Longobardi e Bizantini in Italia PDF

Title Longobardi e Bizantini in Italia
Author Roslb
Course Storia medievale
Institution Università degli Studi di Siena
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Longobardi Tra il 568 e il 569 (ossia dopo 16 anni dalla fine della guerra greco-gotica) penetrarono in Italia i Longobardi, un popolo di guerrieri di lingua germanica proveniente dalla Pannonia (odierna Ungheria), e dalla quale si era allontanato alla fine del V secolo spinto da una carestia, provenivano però inizialmente (IV secolo) da più lontano, probabilmente dalle foci dell'Elba. La loro migrazione si concluse in Italia e fu per la penisola un'esperienza del tutto nuova, perché la prima esperienza di dominazione effettiva da parte di un popolo germanico, dato che quella degli Ostrogoti non aveva comunque mutato la sostanza dell'organizzazione amministrativa romana. I Longobardi giunsero sotto la guida di Alboino ma alcuni contingenti di questa popolazione si erano già spostati da qualche anno nella penisola stanziandosi tra Spoleto e Benevento, come mercenari. Quando si mossero, però, tra il 568 e 569 non si trattava più di una spedizione militare, si misero in viaggio intere famiglie. In totale erano tra i 100.000 e i 300.000, non moltissimi, ma comunque un intero popolo in marcia. Il loro viaggio fu lento e non avevano un piano metodico di conquista: senza particolari difficoltà, però, occuparono il Friuli dove stabilirono un saldo presidio militare con base a Forum Iulii, l'attuale Cividale del Friuli: il Ducato. Poi occuparono il Veneto, senza Venezia, la Lombardia, il Piemonte e la Toscana. Crearono poi i Ducati di Spoleto e Benevento (Longobardia Minor) che coprirono l'Italia centrale e meridionale da sud di Ancona, fino al nord di Cosenza e a est fino al fiume Bradano in Puglia. L'occupazione longobarda rappresentò una delle prove più impegnative che la popolazione della penisola avesse mai affrontato, probabilmente per questo motivo tradizionalmente i longobardi sono stati considerati una popolazione più feroce di altre e meno assimilabile. La realtà, però, è parzialmente diversa: una parte di questo popolo quando arrivò in Italia aveva già conosciuto il cristianesimo nella sua forma ariana, anche se tra la gente persistevano forti costumi pagani di taglio germanico (per esempio inumare i corpi in tronchi d'albero cavi). Dallo stanziamento in Pannonia, poi, avevano portato in eredità l'esperienza di una serie di contatti con i Bizantini al soldo dei quali avevano militato durante la guerra greco-gotica! (Shocking). Di fatto questo popolo non era né più feroce né più mite di altri, alcuni dei loro costumi particolari sono tali e tipici di una tribù guerriera migrante, e possono ben scontrarsi con quelli di una civiltà sedentaria. Episodio del re Alboino che pretese di far bere la moglie Rosmunda dal cranio del padre ucciso: tagliare la testa al nemico ucciso e bere dal suo cranio era, in molte civiltà indoeuropee di cultura guerriera e tradizione normade, un rituale di “omaggio” verso il vinto, del quale simbolicamente si bevevano il coraggio, la forza e le virtù. L'offerta fatta a Rosmunda da Alboino

era un'offerta di riconciliazione fra vincitori e vinti, il rifiuto di Rosmunda quindi non fu altro che il rifiuto della riconciliazione e infatti successivamente fece assassinare Alboino e si rifugiò a Ravenna amministrata dai Bizantini. La popolazione indigena italica, ormai costituita da persone di origine etnica e storica non più propriamente romana, ma che ancora così sono chiamati: romani, non è certo che sia stata ridotta in schiavitù, a quanto pare i Longobardi si disinteressarono della capacità giuridica dei latini in quanto erano già assoggettati e disarmati; furono molto probabilmente lasciati a se stessi, purché versassero un tributo agli occupanti. Quindi alla terra (la Sala) nella quale si era acquartierato inizialmente il presidio longobardo, che assumeva il comando militare della zona, e dove continuò poi a risiedere il nucleo gentilizio longobardo detentore del potere, si contrapponevano le Terre Tributarie dei coloni indigeni. Nel VIII secolo sappiamo che ormai, però, tutti i liberi si riconoscevano nella tradizione longobarda e il nuovo ceto dirigente appariva tutto germanico. Quello che viveva sul suolo italiano ormai si avviava a essere un unico popolo che non poteva più dirsi né soltanto latino né del tutto longobardo, ed era il prodotto della lenta fusione delle due componenti etniche, che aveva determinato una sostanziale unificazione anche giuridica. Infatti a quella netta separazione iniziale tra le due componenti etniche e tra i due popoli con costumi molto diversi, era seguito dal VII secolo un lento processo di fusione sostanzialmente arrivato a conclusione nell' VIII secolo. L'elemento principale che aiutò questo processo di fusione fu quello religioso: il re Autari si era preoccupato di proibire il battesimo con rito cattolico ai figli dei longobardi, dato che queste limitazioni di solito significano quasi sempre che il fenomeno da arginare è già spontaneamente in atto, possiamo dedurre che matrimoni misti erano già una frequente possibilità. Successivamente lo stesso Autari si convertì al cattolicesimo, anche grazie all'influenza della regina Teodolinda, figlia di un capo barbarico cattolico. Questa trasformazione dell'intera popolazione degli occupanti da cristiani ariani e cristiani cattolici fu soprattutto un fenomeno progressivo e capillare che si realizzò famiglia per famiglia, matrimonio dopo matrimonio, infatti numerosi documenti ci dimostrano che nomi romani venivano ormai dati a figli di longobardi e viceversa. Nell' VIII secolo i longobardi non parlavano nemmeno più la loro lingua di origine e anche le sepolture ormai erano svolte secondo riti omogenei, impossibile distinguere etnicamente le sepolture. Del resto Paolo Diacono, monaco longobardo, scrisse la sua Historia Langobardorum in latino. Con i Longobardi per la prima volta una parte dell'Italia era uscita veramente fuori dal sistema politico imperiale, ma qui e là rimaneva presidiata dai Bizantini: Istria, Veneto, Liguria, Esarcato con capitale Ravenna, composto da

tutte le province bizantine: Ravenna e la Romagna (esarcato in senso stretto) e la Pentapoli costituita da 5 città della costa: Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona; poi il territorio di Perugia, il Lazio, Napoli, la Puglia, la Calabria e le Isole. Intorno al 584 i Bizantini organizzarono politicamente e militarmente i loro domini in Italia intorno a un ufficiale superiore, capo dell'esercito e governatore d'Italia in nome dell'Impero: l'Esarca, che era di stanza a Ravenna. Il potere si concentrò in mano ai rappresentanti imperiali (esarchi?) che oltre a detenere il comando supremo dell'esercito nominavano tutte le cariche della città comprese quelle ecclesiastiche e infatti ai vescovi fu ufficialmente riconosciuta la funzione di supplenza a capo del governo cittadino ogni qual volta l'esarca fosse assente. Ma anche l'Italia controllata dai bizantini cambiò la propria fisionomia perché in conseguenza dello stato di pericolo si verificò una diffusa militarizzazione e un'unificazione dei poteri nelle mani delle autorità militari, nell'Italia bizantina quindi i poteri dei capi dell'esercito sovrastano decisamente i poteri civili. E' intorno al 584 che fu costituito l'Esarcato in Italia con capitale Ravenna e composto poi da tutte le province bizantine: Ravenna e la Romagna esarcato in senso stretto e poi le coste venete la Pentapoli nelle Marche, Puglia, Calabria, Isole, e i ducati di Napoli e Roma e la Liguria. Invece il regno Longobardo stabilì la sua capitale a Pavia dove risiedeva il Re, e il regno si configurò come una struttura di Ducati, ciascuno dei quali godeva di un largo margine di autonomia. La sua parte centro-meridionale organizzata nei ducati di Spoleto e Benevento, in particolare, fece spesso parte a sé. Questa frammentazione autonomia dei ducati impedì a lungo che il regno longobardo si assestasse, lacerato dalle lotte fra i vari duchi e fra i duchi e i re che inviavano nelle sedi periferiche i propri fiduciari: i Gastaldi, principalmente incaricati di amministrare le terre pubbliche. Il Re Longobardo Rotari fa un passo aventi nel voler dare ordine giuridico ai rapporti tra Longobardi e Latini, il cosiddetto: Editto di Rotari (643): una raccolta di leggi di diritto privato e penale, il Re decide per la prima volta di far mettere per iscritto le antiche leggi del suo popolo, i Longobardi infatti le avevano sempre trasmesse oralmente da una generazione all'altra. Perciò l'editto di Rotari (643) è un documento straordinario, ci permette di conoscere le leggi longobarde in vigore in quell'anno ma soprattutto ci mostra come erano andate le cose fino a quel momento, quando i longobardi avevano tramandato la propria cultura tradizionale attraverso i secoli senza fare ricorso alla scrittura. Importante il fatto che, appena dopo 75 anni dopo il loro arrivo in Italia, l'editto fosse scritto in latino, traducendo dalla lingua di ceppo germanico dei longobardi. Fatto molto interessante per capire cosa possa succedere quando una cultura orale incontra un paese abituato alla scrittura. In questo testo le

leggi sono esposte in prosa, ma sono riconoscibili al suo interno anche frammenti che sembrano essere stati stesi originariamente in versi, tecnica che si usava oralmente per memorizzare e facilitarne l'apprendimento. L' Editto di Rotari risente, però, anche dell'influenza del diritto romano, per esempio sostituisce un giudice unico (figura di origine romana) al tribunale collettivo di tradizione germanica, oppure fa valere il principio latino della territorialità del diritto (tutti coloro che abitano in un territorio obbediscono alle stesse leggi), anziché il principio della personalità del diritto tipico germanico (vedi Visigoti in Spagna), secondo il quale ognuno obbedisce alle leggi del suo popolo di appartenenza a prescindere dal territorio in cui vive. Da questo editto inoltre veniamo a sapere qual era l'organizzazione sociale dei longobardi in Italia, ed era fortemente legata alla loro struttura tribale che identificava ciascun uomo pienamente libero come un guerriero: Arimanno. Con il termine Aldio invece pare si intendesse una figura intermedia tra un libero e uno schiavo. Ogni uomo libero (Arimanno) aveva il diritto-dovere di combattere e di partecipare alle decisioni politiche. Tutti gli Arimanni erano inquadrati in Farae, cioè delle famiglie allargate composte da più nuclei imparentati tra loro, e che andavano a costituire sia i nuclei elementari delle migrazioni, ma soprattutto le unità militari di base: si combatteva divisi per gruppi familiari. Le case delle Fare erano delle lunghe abitazioni che arrivavano anche a 70m ed erano inviolabili, inoltre senza il permesso del capofamiglia nessuno poteva penetrare al loro interno. Gruppi di fare erano agli ordini dei Duchi, ossia i comandanti dei corpi di spedizione calati nella penisola. Una antica tradizione era quella della faida: la possibilità di vendicare privatamente i torti subiti rifacendosi sui parenti dei colpevoli, tradizione che mette in luce e conferma la centralità della famiglia nella società longobarda e che ebbe lunga vitalità per tutto il Medioevo, anche se di fatto l'Editto cercava di arginarla. Dal punto di vista penale l'editto si basava su un complesso sistema di multe che finivano nelle casse del re: ogni cosa aveva il suo prezzo. Queste leggi proteggevano il guerriero da qualunque comportamento che potesse danneggiarlo: non lo si può ferire, uccidere, legare, sbalzare da cavallo, ma addirittura anche tirargli la barba è un atto che può essere punito duramente. Dal punto di vista amministrativo poi l'editto testimonia lo sforzo di costruire un embrione di burocrazia del regno: vi compaiono per la prima volta i Gastaldi, funzionari incaricati di rappresentare il re nel territorio. Rotari si proponeva come protettore degli elementi più indifesi della società: “pauperes” nell'editto, ma più giusto è tradurli con deboli. Tra questi ci sono le donne che nella fara vivevano in una condizione di forte subordinazione. Ogni donna ha un valore: Mundio, un prezzo di cui è proprietario il capo

famiglia, e che il marito riscatta da lui quando la sposa. Gli unici beni in mano alla donna sono la Meta, cioè la dote, e il Morgengabe: dono del mattino, che lo sposo fa alla moglie all'indomani della prima notte di notte se l'ha trovata vergine, in nome di questi beni, tra l'altro, la donna è esclusa dall'eredità paterna. Nella prima fase del regno Longobardo in Italia si accentuarono alcuni elementi di regresso che già si erano visti in precedenza, erano il risultato di una crisi da collegare alla guerra greco-gotica e al progressivo spopolamento delle città che rese la società sempre più contadina. A tutto questo si sommò il fatto che i longobardi a lungo diffidarono delle città abitate dai latini e preferirono concentrare il loro potere nei castelli e negli insediamenti fortificati che erano stati bizantini, anche l'Italia longobarda ebbe le sue capitali, abbiamo già visto Pavia, Milano, Lucca, Spoleto, Benevento e Salerno, ma i L. ne accentuarono la funzione militare limitandone quella economica, commerciale e produttiva. Questi secoli, inoltre, rappresentano anche il momento culminante del disfacimento dell'edilizia pubblica di età romana: templi, terme, acquedotti, anfiteatri, fogne. Ma dopo l'età di Rotari, il quadro dell'Italia longobarda conobbe un miglioramento, e infatti in tutta Europa iniziano a registrarsi i primi timidi accenni di una ripresa, sia dal punto di vista demografico che economico, sia in città che in campagna. Il re Liutprando (712-44) cerco di espandere il territorio del regno longobardo in aree ancora governate dai bizantini. A temere questa espansione più che i bizantini stessi fu la Chiesa di Roma, Papa Gregorio II, infatti, non si tranquillizzò nemmeno quando Liutprando gli donò una serie di castelli del Lazio: Donazione di Sutri, 728, che viene tradizionalmente considerata il primo nucleo del potere temporale della Chiesa. Con l'epoca di Liutprando si concluse il processo già iniziato da tempo di superamento della divisione etnica tra longobardi e latini, e si può parlare di una sorta di PRIMA rinascita dell'Italia caratterizzata soprattutto dalla ripresa dei rapporti commerciali e della circolazione del denaro, ma anche dal miglioramento della coltivazione dei campi. In questi anni il regno si regionalizza ulteriormente e intere sue parti assumono caratteristiche via via più autonome. Anche nella parte dell'Italia in mano ai bizantini si accentuano le spinte autonomistiche → ribellioni in Sicilia contro l'eccessivo carico fiscale. E i governi stessi di molte importanti città si dotano di eserciti autonomi, mantenendo con l'Impero un legame sempre meno di sostanza → per esempio Venezia. Questo fenomeno di crescita delle autonomie locali rappresenta la base delle autonomie sempre più marcate che a mano a mano città e regioni avrebbero assunto nei secoli successivi.

Il dibattito sulla dominazione longobarda e quale interpretazione darle si è fatto particolarmente acceso nell' 800 ma già in precedenza gli storici non avevano mancato di porsi interrogativi in merito e di presentare diverse interpretazioni appunto. Già lo stesso Paolo Diacono, monaco longobardo, vissuto per un lungo arco dell' VIII secolo, poté essere testimone, quindi, della maturità del regno longobardo e anche del suo inserimento poi nell'Impero Carolingio. Nella sua Historia Longobardorum sostiene che i Longobardi furono chiamati in Italia dal generale bizantino Narsete come truppe federate contro i goti. Questa è un'ipotesi verosimile, ma il fatto che la sostenga con tanta forza, mostra una volontà di legare il ruolo di collegamento (tra biz e carol?) dei longobardi con il potere ufficiale. Quindi non una rottura ma un legame. Alcuni storici odierni come Roberto Sabatino Lopez hanno visto nella dominazione longobarda la nullificazione dei pochi miglioramenti che si erano intravisti nel periodo goto. Paolo Delogu invece sostiene che restò in vita qualche traccia di mercato e sopravvisse un'agricoltura con tecniche ancora romane. Di fatto, studi recenti, basati anche sulle conoscenze archeologiche, consentono di dire che l'Italia era già in profonda crisi prima dell'arrivo dei Longobardi, perché era stata travolta da una violenta epidemia di peste, tremende carestie e inondazioni che avevano trasformato campi e poderi in pantani, e spazzato via le strade. Su tutto questo si erano inseriti i vent'anni della guerra tra goti e bizantini, per cui i Longobardi trovarono un'Italia già impoverita sia economicamente che culturalmente. Tra l'altro il giudizio sulla presenza dei Longobardi in Italia non può essere lo stesso per l'intero arco dei due secoli che li videro al potere: 569 arrivo, 774 annessione all'Impero Carolingio. L'errore dei storici, divisi tra chi avvalorava un'immagine totalmente negativa della dominazione longobarda e chi ne aveva una tutta negativa sta proprio nell'aver considerato questi due secoli come un blocco unico. La cosa certa è che per l'élite culturale italica la dominazione longobarda (pure non rappresentando realmente un momento di definitiva rottura col passato) fu vissuta come la fine di un'epoca, forse, anche in virtù del fatto che il re goto Teodorico, precedentemente, si era presentato imbevuto di valori romani. Chiesa, Franchi, Longobardi, Bizantini e cazzi e mazzi. La Chiesa era divenuta in questi secoli l'unico punto di riferimento solido nella penisola divisa tra un regno longobardo frammentato e una dominazione bizantina che mostrava alla popolazione romana la sua presenza soprattutto attraverso gli esattori fiscali. Il primato della Chiesa di Roma aveva gettato le basi per un conflitto con quella di Costantinopoli. Già nel V secolo era maturato il primo germe di questo

conflitto quando, nel 4 concilio di Calcedonia, la Chiesa di Costantinopoli aveva rivendicato pari dignità a quella romana e si dichiarava anch'essa ecumenica. Papa Gelasio I aveva, quindi, seguito (alla fine del V secolo), una linea intransigente nei confronti dell'Imperatore d'Oriente Anastasio, sostenendo che papa e imperatore erano ambedue necessari al governo del mondo ma con diverse funzioni: – l'imperatore era stato incaricato da Dio di mandare ad esecuzione ciò che Dio stesso avrebbe deciso per l'umanità – ma Dio si esprimeva attraverso il suo vicario: il papa! Gelasio proclamava la separazione dei due poteri e il primato della Chiesa di Roma e del suo pontefice contro ogni forma di cesaropapismo (estensione dei poteri di un'autorità civile sul terreno religioso) dell'Imperatore bizantino. Altri papi si mossero su questa stessa linea, tra essi primeggia Gregorio Magno, papa dal 590 al 604 → il Papato rinunciò con Gregorio Magno, definitivamente all'obiettivo di dirigere l'intera Chiesa cristiana e legò il proprio destino all'Europa occidentale. I principali popoli germanici insediati in Europa erano ormai almeno formalmente tutti cristiani e la loro conversione rendeva possibile per la Chiesa il persuadere i nuovi governanti a impiegare per fini morali e religiosi il potere. Gregorio mantenne intensi contatti con i re della dinastia Merovingia in Gallia e con quelli Visigoti della Spagna convertitisi al cattolicesimo. Il papa risiedeva a Roma in una fascia di territorio italiano che faceva riferimento all'Impero bizantino, i longobardi lo attorniavano poco lontano e tra questi e il papa i rapporti erano rimasti tesi, nonostante l'avvicinamento al cattolicesimo di questi ultimi. Nel 666 l'imperatore di Bisanzio aveva concesso alla Chiesa di Ravenna l'autonomia dalla Chiesa di Roma (autocefalia), poi aveva annesso la Calabria e la Sicilia, questo in seguito al contrasto dottrinario con Roma sull'iconoclastia (lotta contro le immagini dei santi) che divise i cristiani occidentali da quelli orientali, e costrinse numerosi monaci bizantini alla fuga in Occidente. Durante il regno di Astolfo il pontefice temette sempre più di vedersi braccato tra la minaccia di un ritorno bizantino e l'espansionismo dei longobardi, soprattutto quando tolse ai bizantini l'Esarcato, ridotto ora una stretta fascia di costa adriatica. Il papa a Pavia concertò con il rappresentante dell'imperatore (esarcaaaa?) la discesa dei Franchi in Italia, poi si recò egli stesso in Francia; così il re dei franchi, Pipino il Breve, figlio di Carlo Martello, intravide la possibilità di avviare una nuova f...


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