Alterazioni vascolari dell\'intestino PDF

Title Alterazioni vascolari dell\'intestino
Course Fisiopatologia Generale e
Institution Università degli Studi dell'Aquila
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Alterazioni vascolari dell'intestino...


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ALTERAZIONI VASCOLARI DELL’INTESTINO PREMESSA In questa lezione, vengono trattate le problematiche ischemiche derivate da alterazioni vascolari (o accidenti vascolari, per i più nostalgici) dell’intestino. La parola chiave è RIDISTRIBUZIONE DEL FLUSSO EMATICO. Le alterazioni vascolari intestinali sono quel momento fisiopatologico, purtroppo molto frequente nella popolazione, che è sottoclassificabile in 3 ulteriori situazioni fisiopatologiche: -

Angina abdominis

-

Colite ischemica

-

Infarto intestinale

Questa classificazione è stata adottata ed è usata frequentemente dai medici; questi 3 momenti fisiopatologici sono distinguibili in base alla loro fase di acuzie, sub cronicità/sub acuzie o cronicità: quindi si distinguono in base alla loro fase di espressione, al momento in cui si verificano e in particolare alle caratteristiche temporali della fase algica che li caratterizza.

Richiami di anatomia:

L’intestino è diviso in due grandi capitoli, piccolo intestino (3-5m) e grande intestino (1,5-1,8m). Fondamentalmente abbiamo due grossi vasi arteriosi che vascolarizzano l’intestino: l’arteria mesenterica superiore (che decorre di pari passo con la vena mesenterica superiore) e l’arteria mesenterica inferiore, dalle quali originano grossi vasi che irrorano i vari distretti anatomici; in particolare dall’arteria mesenterica superiore originano le arterie colica destra e colica media e l’arteria ileo-colica, che irrorano la parte distale del tenue, colon ascendente e colon trasverso – dall’arteria mesenterica inferiore originano i vasi colici di sinistra e le arterie che fanno capo al territorio sigmoideo. Queste arterie sono importanti perché attraverso queste si garantisce una vascolarizzazione omogenea e ridistribuibile su tutti i distretti. Il piccolo intestino è un organo mobile, libero, endoperitoneale che ha dei mezzi di fissità e una lunghezza tali da consentirgli un ampio grado di mobilità. Questo differisce da quanto si verifica nel grande intestino, che ha dei sistemi di fissità che lo vincolano in maniera più salda: -la lamina di Toldt àncora una piccola parte posteriore di colon ascendente e colon discendente al retroperitoneo; queste infatti sono le parti meno mobili del grande intestino. (NB: per Bacchetti queste due parti non sono da considerare retroperitoneali ma peritoneali) -il mesocolon trasverso garantisce al suo viscere la mobilità -anche i vasi che decorrono nei mesi rappresentano un sistema di supporto strutturale, rendendo il meso solidale con l’aorta addominale, limitandone il movimento -legamenti: (spleno-colico, freno-colico, eccetera) Colon ascendente e colon discendente acquisiscono una retroperitonealità di tipo secondario, ma in realtà sono intraperitoneali. Il colon trasverso è totalmente intraperitoneale, così come il sigma. Il retto invece è extraperitoneale. Dal punto di vista vascolare, l’intestino non è diviso nettamente in distretti separati, ma l’irrorazione forma un unico ambito continuo grazie alle arcate anastomotiche, che hanno l’importante funzione di garantire la possibilità di ridistribuire il flusso ematico nel caso in cui in un distretto venga a mancare l’apporto di sangue. Fondamentalmente è necessario ricordare che ci sono due arcate principali che irrorano il colon e che da queste arcate, che sono l’Arcata Marginale di Drummond 1, e l’Arcata del Riolano, è possibile avere un sistema vicariante che impedisce che la fase di danno esplichi i suoi effetti nefasti fino alla fine. Queste arcate mettono in comunicazione i due grandi distretti vascolari delle arterie mesenterica inferiore (che dà le sigmoidee e la colica sinistra) e superiore (che la colica destra e la ileocolica, e raramente anche la colica media che quasi sempre non c’è).

1 L'Arcata marginale di Drummond o Arteria marginale di Drummond è un ramo arterioso che nasce dalle anastomosi tra le varie branche dell'Arteria mesenterica superiore e poi della mesenterica inferiore e che corre addossato al margine interno del colon, dal cieco fino al sigma.

Quando determinate porzioni intestinali non ricevono sufficiente apporto ematico, si verificano quei momenti fisiopatologici precedentemente elencati; è fondamentale capire il tempo in cui questa fase di ipoperfusione si manifesta e se ci sono dei circoli collaterali sufficienti a impedire che la deprivazione ematica comporti la fase finale di necrosi tissutale. Queste tre situazioni si intersecano spesso le une con le altre, ma una è acuta, l’altra è subacuta, la terza è cronica. La fisiopatologia è analoga, ma sono diverse nella fase evolutiva.

ANGINA ABDOMINIS (O claudicatio mesenterica, o dolore addominale cronico) Questa è una situazione fisiopatologica vascolare funzionale, in cui ci sono fenomeni dolorosi che coincidono con momenti di insufficienza della funzionalità vascolare per un’inadeguata capacità del circolo di garantire un apporto ematico adeguato (fondamentale: SENZA CONSIDERARE LA RIDISTRIBUZIONE TRAMITE ANASTOMOSI). In un paziente anginoso (solitamente sono soggetti che vanno dalla quinta alla sesta decade di vita e che spesso hanno altre morbilità associate all’angina), l’insufficienza che porta alla fase di angina si evolve in un lungo lasso temporale, non si esplica repentinamente; ci devono essere dei fattori che cronicamente, nel lungo periodo, determinano la riduzione dell’apporto vascolare ematico, che può diventare sintomatologicamente rilevante in un dato momento. È una condizione cronica. Diventa evidente dal punto di vista clinico solo in certe condizioni: in una asintomatica condizione di omeostasi il circolo permette un apporto ematico sufficiente grazie alle arcate anastomotiche. Tuttavia, quando aumenta la richiesta di sangue, possono esserci episodi di ipossia. Questo si verifica dopo i pasti, quando l’intestino è più attivo metabolicamente: c’è una fase algica, di dolore addominale (ANGINA POSTPRANDIALE). La condizione ipossica, nel lungo termine può dare danni alle strutture che costituiscono la parete intestinale. La prima regione che va in sofferenza è la tonaca mucosa, che va incontro ad alterazioni che porteranno al malassorbimento: atrofia dei villi e ulcere della mucosa. In parallelo c’è un danno sulla tonaca muscolare: l’attività contrattile non viene più garantita, dato che anche la muscolatura va in atrofia. Il fenomeno è accompagnato dal deposito di tessuto connettivo (fibrosi). Un meccanismo compensatorio di questo fenomeno è l’iperperistaltismo di altri segmenti che ricevono ancora sangue a sufficienza, fenomeno che può dare diarrea. Nel lungo termine, anche gli altri segmenti muscolari però sono destinati all’atonìa dopo che il danno si sarà esplicato in maniera completa: viene persa la tonicità, c’è rallentamento del bolo con ristagno delle feci e proliferazione batterica, e il paziente andrà incontro a meteorismo a causa dei gas prodotti dalle attività fermentative. Attenzione: i problemi vascolari che portano all’ischemia sono in genere di natura aterosclerotica. Questo fenomeno non è localizzato solo in un distretto, ma è diffuso. Ci sarà quindi una progressiva perdita della funzione vascolare anche negli altri distretti e nei vasi anastomotici di ridistribuzione. Contemporaneamente, i segmenti intestinali che vanno incontro a iperperistaltismo per compensare l’atonia dei segmenti che hanno subito un danno ischemico, aumenteranno le loro richieste metaboliche, in una situazione in cui l’apporto ematico non è ottimale. Questi due fattori portano all’espansione del danno ischemico.

I fenomeni associati alla condizione cronica di angina abdominis, quando non si riesce ad arrivare al riequilibramento del flusso ematico, POSSONO DIVENTARE SUBACUTI (COLITE ISCHEMICA) O ACUTI (INFARTO INTESTINALE). Cosa c’è di diverso tra i tre fenomeni? LA POSSIBILITA’ DI RIDISTRIBUZIONE EMATICA!!!!! Se c’è un processo cronico (angina) la redistribuzione di flusso è ancora possibile. Questo non è completamente vero nei fenomeni di colite ischemica (vedi dopo), e non è per niente vero negli episodi di infarto mesenterico (cioè un arresto del flusso senza possibilità di riequilibrio). Le condizioni che possono causare l’impossibilità di ridistribuzione repentina del flusso sono ad esempio un evento embolico, un trombo, una condizione di ipossia ambientale, una cinetica cardiaca rallentata che causa fenomeni ipotensivi importanti; in questi casi c’è la necrosi.

INFARTO INTESTINALE È una necrosi dell’intestino determinata da un’ostruzione acuta e massiva di vasi arteriosi (infarto arterioso) o di vasi venosi (infarto venoso). È un fenomeno acuto e interessa un distretto in cui non è possibile una ridistribuzione repentina del flusso ematico, altrimenti non si arriva alla necrosi ischemica. Il segmento dell’arteria mesenterica superiore che va dall’origine della colica destra fino alla parte distale della ileocolica è chiamato segmento critico di Reiner: se l’ostruzione che causa l’infarto interessa questo segmento, la ridistribuzione del flusso non è possibile, in quanto le anastomosi non supportano un flusso ematico sufficiente per compensare un infarto di tale entità. [È sempre da tenere a mente che i processi di aterosclerosi che in genere sono alla base di questi fenomeni fisiopatologici sono diffusi, con diverse entità, a tutti i vasi: se si arriva a un blocco del segmento critico, anche le arcate anastomotiche che dovrebbero permettere la ridistribuzione del flusso non saranno proprio bellissime.] Ostruzioni in altre sedi possono comunque portare all’infarto intestinale, se le condizioni dell’arcata di Riolano non permettono una sufficiente deviazione del flusso (solito esempio delle placche ateromasiche) che potrebbe esserci invece con arterie sane.

Tutto questo è su base arteriosa: su base venosa la causa potrebbe essere una qualsiasi condizione che impedisce il deflusso chiudendo le vene. Una situazione che abbiamo già trattato è quella dell’occlusione intestinale. L’evolversi del quadro clinico dell’infarto venoso è più lento nel tempo: l’apporto di sangue ossigenato infatti non è compromesso come nel caso di infarto arterioso, ciò che è impedito è il deflusso del sangue venoso e questo comporterà una dilatazione dei vasi distrettuali con conseguente edema. Tuttavia una volta ripristinato chirurgicamente il deflusso ematico ci sono ottime probabilità di ripresa del tessuto infartuato, a differenza dell’infarto arterioso che comporta quasi sempre necrosi e obbligo di resezione. Nell’infarto di tipo arterioso ci sono tre aspetti fondamentali: -La fase ischemica acuta, in condizioni di impossibilità di ridistribuzione del flusso, induce l’apertura di shunt artero-venosi come tentativo di adattamento (in genere inutile); -L’ipossia causa un blocco dell’attività peristaltica; c’è stasi fecale con proliferazione batterica; -Il tessuto va incontro a necrosi.

COLITE ISCHEMICA È una condizione che sta a cavallo tra la condizione cronica (angina) e la condizione acuta (infarto) in cui si ha una riduzione di apporto ematico ingravescente. È stata chiamata in questo modo (-ite) anche se non c’è una fase infiammatoria preponderante, in quanto l’aspetto principale è sempre l’ischemia causata dal blocco di flusso, che però è subcronica (o subacuta). In questa situazione di sofferenza si vengono a formare lesioni ulcerative ed emorragiche, che causano stasi, autoperpetrazione del danno, e un tentativo di riparazione tramite infiammazione e fibrosi che non è adeguato. I presupposti sono gli stessi per tutte e tre le condizioni ischemiche e possono pertanto esserci tre situazioni: -danno ischemico transitorio lieve: avremo colite ischemica e formazione di ulcere; -danno ischemico transitorio grave: ci saranno le caratteristiche dell’angina abdominis; -danno ischemico permanente: infarto intestinale. La differenza tra l’ultimo e i primi due è che il danno è o non è reversibile: la differenza sta nella capacità di compenso dell’ipossia tissutale tramite la deviazione del flusso....


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