Media education in italia PDF

Title Media education in italia
Author Miriam Secondin
Course Metodologie didattiche – Tecnologie didattiche e media education
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

Media Education in ItaliaCapitolo 1. Media Education in ItaliaParlare di ME in Italia significa confrontarsi con le indicazioni dell’Unesco nel 1982 (Dichiarazione di Grunwald), volta a promuovere consapevolezza e abilità per affrontare gli effetti che l’evoluzione dei media producono a livello soci...


Description

Media Education in Italia Capitolo 1. Media Education in Italia Parlare di ME in Italia significa confrontarsi con le indicazioni dell’Unesco nel 1982 (Dichiarazione di Grunwald), volta a promuovere consapevolezza e abilità per affrontare gli effetti che l’evoluzione dei media producono a livello sociale. In Francia e Gran Bretagna la ME è storicamente presente da diversi anni, in Italia c’è solo una risposta parziale, con focus sulle tecnologie per la didattica (classi digitali e uso delle LIM). Il ruolo dei media nella formazione del cittadino non è ancora adeguatamente considerata (Fioroni 2007 bandisce cellulari dalle scuole per contrastare cyberbullismo). Con la Buona Scuola e il Sillabo per l’educazione civica digitale si arriva a una prima stesura puntuale (manca comunque un’organicità mediaeducativa). Alcune forme di intrattenimento contribuiscono a ragionare intorno ai media presentando problematiche (13 Reasons Why). In Italia la riflessione si sviluppa soprattutto dal basso, “a grappolo”, con interconnessioni che aiutano gli operatori a orientarsi all’interno dell’offerta. La comunità europea ha creato l’obiettivo dello sviluppo delle competenze digitali per il cittadino europeo (DigCompEdu) => tre macroaree: profilo professionale del formatore, competenze pedagogiche, soggetto che apprende. In Italia un gruppo si è occupato di costruire il framework dell ’educazione civica digitale (internet, educazione ai media, all’informazione, creatività digitale…), partendo dalla necessità di rompere lo schema della nazione perdente. La ME si è sviluppata con un processo bottom up, dal basso, perché sentito come esigenza sociale: la ricerca educativa sui media, d’altra parte, è diversa dalla ricerca in ME. La ricerca educativa sui media è incentrata sui media nei loro risvolti educativi mentre la ME è impegnata a rendere possibile, rispetto ai media, un agire educativo efficace. Nel settore della ricerca è molto attiva la SIREM (Lecce, 2007). La situazione è a macchia di leopardo, con aree sviluppate e aree dove la ME è assente. Oggi anche il mondo accademico vi si affaccia con grande attenzione e l’interdisciplinarietà è ormai elemento imprescindibile (progetto Benessere digitale: Bicocca e Fastweb => educazione ai nuovi media per scuole superiori). La pratica è ormai riconosciuta come spazio in cui la riflessione teorica si genera e si sviluppa. L’intera riflessione sul tema delle competenze è incentrata sulla necessità di individuare modalità di insegnamento e apprendimento che permettano di risolvere problemi in contesti reali. La ME ha un rapporto privilegiato con le pratiche, soprattutto quelle educative, quindi vanno considerate quattro dimensioni: ME come movimento (Associazione italiana per l’educazione ai media e alla comunicazione - MED), definizione della ME, oggetto della ME e finalità della ME. Capitolo 2. Post-verità: un nuovo allarme intorno a un problema (la manipolazione) dalle radici antiche La parola post-verità riferisce o denota circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica di quanto non lo siano gli appelli all’emozione e alle credenze personali. La capacità di manipolare ha assunto nel corso del XX secolo delle forme socialmente organizzate, come mai accaduto prima. Ciò si è determinato a causa di tre processi:

- avvento dei mass media come stampa e quotidiani, radio, cinema, televisione. Questi strumenti sono stati sempre più centralizzati nelle mani degli stati o in grandi organizzazioni commerciali.

- conoscenze psicologiche e sociologiche dei comportamenti umani (Le Bon, Freud). Questo ha contribuito all’indottrinamento politico e all’alimentazione dei bisogni nella società dei consumi. - mutato il concetto di verità: filoni vincenti della filosofia, della sociologia, delle scienze hanno messo in discussione concetti di realtà da sempre accettati. Il percorso della manipolazione nel Novecento si è articolato tramite vari studiosi:

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- Psicologia delle folle (Le Bon, 1895) => le caratteristiche psicologiche dell’uomo nella folla sono

profondamente diverse da quelle del singolo, le folle attivano processi che portano alla luce istinti, passioni e sentimenti che si rafforzano per suggestione e contagio delle idee. Le folle non si fanno influenzare dalla ragione ma da emozioni e sentimenti, da grossolane associazioni di idee, concise e ripetute sempre uguali nel tempo, senza prove e dimostrazioni.

- Analisi della psicologia delle folle (Freud, 1921) => l’individuo fa parte di molte masse (es.

chiesa, esercito…), ciò che le tiene unite è il legame affettivo e l’identificazione verticale con il capo, attraverso legami libidici.

- Pubblica opinione (Lippmann, 1922) => pseudo-ambiente: dato che l’ambiente reale è troppo

grande e sfuggente la mente umana lo semplifica. I mezzi di comunicazione a loro volta traducono la complessità del mondo in un sistema di stereotipi, facendo emergere alcuni aspetti della realtà invece che altri. I pochi che controllano i media possono manipolare le immagini del mondo (pericolo per la democrazia).

- Tecnica della propaganda nella guerra mondiale (Lasswell, 1927) => analisi delle tecniche della propaganda da parte dei governi coinvolti nella Prima Guerra Mondiale. Viene attuato un controllo degli atteggiamenti collettivi attraverso la manipolazione di simboli significativi (storie, racconti, immagini…). L’efficacia della manipolazione è tanto maggiore quanto più si ha potere sui canali informativi.

- Lo stupro delle folle attraverso la propaganda politica (Tchakhotine, 1939) => l’epoca moderna

ha realizzato le condizioni per un crescente e pervasivo dominio sulle masse, incarnato nella sua forma estrema dal totalitarismo nazista. Il simbolo diventa un eccitante che determina la reazione voluta da colui che fa agire questo simbolo sull’affettività degli altri individui (simboli grafici come svastiche, simboli plastici come saluto romano, grida). Colpo di frusta inflitto alle folle nelle grandi adunate, con uno scenario evocativo e forti arringhe. - Cristalizzazione dell’opinione pubblica (Bernays, 1923) => strategie comunicative al servizio del mondo commerciale. L’uso commerciale della radio per Bernays richiedeva che ne fossero esaltate le caratteristiche di interazione amichevole con il pubblico, sfruttando i programmi di intrattenimento. Il messaggio risulta più convincente se l’emittente non mostra interesse nel promuoverlo.

- L’élite del potere (Mills, 1956) => URSS e USA non rappresentavano due regimi opposti dal

punto di vista sociale e politico dato che entrambi mostravano una straordinaria concentrazione del potere nelle mani di una ristretta élite. Una visione complessiva della struttura del potere come quadro unitario e organizzato come piramide a tre livelli (massa, gradi intermedi del potere, élite che concentra nelle sue mani le leve del potere => dirigenti dei gruppi economici, funzionari del governo e vertici militari). Autorità, coercizione e manipolazione (mass media svolgono ruolo strategico) sono le tre forme principali di esercizio del potere.

- I persuasori nascosti (Packard, 1957) => ricorso sempre più massicci alla psicologia e alla

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psicanalisi da parte di pubblicitari ed altri esperti delle PR per attivare le motivazioni inconsce che sottostanno alle scelte individuali (grande cospirazione => necessità di allevare i consumatori, condizionandoli per tutta la vita). L’uomo a una dimensione (Marcuse, 1964) => i falsi bisogni hanno un contenuto e una funzione sociale, sui quali l’individuo non ha controllo e vengono sovrimposti da potenze esterne. La folla solitaria (Riesman) => uomo eterodiretto e società eterodiretta: l’eterodirezione è un fondamentale atteggiamento di permeabilità e disponibilità del ricevente verso influenze esterne, come una ricerca della conformità, nella continua ricerca dell’approvazione degli altri. ELM (Elaboration Likelihood Model) => le strategie manipolativi, per essere efficaci, devono assecondare le tendenze e le predisposizioni dei destinatari, attraverso percorso centrale (altamente coinvolto con il tema proposto), percorso periferico (scorciatoie cognitive). Nell’affollamento di informazioni viene facilitata la distrazione, la strategia comunicativa punta quindi più sulla piacevolezza che sul significato del messaggio. Agenda Setting (McCombs) => quali sono i temi che si impongono come più importanti nella copertura informativa? I media descrivendo e precisando la realtà esterna, presentano al

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pubblico una lista di ciò intorno a cui avere un’opinione e discutere. I media offrono una rappresentazione del clima di opinione e finiscono per modificare le tendenze dell’opinione pubblica (sfruttando la paura dell’isolamento). Quando i mass media assumono un orientamento comune su importanti temi di dibattito pubblico allora tale orientamento finisce per apparire come dominante nell’opinione pubblica, a prescindere dal fatto che lo sia realmente. Emergono quindi nel XX secolo tre aspetti: conferma del potere dei media, rischio che i media possano essere controllati da soggetti antidemocratici, chi gestisce i media può abilmente manipolarli. A questi pericoli sono stati contrapposti degli argini: pluralismo dei soggetti e delle fonti di emissione, potenziale emancipativo dei media rispetto al loro potere di influenza, selettività/autonomia del pubblico. I media detengono un potere simbolico che si affianca con altre forme di potere (economico, politico…), questo fa sì che i media non riescano mai a scrollarsi di dosso il sospetto sui motivi della loro azione (appoggio a tendenze politiche, mantenimento dello status quo …). I sistemi democratici quindi costruiscono regole e meccanismi interni ed esterni (codici deontologici, concorrenza tra i media). Il pluralismo dei media (diversità di generi, di contenuti, diversità di utenti, diversità della copertura) offre diversi punti di vista, riportando eventi in modo non uniforme e smentendo chi censura o manipola. L’ambiente comunicativo rimane comunque ricco di conflitti ed emergono i rischi di post-verità e fake news. Ci sono tre aspetti di novità: 1) protagonisti indesiderati: nuovi soggetti si sono appropriati del palcoscenico mediatico internazionale, soggetti diversi da quelli mainstream. Questi nuovi soggetti usano strumenti e tecniche di influenza meglio dei soggetti precedenti (es. Movimento 5 Stelle) e sono accomunati da un atteggiamento antisistema. Anche le organizzazioni terroristiche come Isis hanno usufruito della rete e dei social network, ma i due evento che hanno colpito più duramente il sistema mediatico dominante sono stati la vittoria della Brexit e l’ascesa di Trump. 2) disintermediazione: la digitalizzazione ha portato con sé la voglia di partecipazione da parte di vasti strati della popolazione, nuovi attori che aspirano ad avere voce. Tutti gli utenti su internet possono diventare emittenti, opinion leader e influencer. 3) possibilità di infiltrare la rete: la rete può essere infiltrata da parte di interesse e poteri economici e politici (non si può più agire top down, quindi altre manovre, es. divieto di guardare determinati canali, censura social network in Iran). Numerosi regimi autoritari inoltre cercano di manipolare l’informazione del basso, pagando profili falsi sui social che inneggino al regime (soggetti occulti agiscono anche nei paesi democratici). Si è ormai appannata una visione ideale, cioè la missione pedagogica dei media che rendono più consapevole il pubblico e l’idea dei media come luoghi del dialogo. L’informazione detiene il ruolo strategico in questo processo => credibilità del giornalismo. Su cosa si basa la credibilità di una fonte d’informazione? Principalmente sull’integrità (capitale di credibilità ereditato, sistemi di legittimazione, principi guida come separare fatti da informazione, modello investigativo…) e l’indipendenza (il contenuto dei media però riflette sempre gli interessi di coloro che li finanziano, d’altronde i media informativi sono al centro di moltissime influenze e pressioni, più o meno vincolanti. Devono trovare un equilibrio tra le diverse aspettative e pressioni). La crisi della credibilità del giornalismo è dovuta alla crisi del modello normativo del giornalismo obiettivo e indipendente (la pretesa di offrire la pura verità risulta spesso fuorviante, alcuni scelgono infatti una scelta partigiana ben dichiarata, rischiando però di diventare auto-referenziali: bisogna comunque essere capaci di essere aperti a voci diverse, affinché i media siano luoghi di ospitalità). L’influenza dei media d’altronde deve sempre fare i conti con il mondo delle relazioni faccia a faccia, che presenta una sua consistenza interna e delle persone alle quali ci si affida come guida e riferimento. Questa auto-organizzazione nasconde un pericolo: le persone infatti tendono ad esporsi in prevalenza alle fonti e ai messaggi che esse considerano compatibili con la propria visione dell’io e del mondo sociale. Internet, con il suo mito della piazza digitale, ha riacceso molte speranze sul superamento della chiusura dei gruppi sociali su sé stessi, grazie all’uso di media partecipativi, ma in realtà non è così: le comunità relazionali della rete si creano secondo un principio di autoselezione e di omofilia. Serve dunque quel ruolo dei corpi intermedi (comunità, associazioni…) in cui le persone possano incontrarsi e riconoscersi e che funzionino da filtro

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rispetto alle influenze e ai condizionamenti che provengono dalle istituzioni e dai poteri centrali della società. Se le persone perdono questa dimensione comunitaria la società diventa “naked” e quindi più esposta ai condizionamenti e alle manipolazioni dall’alto. Occorrono dunque luoghi di dialogo sincero, di confronto aperto, di impegno civile e sociale, per codificare in modo intelligenze notizie, discorsi e proposte. Capitolo 3. La formazione mediale dell’educatore sociale Nell’epoca digitale la cultura si è modificata: viene meno il reciproco impegno di tutti i partecipanti al rispetto delle regole che l’uso pubblico della ragione imponeva, inoltre il senso critico è minacciato, ci si spinge verso una continua sospensione del giudizio. La validazione, connessione tra fatto e sua descrizione, sembra saltata: la mediazione del fatto spesso inizia con il fatto stesso, in contemporanea, costruendo quindi la realtà. Il soggetto, da agente portatore di decisioni, diventa colui che costruisce le proprie rappresentazioni sulle situazioni. La rete e il digitale assecondano questi cambiamenti, permettono infatti la ricorsività tra attore e fruitore delle pratiche comunicative, creando una spirale continua che aumenta la trasformazione delle rappresentazioni, smarrendone l’origine. All’ambito educativo è richiesto di esplorare il cambiamento in atto, anche attraverso le tecnologie digitali. L’education technology si articola in due settori: quello della ME e quello delle tecnologie per la formazione. Le prospettive descritte impattano sulla costruzione di curricoli di ambito educativo in tre modalità parallele e autonome: 1) trattazione trasversale di alcuni temi legati al digitale in varie discipline. Temi connessi all’identità e al ruolo del digitale sulla sua percezione e rappresentazione. La socialità, il genere, la sessualità vanno ripensanti tenendo conto del ruolo del digitale e della comunicazione Web 2.0 (es. sexting). 2) presenza di alcuni insegnamenti relativi alla ME e alle tecnologie dell’educazione nella formazione di base dell’educational science. La ME fornisce strumenti per chi lavorerà con tutte le età (bambini del nido che vivono i media per evitare pericoli, adolescenti per problemi identitari e bullismo, anziani per superare l’isolamento affettivo e comunicativo). Ci sono tre azioni trasversali a tutte le finalità: lo sviluppo di un pensiero critico e la capacità di interpretare i messaggi veicolati dalla rete, l’avvio di pratiche costruttive e partecipative (leggere e scrivere in rete come azioni diverse), utilizzo dei media nei processi di apprendimento e insegnamento. 3) presenza di insegnamenti specifici e mirati alla formazione di figure che opereranno nel settore della ME e delle tecnologie dell’educazione => Educatore sociale digitale (ESD). Ci sono varie tipologie di figure nuove: una è quella relativa a educatori che intervengono in contesti formativi per promuovere una consapevolezza sulle tematiche legate al digitale o sui pericoli o sulle fobie (azione informativa e formativa); un secondo settore è quello della progettazione di materiali multimediali con valore educativo o riabilitativo (es. videogame, app…); predisposizione di percorsi formativi per l’apprendimento online (percorsi blended, anche a partire da ambienti esistenti). Ad oggi infatti esistono varie università telematiche che hanno fatto avvicinare all’università persone che altrimenti non avrebbero mai potuto ottenere quel livello di istruzione. L’ESD può avere un ruolo anche in azienda (ambito medico, sicurezza, settore servizi e trasporti…). L’interesse per l’online infatti non deriva solo da ragioni economiche ma dalla necessità per nuovi modelli didattici che favoriscano percorsi di immersione e distanziamento (fruizione dei materiali on demand), anche tramite Academy aziendali. L’ESD potrebbe trovare occupazione anche nella valutazione degli interventi e processi di formazione continua, anche mediante tecnologie multimediali (interesse per i Big Data Analytics, indagini che permettono di migliorare processi). La situazione relativa alla ME nelle università italiane prevede quattro classi di laurea magistrale e una sola laurea triennale con una curvatura sui media (UniTo). L’università italiana quindi non tiene ancora conto appieno dei possibili sbocchi professionali degli ES nel digitale e raramente prevede nei curricoli l’acquisizione di competenze legate alla ME. Capitolo 4. Insegnare la Media Education e la cittadinanza digitale

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Il tema della cittadinanza digitale non può non essere connesso con la dimensione attuale delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il mondo in cui i giovani vivono viene conosciuto da loro soprattutto tramite la rappresentazione simbolica di questi strumenti. La possibilità per tutti di accedere a varie informazioni, da vari punti di vista, è condizione fondamentale perché si parli di educazione della coscienza critica. Il sistema delle tecnologie è al tempo stesso poliforme, con varie forme di ibridazione: l’informazione può essere modificata in tempo reale. Tutto ciò impone la necessità di un costante lavoro educativo che veda impegnati famiglia, scuola ed extrascuola => competenza comunicativa mediatica, caratterizzata dalla comprensione e uso di nuovi linguaggio. In Italia nel 2002 è stata firmata la Carta di Bellaria Sull’educazione ai media e alle tecnologie nell’Italia del nuovo millennio. I ragazzi non sono totalmente ignoranti riguardo al mondo della comunicazione, anzi ne fanno esperienza in modo immersivo e intuitivo: l’obiettivo è riflettere sul personale processo di lettura e scrittura per diventare consumatori consapevoli e per vedere i media come strumenti. È necessario progettare in modo intenzionale e condiviso un percorso formativo volto a una maturazione globale. Le pratiche più diffuse della ME si riconducono a tre modalità di intervento: educazione ai media come educazione alla comprensione dei messaggi mediali (analisi del testo mediale); educazione ai media come educazione alla fruizione corretta dei mezzi di comunicazione (rendere consapevoli gli utenti dei mezzi di fruizione); educazione ai media come educazione alla produzione di messaggi (learning by doing). Da ME ora si parla di Media Literacy, come espressione che descrive le abilità e le competenze necessarie per promuovere uno sviluppo autonomo e consapevole del nuovo ambiente comunicativo-digitale. La rapida diffusione dei dispositivi mobili ultimamente ha permesso ogni tipo di attività mediale in una prospettiva di connessione anywhere, anytime, secondo bisogni personalizzati (social media, big data analytics…). Si parla così di cybercultura o di cultura della...


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