Canti di Leopardi analisi e commento PDF

Title Canti di Leopardi analisi e commento
Author Luciana Amoruso
Course Filologia della letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Catania
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Summary

analisi di alcuni canti...


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A Silvia Composta nel 1828, poco dopo le “Ricordanze”, infatti in una lettera alla sorella parla di poesia “all’antica, con quel mio cuore di una volta”, inaugura la stagione dei Grandi Idilli (tema del ricordo, canzone libera). Secondo una denominazione che non è di Leopardi ma della critica posteriore. Infatti al preludio pisano seguirono tra il 29/30 i canti pisano recanatesi. A Recanati il poeta era stato costretto a rientrare alla fine del novembre del 28 perché gli era stato sospeso l’assegno dell’editore milanese Stella e perché le sue condizioni di salute si erano aggravate. In quella disperazione nacquero i nuovi canti. Struttura: sono 6 stanze/lasse di diversa misura in cui comunque c’è ancora qualcosa di “regolare”, infatti l’ultimo verso è sempre un settenario (gli altri endecasillabi) e rima con un verso precedente, inoltre ci sono molte assonanze, ma in posizioni strategiche, a piacere del poeta. Silvia storicamente viene identificata con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta nel 1818 per tisi, tuttavia tutto il brano è pieno di “filtri” letterari, Silvia è infatti la protagonista dell’Aminta di Tasso (pastorale) e sta ad indicare la giovinezza all’interno di una dimensione bucolica. Prima stanza: è la più breve, pone la premessa per tutto il testo. Si apre con un appello diretto a Silvia, che però, nonostante sia morta, deve “rimembrare” “quel” tempo (accade tutto nella memoria, è un moto interiore del poeta, in realtà un discorso tra sé e sé). Il primo verso in particolare ha un’abbondanza di vocali chiare e assenza di pause interne per cui risulta fluido, leggero, come la stessa giovinezza. Dopo questa prima “illusione”, si introduce già il tema del vero, infatti “vita mortale” è in ossimoro, col significato che la nascita stessa porta con sé la morte, irrimediabilmente. Anche “splendea” serve ad alleggerire il testo, infatti prima doveva essere “splendeva”, ma qui c’è una sorta di ampliamento della bellezza, che avvolge ogni cosa attorno alla giovinezza/Silvia, come una patina. Qui le due coppie di aggettivi (gli unici) che ci danno una descrizione di Silvia: “ridenti e fuggitivi” (gli occhi, di nuovo in ossimoro, fuggitivi infatti può significare “timidi” ma anche “morenti”), “lieta e pensosa” (carattere). Il “limitare” di nuovo introduce il tema della morte: è infatti la soglia della morte, ma per Silvia anche la morte è qualcosa di estraneo, tant’è che inconsapevolmente si avvicina ad essa salendo, ma senza accorgersene. Seconda stanza: viene rievocata la giovinezza di Silvia e le sue occupazioni tipiche, ovvero il cantare (tutta la strofa riprende il passo dell’Eneide in cui si spande il canto di Circe per l’oceano), “sonavan” sta ad indicare di nuovo quel senso di leggerezza che avvolge la giovinezza, le stanze diventano quasi vive e partecipi, le opere femminili, il pensare al “vago avvenire”, bello in quanto vago e indistinto, pieno di promesse e di speranze. La determinazione di tempo richiama di nuovo la giovinezza, il “maggio”, che però è l’ultimo mese della primavera, la morte incombe sempre. Terza stanza: parallelismo con il poeta, che lasciando gli “studi leggiadri” (poesia?) e le “sudate carte” (filologia?) di nuovo in ossimoro, come ad indicare che la conoscenza porta già con sé la fatica di se stessa, affacciandosi dal balcone della casa paterna, prima percepisce il suono e poi vede la “mano veloce” che percorre la “faticosa tela” (di nuovo ossimoro), per poi alzare pian piano lo sguardo, fino a vedere la strada, gli orti, il mare, le montagne, e tutto questo lo riempiva di gioia. Quarta stanza: si interrompe di botto il ricordo per subentrare la riflessione, lo stile si fa spezzato (che… che… che…, esclamazioni, domande). Pensando a tutto ciò il cuore del poeta viene preso da un “affetto” ma che subito si rivela “acerbo e sconsolato”. Da qui l’invocazione amara alla natura, che non rende ai suoi figli ciò che ha promesso, la felicità, la vita stessa. Quinta stanza: viene presentata brutalmente la morte di Silvia, in inverno (ma “verno” è anche in assonanza con “vero”), per un morbo lungo e sconosciuto (il percorso di abbandono delle illusioni e della speranza non è immediato, l’uomo oppone resistenza alla propria infelicità), di modo che non è stato possibile per lei partecipare alle lodi della sua bellezza e ai “ragionamenti d’amore” con le sue compagne (sembra esserci quasi una contraddizione tra “ragionare” che indica un percorso mentale razionale e “amore”, ma quasi sta a significare il fatto che l’unica preoccupazione di una adolescente sia il proprio amore giovanile, senza quell’arido ragionar che sarà proprio dell’età adulta). Sesta stanza: paragone con la propria condizione, poco tempo dopo la morte di Silvia infatti (1819 circa) si spegne anche la speranza del poeta, anche la stessa giovinezza, vanno via insieme. Di nuovo lo stile diventa teso, incalzante, fino all’immagine finale, la speranza che dopo l’apparir del vero mostra da lontano la tomba, la morte come unica soluzione. Sembrerebbe un finale negativo e in parte lo è, ma

durante tutto il canto e in particolare nell’ultima parte (esclamazioni, domande) urge ancora la vita, la domanda sul suo significato, non c’è mai una rassegnazione totale. Tutta la canzone non va interpretata in senso “amoroso”, una dichiarazione di Leopardi per Silvia, quanto invece una corrispondenza di due esperienze giovanili, terminate insieme tragicamente. Infatti, la vera realtà è sempre filtrata in diversi modi: c’è un filtro fisico (la finestra, che divide il poeta dalla realtà esterna, la sua mente dalla realtà vera), uno letterario, uno filosofico (la conoscenza del vero), la memoria, l’immaginazione. Questa lirica è composta da 63 versi suddivisi in 6 strofe di varia lunghezza di endecasillabi e settenari, di cui 27 privi di rima, mentre gli altri rimano liberamente; l’ultimo verso di ogni strofa, che è sempre un settenario, rima con un verso precedente della medesima stanza. Fu scritta a Pisa tra i 19 e il 20 aprile del 1828, subito dopo “Il risorgimento”, e venne pubblicata per la prima volta nell’edizione fiorentina dei Canti del 1831. Commento: la lirica inizia con il poeta che si rivolge a Silvia. Molto probabilmente si tratta di Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, nata il 10 ottobre 1797, e morta di tisi il 30 settembre 1818, a soli ventun anni. Il nome Silvia è il nome della protagonista dell’Aminta di Tasso. Tuttavia stabilire con certezza l’identità di Silvia non è importante, in quanto la ragazza non è che un simbolo che rappresenta la morte della giovinezza e delle speranze. La lirica presenta una suddivisione interna: nelle prime tre strofe il poeta ricorda il passato e descrive parallelamente le abitudini proprie e di Silvia, con le quali erano soliti scandire le varie fasi del giorno; dalla quarta strofa in poi il poeta invece ritorna all’aridità del presente. Nella prima strofa al v.5 Silvia è definita , certamente chiaro riferimento a Petrarca ma non solo questo. Non si deve semplicemente istituire un nesso verticale con Petrarca, ma bisogna riflettere sul significato di tale espressione all’interno del sistema che è l’intera lirica. Silvia è giovane, dunque si trova in un’età che presenta determinate caratteristiche per Leopardi: l’adolescenza. Questa si proietta verso il futuro, è piena di progetti ed è sicura che questi si realizzeranno nell’età adulta. La felicità è, quindi, già contenuta nell’attesa, come nel Sabato del villaggio. La maturità distrugge le atteste, ma Silvia non ha superato questo limitare, ragion per cui è definita . Bisogna porre una certa attenzione, perché non indica la semplice elaborazione concettuale, bensì l’immaginazione, facoltà che si possiede nella giovinezza. Silvia è perché in quanto giovane. Silvia è perché immagina la felicità non perché la sperimenta. Tuttavia Silvia muore prima di diventare adulta, ecco che si ha la morte della speranza. Nella seconda strofa il poeta si descrive mentre ascolta il canto di Silvia, interrompendo addirittura dei vv.15-6; alcuni critici hanno interpretato con la poesia, e con gli studi filologici. E’ indubbio che Leopardi si riferisca alla poesia e al suo lavoro filologico, ma non si può dir con certezza con quali termini il poeta denoti l’una e l’altro. In questo caso più che di sentimenti d’amore verso la giovane ragazza, si tratta di compartecipazione ad una stessa condizione esistenziale: la giovinezza, periodo sereno e carico di aspettative per il futuro, non ancora colpito dalla sofferenza. I vv.7-11 evocano il passo virgiliano sul canto di Circe, passo richiamato frequentemente da Leopardi, del quale egli apprezzava la fusione del canto, della luce lunare e della notte; non a caso nella Vita solitaria (vv.60-66) la Circe virgiliana diviene una fanciulla, che nella quiete di una serata estiva, canta, intenta a svolgere i lavori femminili. Le strofe quarta e quinta costituiscono la parte “meditativa” della lirica, in cui il poeta, ormai deluso dalla vita e privo di speranza, si rivolge direttamente alla Natura (vv.36-39) chiedendole per quale motivo, dopo aver suscitato tutte quelle speranze nel cuore dei giovani, non conceda loro quanto gli spetta di diritto. Nella quinta strofa il poeta rivela il destino di Silvia, e quindi di tutto il genere umano; egli la chiama , e si dispera poiché a causa della malattia, Silvia non ha potuto godere della parte più bella della vita, ossia la giovinezza. Nell’ultima strofa il poeta asserisce che non appena scoprì la vera natura del mondo, le sue illusioni e speranze morirono esattamente come Silvia. Si rivolge poi direttamente alla Speranza, definita , che nella fantasia del poeta si comporta come una figura femminile, come Silvia stessa, alla quale chiede se sia veramente questo il mondo e i sentimenti e gli eventi su cui si è fantasticato nella giovinezza, inoltre la incolpa di essersi dileguata all’apparir della verità. Infine negli ultimi due versi, la

Speranza è colta in un gesto solenne, opposto a quello di Silvia: infatti mentre questa, ai vv.5-6, si avvicinava al fiore degli anni, la Speranza è colta nell’atto di indicare , ossia la morte, come unica aspettativa rimasta al poeta. Figure retoriche:          

Anagramma: vv.1-6 Anafora: v.27-8 ; vv.38-9 ; vv.56-59 Apostrofe: v.1; v.29; v.36; v.43; vv.54-5; v.61 Chiasmo: vv.15-6 ; v.62 Climax: vv.27-8 Enjambements Geminatio: v. 36 ; vv.52-3 Metonimia: v.16 ; v.22 ; v.27 Metafora: v.5 ; v.43 Poliptoto: vv.56-9:

Savoca: A Silvia (scritta Pisa il 19-20 aprile del 1828) nasce da una complessa tensione esistenziale che investe tutta la nuova e grande stagione lirica del Leopardi, per il quale la poesia è vera vita, creazione, generazione di realtà viventi. A Silvia a testa anche che esiste un prima e un oltre del ricordo, e che la poesia dà all’uomo la possibilità di vivere in quello che, con Sant’Agostino, si potrebbe chiamare il presente del passato. Silvia vive nella e della durata dei sentimenti, tre presenti agostiniani: il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. Contiene il paragone dell’essere stato con l’essere presente nella contemplazione della bellezza della propria creatura, nella quale come con un figlio ci si compiace e ci si identifica. Il nome tassiano Silva È sovrapponibile al Silvio autobiografico con cui nel 1819 si era presentato il Leopardi nella “vita abbozzata di Silvio Sarno“, ed a quelle pagine gli veniva anche l’appunto in cui era fissato ricordo della figlia del cocchiere di casa Leopardi. Nei giovanili “ricordi di infanzia e di adolescenza“ il fantasma di Teresa ritorna più volte e appare in un contesto di storia sacra e di infinito, recuperato anche attraverso il verbo “sovvenire“ Che era dell’eterno dell’infinito (e mi sovvien l’eterno) , Ed era originariamente nel primo verso della lirica Silvia, sovvienti ancora. L’interrogazione a Silvia riguarda il ricordo della sua vita mortale, che è certo la vita interrotta dalla morte, ma anche quella della poesia che recupera senza poterla dire esplicitamente l’immortalità cristiano. Ma la vera accaduta si rivela essere quella della speranza, spezzata dalla fredda realtà della morte, che sembra riguardare Silvia solo di riflesso. Se la mano che alla fine della lirica indica la tomba ignuda non è solo della speranza ma, logicamente, anche di Silvia, eppure vero che il fantasma della giovane resta Fissato nello splendore del suo esordio, nel momento in temporale della sua bellezza, nel sorriso mobile è libero degli occhi, della gioia pensosa del passo che ascende il paradiso della giovinezza. La persona di Silvia si colloca il punto più alto della storia di un’immagine di vita operante nel mondo fantasmatico del Leopardi single la fanciullezza (quando avvenne l’incontro con il virgiliano canto di Circe, che poi si contrappone al canto di Teresa , E che viene ripreso nel canto della fanciulla del 1828. Ma il perpetuo canto di Silvia non tanto deriva dalla silo canto della Circe Virgiliana quanto dall’eterno ed all’infinito silenzio dell’infinito.



Canto notturno di un pastore errante dall’Asia Composto tra il 1829 e il 1830, su spunto di un giornale che pubblicava le testimonianze di un viaggiatore che aveva visto per le steppe asiatiche il canto malinconico dei pastori rivolto alla luna. Tuttavia in lui non vi è alcun intento documentario, tant’è che il primo titolo “Dall’Asia centrale” viene mutato in “Dall’Asia” per indicare il senso di vastità, di grandezza, evitare ogni indagine sociale e psicologica.

La figura del pastore è infatti quella dell’uomo primitivo, ma che si pone le domande come qualsiasi uomo, semplicemente in maniera più semplice e genuina, senza i vaneggiamenti filosofici tipici della conoscenza, rappresentando quindi il bisogno universale dell’uomo di porre domande, mentre al contempo rappresenta anche il poeta, una versione “poeticizzata” e non analfabeta del pastore asiatico. Questo accadeva anche in Bruto e Saffo, ma si preferisce mantenere il personaggio in anonimato, per renderlo più umano.  Gli altri protagonisti sono: - La greggia: è il concetto di Rousseau, lo stato di natura, in cui si vive felici perché si è inconsapevoli della propria condizione e non si può soffrire il tedio. - La luna: non è descritta, rappresenta l’interlocutrice anche se silenziosa del discorso, raffigurata quasi come una divinità, ma a differenza di Saffo è benefica, celeste, non lugubre e negativa, infatti è una “giovinetta immortal”. Tutti e tre i personaggi si muovono, vagano, infatti il titolo è “errante”, ma non “vagante”, perché questo termine porta con sé l’idea dell’errore, della condizione tipica dell’uomo.  L’opera poi può essere a buon motivo chiamata “canto”, più di tutte le altre: affidando fin dall’inizio la voce al pastore, il tono si abbassa, diventa più colloquiale, volutamente semplice, come a replicare una nenia popolare oppure un salmo.  Anche per quanto riguarda spazio e tempo è un’opera diversa rispetto agli altri idilli: infatti il tempo è vastissimo, c’è quasi assenza di tempo, eternità della luna, lo spazio è altrettanto grande e solitario, il deserto. Manca qui la dimensione del ritorno a Recanati e soprattutto quella del ricordo, c’è un “filtro mancante”.  Il metro sono gli endecasillabi sciolti, dunque strofe di diversa lunghezza, rime a piacere, alcune rime interne, ma tutte le strofe terminano con -ale (la prima anche vi inizia).  La struttura, come al solito, è tutt’altro che semplice: sono infatti 6 strofe, la 1 di 20 versi, la 2 di 18, la 3 di 22, la 4 di 44, la 5 di 28, la 6 di 16. Tutto ciò ha un preciso motivo, la 1 strofa parla della condizione dell’uomo e della condizione universale, la 2 e la 3 (metaforicamente e concretamente) della condizione dell’uomo, la 4 è la summa, la 5 del gregge, la 5 è la soluzione.  Prima strofa: si apre con una domanda, poi ripetuta, nonostante la luna venga detta fin dall’inizio “silenziosa”: l’assenza della risposta non impedisce di fare la domanda. Il moto continuo e instancabile somiglia proprio alla vita del pastore, ma mentre la vita dell’uomo è “breve” e non ha significato alcuno, quella della luna ha un senso arcano e nascosto ed è immortale.  Seconda strofa: viene presentata metaforicamente la condizione umana, quella del “vecchierel bianco, infermo” di petrarchiana memoria (ma lì ha un significato religioso/morale, qui metafisico/spirituale), che dopo essersi affannato tutta la vita arriva al fine prestabilito, l’abisso orrido immenso, che fa dimenticare ogni cosa.  Terza strofa: viene presentata la condizione umana come è realmente, la nascita che porta con sé già la morte e il dolore, infatti per prima cosa e poi per tutta la vita i genitori dovranno consolare il nascituro. Ma perché siamo così attaccati alla vita, se la vita è soltanto sofferenza?  Quarta strofa: c’è la somma dei temi trattati. La luna sa forse qualcosa della nostra condizione infelice? Qual è il significato della vita, della morte, del tempo? A chi giova tutto questo? Che senso ha l’infinito? Cosa è l’uomo? Il semplice pastore non riesce a comprendere, come d’altronde ogni uomo, il senso, la finalità di questo continuo moto dell’universo, l’unica cosa che riesce a percepire è la presenza del male nella vita umana.  Quinta strofa: si rivolge direttamente al gregge, che vive beato, non solo perché non è consapevole della propria condizione, ma anche perché non può provare tedio, noia, anzi, può stare sdraiata sull’erba gran parte dell’anno ed esserne contenta. Il fardello e il potere di farsi domande (pur senza trovare risposte) è una capacità soltanto umana. Sesta strofa: si apre con un “forse” che racchiude un po’ il senso di tutta la poesia leopardiana, infatti c’è un dubbio che rimane, una risposta che non viene trovata (negativo), ma c’è anche uno spiraglio positivo, la possibilità di una speranza. Proprio in quest’ultima strofa, la più “distruttiva” perché conclude dicendo che si può sperare in una vita migliore guardando gli altri ma alla fine per chiunque è funesto lo stesso fatto di nascere, il termine finale non è “funesto” ma “natale”, che rima con l’”ale” all’inizio (in tutte le altre strofe il 

termine rimante è negativo). Quindi c’è la consapevolezza del male, ma non c’è un’arresa davanti ad esso: le domande di Leopardi non sono filosofiche, religiose, sono umane, e non portano con sé l’arroganza di sapere, ma solo la necessità viscerale di porre la domanda. Questo canto, composto da 6 strofe di endecasillabi e settenari di varia lunghezza, fu scritto tra il 22 ottobre 1829 e il 9 aprile 1830. Venne pubblicato per la prima volta nell’edizione fiorentina dei Canti del 1831. Commento: il canto inizia con il pastore che rivolgendosi alla luna, afferma che la sua vita e quella dell’astro sono molto simili: lei contempla gli spazi sotto di lei, il pastore si alza per portare il suo gregge al pascolo e contemplare altri greggi e il paesaggio. Chiede ad essa quale significato abbia la vita del pastore e la vita per gli astri, e perché si debba nascere se la vita si rivela solo dolore. La luna non essendo mortale non comprende a pieno la vita degli uomini. Il pastore contemplano la luna si chiede cosa facciano le stelle e il cielo, e quale sia il loro scopo (ma anche quello degli essere che abitano l’universo), al quale il pastore non sa attribuire un significato. Il pastore invidia la luna poiché questa non sa cosa sia il dolore o la noia, e arriva alla conclusione che il giorno in cui si nasce non è fonte di gioia, ma lutto. Questa è una poesia particolare. Reca la parola canto già nel titolo. E’ uno dei canti pisano-recanatesi, tuttavia sono assenti i caratteri della poesia della memoria e della giovinezza. In questo canto Leopardi cede la parola ad un personaggio sin dall’inizio; oltre al pastore sono presenti il gregge e la luna, entrambi erranti. Nella parola errante è presente l’errare, un andare sbandato, senza colpa; il pastore non sa quando erra davvero. L’idea per la stesura di questo canto venne suggerita al poeta dalla lettura del Voyage d’Orembourg à Boukara, fait en 1820 del 1826, nel quale il viaggiatore e barone russo di Meyendorff narrava di nomadi ...


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