Alberto L\' Abate, L\'ARTE DELLA PACE PDF

Title Alberto L\' Abate, L\'ARTE DELLA PACE
Course Pedagogia Interculturale
Institution Università degli Studi di Messina
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Summary

Riassunto completo e chiaro del libro di Alberto L'abate, sociologo, attivista e ricercatore italiano, impegnato nella ricerca per la pace e la nonviolenza, con il quale ho avuto l'onore di sostenere l'esame di pedagogia interculturale....


Description

ALBERTO L’ABATE, L’ARTE DELLA PACE Alberto L’abate è nato a Brindisi nel 1931 e attualmente vive a Firenze. È un sociologo italiano impegnato nella ricerca per la pace e per la non-violenza. Laureatosi presso l’Università di Firenze in Scienze Sociali e Politiche, si è specializzato in metodi di ricerca sociale e sui rapporti tra azione sociale, non-violenza e mutamento sociale. È tuttora impegnato a livello internazionale per l’istituzione e il riconoscimento dei corpi civili di pace. Alberto L’abate è stato profondamento influenzato dagli amici e collaboratori Aldo Capitini e Danilo Dolci, raccogliendo la loro eredità spirituale e politica. “L’arte della pace” rappresenta la summa della sua riflessione di studioso, persuaso dal fatto che la violenza non sia connaturata all’essere umano e che la guerra non sia un fatto ineluttabile. Il libro è stato pubblicato nella collana dei quaderni Satyagraha, il cui nome stesso rimanda al paradigma sperimentale, creativo e costruttivo della non-violenza gandhiana: Sat è l’Essere; Satya è la verità intesa non come dogma da imporre ma come ricerca, tensione verso l’autenticità dell’Essere; Agraha è la perseveranza, la forza nell’agire per l’affermazione della verità. Quindi Satyagraha indica il potere della non-violenza che agisce nei conflitti per trasformarli verso realtà di Pace. Bisogna che i governi prendano coscienza del fallimento della guerra come strumento per la soluzione dei conflitti e dotino gli stati di nuovi strumenti di mediazione e di giustizia internazionale. Ispirato da Gandhi e da JP Narayan, L’abate ritiene che l’arte della pace comporti una “rivoluzione totale” sia delle persone sia delle strutture e ha imparato l’importanza non solo di studiare la nonviolenza, ma anche di metterla in pratica, ad esempio unendosi a Danilo Dolci nella lotta per il riscatto della parte più povera della popolazione di Palermo. Per lui l’azione non-violenta si esplicita in tre forme interconnesse (l’interconnessione è la parola chiave, perché L’abate unisce teoria e prassi, locale e globale, micro e macro), ovvero: 1) come cambiamento sociale, superando la centralità del denaro per dare vita a una società basata sulla centralità dell’uomo, sulla solidarietà e sul dialogo, introducendo perciò nelle strutture economiche elementi di libertà e di socialità; 2) nella difesa sociale, per allargare i diritti dei cittadini di fronte allo stato, per difendere il carattere parlamentare della nostra democrazia e per passare quindi dalla democrazia delegata a quella partecipativa, realizzando il “potere di tutti” voluto da Capitini; 3) nell’intervento non-violento come terze parti nei conflitti, per la prevenzione dei conflitti armati e l’eliminazione delle armi e degli eserciti, per sostituirli con forze di polizia internazionale e con corpi disarmati specializzati nella trasformazione non-violenta dei conflitti. L’abate ha lottato in prima persona contro le centrali atomiche, contribuendo all’annullamento del programma energetico nazionale fondato sul nucleare. Egli ha subito due processi e due condanne, ciascuna a sei mesi di carcere: la prima per vilipendio delle forme armate, avendo distribuito un volantino, ritenuto offensivo, durante le celebrazioni del 4 novembre di molti anni fa; la seconda per essersi dichiarato solidale con chi aveva partecipato ai blocchi ferroviari a Capalbio in Maremma, durante le proteste contro il progetto di costruzione di una centrale nucleare. Egli ha fondato una “Casa per la Pace” a San Gimignano, contribuendo a formare alla non-violenza centinaia di persone. È poi intervenuto con i “Volontari di pace in Medio Oriente” nel conflitto iracheno; con i “Beati i Costruttori di Pace” nella marcia Mir Sada nella ex-Jugoslavia al fine di trovare soluzioni non armate al conflitto in atto; e infine nella “Campagna Kossovo” per favorire l’apertura a Pristina di un’Ambasciata di Pace che avesse come principale obiettivo quello di prevenire l’esplosione di un conflitto armato (tra Serbi e Albanesi). Tuttavia le proposte per la prevenzione di tali conflitti non sono state accettate. Tutto il libro è una denuncia del fatto che gli Stati avrebbero da guadagnare in termini di efficacia e di bilanci in attivo se decidessero di finanziare la pace e non la guerra.

Come docente L’abate ha insegnato ai propri allievi l’importanza della conoscenza empatica, cioè quella che viene dal mettersi nei panni degli altri, e non solo di quella razionale, che permette di capire ma non di comprendere. L’abate si concentra sulla descrizione del conflitto iracheno, spiegando come i “Volontari di Pace in Medio Oriente” realizzarono un Campo di Pace, dove vennero ospitate tutte le delegazioni del mondo che trattavano con Saddam Hussein sul possibile rilascio dei suoi ostaggi, e realizzarono un documento che prevedeva il ritiro delle truppe irachene dal Kuwait, sostituite dai Caschi Blu delle Nazioni Unite formate da truppe dei paesi non intervenuti nel conflitto. Tale documento venne consegnato al Segretario Generale delle Nazioni Unite, ma ormai era troppo tardi per fermare la macchina bellica che era stata messa in moto. Spiega, inoltre, come anche i tentativi successivi di evitare la guerra del Kossovo furono inutili e fallimentari. L’abate traduce l’esortazione di Martin Luther King: “Noi dobbiamo usare le nostre menti per pianificare la pace in modo altrettanto rigoroso di quanto abbiamo fatto finora per pianificare la guerra”. L’opera che lo ha ispirato nella stesura di tale libro è stata “L’arte della guerra” di Sun Tsu, generale vissuto circa 25 secoli fa in Cina, il quale aveva scritto questo piccolo manuale sulla strategia della guerra, di ispirazione per personaggi come Napoleone e Mao Tse-Tung. Ma cosa c’entra l’arte della guerra con la pace e la prevenzione dei conflitti? Secondo L’abate, molte delle lezioni di questo comandante, influenzato anche dal pensiero taoista, possono essere trasferite nel campo della lotta e della ricerca per la pace. Gli insegnamenti di Sun Tsu da considerare validi anche per l’arte della pace sono: La stigmatizzazione delle alte spese militari: infatti le spese belliche indeboliscono il paese invece di renderlo più sicuro. Mentre gli altri paesi hanno ridotto le loro spese militari a causa della crisi, l’Italia non l’ha fatto, pur facendo credere che le spese belliche siano inferiori a quelle degli altri paesi della Nato, in quanto ad esempio l’acquisto dei nuovi sistemi d’arma, come gli F35, risulta nel bilancio dello Sviluppo Economico e non in quello della Difesa. l’importanza di una valida strategia: tale insegnamento di Sun Tsu ci fa pensare all’assurdità della “guerra permanente al terrorismo”, per la quale anche l’Italia spende cifre immense, e fa emergere la necessità di una strategia per la pace e per la prevenzione dei conflitti armati per la quale, fino ad ora, ci sono state più parole che fatti. Basti pensare che si spende solo 1 euro per la prevenzione dei conflitti armati, e 10.000 euro per fare le guerre. La motivazione dei soldati: secondo Sun Tsu i generali e i soldati non dovrebbero combattere per la carriera o per il denaro, ma per l’amore verso il proprio popolo. Perciò, i soldati italiani che, cessato il loro servizio, nonostante le loro ricche pensioni, diventano consulenti delle fabbriche di armi, dovrebbero invece seguire l’esempio del generale Eisenhower, il quale una volta eletto presidente degli Stati Uniti riconobbe l’inutilità e l’orrore della guerra, o del generale inglese Harbottle, che si impegnò a sostenere gli interventi non armati e non violenti delle Peace Brigades International (PBI), fondando poi un’associazione di “Generali per la Pace”. La guerra, in una situazione di crisi economica, è diventata un grosso business e ciò è dimostrato anche dall’aumento vertiginoso dei contractor, cioè quei civili che sono pagati per accompagnare persone o ditte che operano in situazione conflittuale. L’importanza del coraggio: un aspetto fondamentale anche per la non-violenza è il non aver paura della morte, ma nemmeno ricercarla: infatti per essere dei buoni Satyagrahi, secondo Gandhi, bisogna anche essere disposti a morire pur di non tradire i propri principi. Conoscere se stessi ed i propri avversari: anche nella non-violenza è importante conoscere i propri limiti, non pretendere di cambiare tutto da un momento all’altro e non illudersi che il peggioramento della situazione possa scatenare un processo rivoluzionario (infatti rendere una situazione peggiore per passare alla rivoluzione finale è sbagliato, ed è stato considerato da Gramsci una posizione massimalista).

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L’importanza del Judo: è fondamentale saper usare la violenza dell’avversario per fargli perdere l’equilibrio e cadere. Un esempio di tale condotta può essere lo “sciopero alla rovescia” di Danilo Dolci e dei contadini siciliani: mentre i lavoratori possono fare scioperi per richiedere maggiori salari, i disoccupati possono ricorrere secondo Dolci allo “sciopero alla rovescia”, per rivendicare il proprio diritto ad avere un lavoro, come riconosciuto dall’Art.4 della nostra Costituzione, e quindi un reddito.

Gli insegnamenti di Sun Tsu da rovesciare per essere utilizzati nelle lotte non-violente sono: Spiazzare l’avversario: nonostante il fine sia lo stesso, i mezzi proposti da Sun Tsu e da Gandhi sono diversi: Sun Tsu propone di ingannare gli avversari in molti modi, ad esempio facendo loro credere di essere in vantaggio per spingerli ad attaccare per primi; adottando una tecnica che permetta di rendere impossibile prevedere le nostre mosse; non rendendo noto il campo di battaglia (puntando sull’effetto sorpresa); oppure ricorrendo ad infiltrati nel campo nemico che ci facciano avere informazioni utili a vincerlo. Per la non-violenza il metodo è opposto, in quanto parte dal valore della verità. Per il Mahatma Gandhi la verità è Dio e secondo lui non bisogna nascondere nulla. Lo spiazzamento, infatti, inizia illustrando in anticipo le proprie mosse, spiegando il senso della propria lotta ed i modi con i quali si intende portarla avanti, cercando di trasformare i nemici in amici e in collaboratori. Vincere evitando di combattere: “il vero combattente vince senza attaccare, e non si lascia trascinare nel conflitto”: ma mentre Sun Tsu consiglia di mutare la condizione dell’avversario nei nostri confronti e la strategia militare più adatta è quella di impaurire il nemico, dandogli informazioni false e facendogli credere di essere in uno stato di debolezza nei confronti dell’avversario, scoraggiando perciò un eventuale attacco; la strategia nonviolenta è opposta perché non mira a impaurire gli avversari ma a convertirli da nemici in amici. Per Gandhi la migliore difesa è quella di non avere nemici. Per questo motivo bisogna pensare a una nuova globalizzazione, indirizzandola verso un riequilibrio tra ricchi e poveri, per mettere al centro una politica di solidarietà con i paesi più poveri e per perseguire la giustizia e uno sviluppo equilibrato tra Nord e Sud. Un’altra importante indicazione della non-violenza è, secondo L’abate, quella di lavorare non per vincere le guerre, ma per prevenire la violenza prima che si accresca e faccia scoppiare conflitti armati. Secondo lo studioso italiano Piero Giorgi, il nostro comportamento sociale non può essere definito prima della nascita e la violenza non può essere nei nostri geni, perciò continuare a cullarsi nell’idea che siamo violenti per natura non ci permetterà di rimuovere i meccanismi socio-culturali che ci hanno resi tali, di generazione in generazione, nelle ultime migliaia di anni. Una conferma alla tesi di Giorgi viene anche dalla scoperta dei “neuroni specchio”, che ha dimostrato come tali neuroni producano nel nostro cervello effetti imitativi di cui spesso non siamo consapevoli, con potenti condizionamenti sul piano sociale. L’esposizione alla violenza stimola comportamenti imitativi violenti e aggressivi verso le persone e le cose. Secondo Guarducci, la scoperta dei neuroni specchio ha confermato la valenza del pensiero fenomenologico circa l’empatia: infatti sintonizzarsi nelle frequenze di un’altra persona, condividerne i suoi stati d’animo è la forma principale di empatia. L’empatia è ciò che ci permette di condividere la vita, di metterci nei panni degli altri, di essere compresi ed accolti. Per iniziativa dell’Unesco, nel 1986, un gruppo di scienziati ha redatto la Dichiarazione di Siviglia, spiegando come la violenza non sia un fatto innato, ma il prodotto del contesto socio-culturale nel quale viviamo. Infatti tutti i sociologi che hanno approfondito lo studio sui conflitti, hanno osservato che la guerra non nasce da un giorno all’altro, ma è un processo che si sviluppa nel tempo. È quindi necessario agire tempestivamente per scongiurare la guerra e interrompere l’escalation verso la violenza. Anche nello Statuto fondativo delle Nazioni Unite è espresso l’obiettivo di liberare l’umanità dal “flagello delle guerre”. Secondo Michael Renner bisogna riesaminare le priorità dei bilanci e fino a quando si continuerà ad investire risorse massicce nel militare, si darà scarsa attenzione ai bisogni sociali, violando i diritti umani.

È fondamentale, secondo L’abate, la distinzione della Prevenzione in: Prevenzione primaria: che cerca di eliminare le cause alla base dei conflitti armati; Prevenzione secondaria: che interviene precocemente per evitare che il conflitto diventi più forte e meno facilmente risolvibile; Prevenzione terziaria: che cerca di dare stabilità allo stato di pace, evitando che possa ritornare il conflitto armato. Ad ogni forma di prevenzione corrisponde un tipo di attività nel campo di ricerca per la pace: Alla prevenzione primaria corrisponde il peacebuilding ovvero la “costruzione della pace” che implica il dar vita a società meno violente delle attuali, eliminando le cause profonde della violenza nelle società; Alla prevenzione secondaria corrisponde il peacekeeping ovvero il “mantenimento della pace”, cioè un insieme di azioni che tengano separati i contendenti, evitando che si combattano a vicenda. Le tecniche più adatte in questo settore sono le “zone cuscinetto”, cioè l’istituzione di aree demilitarizzate e neutrali; e le “zone di pace”, spazi occupati da civili dove non si svolge alcun combattimento; Alla prevenzione terziaria corrisponde il peacemaking ovvero “l’edificazione della pace” che implica una vasta gamma di azioni diplomatiche, svolte dopo lo scoppio di un conflitto armato allo scopo di stabilire un cessate il fuoco o un sollecito di accordo di pace. L’abate dubita sia possibile prevenire le guerre se si è interessati alla produzione e al commercio di armi: egli vede l’intervento armato in un conflitto come un fallimento della prevenzione, cerca di promuovere corpi non-violenti disarmati e ritiene sia necessario un modello di sviluppo alternativo, dove non domini la logica del profitto e del mercato, ma quello della risposta ai bisogni fondamentali della popolazione, soprattutto di quella più emarginata. Per prevenire i conflitti armati sono necessarie vari tipi di azione:  La segnalazione precoce e l’intervento rapido: il problema da porsi è cosa si è fatto e si sta facendo per organizzare un valido sistema di allarme preventivo e per legarlo ad una risposta rapida che serva a prevenire l’esplosione del conflitto violento. Indicatori utili alla previsione dei conflitti armati sono, secondo L’abate, il livello e l’aumento degli squilibri tra ricchi e poveri; la spesa militare confrontata con la spesa sociale; il livello e l’andamento degli scontri tra gruppi etnici diversi; il livello di bullismo negli ambienti scolastici; il livello di mobbing negli ambienti di lavoro; lo sviluppo di conflitti a livello di quartieri. Già Johan Galtung ha realizzato una serie di previsioni di fenomeni internazionali, collegate alla cultura violenta: quella del 1980 sulla fine entro dieci anni dell’impero sovietico, e quelle delle crisi economiche del 1987, del 2008 e del 2011, basate sull’osservazione del contrasto tra lo sviluppo dell’economia reale (prodotti di consumo) e quello dell’economia finanziaria (acquisto e vendita delle azioni in borsa). La cattiva segnalazione precoce è un’importante causa della non risposta ai conflitti violenti. Tuttavia molti governi non sono interessati alla prevenzione dei conflitti armati, perché condizionati dai loro militari e dai costruttori e venditori di armi che vedono la pace come una minaccia grave ai loro affari. Per quanto riguarda la guerra nel Kossovo era stata redatta una relazione, dalla Transnational Foundation for Peace and Future Research (TFFR), che segnalava i rischi di guerra che tale situazione comportava e anche indicazioni su come superare il conflitto. La segnalazione in tal caso c’era stata ma non era stata presa in considerazione. Nel documento dell’International Crisis Group si legge che la segnalazione precoce è una parte fondamentale della prevenzione e mettendo in guarda i governi, le organizzazioni internazionali e la comunità internazionale su conflitti mortali, si cerca di aiutare a prevenire o a risolvere il conflitto.

Secondo John Davies, gli indicatori di segnalazione precoce devono essere distinti secondo tre stadi di sviluppo: 1) Le tensioni strutturali o l’instabilità: tra queste la storia di repressione statale, le ideologie discriminatorie, gli squilibri nei guadagni e nelle opportunità economiche, ovvero tutti dati che servono per valutare i rischi a lungo termine. 2) I dati dell’escalation che identificano i fattori dinamici e acceleratori e accrescono le tensioni: tra questi gli acquisti di risorse belliche e armamenti, nuove politiche discriminatorie e repressive, gravi svalutazioni della moneta. 3) La transizione aperta verso una crisi o una guerra: essa può essere segnata da incidenti scatenanti come un tentativo di colpo di stato, un assassinio o la dichiarazione di uno stato di emergenza. Secondo Galtung, il compito di una teoria e di una pratica per la pace è quella di ridurre ogni tipo di violenza e promuovere il benessere di tutti. Per quanto riguarda la Campagna del Kossovo, la grande maggioranza della popolazione ha messo in atto una lotta non-violenta per riacquisire i diritti, eliminati con la forza e l’inganno e tale lotta è stata portata avanti con azioni non-violente (marce, digiuni, scioperi ecc.), e attraverso il progetto costruttivo (assistenza sociale e sanitaria autogestita, governo parallelo ecc.). Ma è cresciuto il disaccordo sui modi con cui liberarsi dal giogo della Serbia: i sostenitori dell’azione non-violenta temevano che le attività costruttive servissero a pacificare la zona e a rendere invisibile il conflitto; mentre i sostenitori delle attività costruttive temevano che il ricorso ad azioni dirette non-violente avrebbe portato i militari e la polizia serba ad usare la violenza contro di loro e tale violenza avrebbe portato gli albanesi a reagire con altrettanta violenza, dando vita ad una carneficina e di conseguenza alla sconfitta degli albanesi, a causa degli squilibri di forze. Anche lo studioso Michael Lund ha approfondito il tema della prevenzione dei conflitti armati, affermando che per evitare che le guerre scoppino è necessario approfondire: le cause nascoste ed immediate dei conflitti violenti, la volontà politica, l’efficacia (cioè quali tipi di azioni preventive funzionano attualmente in contesti specifici) e l’organizzazione. Lund conclude il suo saggio cercando di mettere a punto una metodologia efficace che individui gli elementi principali di un impegno complesso, per affrontare e prevenire i conflitti intra-statali.  Le missioni per l’accertamento dei fatti: un esempio valido di missioni per la prevenzione dei conflitti armati è stato quello del Kossovo: varie organizzazioni hanno inviato missioni di questo tipo per studiare il conflitto, ascoltando le due parti e facendo proposte interessanti per la sua soluzione. Una delle ipotesi per portare avanti positivamente il processo, fatta dalla Campagna Kossovo, era quella di prevedere la presenza nella zona di “Corpi Europei Civili di Pace”, ovvero corpi non armati e ben formati alla non-violenza ed alla risoluzione non-violenta dei conflitti, con il compito di: monitorare il rispetto dei diritti umani dalle due parti; favorire occasioni di dialogo e di confronto aperto tra le parti in conflitto per la ri...


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