Biologia molecolare - riassunto libro il gene PDF

Title Biologia molecolare - riassunto libro il gene
Course Biologia molecolare
Institution Università di Pisa
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riassunto libro il gene...


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Biologia molecolare di Domenico Azarnia Tehran Questo approfondito riassunto del manuale dell'esame di Biologia molecolare tratta i principali temi della materia in modo esaustivo: dalla storia delle scoperte sul Dna, alla composizione dell'Acido Desossiribonucleico, ai meccanismi di riproduzione. Le funzioni dell'RNA vengono trattate approfonditamente e spiegati le principali modalità di trasmissione genetica.

Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza Facoltà: Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso: Scienze Biologiche Esame: Biologia molecolare Titolo del libro: Il Gene VIII Autore del libro: Benjamin Lewin Editore: Zanichelli Anno pubblicazione: 2007

Domenico Azarnia Tehran

Sezione Appunti

1. La visione mendeliana del mondo La teoria dell'evoluzione è una delle scoperte scientifiche che hanno influito più profondamente sulla cultura moderna e sulla concezione dell'uomo contemporaneo. Questa fu concepita e messa a punto da Charles Darwin nel corso del 1800. Fino ad allora tutte le costruzioni filosofiche e religiose avevano considerato le forme di vita costanti e immutabili, con l'unica eccezione della specie umana, che era qualcosa di speciale, nettamente superiore a qualsiasi altra specie. Grazie, comunque, a Darwin e successivamente a Mendel si scoprì qualcosa di più sui geni e queste teorie furono scartate con l'avvenire della biologia molecolare. Nella seconda metà del 1700 scienze nascenti, come la geologia, avevano appunto rilevato strati geologici formatosi in tempi successivi in cui si trovavano specie antiche con caratteristiche comuni a quelle attuali, quindi si cominciò a pensare, come fece Jean-Baptiste de Lamarck all'evoluzionismo, secondo il quale caratteri acquisiti durante la vita dell'individuo possono essere trasmessi ai discendenti (eredità dei caratteri acquisiti). Secondo Darwin, invece, si ha dapprima lo sviluppo di un abbondante varietà di individui con caratteristiche diverse, che vengono selezionate tramite il criterio della sopravvivenza del più adatto, o selezione naturale. Successivamente questi caratteri vengono trasmessi alla progenie nel corso del tempo. Dopo iniziali polemiche la teoria dell'evoluzionismo fu scartata dal mondo scientifico e fu accettata la selezione naturale di Darwin. Inoltre, ci si rese conto che la vita doveva essere apparsa sulla Terra circa 4 miliardi di anni fa ma ancora non si conosceva la materia del materiale ereditario. In questo periodo inoltre, un altra importante scoperta, che diede lancio alla biologia molecolare fu la teoria cellulare di SchleidenSchwann che scoprirono le cellule, l'unità fondamentale della vita.

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2. La genetica della trasmissione Mendel vide che un gene può esistere in differenti forme chiamate alleli. Per esempio, il pisello può avere semi gialli oppure verdi. Un allele di un gene responsabile per il colore del seme conferirà ai semi il colore giallo, l'altro allele il colore verde. Inoltre un allele può essere dominante rispetto all'altro, che quindi risulterà essere recessivo (bisogna ricordare che non sempre avviene questo in quanto può esistere codominanza, con la comparsa di un colore intermedio). Mendel poté dimostrare che l'allele per i semi gialli era dominante dopo aver incrociato due piante di pisello, una con semi di colore verde e l'altra con semi di colore giallo. Tutta la progenie della prima generazione (F1) mostrava semi di colore giallo. Tuttavia, incrociando tra loro gli individui della generazione F1 (semi gialli), Mendel osservò la ricomparsa di semi di colore verde. Il rapporto tra semi di colore giallo e di colore verde nella seconda generazione filiale (F2) era di 3:1. Mendel concluse che l'allele per il colore verde dei semi doveva essere mantenuto nella generazione F1, pur non influendo sul colore dei semi di queste piante. La sua spiegazione fu che ogni pianta parentale porta due copie del gene; in sostanza i genitori esano diploidi per i caratteri che stava studiando. Secondo questa teoria, gli individui omozigoti presentano due copie dello stesso allele: o due alleli per i semi gialli o due per i semi verdi. Gli individui eterozigoti, invece, presentano una sola copia per ogni allele. I due genitori nel primo incrocio erano omozigoti e la progenie risultante F1 era eterozigote. Quindi Mendel concluse che le cellule sessuali contengono una sola copia del gene, cioè sono aploidi. Di conseguenza, gli omozigoti possono produrre cellule sessuali o gameti, che hanno un solo allele, ma gli eterozigoti possono produrre gameti aventi uno o l'altro dei due alleli. Mendel, inoltre, scoprì che i geni per i sette diversi caratteri che scelse di studiare, operano indipendentemente l'uno sull'altro. Così le combinazioni tra alleli di due diversi geni (piselli gialli o verdi con semi lisci o rugosi, dove giallo e liscio sono caratteri dominanti, rispetto a verde e rugoso che sono recessivi) diedero i rapporti 9:3:3:1 per le combinazioni giallo/liscio, giallo/rugoso, verde/liscio e verde/rugoso rispettivamente. Da questi esperimenti si possono enunciare tre leggi: 1.Legge della dominanza: gli individui nati dall'incrocio di due individui omozigoti, che differiscono per una coppia allelica, avranno il fenotipo dato dall'allele dominante; 2.Legge della segregazione: gli alleli di un singolo locus segregano indipendentemente l'uno dall'altro (ricomparsa del recessivo nella F1); 3.Legge dell'assortimento indipendente: i diversi alleli si trasmettono indipendentemente l'uno dagli altri, secondo precise combinazioni. L'ereditarietà che segue le semplici leggi che Mendel ha scoperto viene comunemente definita ereditarietà Mendeliana. Il lavoro di Mendel fu trascurato quasi 40 anni e furono riscoperte solo quando tre scienziati, Vries, Correns e Von Tschermak arrivarono con esperimenti diversi alle stesse considerazioni che fece Mendel. Comunque, l'idea che i cromosomi siano a portare i geni fu approfondita da Sutton, Boveri e Morgan ed è nota come teoria cromosomica dell'ereditarietà. Questo presenta un momento cruciale per lo sviluppo genetico. I geni non erano più fattori svincolati, ma erano diventati oggetti osservabili nel nucleo della cellula. Alcuni genetisti, e in particolare, come dicevamo prima, Thomas Hunt Morgan, rimasero scettici riguardo a questa

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idea. L'ironia della sorte stabilì proprio che fosse lo stesso Morgan nel 1910 a fornire la prima definitiva prova a supporto della teoria cromosomica. Morgan lavorava con il moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) che era, sotto molti aspetti, un organismo molto più comodo da utilizzare per studi genetici in confronto alla pianta di pisello, grazie alle sue ridotte dimensioni, al breve tempo di riproduzione e all'elevato numero di figli nella progenie. Quando Morgan incrociò moscerini con occhi rossi (carattere dominante) con moscerini con occhi bianchi (carattere recessivo), la maggior parte degli individui della progenie F1, ma non la totalità di essi, aveva gli occhi rossi. Inoltre, quando Morgan incrociò i maschi con gli occhi rossi della generazione F1 e le loro sorelle sempre con gli occhi rossi, un quarto della progenie era rappresentato da maschi con gli occhi bianchi, ma non c'era nemmeno una femmina con gli occhi bianchi. In altre parole il fenotipo del colore degli occhi era legato al sesso e veniva trasmesso, in questi esperimenti, seguendo la trasmissione del sesso. Noi oggi sappiamo che il sesso e il colore degli occhi vengono trasmessi insieme perché i geni che controllano queste caratteristiche sono localizzati sullo stesso cromosoma, il cromosoma X. Comunque, Morgan fu riluttante nel trarre le sue conclusioni fino a quando, nel 1910, non osservò lo stesso comportamento legato al sesso per altri due fenotipo, ali ridotte e corpo giallo. È facile comprendere che geni localizzati su cromosomi separati si comportino indipendentemente negli esperimenti genetici e che geni localizzati sullo stesso cromosoma, come il gene responsabile del fenotipo ali ridotte (miniature) e quello responsabile del fenotipo occhi bianchi (white), si comportino come se fossero legati. Comunque, solitamente i geni localizzati sullo stesso cromosoma non mostrano una perfetta concatenazione genica (linkage). Infatti, Morgan scoprì questo fenomeno quando esaminò il comportamento dei geni legati al sesso che aveva trovato. Per esempio, sebbene white e miniature si trovino entrambi sul cromosoma X, essi rimangono concatenati nella progenie solo il 65,5% delle volta. Gli altri individui della progenie possiedono una nuova combinazione di alleli non riscontrabile nei genitori; per questo si definiscono individui ricombinanti. Questi individui vengono prodotti dallo scambio tra cromosomi omologhi (cromosomi che portano gli stessi geni o gli stessi alleli degli stessi geni). Il risultato di questo meccanismo è lo scambio di geni tra cromosomi omologhi. Nell'esempio precedente, durante la formazione delle uova nella femmina, un cromosoma X che porta gli alleli white e miniature è andato incontro a crossing over con un cromosoma che porta gli alleli per gli occhi rossi e per le ali normali. Poiché il fenomeno del crossing over avvenuto tra questi due geni ha portato gli alleli white e ali normali insieme su un cromosoma e gli alleli rosso (occhio normale) e miniature sull'altro. Dal momento che è stata creata una nuova combinazione di alleli, possiamo chiamare questo processo ricombinazione. Morgan assunse che i geni fossero disposti in maniera lineare lungo il cromosoma, come perle lungo un filo. Questa idea assieme alla consapevolezza della ricombinazione, lo spinse a suggerire che più lontani si trovano due geni lungo un cromosoma e più elevata è la probabilità che essi ricombinino. Successivamente, Sturtevant elaborò questa ipotesi per arrivare ad affermare che esiste una relazione matematica tra la distanza che separa due geni lungo un cromosoma e la frequenza di ricombinazione tra questi due geni. Sturtevant raccolse dati che supportavano questa tesi, conducendo esperimenti sulla ricombinazione nei moscerini della frutta. Questo approccio ha rappresentato il fondamento logico delle tecniche di mappatura genica in uso ancora oggi. Più semplicemente, se due loci ricombinano con una frequenza dell'1% si dice che i geni sono separati da una distanza, sulla mappa, di un centimorgan (dal nome dello stesso Morgan).

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3. Miescher: l'acido desossiribonucleico L'esistenza di molecole speciali in grado di portare l'informazione genetica fu postulata dai genetisti, molto prima che questo problema fosse preso in considerazione dai chimici. Nel 1869, Friedrich Miescher scoprì nel nucleo della cellula la presenza di una miscela di componenti che egli chiamò nucleina. Il componente principale della nucleina è l'acido desossiribonucleico (DNA). Alla fine del XIX secolo, i chimici hanno compreso quale fosse la struttura del DNA e di un composto a esso simile, l'acido ribonucleico (RNA). Tutti e due sono lunghi polimeri, catene composte da piccoli composti chiamati nucleotidi. Ogni nucleotide è composto da uno zucchero, un gruppo fosfato e una base. La catena si forma in seguito al legame tra gli zuccheri di due basi attigue attraverso i loro gruppi fosfato. Comunque, dal momento che la teoria cromosomica dell'ereditarietà era ormai stata accettata, i genetisti convennero che il cromosoma dovesse essere composto di un polimero di un qualche genere. Sostanzialmente la scelta poteva cadere sulle seguenti tre opzioni: DNA, RNA e proteine. All'inizio si pensò proprio alle proteine in quanto strutture complesse con la loro catena è costituita da unità chiamate amminoacidi. Gli amminoacidi legati tra loro attraverso legami peptidici, formano la catena proteica che è così definita un polipeptide.

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4. Avery, Griffith e altri: il Dna può portare la specificità genetica Oswald Avery e i suoi collaboratori nel 1944 misero appunto un esperimento, eseguito precedentemente da Federick Griffith. Quest'ultimo scienziato nel 1928 gettò le basi per determinare, appunto, che il DNA costituisce il materiale genetico, con il suo esperimento di trasformazione del batterio pneumoccoccus, oggi chiamato Streptococcus pneumoniae. Questi organismi nella forma selvatica sono costituiti da cellule sferiche circondate da un involucro mucoso chiamato capsula. Le cellule formano grandi colonie lucide con aspetto liscio (S). Queste cellule sono virulente, ossia sono in grado di causare infezioni letali se iniettate in un topo. Un particolare ceppo mutante di S. pneumoniae ha perso la capacità di formare la capsula e forma colonie piccole e dall'aspetto ruvido (R). Inoltre questa forma è non virulenta, in quanto non avendo la capsula sono facilmente fagocitati dai globuli bianchi dell'organismo. La scoperta fondamentale di Griffith è costituita dal fatto che era possibile trasformare colonie di tipo R (non virulente) esponendole a colonie di tipo S (virulente) uccise tramite esposizione al calore. Sia le colonie S uccise al calore che le colonie R prese singolarmente non erano in gradi di promuovere un infezione letale. Tuttavia se somministrate insieme erano mortali. In qualche modo il tratto che conferiva la virulenza era passato dalle cellule virulenti morte a quelle non virulenti vive. Inoltre fu scoperto che la trasformazione non è un fenomeno passeggero. Infatti, una volta conferita la capacità a formare la capsula al ceppo non virulento e pertanto uccidere gli organismi ospiti, questa era passata ai discendenti come carattere ereditario. In altre parole le cellule non virulente in qualche modo acquisivano il gene per la virulenza durante la trasformazione. Questo significava che il principio trasformante presente nei batteri uccisi con il calore era costituito probabilmente dallo stesso gene per la virulenza. L'ultimo tassello mancante per completare il mosaico era scoprire la natura chimica della sostanza trasformante. A questo ci pensarono Oswald Avery, Colin MacLeod e Maclyn McCary che nel 1944 completarono il quadro. Come primo passo estrassero le proteine dall'estratto per mezzo di solventi organici e determinarono che l'estratto era ancora in grado di trasformare. Successivamente trattarono l'estratto con diversi enzimi. La tripsina e la chimotripsina, che digeriscono le proteine, non sortirono alcun effetto sulla capacità trasformane, e neanche il trattamento con ribonucleasi, che degrada l'RNA. Pertanto fu escluso che il fattore trasformante potesse essere costituito da proteine o RNA. Avery e collaboratori, d'altra parte, scoprirono che trattando l'estratto di cellule virulenti con la deossiribonucleasi (Dnasi), enzima che degrada il DNA, questo perdeva la capacità di trasformare i ceppi non virulenti. Questi risultati suggerirono, dunque, che il principio trasformante fosse proprio il DNA. Per finire, nel 1952, A. D. Hershey e Martha Chase eseguirono un esperimento che apportò ulteriori prove a favore dell'ipotesi che i geni sono composti da DNA. Questo esperimento prevedeva l'utilizzo di un batteriofago (virus batterico) chiamato T2 che infetta il batterio Escherichia coli. Durante l'infezione i geni del fago penetrano nella cellula ospite e inducono la sintesi di nuove particelle virali. Essendo il fago composto solo da DNA e proteine, questi due scienziati si chiesero se i geni risiedono nelle proteine o nel DNA. Comunque, dal momento che il DNA era la componente maggiore che entrava nella cellula ospite era altamente probabile che contenesse i geni. L'esperimento di Hershey e Chase si basava sulla marcatura radioattiva del DNA e delle proteine, una marcatura distinta per ciascuna delle due molecole. Usarono infatti fosforo-32 (32P) per marcare DNA e

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zolfo-35 (35S) per marcare le proteine. Questa scelta ha un senso se si considera che il DNA è ricco di fosforo mentre le proteine del fago non ne contengono ma invece contengono zolfo mentre il DNA ne è privo. Hershey e Chase permisero ai fagi marcati di infettare i batteri iniettando i loro geni nella cellula ospite. Successivamente staccarono i capsidi vuoti dei fagi dalle cellule batteriche, per mezzo di una agitazione vigorosa, tramite un frullatore (nuova invenzione dell'epoca). Poiché sapevano che i geni dovevano penetrare all'interno delle cellule batteriche, la loro domanda era, cosa è penetrato, il DNA marcato con 32P o le proteine marcate con 35S? Come hanno potuto vedere si trattava di DNA. In generale, quindi, i geni sono composti da DNA.

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5. Garrod: l'azione dei geni Nel 1902 Archibald Garrod notò che la alcaptonuria (una malattia che colpisce l'uomo) sembrava comportarsi come un carattere Mendeliano di tipo recessivo. Era possibile, quindi, che la malattia fosse causata da un gene difettoso, o mutante. Inoltre, il sintomo principale caratteristico di questa malattia era l'accumulo di pigmenti neri nelle urine del paziente, cosa che Garrod imputò, giustamente, ad un'anormale produzione di un composto intermedio in una determinata via biosintetica. Quindi si arrivò alla definizione un gene mutante-un blocco metabolico. Successivamente, nel 1941, Badle e Tatum crearono numerosi mutanti di Neurospora, nei quali il difetto interessava un singolo passaggio di un determinato pathway biochimico e di conseguenza riguardava un singolo enzima. Furono in grado di fare questo, aggiungendo l'intermedio che normalmente sarebbe stato sintetizzato dall'enzima difettivo e dimostrando che questo ripristinava una crescita normale. Quindi aggirando il blocco scoprirono dove questo fosse localizzato. Anche in questo caso, i loro esperimenti genetici dimostrarono che era un singolo gene a essere coinvolto. Così, un gene difettoso dà luogo a un enzima difettoso. In altre parole, un gene sembrò essere responsabile della produzione di un enzima. Questa è l'ipotesi un gene-un enzima. Negli anni successivi, però, sempre altri scienziati dimostrarono che numerose proteine enzimatiche e strutturali sono multimeriche, cioè contengono due o più catene polipeptidiche differenti, in cui ciascun polipeptide è codificato da un gene differente. Per questo la definizione precedente divenne un gene-un polipeptide che successivamente grazie agli esperimenti di Ingram diventò un gene-una catena polipeptidica. Infatti, questo scienziato, dopo aver determinato la sequenza amminoacidica dell'emoglobina normale e di quella dei pazienti affetti da anemia falciforme si accorse che la mutazione di un singolo gene determina la sostituzione di un singolo amminoacido e di conseguenza, quindi, affermò che i geni determinano la struttura primaria delle proteine. Infine, a metà degli anni '40, gli studiosi di biochimica conoscevano le strutture chimiche di DNA e RNA. Degradando il DNA nelle sue componenti base, scoprirono che queste erano costituite da basi azotate, acido fosforico e dallo zucchero desossiribosio. In maniera simile scoprirono che l'RNA era costituito da basi azotate e acido fosforico più uno zucchero diverso, il ribosio. Le quattro basi azotate trovate nel DNA sono adenina (A), citosina (C), guanina (G) e timina (T). L'RNA contiene le stesse basi, fatta eccezione per l'uracile (U) che sostituisce la timina. Le strutture di queste basi rilevano che l'adenina e guanina sono simili in struttura alla purina, pertanto sono dette purine. Mentre, le altre basi sono simili alla struttura delle pirimidina, e sono dette pirimidine. Queste molecole costituiscono l'alfabeto della genetica.

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