Commento e analisi di “Di pensier in pensier, di monte in monte”, numero 129 PDF

Title Commento e analisi di “Di pensier in pensier, di monte in monte”, numero 129
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Milano
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Commento e analisi di “Di pensier in pensier, di monte in monte”, numero 129 del Canzoniere di Petrarca...


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Commento e analisi di “Di pensier in pensier, di monte in monte”, numero 129. Si tratta di una canzone di lontananza e appartiene a un genere che risale alla poesia provenzale. Canzone di lontananza perché Petrarca si trovava lontano da Valchiusa, lontano dai luoghi di Laura, probabilmente si tratta del soggiorno emiliano del 44-45 a Selvapiana. Questo canzone si trova nell’ambito di un breve ciclo di 5 canzone che è particolare nel Canzoniere: ciclo aperto da 2 canzoni in cui prevale la presenza dei settenari sugli endecasillabi e sono le due canzoni “sorelle”, come le definirà poi il Brembo, ovvero “Se il pensier mi strugge” e “Chiare e fresche e dolci acque” rispettivamente la 125 e la 126. In modi diversi entrambe si collocano in un contesto (nella prima, nella seconda metà in tono consolatorio) valchiusano, mentre per quanto riguarda la seconda, i luoghi di Laura (Valchiusa) sono i luoghi evocati fin dall’inizio del componimento dal poeta e attraverso tutte le parti del luogo illiCo di valchiusa, si compone e ricompone il corpo di Laura e la sua immagine che ha dato sacralità ai sorgenti della sorgue. Chiare e fresche si conclude dopo il dolore e il timore iniziale della morte da parte del poeta per i tormenti d’amore. Il movimento della memoria che gli fa tornare in mente il benedetto giorno in cui vide Laura, in un vero e proprio trionfo d’amore e di fiori, che lo trasse quasi fuor di sè togliendoli la piena consapevolezza e coscienza del luogo in cui si trovava, sottolineando e confermando il significato e il legame stretto che intercorre fra l’io lirico e il luogo di Valchiusa infatti “Da indi in qua mi piace quest'erba sì ch’altrove non ho pace” dice. La canzone successiva, 127, ci porta ad un allontanamento da Valchiusa, e mostra il passaggio doloroso di petrarca da Valchiusa all’italia, e ha inizio con “In quella parte dove amor mi sprona”. È una canzone intonata dove ancora riprendono peso maggiore gli endecasillabi sui settenari. Fa notare con questo cambio ritmico la differenza di stato d’animo di condizione e di voce rispetto alle canzoni precedenti. La 128 è una canzone che non ha come tema l’amore, è la famosa canzone all’Italia “Italia mia, benché il parlar sia indarno”, canzone in cui viene ad essere modificato il rapporto endecasillabi/settenari nella struttura senza che i settenari abbiano la prevalenza come nelle prime due canzoni di questo breve ciclo interno al Canzoniere. Nella canzone 128 vengono deprecate le cattive condizioni dell’italia e la condizione che sembra irredibile dell’Italia e l’angoscia del poeta nel vedere le condizioni in cui l’italia si è condotta. “Di pensier in pensier” è l’ultima del ciclo, canzone id lontananza e evocazione ossessiva del pensiero di Laura in relazione ai luoghi. Componimento mette in evidenza il dissidio interno del poeta e il suo continuo fluttuar dei pensieri che ne accompagna il cammino su sentieri montuosi. Si tratta di 5 strofe più congedo, ogni strofa fatta di 13 versi, 11 endecasillabi e 2 settenari. La fronte è divisa in due piedi con rime alternate ABCABC. Il primo settenario dei due settenari si trova come primo verso della sirma e che rima con l’ultimo della fronte costituendo una concatenatio. La sirma continua con schema di rime DEEDFF. La peculiarità che si avverte anche alla lettura per quanto riguarda la modalità della collocazione della parola chiave “pensiero” nell’ambito delle diverse strofe come dall’apertura della prima strofa la parola scende restando nella fronte nella seconda strofa e passa alla sirma e nell’ultima verso è nella parte finale del componimento.

129 Di pensier in pensier, di monte in monte Da un pensiero all’altro, da un monte all’altro mi guida Amor, ch'ogni segnato calle mi guida amor, dal momento che ogni sentiero segnato Segnato: segnato dal passo dell’uomo. Notiamo la centralità dell’amore, personificato, che guida il poeta nell’oscillazione da un pensiero e da un luogo all’altro. provo contrario a la tranquilla vita. io sperimento contrario alla vita tranquilla Se 'n solitaria piaggia, o rivo, o fonte, Se in un solitario declivio si trovano o un rivo o una fonte C’è uno zeugma e il verso 4 dipende dal verbo “siede” del verso 5. se 'nfra duo poggi siede ombrosa valle, 5 se tra due colline si trova una valle ombrosa ivi s'acqueta l'alma sbigottita; ivi l’anima sbigottita si acquieta Motivo cavalcantiano et come Amor l'envi ta, e a seconda di come Amore la sollecita or ride, or piange, or teme, or s'assecura; ora ride, ora piange, ora ha timore, ora riprende speranza Ci troviamo di fronte ad un chiasmo “semantico”. Verso con anafora di “or” e costituito da 4 membretti con 4 verbi, verbi che esprimono opposti condizioni dell’animo. Verbi orchestrati a chiasmo perché ride e s’assecura sono agli estremi e piange e teme al centro del verso. Sono le 4 perturbazioni dell’animo che sono in quanto tali, opposte al saggio stoico che non è perturbato dalle emozioni. C’è un ascendenza classica in più autori, in particolar mente un passo del sesto dell’eneide dove Anchise spiega ad Enea nell’ascesa agli inferi, la condizione delle anime legate al carcere del corpo e le perturbazioni dell'animo che sono qui rappresentato sono porte nel testo Virgiliano in alternanza. Tradotto è: temono, desiderano, soffrono, gioiscono. “Cupiunt”, desiderare, è quello che non c’è nel testo petrarchesco che invece ha a fine verso “s’assecura”. Al tempo stesso il passo ricorre analogamente nella sesta del primo libro delle Epistole di Orazio al verso 12. Qui in una posizione che vede in prima battuta la gioia: “goda oppure si addolori, desideri o tema”. Invece il riferimento alla speranza e al significato che queste perturbazioni assumono in senso cristiano è rintracciabile in una delle epistole di San Girolamo che spiega che le perturbazione dell’animo con la loro varietas mortifera (varietà che porta alla morte) e attraverso queste forme fantasmatiche che opprimono l’animo, impediscono di dedicarsi a Dio e condurre alla salvezza. Nella elencazione di queste perturbazioni anche san Girolamo inizia con la gioia, poi il dolore, poi la speranza e il timore. La parola “sperare” che il Petrarca renden com “s’assecura” è ripreso dal testo di San Girolamo. e 'l volto che lei segue ov'ella il mena e il volto che segue l’anima dove ella lo conduce si turba et rasserena, 10 si turba e si rasserena Sono riprese sinteticamente dell'opposizione binaria senza passare per l’oscillazione nelle quattro gradazioni et in un esser picciol tempo dura; e in un solo stato dura poco tempo; onde a la vista huom di tal vita experto per cui vedendomi uomo dell’amore (di tal vita) diria: Questo arde, et di suo stato è incerto. direbbe: Questi arde di passione ed è incerto della sua condizione. È incerto perché l’amore pone in una situazione di tormento e alienazione dell’animo che crea uno stato permanentemente incerto oppure è incerto della sua condizione se è ri-amato oppure no. Qui con questa sermocinatio di ria e con quanto precede quindi il verso 12, ci richiama a quel sonetto cavalcantiano “L’anima mia” e a introdurre la sermocinatio con una figura

esterna che guarda la condizione dell’io del poeta e ne interpreta la condizione di incertezza e dolore, è un tema tipicamente cavalcantiano. Possiamo vedere come il primo verso costituisca da un punto di vista ritmico e concettuale quello che è la funzione strutturante del componimento, l’oscillare da un pensiero all’altro assieme al movimento che porta da un luogo all’altro. Si tratta nella rappresentazione di un movimento che è presentato come reale ma si tratta di uno spazio e un tempo dell’io lirico. Da un punto di vista ritmico, nell’endecasillabo iniziale a maiore, costituito attraverso una ripetizione parallela nei due emistichi. Troviamo in questa prima strofa una prolessi che riguarda sia il pensiero sia il luco e anche questo è un elemento che ritroviamo nella seconda seconda, nella terza, con variazioni nella quarta e ripresa nella quinta. La solitudine è particolarmente cara al Petrarca che scrisse un trattato “de vita solitaria” e prima di questo componimento sulla solitudine possiamo ricordare un famoso sonetto “Solo e pensoso i più deserti campi”, sonetto 35. La vita tranquilla rimanda anche ad una concezione della condizione della vita che propria dell’essere non perturbato degli stoici. Il “De tranquillitate animi” opera di Seneca, è un’opera che Petrarca ebbe ben presente in altri aspetti della sua scrittura. Questo “tranquilla” del verso 2, ma se la tranquillità si può trovare stando in solitudine lontano dagli altri e dalla confusione, l’oscillazione e condizione dell’io amanti non è superabile e anzi, nel luogo solitario si manifesta di più tanto che è Amore che lo guida in questo cammino. Per alti monti et per selve aspre trovo Trovo percorrendo alti monti e selve aspre qualche riposo: ogni habitato loco 15 qualche riposo: ogni luogo abitato è nemico mortal degli occhi miei. è nemico mortale dei miei occhi. Viene ripresa la situazione già vista nel secondo e terzo verso della prima strofa. A ciascun passo nasce un penser novo A ciascun passo nasce un nuovo pensiero Il movimento del passo mette in moto la fluttuazione che porta il movimento del pensiero relativo alla donna, pensiero che non può in nessun modo astrarsi dalla riflessione sul proprio amore e su di lei, ad un altro stato d’animo. Possiamo notare nel progressivo scendere del “pensiero” un movimento che induce un cambiamento del pensiero, entro una fissità degli estremi ck fuori da questa fluttuazione, il pensiero non esce. La fissità è tematica: l’amore per laura, un'ossessione che non può essere scissa dall’io e che causa all’io una scissione interiore. de la mia donna, che sovente in gioco della mia donna che spesso in gioia (= gallicismo) gira 'l tormento ch'i' porto per lei; volte il tormento che porto per lei. Gioco/gira= questa allitterazione e enjambement. Abbiamo visto che quanto Petrarca crea un movimento tipo enjambement tende a riprenderlo armonicamente nella seconda parte. del verso. et a pena vorrei 20 e non appena vorrei cangiar questo mio viver dolce amaro, cambiare questo mio viver dolce amaro Questo è un ossimoro tipicamente Petrarchesco. Vivere dolce amaro è la condizione di vita di chi ama, della condizione amorosa. Dolce e amaro ha un’ascendenza di carattere platonico. ch'i' dico: Forse anchor ti serva Amore che io dico: forse ancor ti serba Amore ad un tempo migliore; ad un tempo migliore Altro tratto, dal punto di vista stilistico, nel momento in cui torna il ruolo di Amore, ora passato a fine verso in rima, notiamo anche una annominatio amaro/amore.

forse, a te stesso vile, altrui se' caro. forse tu che ti ritieni disprezzabile a te stesso, si invece caro ad altri, La speranza di essere riamato. Et in questa trapasso sospirando: 25 E in questo pensiero io passo ad un altro sospirando: Or porrebbe esser vero? or come? or quando? Ripetuta anafora e con il frangimento interno in 3 parti. Questa strofa ricomincia con una prolessi relativa al luogo. Qui anche la presenza dantesca si sente in relazione alle selve aspre che richiamano la selva aspra e forte dell’inizio dell’Inferno. Ove porge ombra un pino alto od un colle Dove un pino o un colle porgono la loro ombra talor m'arresto, et pur nel primo sasso talvolta mi fermo, e proprio nel primo sasso disegno co la mente il suo bel viso. delineo con la mente il suo bel viso. Si crea un’immagine visionaria, una “immaginazione” o “illusione allucinata” e questo richiama e rimanda al Dante petroso come anche, nell’ampliarsi nella strofa successiva, di questa visione che pervade tutta la natura. Il Dante petroso è presente in più luoghi della lirica petrarchesca e in questo contesto in relazione all’invincibile ossessione amorosa del pensiero amoroso, il Petrarca delinea una situazione che in modi e forme diverse rispetto alle petrose, come il rimare difficile, ha dei tratti di contatto significativi specialmente da un punto di vista tematico. Prende quindi alcuni spunti, pur non manifestandosi, dalla poesia dantesca. Il passo che possiamo evocare è quello della canzone sestina “Amor tu vedi ben che questa donna”ai versi 42 e 44: vi è proprio la proiezione dell’immagine nella pietra. Dunque la visione della donna proiettata sul primo sasso e che poi pervade tutta la natura. Dopo questo però vi è un ritorno alla consapevolezza dell’io e alla realtà. Poi ch'a me torno, trovo il petto molle 30 Dopo che riprendo coscienza, trovo il petto molle de la pietate; et alor dico: Ahi, lasso, di pianto; e allora dico: Ahi infelice “Pietate” qui è una metonimia perché la pietà induce al pianto. dove se' giunto, et onde se' diviso! da quale condizione sei giunto e da quale immaginazione sei diviso! Potrebbe voler dire “in questo dove sei giusto” ovvero non sei più di fronte a lei nell’immaginazione e da quale immagine ti sei separato. Ma mentre tener fiso Ma finché posso mantenere fisso L’avversativa sottolinea come la persistenza dell’errore, se fosse possibile e se fosse possibile non tornare alla coscienza della realtà, potrebbe appagare l’animo. posso al primo pensier la mente vaga,la mente oscillante al primo pensiero et mirar lei, et oblïar me stesso, 35 e contemplare lei e dimenticare me stesso Ripresa per omoteleuto. sento Amor sì da presso, sento amore così vicino che del suo proprio error l'alma s'appaga: che l’anima si appaga della propria illusione (=errore) in tante parti et sì bella la veggio, la vedo in tante parti (della natura) così bella che se l'error durasse, altro non cheggio. che se durasse questa illusione, non chiederei altro. Possiamo sottolineare l’andamento che crea un crescendo sintattico musicale per effetto del continuum anche sul piano fonico. I troncamenti in R che creano consonanza non sono

presenti solo in questa strofa. Crescendo dato anche dall’andamento attraverso il polisindeto del verso 35. La terza strofa introduce sempre con la ripetizione della prolessi del luogo con una variazione: non più un movimento continuo ma un momento in cui l’io lirico si ferma. Il pensiero che conduce a questo errore è appagante e consolatorio ma effimero. Notiamo che l’arrestare i propri passi non pone in arresto il pensiero: la mente continua ad oscillare. I' l'ò più volte (or chi fia che mi 'l creda?) 40 Io l’ho più volte (chi lo potrebbe mai credere?) ne l'acqua chiara et sopra l'erba verde nell’acqua limpida e sopra l’erba verde veduto viva, et nel tronchon d'un faggio viva, e nel tronco di un faggio Laura è come se fosse una ninfa del luogo, si estende a tutto il luogo. Questa visione crea un locus amoenus. Il pensiero di Laura trasforma il luogo attraverso la proiezione della sua immagina che viene fatta dal poeta. Anche qui c’è un crescendo: acqua chiara -> erba verde -> tronco di faggio -> bianca nube. A questo segue il vanto di Laura che proclama “più bella della figlia di Leda” ovvero Elena. e 'n bianca nube, sì fatta che Leda e in bianca nube, cos’ che Leda avria ben detto che sua figlia perde, avrebbe dovuto ben ammettere che sua figlia è inferiore in bellezza come stella che 'l sol copre col raggio; 45 come stella che il sole copre con la sua luce Si innesta un doppio paragone che porta ad una dimensione celeste come la stella che perde la luce davanti al sole. et quanto in più selvaggio e quanto più selvaggio Questo selvaggio potrebbe adombrare nella sua stessa definizione “luogo di selva piana” loco mi trovo e 'n più deserto lido, mi trovo in un luogo e nel più deserto lido tanto più bella il mio pensier l'adombra. tanto più bella il mio pensiero la delinea. Poi quando il vero sgombra Poi quando la verità scaccia quel dolce error, pur lì medesmo assido 50 quella dolce illusione, proprio lì io mi siedo me freddo, pietra morta in pietra viva, me freddo, io che sono più pietra di quanto non sia la pietra naturale, La pietra viva è la pietra naturale; la presenza del dio Sasso è frequente nella poesia latina. La condizione pietrificata del poeta è tale che nei confronti di una pietra naturale è ancora più pietra. in guisa d'uom che pensi et pianga et scriva. nell’immagine di un uomo che pensi, dal momento che pensa, pianga, e dal momento che pensa e piange, scriva. Uno dei commentatori cinquecenteschi del Petrarca Castelvetro, ha osservato che qui Petrarca fa riferimento al suo stesso nome che ha radice della pietra. Possiamo notare che c’è di nuovo un richiamo classico, sempre ad Ovidio alle Heroides, al lamento di Arianna abbandonata che vedendo di essere stata abbandonata e non vedendo più la nave di Teseo parla di sè seduta fredda sulla pietra come se essa stessa fosse diventata pietra. La quarta strofa ha un ulteriore variatio collegata alla precedente perché anche in questa strofa non c’è il movimento e anzi si giunge, nella conclusione, al massimo dell’acme drammatica e alla pietrificazione dell’io. Questa strofa è quella in cui si raggiunge il massimo dell’intensità visionaria ed è l’unica che non ha la prolessi del luogo e che ha l’io che torna in primo piano. Il massimo della proiezione visionaria si ottiene anche nelle modalità espressive e attraverso la collocazione delle parole e delle immagini dove c’è un fortissimo

iperbato: “Io l’ho più volte veduta viva” e prima che venga affermato come se realmente questo possa essere espresso “or chi fia che l creda” secondo una movenza che crea una sospensione di stampo ovidiano, tra l’io e quello che l’io afferma si interpone, prima che il sintagma si ricomponga al terzo verso, l’immagine tutta nominale costituita da due sostantivi e due aggettivi paralleli del verso 2. Ove d'altra montagna ombra non tocchi, Dove non tocchi l’ombra di un’alta montagna, C’è una forte prolessi per quanto riguarda il luogo e una anastrofe verso 'l maggiore e 'l più expedito giogo verso la vetta dove la vista è più libera e aperta tirar mi suol un desiderio intenso; 55 un desiderio intenso mi è solito attrarre; Abbiamo una visiona dall’alto di uno spazio ininterrotto alla vista. indi i miei danni a misurar con gli occhi da lì a misurare con gli occhi i miei danni (ovvero la lontananza che ho dalla donna) comincio, e 'ntanto lagrimando sfogo comincio, e intanto sfogo col pianto di dolorosa nebbia il cor condenso, il cuore condensato di nebbia dolora, Metafora di significato è di un cuore regnato della nebbia e da un dolore si è condensato in lacrime. Questa immagina riporta alla caligo delle perturbazioni ed è un’immagine con echi di carattere boeziano del “De consolatione philosophiae”. alor ch'i' miro et penso, quando io contempo e penso Dittologia, andamento binario come spesso accade in Petrarca. quanta aria dal bel viso mi diparte, 60 quanto spazio mi separa dal bel viso Bel viso: sineddoche che sempre m'è sì presso et sì lontano. che sempre mi è così vicino e così lontano. Vicino nell’immaginazione e lontano nella realtà dei fatti. Poscia fra me pian piano: Poi tra me pian piano dico: Altra forma di sermocinatio. Che sai tu, lasso? forse in quella parte Che cosa sia tu, infelice? Forse in quella parte or di tua lontananza si sospira; ora si sospira per la tua lontananza et in questo penser l'alma respira. 65 e in questo l’anima trova sollievo. Possiamo notare che le rime sono ricche ed etimologiche. È stato osservato per quello che riguarda l’andamento stilistico di rime e componimento, da Bigi, una cura nel contemperare rime che sono gravi cioè consonantiche e rime piacevoli e cioè con effetto privo di durezza e incontri di consonanti. Gli agg usati, gravi e piacevoli, sono ripresi dalla aggettivazione di cui si avvale il Bembo per riferire dello stile e delle rime. C’è anche un raddolcimento di espressioni, che si vedono anche, bene in questo contrasto fra dolore e il modo della proiezione dell’immagine del proprio cuore in Valchiusa, che sono da un lato patetico-drammatico ma dall’altro sono contemperate in temi e modalità chiaroscurale ma addolciti dagli stessi suono con un effetto di ricerca di contemperata varietà e contribuire all’armonizzazione di una materia, psicologico-morale, non violentemente drammatica ma sottilmente inquieta. In questo, rispetto alle petrose, è profondamente diversa anche nel risultato stilistico. Il componimento, giunto all’acme drammatica, ci mostra una condizione del poeta totalmente immobilizzato e inanimato ma ancora una volta, in questa strofa, il movimento ricomincia...


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