Winnicot PDF

Title Winnicot
Author Mariastella Sibio
Course Psicologia dello sviluppo
Institution Libera Università Maria Santissima Assunta
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Description

Winnicott Il senso di Sé si forma […] nel rapporto con l’altro. L’immagine che ognuno ha di se stesso viene costruita sulla base della relazione con gli altri e, più precisamente, sulla base dell’immagine che questi altri ci rimandano di noi. Si parla di meccanismo del rispecchiamento […] il precursore dello specchio è la faccia della madre. “Il bambino da solo non esiste, né possiamo considerarlo a prescindere dalla madre, senza l’intimità e le cure costanti della figura genitoriale” (Winnicott 1965). “all’inizio della vita, ogni essere esiste solo in quanto parte di una relazione […] le sue possibilità di vivere e svilupparsi dipendono totalmente dall’appagamento del bisogno primordiale di attaccamento e appartenenza ad un altro individuo (caregiver) che si prenda cura di lui […] lo anticipi nei suoi bisogni e nelle sue gratificazioni, gli dia quella percezione di sicurezza ed intimità che sono basilari per lo sviluppo. Sar à proprio in rapporto alla qualità affettiva di tale relazione primaria che dipenderà lo sviluppo sano del vero Sé”.

Donald Wodds Winnicott (1896–1971) era un pediatra, psichiatra infantile e psicoanalista inglese. La possibilità di integrare queste diverse attività professionali fu fondamentale per lo sviluppo del suo pensiero, permettendogli così di elaborare originali teorie sullo sviluppo psicologico ed emotivo del bambino.

Secondo Winnicott, l’unità della persona è una difficile conquista, destinata a realizzarsi solo se vi siano le condizioni giuste

un contesto ambientale più favorevole che sfavorevole…

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W. tenta di individuare i fattori evolutivi che possono far si che un neonato, che “all’inizio non c’è senza una madre” che lo CONFERMI nel suo esistere, diventi un soggetto a pieno titolo, una persona. W. sposta l’attenzione dal concetto di pulsione a quello di bisogno, da un concetto biologico a uno psicologico, sottolineando il peso della RISPONDENZA dell’oggetto, vale a dire delle cure materne, specie nei primi giorni di vita. Assegna un ruolo fondamentale al periodo dello sviluppo in cui si esplica quello che egli chiama sviluppo emozionale primario.

Sviluppo emozionale primario

lo possiamo analizzare attraverso 3 concetti interagenti:

1. Dipendenza (assoluta - relativa - indipendenza) 2. Organizzazione 3. Integrazione 1. Dipendenza assoluta - condizione in cui il neonato non sa di dipendere, ignora che ci sia la madre: è un’unità madre bambino (simbiosi)… La madre “sufficientemente buona” cercherà di essere presente. 1. Dipendenza relativa (6 mesi a 2 anni) - il bambino ha maggiore consapevolezza dei suoi bisogni e della propria dipendenza, comincia ad assumere una certa importanza l’immagine della coppia genitoriale. 1. Indipendenza - copre il periodo della pubertà e dell’adolescenza, caratterizzata dall’introiezione dell’ambiente che dà sostegno all’Io. 2. Organizzazione La persona presenta livelli di organizzazione interna di personalità diversi a seconda dell’esperienza che si trova a vivere. Nei primi giorni di vita non distingue stimoli interni ed esterni, esiste, ma solo agli occhi della madre. La madre si trova come in uno “stato psichiatrico” temporaneo che ha avuto inizio con la gravidanza, ma soprattutto nei primi giorni di vita, uno stato mentale, chiamato da W. preoccupazione primaria materna. La preoccupazione primaria materna è uno stato che si sviluppa gradualmente ed inconsapevolmente (le madri se ne ricordano difficilmente) sin dalla gravidanza per durare fino a qualche settimana dopo la nascita del bambino La madre ricettiva dei bisogni del neonato è funzionale a una reciproca identificazione, accetta di avvicinarsi a una condizione di inorganizzazione, cioè di perdita transitoria dell’immagine di sé 2

come soggetto adulto. La dipendenza non è solo del bambino verso la madre ma anche della madre verso il bambino.

Il bambino emerge dallo stato di fusione (di dipendenza assoluta) grazie al rapporto stesso con la figura materna

secondariamente M modifica il suo comportamento divenendo più flessibile affinché il bambino inizi gradualmente a distaccarsi da lei per poter permettere al suo Sé di costituirsi e funzionare

diversamente si svilupperebbe un “falso Sé” per rispondere ai bisogni dell’ambiente e della madre.

3. Integrazione All’inizio il bambino non possiede un’unità corporea tale da permettere di parlare di sensazioni: se ha fame lui è la fame, se ha freddo lui è il freddo. La sua attività mentale è predominata da vissuti di dispersione e frammentazione. Fondamentale allora la funzione della madre che si esplica nella funzione di sostegno holding e di contenimento. Le risposte materne ai gesti spontanei del bambino gli consentono di attribuire un senso al proprio gesto diventando strumento di organizzazione mentale (la madre è lo specchio per il bambino) il bambino può sperimentare il passaggio dal non IO a IO sono. Successivamente è tramite l’handling (manipolazione) che la madre comincia a presentare il mondo esterno al bambino: in una prima fase è chiuso in se stesso, circondato da un mondo che non conosce, poi comincia a muoversi e ad attraversar lo spazio intorno a sé.

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Un evento esterno può fare sobbalzare la madre e di conseguenza è il bambino stesso che rimane sorpreso dal mondo esterno. Dapprima il bambino chiuso in se stesso sta nello spazio che viene tenuto tra lui e il mondo, in seguito egli scopre il mondo e ne viene condizionato. Si arriva così ad una terza funzione materna, la ''presentazione degli oggetti'' (realising, rendere reale) la madre rende il bambino capace di relazionarsi con gli oggetti della realtà esterna. L'aspetto paradossale è che la realtà viene presentata tramite il processo dell' illusione. Ciò che infatti il bambino crede essere creato dalla sua onnipotenza magica, è invece presentato dalla madre. Gli oggetti devono essere mostrati gradualmente cosicché il bambino abbia l’illusione di essere lui stesso a crearli. L’illusione rappresenta una sorta di Pensiero: l’oggetto desiderato, la madre appare proprio nell’esatto momento in cui il desiderio emerge nella mente del bambino (onnipotenza allucinatoria). La madre anticipa empaticamente i bisogni del bambino in modo da far apparire l’oggetto proprio nel momento il cui il bambino lo allucina. Quando l’onnipotenza allucinatoria è acquistata il compito della madre diventa quello di operare una progressiva disillusione

La madre allena il bambino alla frustrazione

il bambino apprende che il mondo esterno non è sempre sotto il suo controllo e che i suoi poteri hanno dei limiti.

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La madre deve facilitare il rapporto con l’oggetto esterno, qui la preoccupazione materna si attenua (inizio processo separazione-individuazione). Si passa così dall’oggetto soggettivo all’oggetto oggettivo, il bambino sviluppa una certa consapevolezza che quello (oggetto) è proprio un “non Me”. Il cammino verso l’indipendenza è reso possibile dalle modalità della madre di porsi nei confronti del bambino: deve soddisfare i bisogni ma, al tempo stesso, lasciare la possibilità di trovare l’oggetto di cui ha bisogno (es. il seno o il biberon)

Realtà interna e realtà esterna iniziano così a differenziarsi

In tale processo occupano un posto rilevante gli “oggetti transizionali”

appartengono ad un’area intermedia in cui il bambino progredisce verso il simbolismo anche se è ancora poco capace di utilizzarlo

Passaggio dal mondo puramente soggettivo all’obiettività Partendo dalla contrapposizione dell’area della soggettività (realtà interna) e di quella della perfezione obiettiva (realtà esterna), W. teorizza l’esistenza di questa terza area intermedia di esperienza alla quale realtà interna ed esistenza esterna contribuiscono contemporaneamente.

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Passaggio da realtà interna ed esterna separate ma tuttavia interrelate Per Winnicott il bambino inizialmente vive in una realtà costruita soggettivamente, dove tutto (compresa la madre) è sotto il suo controllo onnipotente (onnipotenza soggettiva)

in questa realtà il bambino crede di costruire la madre e gli oggetti con i suoi desideri

Gradualmente dovrà abbandonare questa visione edonistica per abbracciare una visione dello spazio oggettivo condiviso dove la madre esiste indipendentemente dalla volontà egoistica del bambino. Tra le due forme di realtà ne esiste una terza, lo spazio transizionale (o potenziale o terza area o area intermedia), il quale è sia costruito soggettivamente che percepito oggettivamente. L'esperienza transizionale (della quale fanno parte gli oggetti transizionali), avendo la caratteristica di entrambe le forme di realtà, permette al bambino di spostarsi verso una realtà oggettiva condivisa, senza esserne traumatizzato. Per Winnicott l'esperienza transizionale è una sorta di luogo psichico dove il bambino può giocare Creativamente per questo motivo Winnicott compara le esperienze culturali umane alle esperienze transizionali. L’esperienza transizionale, inoltre, permette lo sviluppo della capacità di vivere nella realtà oggettiva riuscendo però a conservare il nucleo dell'onnipotenza soggettiva, che permetterà l'espressione dell'originalità e della passione nell'individuo. Lo spazio transizionale non consiste solo in una fase evolutiva dello sviluppo umano, ma è anche e 6

soprattutto lo spazio potenziale tra individuo e ambiente, in cui si modella, in "tutte le età successive dell'uomo" ogni forma di processo mentale creativo. L’oggetto transizionale, che compare tra i 4 ei 12 mesi, si colloca proprio in tale area. Secondo W., l’uomo sin da piccolo ha bisogno di investire per sopravvivere determinati oggetti esterni, tali da renderli transizionali, cioè che rappresentino un ponte tra soggetto (mondo interno, realtà psichica) e oggetto (realtà esterna). L’oggetto transizionale è un sostituto simbolico che protegge dalla perdita ma contiene un carattere distintivo dell’oggetto perduto È presente nel bambino una iniziale consapevolezza che trattasi di un “consolarsi” più che un “sostituirsi”. L’oggetto transizionale è l’espressione tangibile del ponte tra realtà esterna mondo interno, può essere qualsiasi oggetto appartenente al mondo del bambino (una bambola, una coperta, un orsetto, un giocattolo soffice, vestiti della madre, un angolo di una coperta, un pezzettino di lana, una parola ecc.)

l’importante che rappresenti o ricordi la madre.



Nell’oggetto transizionale sono presenti e necessari sia l’aspetto regressivo che quello conoscitivo.



L’oggetto transizionale è il punto di passaggio tra Sé e non Sé; tra simbolo e cosa simboleggiata



Permette l’acquisizione dell’attività simbolica.



Iniziale consapevolezza che trattasi di un “consolarsi” più che un “sostituirsi”

Nel corso del tempo è soggetto a disinvestimento progressivo ma viene mantenuto nella religione, nel vivere immaginativo, nella creatività e nell’arte. 7

Differerenza modo di vedere oggetto transazionale tra Winnicott e Bowlby Lo schema teorico proposto da W. relativamente agli oggetti transizionali non è pienamente condiviso da Bowlby (1979) Per Bowlby gli oggetti transizionali rappresentano semplicemente oggetti verso cui alcune componenti di attaccamento sono dirette quando l’oggetto naturale non è disponibile. Invece che aggrapparsi al corpo, ai vestiti della madre, il bambino abbraccia una coperta o un giocattolo soffice. È ragionevole supporre che, in ogni stadio dello sviluppo, sul piano conoscitivo l’oggetto abbia un equivalente a quello di una figura di un attaccamento principale (Bowlby, 1979, p. 375). Sia nei piccoli umani sia nelle scimmie, qualora non sia disponibile l’oggetto “naturale” del comportamento di attaccamento, il comportamento stesso può indirizzarsi verso qualche oggetto sostitutivo… Pur essendo inanimato tale oggetto spesso sembra poter svolgere il ruolo di una figura di attaccamento importante anche se secondaria. Al pari di una figura di attaccamento principale, il sostituto inanimato, viene ricercato dal piccolo specialmente quando è stanco, malato, o a disagio (Bowlby, 1979, p. 376-377).

La madre sufficientemente buona e il falso Sé

Winnicott definisce madre sufficientemente buona quella madre che, in maniera istintiva, possiede le capacità di accudire il bambino dosando opportunamente il livello della frustrazione che gli infligge. La madre sufficientemente buona possiede la cosiddetta preoccupazione materna primaria, uno stato psicologico indispensabile perché essa possa fornire le cure adeguate al piccolo e che le permette di "fornire il mondo" al bambino con puntualità, facendogli sperimentare l'onnipotenza soggettiva.

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Tra i compiti della madre, infatti, vi è anche (oltre all’holding e all’handling quello di presentare il mondo al bambino (presentazione degli oggetti)

la madre sufficientemente buona sa istintivamente quando presentare gli oggetti al piccolo, quando accudirlo, quando e come frustrarlo facendo sì che il suo sviluppo proceda senza intoppi e senza traumi per lui soverchianti. Winnicott parla anche di madre non sufficientemente buona intendendo quella madre, in genere vittima di psicopatologie depressive o simili, che fornisce al bambino cure senza creatività, senza adattarsi a lui e in maniera meccanica (oggi… trascuratezza emotiva). Con una madre non sufficientemente buona il bambino smetterà troppo presto di vivere nell'illusione che sia lui a creare e distruggere gli oggetti

vivrà in un mondo, presentatogli dalla madre (senza quell’empatia anticipatoria), alla quale egli dovrà essere accondiscendente: la creatività nascente potrebbe così essere uccisa. Anziché essere la madre ad adattarsi al piccolo, in questo caso sarà il piccolo a doversi adattare alla madre (o alla principale figura di accudimento). La madre non sufficientemente buona può distruggere in maniera traumatica l'esperienza dell'onnipotenza soggettiva del bambino, favorendo in particolare lo sviluppo di un “falso Sé” (che si struttura per rispondere ai bisogni dell’ambiente e della madre. Il falso Sé deriverebbe da un rapporto primario madre-bambino insoddisfacente, quindi da una madre che non risponde in maniera soddisfacente ai bisogni del bambino (mancanza di rispecchiamento; realising…) In questo caso non si parla esclusivamente di bisogni fisiologici, quanto dei bisogni di crescita, di onnipotenza, di creazione e graduale distruzione dell'oggetto. 9

Inizialmente, infatti, è importante che il bambino sperimenti l'onnipotenza soggettiva, vivendo nell'illusione di essere lui (con i suoi desideri) a creare e distruggere la madre e, successivamente, gli oggetti reali. Più avanti, grazie all'esperienza e all’oggetto transizionale, potrà muoversi verso un terreno di realtà condivisa, meno egocentrico. Per fare ciò ha bisogno di una madre sufficientemente buona che lo sottoponga a delle frustrazioni ottimali, graduali, che il piccolo possa recepire in maniera non traumatizzante. La madre non sufficientemente buona, INVECE, interrompe bruscamente l'onnipotenza soggettiva del bambino, tarpandone le ali e impedendo la crescita del Sé: è in questo modo che si forma

il falso Sé, un Sé privo di energia soggettiva, fatto di accondiscendenze, non creativo, senza spinta. Al contrario, il Sé è quello nato dal normale superamento dell'onnipotenza soggettiva, la quale rimane come base del vero nucleo della personalità, la fonte di energia dalla quale si sviluppano gli aspetti periferici della personalità. Il falso Sé viene quindi a configurarsi come una patologia legata ad un deficit presente nell'ambiente del bambino, ad una carenza nelle cure materne. Per W. la psicosi va intesa come conseguenza di cure materne non sufficientemente buone. A causa della sua immaturità il lattante è sempre preda di un’angoscia inimmaginabile che solo la madre è in grado di contenere. La salute mentale e la capacità di stare soli implicano per W. che l’individuo abbia avuto l’opportunità per mezzo delle cure materne ricevute di raggiungere la fiducia in un ambiente benefico. Tale ambiente benefico viene introiettato e si insinua nella personalità determinandone uno stato di sicurezza di base. È come se vi fosse sempre qualcuno presente che inconsciamente è sempre equiparato alla madre.

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