altra immagine dell’urna, c...


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