Veglia PDF

Title Veglia
Author Diana Franciosi
Course Letteratura italiana e letterature europee
Institution Sapienza - Università di Roma
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Summary

Analisi e commento della poesia...


Description

Veglia Veglia è una poesia di due strofe con versi di varia natura composta da Giuseppe Ungaretti e pubblicata nel 1916 nella raccolta Il Porto sepolto, confluita poi nell’ Allegria che esce nella sua redazione definitiva nel 1942. Scheda dell'opera • •

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Autore: Giuseppe Ungaretti Titolo dell'Opera: L’allegria, 1931. Veglia compare per la prima volta nella raccolta Il porto sepolto, un vero e proprio diario lirico di guerra edito nel 1916, nel 1919 esce nell’edizione di Allegria di naufragi ed infine, nel 1931, tutte le poesie confluiscono ne L’Allegria che vede la sua redazione finale nel 1942 Genere: Poesia lirica. Forma metrica: Due strofe con versi di varia natura. Tema principale: l’attaccamento alla vita che il poeta-soldato ritrova durante la notte trascorsa a lato del cadavere di un compagno

Veglia Cima Quattro il 23 dicembre 1915 1. Un’intera nottata 2. buttato vicino 3. a un compagno 4. massacrato 5. con la sua bocca 6. digrignata 7. volta al plenilunio 8. con la congestione 9. delle sue mani 10. penetrata 11. nel mio silenzio 12. ho scritto 13. lettere piene d’amore 14. Non sono mai stato 15. tanto 16. attaccato alla vita Parafrasi Un’intera nottata sdraiato accanto ad un compagno massacrato con la bocca contratta, sfigurata (l’espressione del compagno appare straziata di dolore, i denti sono in mostra) rivolta verso la luna piena, con le sue mani congestionate (quindi gonfie e livide) penetrate nel mio silenzio (nel profondo, nell’intimo del poeta) ho scritto lettere piene d’amore (alla morte il poeta oppone la vita “della scrittura”). Non sono mai stato tanto attaccato alla vita

“VEGLIA”: commento e analisi Nella lirica il poeta-soldato racchiude l'esperienza della trincea (un anno terribile sul fronte del Carso, dal dicembre del 1915 al dicembre del 1916 dove per una notte intera veglia sul corpo senza vita di un compagno. La morte e la vita sono avvicinate dalle mani contratte del soldato ucciso, ma anche nel silenzio solidale e assorto dell’animo del poeta. La veglia è sia il senso interminabile del tempo trascorso accanto al corpo dilaniato del compagno, che fotografa con quel volto digrignato il vero volto della guerra: che è paura e dolore; ma anche il sentimento di fraterna partecipazione a quello strazio, dunque la “veglia funebre”. La poesia è composta da due strofe di diversa lunghezza. Allitterazioni e omofonie, suoni duri e aspri che generano una musicalità dolorosa (specialmente sulla lettera t - e tt -, che ritorna anche grazie all’ampio utilizzo di participi passati, es. “nottata”, “buttato”, “lettere”, “attaccato”...) sono le figure retoriche più frequenti (qui Ungaretti sembra far ricorso ai mezzi espressivi del Futurismo, elimina gli aggettivi e utilizza i verbi con valore aggettivante). L’atmosfera è creata dalla presenza della luna, in un richiamo leopardiano, che è probabilmente l’ultima cosa contemplata dal soldato caduto, quasi alla ricerca di un estremo conforto, di una speranza per un altrove consolatorio. Ungaretti in questo periodo ancora non ha conosciuto la conversione (avverrà nel 1929 nel monastero di Subiaco), ma di certo ha iniziato un percorso, la guerra pone interrogativi sull’esistenza umana, scopre le fragilità e accresce il bisogno di speranza. Sono presenti diverse sineddoche (“bocca / digrignata / volta al plenilunio”); all’uso accorto della metafora (“la congestione / delle sue mani / penetrata / nel mio silenzio”). Infine, la struttura del componimento, così frammentaria, presenta una certa ricorrenza nell’aggettivazione (parallelismi): “compagno massacrato”, “bocca digrignata”, “congestione penetrata” ed è ricco di enjambement. La pausa che divide la prima dalla seconda strofa serve a enfatizzare il sentimento potente di attaccamento alla vita provato dal poeta. E’evidente l’influenza che hanno avuto sull’autore i simbolisti francesi e in particolare Mallarmé e Valery, dal primo il verso libero, la soluzione analogica come conoscenza del reale, dal secondo l’importanza del silenzi, della parola sottratta, reso anche attraverso lo spazio bianco. l silenzio è la sola cosa che accomuna i due opposti, vita e morte. STILE Ungaretti opera un drastico, a tratti brutale, annientamento del verso tradizionale e si entra in modo deciso nella modernità: gli a capo sono frequenti e fuori di ogni regola, sembrano obbligare la voce a sostare nella lettura, quasi a scandire; manca la punteggiatura. Risulta primario il significato della parola, che assume una funzione di immediata “illuminazione”. Ne è prova emblematica “Veglia”, componimento in cui l’idea ungarettiana di poesia procede per sottrazione, riesce nell'intenso sforzo sintetico di presentare contemporaneamente diversi modi di scrittura: da una parte il lessico elementare e concreto, dall'altra un vocabolario di nobile ascendenza letteraria; da una parte la frantumazione della grammatica e i periodi di minima estensione, il versicolo, la ricerca di una parola scavata, frutto di continue limature, dall'altra una sintassi ricca e fluida, aperta e ritmata; da una parte gli enunciati perentori e lapidari, dall'altra le espressioni sfumate. Lo spiega lo stesso Ungaretti in “Ungaretti commenta Ungaretti” (La fiera letteraria – 1963) “La mia poesia è nata in realtà in trincea (…) la guerra improvvisamente mi rivela il linguaggio. Cioè io dovevo dire in fretta, perché il tempo poteva mancare” (…) E così si è trovato il mio linguaggio: poche parole piene di significato che dessero la mia situazione di quel momento: quest’uomo solo in mezzo ad altri uomini soli, in un paese nudo, terribile, di pietra, e che sentivano, tutti questi uomini, ciascuno singolarmente, la propria fragilità”. Una delle caratteristiche della poesia ungarettiana è quella del vitalismo, dell’ansia di vita che si manifesta anche e soprattutto nelle condizioni più difficili ed estreme, quali una notte in

trincea accanto al cadavere di un compagno: come in “Veglia”, appunto. Opera, che accoglie una delle prime espressioni poetiche di un motivo tipico dell'Esistenzialismo filosofico e letterario novecentesco: quello dell'uomo afflitto da un trauma radicale e smisurato che si sente naufragare nel mare dell'essere. Proprio quello che accade nell'esperienza della trincea: la guerra diventa così simbolo del naufragio di tutta l'umanità, che, perseguendo la violenza e il profitto, perde se stessa. Se la Prima guerra mondiale segna la fine di un mondo e la caduta delle illusioni di una civiltà, questo aspro notturno ungarettiano può essere considerato la traduzione lirica di questa fine, di questa caduta. Diana Franciosi...


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