Title | L\'ascesa del fascismo in Italia |
---|---|
Course | Storia - Anno 5 - Tecnico commerciale |
Institution | Liceo (Italia) |
Pages | 3 |
File Size | 62.1 KB |
File Type | |
Total Downloads | 35 |
Total Views | 150 |
Download L'ascesa del fascismo in Italia PDF
L’ASCESA DEL FASCISMO IN ITALIA L’ITALIA NEL DOPOGUERRA L’Italia attraversò negli anni del dopoguerra una profonda crisi economica e sociale. Le industrie erano entrate in un periodo di stasi e di inattività: si rendeva necessario trasformare gli impianti, convertirli dalla produzione di guerra alla produzione di pace. La trasformazione ebbe come effetto la chiusura di diversi stabilimenti e il licenziamento di numerosi operai. Non migliore era la situazione dei contadini, ai quali erano state promesse delle terre al ritorno dalla guerra, ma la promessa non venne rispettata. Nel 1919 il mondo del lavoro entrò in agitazione; si aprì quello che fu definito “biennio rosso”: manifestazioni e scioperi portarono in piazza il malcontento popolare. Si chiesero provvedimenti che mettessero un freno al continuo aumento dei prezzi. Si chiese lavoro per tutti, specialmente nell’area padana e nell’Italia centrale. Nelle campagne del Lazio e del Meridione i contadini non avevano dimenticato le promesse fatte dai politici durante la guerra, e si mossero all’occupazione dei latifondi e dei terreni incolti. Sulla disastrosa economia del paese gravavano inoltre i debiti dello Stato, oltre 10 mlrd di lire, contratti con gli stati uniti per le forniture di materiale bellico. La bilancia commerciale registrava un forte disavanzo, dovuto alle importazioni di prodotti alimentari. LO SVILUPPO E L’AFFERMAZIONE DEI PARTITI POPOLARI 1919: ingresso dei cattolici nella vita politica, con la fondazione del partito popolare italiano promossa dal sacerdote Luigi Sturzo. Piano politico: - difesa dell’integrità della famiglia - suffragio universale (anche donne) - attento alla rivendicazione dai contadini che richiedono la distribuzione delle terre promesse nella 1 g.m. - riforma agraria - riforma elettorale (sistema proporzionale) - propose la fine dello stato accentrato costruito dai dai liberali e lo sviluppo delle autonomie locali e regionali Uno dei primi risultati ottenuti dal Partito popolare fu la riforma elettorale: il sistema uninominale fu sostituito dal sistema proporzionale, per cui ogni partito presentava la sua lista di candidati e mandava alla camera un numero di deputati e mandava alla camera un numero direttamente proporzionale al numero dei suoi elettori. Nel novembre 1919 si tennero le elezioni politiche: il partito popolare ottenne 101 deputati, i socialisti 156; il resto, 251, andò suddiviso tra i liberali e diversi gruppi minori. La novità significativa di queste elezioni fu la clamorosa dei partiti popolari, i cattolici e i socialisti. I socialisti erano divisi al loro interno in due correnti contrapposte: i riformisti di Filippo Turati, e i massimalisti di Giacinto Menotti Serrati. Nel 1921, durante il congresso di Livorno un gruppo di delegati socialisti si separò e formò il Partito comunista d’Italia; nel suo gruppo dirigente emersero Antonio Gramsci e il genovese Palmiro Togliatti. Dopo le elezioni del 1919 governare l’Italia appariva particolarmente difficile, i rancori della chiesa cattolica contro lo stato unitario erano in gran parte abbandonati, ma i tre mondi, quello liberale, quello socialista e quello cattolico, presentavano ancora valori e ideali difficilmente compatibili. Un tentativo di affrontare la situazione fu fatto da Francesco Saverio Nitti (1868-1953), liberale di orientamenti democratici, che tenne il governo per 12 mesi: - introdusse nelle elezioni il sistema proporzionale chiesto dai cattolici - emanò decreti per legalizzare l’occupazione delle terre incolte da parte dei contadini. - Adottò un atteggiamento conciliante nei confronti degli scioperi e delle agitazioni sociali, nel tentativo di avvicinare i socialisti al governo, ma né la borghesia, né gli stessi socialisti lo ritenevano possibile.
Nel mese di settembre, reparti dell’esercito italiano, guidati dal poeta Gabriele D’Annunzio, occuparono di sorpresa Fiume: Fu pubblicamente condannato da Nitti, perché non autorizzato dal governo né dal Parlamento, e perché poteva creare pericolose tensioni tra l’italia e la Jugoslavia. Un groviglio di difficoltà si creò nel paese da mettere in crisi il governo e da costringere Nitti alle dimissioni. LA NASCITA DEL FASCISMO Nel 1919 si costituirono a Milano i “fasci di combattimento”, un nuovo movimento politico fondato da Benito Mussolini che, dopo aver militato nel partito socialista, ne era stato allontanato a causa della propaganda da lui fatta in favore della guerra nel 1914-15. Il movimento agli inizi non aveva un programma preciso, nel 1914 Mussolini sul quotidiano “il popolo d’Italia” descrisse i fascisti come tutto e il contrario di tutto. Ma un carattere apparve subito chiaro: lo spirito aggressivo, l’uso della violenza nel contrasto politico. Gli aderenti erano inquadrati in “squadre d’azione” e vestivano divise militari con camicia nera; come distintivo fu assunto il fascio littorio, insegna dei magistrati della Roma antica che indicava il potere di punire. Il fascismo trovò simpatizzanti tra gruppi di ex combattenti, persone di diversa origine sociale che avevano in comune il malcontento per la situazione dell’italia. Una delle prime azioni delle squadre fasciste si compì il 15 aprile 1919 a Milano, con l’attacco alla sede del giornale socialista “Avanti!”, che fu devastata e incendiata. Con questo atto il fascismo manifestò apertamente il suo carattere di movimento antidemocratico, attivo contro i partiti popolari e le loro organizzazioni. IL NUOVO GOVERNO GIOLITTI Dopo le dimissioni di Nitti, il governo fu affidato a Giovanni Giolitti (già presidente del consiglio nei primi del 900). Estrema tensione politica e sociale a Milano, Torino e Genova, dove i metallurgici avevano occupato le fabbriche. Gli industriali chiedevano al governo di intervenire con le forze armate, ma Giolitti rimase fedele alla sua linea tradizionale di non intervento, già messa in atto in occasione dello sciopero generale del 1904, e offrì la mediazione del governo. Dopo lunghe trattative si trovò un compromesso che fissava miglioramenti salariali e riconosceva agli operai un limitato ambito di controllo sulla vita delle aziende. Giolitti riuscì a risolvere anche la questione di Fiume occupata dalle truppe di D’Annunzio, negoziando con la Jugoslavia il trattato di Rapallo: Fiume fu dichiarata città-stato indipendente, l’italia ebbe riconfermato il possesso dell’istria e in più le fu concessa la città di Zara. La politica di non intervento nelle lotte sociali fu disapprovata dagli industriali e dagli agrari più conservatori. Questi sostenitori della politica dura si avvicinarono ai fascisti e li rafforzarono con contributi in denaro, perché intervenissero con le loro squadre d’azione contro i movimenti popolari. Tra la fine del 1919 e l’inizio del 1920 il movimento fascista si consolidò e con le sue squadre d’azione avviò una serie sistematica di interventi armati contro le organizzazioni operaie e contadine allo scopo di indebolirle e distruggerle. Queste forme di terrorismo organizzato furono rese possibili dal sostegno finanziario degli agrari e di una parte degli industriali e dall’appoggio degli organi governativi: prefetti, polizia, funzionari, esercito, lasciarono fare. Il governo non impedì le violenze del fascismo nella convinzione che il movimento di mussolini avrebbe avuto vita breve e lo stesso Giolitti si sentiva certo di poter riprendere il controllo della situazione. Ma, mentre i liberali con la loro inerzia politica si indebolivano ogni giorno di più, i fascisti aumentavano la loro forza e si aprivano la via per impadronirsi del governo. MUSSOLINI AL GOVERNO (1922) Nel luglio 1921 Giolitti presentò le dimissioni, deluso dai risultati delle recenti elezioni. Gli successe Ivanoe Bonomi, che tenne il governo per soli otto mesi. A novembre dello stesso anno il movimento dei fasci di combattimento si trasformò nel partito nazionale fascista , o PNF, che diventa un partito filomonarchico e che contava 200 mila iscritti.
Mussolini il 24 ottobre 1922, durante un’adunata di fascisti a Napoli, lancia una sfida al governo: “o ci daranno il potere o ce lo prenderemo calando su roma”. Una vera minaccia di insurrezione. Luigi Facta propose al re di proclamare lo stato d’assedio (vale a dire di ricorrere all’esercito per disperdere le squadre fasciste sotto il comando dei massimi esponenti del partito, Balbo, Bianchi, De Bono, De Vecchi, che stavano preparando un colpo di forza contro lo Stato, la cosiddetta “marcia su roma”). Vittorio Emanuele III respinse la proposta, Facta si dimise e Mussolini fu convocato a Roma dal re, che gli affidò l’incarico di formare un nuovo governo mentre gli squadristi entravano in città senza incontrare alcun ostacolo. La maggioranza dei parlamentari accolse il nuovo governo capeggiato da Mussolini con voto favorevole, nella convinzione che le aggressioni e i disordini sarebbero terminati e che si sarebbe riaffermata la vita civile. Ma la violenza nel paese non ebbe tregua, ormai si era affermata come metodo di governo. Ne diede conferma la disposizione di Mussolini che trasformò le squadre d’azione in un corpo militare ufficiale, denominato “milizia volontaria per la sicurezza nazionale”, o MVSN. Essa diventò uno dei principali strumenti per portare fino in fondo la distruzione degli avversari politici. LA VITTORIA ELETTORALE FASCISTA. L’ASSASSINIO DI GIACOMO MATTEOTTI nel 1924 furono indette nuove elezioni, con una legge secondo cui due terzi dei seggi alla camera sarebbero andati a chi avesse ottenuto il maggior numero di voti. Mussolini presentò una lista di coalizione (liste nazionali) che comprendeva fascisti, ed esponenti di altri partiti, soprattutto liberali conservatori e che ebbe l’appoggio anche di una parte dei liberal-democratici. Le elezioni si svolsero in un clima di intimidazione e di violenze. La lista fascista ottenne la maggioranza dei voti, 64,9%. Convocata la camera, il 30 maggio 1924, il deputato Giacomo Matteotti, segretario del partito socialista, pronunciò un discorso in cui denunciava le illegalità e le violenze compiute dai fascisti durante le elezioni e chiedeva l’annullamento dei risultati elettorali. La mattina del 10 giugno fu rapito da una squadra fascista ed assassinato e abbandonato in un bosco. I deputati dell’opposizione: socialisti, repubblicani, cattolici guidati da Achille De Gasperi e i liberali di Giovanni Amendola, abbandonano la camera in segno di protesta, dichiarando che non avrebbero più partecipato ai lavori parlamentari fino a che non fosse stata ripristinata la legalità nel paese. Questo gesto simbolico, chiamato “secessione dell’Aventino” non ebbe alcuna conseguenza, anche perchè il re non si mosse né pronunciò una sola parola di condanna per il delitto. I parlamentari secessionisti furono dichiarati decaduti dopo che Mussolini ebbe ripreso le redini del governo. Ciò accadde dopo che tenne un discorso il 3 gennaio 1925, assumendosi la responsabilità “politica, morale e storica” dell’accaduto, e chiedendo formalmente al parlamento un atto d’accusa nei suoi confronti; ciò non avvenne....