29.02.2020 Elaborato Definitivo PDF

Title 29.02.2020 Elaborato Definitivo
Author Elisabetta Merenda
Course PEDAGOGIA GENERALE
Institution Università della Calabria
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Summary

Corso di Formazione per il conseguimentodella Specializzazione per le attività di SostegnoD. del 30.ELABORATO FINALESe puoi sognarlo, puoi farlo.Costruzione del sé, autostima e autoefficacianelle dimensioni della disabilitàCORSISTA Elisabetta MerendaMatricola 240753TUTOR COORDINATOREElisa Grandinett...


Description

Corso di Formazione per il conseguimento della Specializzazione per le attività di Sostegno D.M. del 30.09.2011

ELABORATO FINALE Se puoi sognarlo, puoi farlo. Costruzione del sé, autostima e autoefficacia nelle dimensioni della disabilità CORSISTA Elisabetta Merenda Matricola 240753 TUTOR COORDINATORE Elisa Grandinetti

A. A. 2018-2019

1

Se io ho perso la fiducia in me stesso, ho l’universo contro di me. (Ralph Waldo Emerson)

2

INDICE

PARTE PRIMA Approfondimento Teorico PREMESSA 1.1 Adolescenti e disabilità: la difficile costruzione dell’identità adulta 1.2 Crescere, nonostante tutto 1.3 I sistema del sé 1.4 Sviluppo del sé e ruolo dell’autostima 1.4.1 La sicurezza 1.4.2 La consapevolezza del proprio sé 1.4.3 Il senso d’appartenenza 1.4.4 Capacità di progettualità 1.4.5 Consapevolezza della propria competenza

1.5 L’Autoefficacia

5 6 8 9 12 14 14 15 15 15

16

1.5.1 Le esperienze di gestione efficace 1.5.2 “L’esperienza vicaria”, ovvero quella fornita dall’osservazione di determinati modelli 1.5.3 La persuasione 1.5.4 Gli stati emotivi e di persuasione

1.6 L’Autoefficacia come fattore di promozione della salute 1.7 Osservazioni conclusive

17 17 17 17

18 20

PARTE SECONDA Relazione finale di tirocinio INTRODUZIONE 2.1 La scuola

22 23

2.1.1 Analisi del contesto socio-ambientale e dell’istituto 2.1.2 Analisi dei bisogni e delle risorse presenti 2.1.3 Offerta formativa e scelte educative e didattiche 2.1.3.1 Il liceo scientifico 2.1.3.2 L’istituto tecnico – settore economico 2.1.3.3 L’istituto tecnico – settore tecnologico 2.1.3.4 L’istruzione degli adulti 2.1.3.5 I percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento 2.1.4 Interventi e opportunità d’inclusione 2.1.5 Sistemi di relazioni, di comunicazione e di innovazioni

2.2 La classe

23 24 25 25 27 28 28 29 30 32

32

2.2.1 Caratteristiche strutturali della classe 2.2.2 Gli allievi 2.2.3 Relazioni, clima, accoglienza, collaborazione 2.2.4 Strumenti e metodologie utilizzate

2.3 L’allievo. Osservazione

32 33 34 34

35

2.3.1 Osservazione libera personale 2.3.2 Osservazione anamnestica 2.3.3 Osservazione strutturata

35 36 36

2.4 La documentazione

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2.4.1 La Diagnosi Funzionale 2.4.2 Il PEI

47 47 3

2.5 Organizzazione didattica ed interventi per alunno con disabilità 2.6 L’intervento didattico 2.6.1 Progettazione dell’intervento didattico: motivazione, obiettivi, competenze 2.6.2 Le fasi 2.6.3 Metodi e strategie 2.6.4 Tempi, luoghi, strumenti 2.6.5 Valutazione

2.7 Considerazioni conclusive e autovalutazione

58 60 60 61 64 65 66

68

PARTE TERZA Prodotto multimediale Introduzione 3.1 Software e tecnologie utilizzati 3.2 Motivazione della scelta 3.3 Progettazione e fasi di esecuzione 3.4 Presentazione del prodotto finito

71 71 74 75 85

BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

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ALLEGATI

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 Scala dell’Autostima di Rosenberg - I somministrazione  Scala dell’Autostima di Rosenberg - II somministrazione  Dietro le quinte: lo storyboard del mio ebook

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PARTE PRIMA

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PREMESSA La scuola, ambiente naturale d’apprendimento tout court, ha a che fare con quella fase precaria dell’esistenza che è l’adolescenza, dove l’identità – ancora nel crogiuolo della sua immaturità fisiologica – oscilla tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire ad essere ciò che si sogna. Proprio in questo delicato intervallo si colloca l’adolescente moderno, il quale – lungi da disporre di garanzie nella realizzabilità dei suoi progetti – è costretto a maturare più in fretta che mai, brancolando nell’indeterminazione più alienante. Diventa dunque indispensabile che il concetto di sé sia supportato da quella considerazione

positiva

che

siamo

soliti

chiamare

autostima,

corredata

all’accoglimento negativo che è invece l’autoaccettazione, necessaria per far fronte – come in un qualsiasi sport di situazione – agli altalenanti eventi della vita. Autostima, autoefficacia e autoaccettazione sono tenute dalla scuola in minimo conto, anzi, spesso ogni forma di autostima viene sradicata, nel vacuo sospetto di esser davanti a presunzione o arroganza. Nel disgraziato caso in cui sia proprio lo studente a ritenersi di poco valore, il professore sfrutta questa sentenza di condanna – tristemente auto irrogata – per ribadire con voti bassi, punizioni e giudizi negativi (spesso anche personali) quel nulla che lo studente già sente profondo dentro di sé. La dimensione del vuoto è ancora più lacerante nel ragazzo con disabilità, il quale – in barba alle mille e più declinazioni dell’inclusione – è spesso vittima ancora di un becero assistenzialismo, di sguardi languidi e pietisti, di insegnanti di sostegno che lo “aiutano” a far quel che si può, che di più… come si fa a chiederlo? Proprio a lui? Si dimentica troppo facilmente che, prima di essere un “PEI”, quei ragazzi sono degli adolescenti a tutti gli effetti, con tutti i problemi naturali che l’adolescenza porta: i primi amori, le amicizie, la voglia di accendere la prima sigaretta, l’accettazione di un corpo che cambia, le pulsioni sessuali. Perché, in una scuola che voglia autenticamente dirsi per tutti e per ciascuno – ancora non si è capito che gran parte dell’apprendimento dipende non tanto dalla buona volontà, dai limiti fisici o mentali o dalle potenzialità, quanto dall’autostima? È l’autostima ad innescare l’autoefficacia, che a sua volta stimola la buona volontà, la quale ancora riesce a superare ogni limite fisico o mentale e sprigiona – in un climax caleidoscopico - l’essenza più vivida delle potenzialità dello studente.

6

Gli insegnanti che rafforzano l’autostima come primo motore della formazione culturale, attraverso opportuni riconoscimenti, sono veramente pochi. Chi ascolta uno studente con reale interesse, riconoscendogli la personalità come unicità preziosa e come nodo gordiano su cui continuare ad edificare? In molti, au contrair, demoliscono tutt’al più quel poco che rimane della spensieratezza e dell’autenticità del giovane, con scherni, derisioni ed epiteti che disgregano la sua identità, riducendo l’educazione ad essere figlia dei contenuti, di una vuota istruzione che non realizza un progetto lungimirante, ma riempie solo una casella negli archivi del registro elettronico. Gardner (1991) ci mette in guardia da questa falsa persuasione: l’educazione non è figlia dell’istruzione, poiché è impossibile istruire se prima non si è provveduto alla costruzione di un’identità, se non ci si è inseriti nei meandri del desiderio e della stima di sé, se non si sono fatti i conti con i problemi connessi alla frustrazione, la quale – se reiterata – annulla l’identità, tanto più se ci si sta muovendo su quel sottile pavimento di cristallo, che è l’identità dell’adolescente con disabilità.

1.1 Adolescenti con disabilità: la difficile costruzione dell’identità adulta Come si è già detto, l’adolescenza è quel particolare periodo della vita in cui l’individuo acquisisce sia le caratteristiche fisiche e biofisiologiche adulte, sia le competenze cognitive e sociali appropriate per inserirsi a pieno titolo nel mondo degli adulti1. Il periodo della preadolescenza è caratterizzato dalla perdita di coesione del sé che suscita nei ragazzi il bisogno di trovare conferme e sostegno da parte di altre figure di riferimento, che non sono più i genitori, ma i coetanei. Il gruppo diventa uno spazio psico-sociale in cui l’adolescente può sperimentare se stesso al di fuori dell’ambito familiare, e attraverso il quale il ragazzo giunge ad una percezione più chiara della propria identità, e all’individuazione di sé come persona distinta e autonoma.2 La formazione del concetto di sé nell’adolescenza è un processo complesso. Fuori dalla famiglia l’adolescente viene formato dalla scuola, dal gruppo dei coetanei e dalla cultura giovanile contemporanea.

1 Arcuri L., Conoscenza sociale e processi Psicologici, Il Mulino, Bologna, 1987. 2 Minguzzi G., Dinamica Psicologica dei gruppi sociali, Il Mulino, Bologna, 1996.

7

Il ragazzo con disabilità entra con grande ritardo sui compagni nel mondo dell’adolescenza, è proprio allora che raggiunge la consapevolezza e la presa di coscienza del suo essere, fatto di limiti e rinunce a cui egli stesso non sa dare né potrà mai dare una spiegazione. Se da bambini ci si sente già fuori dalla norma, questo si ritiene, più o meno inconsciamente, che sia un periodo transitorio, come se qualche miracolo possa cambiare questa situazione di diversità. È proprio in questo periodo, durante il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, che il ragazzo/a sente di più il peso del suo essere riconosciuto come “diverso”: vorrebbe fare ciò che fanno i coetanei, uscire in gruppo, viaggiare, fare gite, frequentare luoghi di ritrovo comune, avere occasione di simpatizzare con l’altro sesso, tutte cose che gli vengono impedite dai motivi che non riguardano solo il deficit in se stesso, ma dalle varie circostanze sociali e ambientali. Con il passare degli anni, ci si rende conto, che questa “anormalità” è uno stato definitivo: nascono i primi problemi legati alla dimensione della disabilità, ai quali si aggiungono quelli di qualsiasi adolescente. Il confronto coi coetanei è inevitabile, il rapporto non potrà essere mai paritario, non solo per le effettive difficoltà di spostamento, di dipendenza da altri ecc., ma anche perché è ancora molto diffuso il luogo comune, che “il disabile è qualche cosa in meno”3. Il ragazzo con disabilità nella maggioranza dei casi arriva all’adolescenza, protetto dai genitori che “per il suo bene” non gli riconoscono il diritto di crescere, di diventare adulto, di avere una sua personalità e autonomia di scelta. Per la famiglia il figlio “speciale” resterà sempre un bambino da guidare, per i genitori è molto difficile accettare che il figlio malato abbia una sua personalità e acquisti una sua maturità4. Spesso sono gli stessi genitori che lo escludono dalla realtà dei coetanei, non spronandolo ad uscire dai suoi limiti e a confrontarsi con gli altri. Il motivo è da ricercarsi nella paura: hanno paura di farlo soffrire e di soffrire loro stessi. Da questo comportamento superprotettivo ha origine un senso di insicurezza e di paura molto radicato in ogni persona con disabilità. Prima o poi – per fortuna - anche il ragazzo con disabilità si ribella a questa gabbia dorata, e quel momento, sarà uno dei tanti in cui si sentirà in ritardo in confronto ai 3 Portelli S., Figli handicappati: come è difficile amarli , “Distrofia muscolare”, anno XXV, n.82/83, Rivista Scientifica, 2007. 4 Cameroni M., L’handicap dentro e oltre, Feltrinelli, Milano, 1987.

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coetanei, nel conoscere meglio il proprio corpo, il proprio io e il mondo attorno a lui. Competizione e confronto, sono elementi che caratterizzano fisiologicamente il rapporto tra gli adolescenti, provocando in loro ansie e paure; questi ultimi – a maggior ragione - creano disagi ancora maggiori nell’adolescente con disabilità, che può sentirsi discriminato e perciò dotato di minor valore in quanto sprovvisto – in parte o in tutto - di quelle potenzialità fisiche e mentali che fungono da “armatura” per affrontare l’”arte bellica” della vita. Sotto il profilo psicologico, ciò produce una ulteriore perdita di sicurezza, l’emergere di un sentimento di sfiducia nei confronti della vita. Il ragazzo con disabilità, in definitiva, spesso ha pochi contatti con i coetanei sia per le eventuali difficoltà inerenti alla mobilità, sia a causa dell’isolamento indotto in molti casi dalla famiglia per motivi di iperprotezione, ma anche per pudore o vergogna. Accade così che l’adolescente si chiuda in sé stesso, facendo della dimensione disabilità il suo scomodo bozzolo, dal quale – crisalide sempiterna – non riuscirà più a venir fuori.

1.2

Crescere, nonostante tutto

Grazie ai progressi straordinari della scienza medica, oggi il ragazzo con disabilità ha giusti ausili e – in molti casi – una lunga speranza di vita. Il ragazzo può dunque diventare adulto, oggi, mentre per molto tempo e in molti casi ha vissuto solo l’infanzia. Pur tuttavia, egli potrà mai essere un adulto, come lo intende la società dei “normali”? Adulto, secondo il pensiero comune, è chi è efficiente, chi studia e lavora, chi si sgancia dalla sua famiglia d’origine per formare a sua volta una nuova famiglia. Prendiamo, a titolo esemplificativo, il caso di un ragazzo con disabilità intellettiva di grado medio, la cui età mentale è stimata attorno ai sette anni. Come può fare tutto quello che si è sopra descritto un individuo che ha soltanto l’età mentale di sette anni? In effetti, a sette anni il bambino si trova paradossalmente nella situazione di un ragazzo con disabilità: dipende economicamente dalla famiglia, non è addestrato a gestire il suo corpo, (il mammismo, ad esempio, non promuove in lui l’abitudine a lavarsi e a vestirsi da solo), non sa procurarsi il cibo (in molte famiglie gli è vietato avvicinarsi ai fornelli o prepararsi un panino da solo).

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Gli è concesso studiare, giocare, guardare molto la televisione. Studiare è “concesso” anche ai ragazzi con disabilità, ma per “passare il tempo” - triste realtà - e non per prepararsi ad un futuro con migliori aspettative lavorative, come avviene per gli altri bambini. Ai bambini di sette anni viene negata la sessualità, modalità infantile di rapporto con il proprio e l’altrui corpo: fu Freud a sostenere – invece - che a questa età gli individui spostano i loro interessi su realtà diverse da quelle erotiche per conoscere la cultura e partecipare alla vita sociale. Come può allora un adulto con disabilità avere delle normali pulsioni sessuali se è considerato come un bambino di sette anni? A tabù (il rifiuto del diverso) si assomma altro tabù (la negazione della sessualità).5 Non potendo vivere la propria sessualità (che significa essere adulto), la persona con disabilità rimane passivamente coinvolto nell’immagine sociale che si ha di se stesso. Essere come gli “altri” vogliano che sia, diventa una facile risposta esistenziale data da molti ragazzi con disabilità alle persone che stanno attorno a loro: porre fine alla dipendenza può essere molto difficile, non solo perché egli stesso può sentire il bisogno di un appoggio supplementare, ma anche perché deve combattere contro il bisogno degli altri di proteggerlo, di sovrapporsi a lui, di aiutarlo a tutti i costi per sentirsi in pace con se stessi.6 I pochi ribelli, molto spesso vengono considerati scomodi, e per loro diventa ancora più difficile prendere in mano una esistenza obiettivamente più complessa. Scrive Mauro Cameroni in epoca remota, ma quanto mai attuale, “la problematica dell’handicap, subirà una vera svolta soltanto quando muterà la mentalità, questa cultura che invece di accettare il diverso, cercando di scoprire le eventuali ricchezze che può portare, ne ha paura e lo emargina”.7 L’unico modo per “sorreggere” questa instabile impalcatura – l’identità del ragazzo adolescente con disabilità – è promuovere in ogni ambito il rafforzamento della sua autostima.

1.3

Il sistema del sé

Le più recenti teorie sulla motivazione attribuiscono al concetto di sé un ruolo centrale per la personalità e lo sviluppo soffermandosi sul modo in cui le persone 5 Pesci M.C., Rifeli G., “Handicap fisico e sessualità” Rassegna stampa-handicap, 1991. 6 Oliverio Ferraris A., Il bambino e l’adulto, Laterza, Bari, 2007. 7 Canevaro A., Goussot A., (a cura di), La difficile storia degli handicappati, Carocci, Torino, 2003.

10

costruiscono la loro identità. Le convinzioni personali, i valori e gli obiettivi costituiscono un sistema di significati attraverso il quale l’individuo definisce sé stesso e agisce. Spesso gli stati d’animo possono precedere i pensieri, e il modo in cui percepiamo noi stessi, influenza i nostri pensieri e le nostre azioni8. Secondo Susan Harter il “sistema del sé” è costituito da tre componenti fondamentali: il concetto di sé, la componente di autocontrollo e l’autostima. Il concetto di sé può essere inteso come il modo in cui l’individuo si vede e si percepisce, entro una entità complessa, costituita da varie aree di interesse: intellettuale, estetica, morale, sociale. Ciascuna di queste aree è frutto al contempo delle nostre esperienze. Il modo in cui interpretiamo l’immagine di noi stessi deriva dunque dalla interazione dinamica fra il nostro e l’altrui giudizio di valore sulle personali capacità, caratteristiche e abilità. Tale giudizio di valore, elemento su cui si fonda l’autostima, influenza fortemente la motivazione ad apprendere e a crescere e modificarsi in modo positivo, accettando o evitando eventuali frustrazioni e valorizzando o sminuendo successi e conquiste. A sua volta, l’autostima è collegata al concetto di autocontrollo sia in modo diretto che indiretto. In primo luogo, infatti, un bambino capace di governare le proprie attività e le proprie espressioni emozionali può sentirsi più competente; in secondo luogo, un bambino che riesce a rendere il proprio comportamento socialmente accettabile e appropriato avrà maggiore probabilità di ricevere più approvazioni. Alcuni studi hanno a tal proposito dimostrato che bambini provvisti di un’alta autostima hanno anche un forte senso di efficacia personale e di controllo9. McCombs e Pope definiscono la motivazione come la capacità e la tendenza naturale nelle persone ad apprendere e a crescere in modo positivo, rivolta al raggiungimento degli obiettivi personali10. Gli specifici obiettivi di apprendimento che l’individuo si pone, distinguendo fra obiettivi di padronanza, quando lo scopo è quello di imparare cose nuove e sviluppare competenze, e obiettivi di prestazione, quando lo scopo è quello di dimostrare abilità già possedute11. Se dunque l’obiettivo di padronanza è volto alla conoscenza approfondita di nuovi argomenti ed è dettato da un desiderio di 8 Pope A., McHale S. e Craighead E., Migliorare l’autostima. Un approccio psicopedagogico per bambini e adolescenti, Trento, Erickson, 1992. 9 Dweck C. S., Teorie del sé. Intelligenza, motivazione, personalità e sviluppo, a cura di A. Moè. Trento, Erickson; ed. orig. Self-theories: Their role in motivation, personality, and development, Ann Arbor MI, Psychology Press, London, 1999 10 McCombs B. L., e Pope J. E, Come motivare gli alunni difficili. Strategie cognitive e relazionali. Trento, Erickson, 1996.

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miglioramento, l’obiettivo di prestazione è sostanzialmente volto all’ottenimento di un giudizio positivo e vincente sulle proprie capacità e all’evitamento di valutazioni negative. A questi due sostanziali atteggiamenti, corrispondono specifiche convinzioni relative alla concezione di sé e della propria intelligenza. Quest’ultima può infatti essere intesa come un insieme di abilità in potenziale crescita (teoria incrementale) per chi si pone obiettivi di padronanza oppure come caratteristica di abilità scarsamente modificabili per effetto dell’esperienza e dell’apprendimento, per chi si pone obiettivi di prestazione. La visione dell’intelligenza come entità solleva negli studenti la preoccupazione di non essere abbastanza brillanti, crea ansia nei confronti delle sfide e porta a considerare gli insuccessi come una misura della loro intelligenza. Ne può derivare un comportamento disorganizzato, difensivo e vulnerabile. Credere invece che l’intelligenza sia incrementabile crea il desiderio di affrontare delle sfide di apprendimento cimentandosi in compiti adeguatamente difficili, tali da massimizzare le nuove acquisizioni. Entro una tale prospettiva gli ostacoli diventano parte integrante dell’apprendimento e della padronanza a lungo termine e quindi ...


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