Analisi della pesia l\'Infinito di Leopardi PDF

Title Analisi della pesia l\'Infinito di Leopardi
Author ANTONIO SCARLINO
Course La bellezza italiana
Institution Politecnico di Milano
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L’INFINITO L’infinito è stato composto a Recanati nel 1819. Al poeta si presenta una visione limitata dell'orizzonte, ostacolata da una siepe, posta sulla cima di un colle. La vista impedita permette a Leopardi di fantasticare e meditare sull'infinito. L'idillio si basa su un confronto continuo tra limite e infinito, tra i suoni della realtà e il silenzio dell'eternità. Il componimento è in endecasillabi sciolti, forma metrica che Leopardi trova più adatta per rendere il ritmo e i moti dell'animo. Sempre caro mi fu quest'ermo colle1, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo2, ove per poco il cor non si spaura3. E come4 il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno5, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare.

Questa collina (colle = il monte Tabor, non lontano da casa Leopardi) solitaria (ermo = solitario aggettivo molto poetico e ricercato della tradizione letteraria) mi fu da sempre cara (anastrofe) ed anche questa siepe (siepe = per il poeta rappresenta la divisione fra i suoi pensieri e 5 l’eternità) che impedisce la vista (il guardo esclude) dell’orizzonte più lontano (ultimo = estremo secondo l’accezione latina). Ma (avversativa, si contrappone a ‘esclude’ del verso precedente: la siepe cioè esclude lo sguardo, non 10 l’immaginazione) sedendo e guardando (mirando = è un guardare fantasticando) gli sterminati (interminati) spazi al di là della siepe (di là da quella), nella mente (nel pensier) mi raffiguro (fingo = immagino), silenzi che non si trovano della dimensione umana (sovrumani silenzi iperbole) e profondissima quiete (anastrofe), in modo 15 tale che in quegli spazi e in quel silenzio (ove) per poco il cuore (cor = sinonimo di “sentimento, animo”) non si turba e si smarrisce (si spaura - nel percepire l’infinito vi è una sorta di smarrimento). E non appena (come) odo stormire (onomatopea) il vento tra queste piante paragono (vo’ comparando) l’infinito silenzio di quegli spazi a questo rumore (voce – il frusciare del vento fra le piante): e mi viene in mente (mi sovvien) l’idea dell’eternità [dell’infinito nel tempo], ed il passato (le morte stagioni = le età passate) e il presente che si fa sentire nelle sue manifestazioni reali (viva e il suon di lei). In questo modo (Così = comparando l’effimero con l’eterno) in questo infinito (immensità) il mio pensiero sprofonda (s’annega = si smarrisce fino ad annullarsi): ed è dolce naufragare in questo mare (naufragar…mare = la metafora del naufragio rende l’idea di un annichilimento che è però uno smarrimento piacevole. Per il poeta è fonte di dolcezza annullare la sua coscienza nella vastità dell’infinito- naufragar m’è dolce = ossimoro).

Note 1 ermo colle: Il monte Tabor, un colle che si alza a sud di Recanati. 2 io nel pensier mi fingo: cioè, “immagino questa situazione con gli strumenti della mia fantasia”. 3 il cor non si spaura: il motivo è presente, com’è noto, anche nei Pensieri di Blaise Pascal: “Le silence éternel de ces espaces infinis m’effraie” [“il silenzio eterno di questi infiniti spazi mi spaventa”]. 4 La congiunzione ha qui una sfumatura anche temporale: “quando”, “non appena”. 5 mi sovvien l’eterno: indica la repentinità del movimento di pensiero del poeta che, di fronte all’infinito e al nulla in cui l’uomo pare annientarsi e al rumore del vento tra le fronde che gli suona noto e famigliare, intuisce il senso dell’eternità e del trascorrere dello spazio-tempo contrapposto alla finitezza dell’uomo.

Analisi e commento Gli Idilli sono per L., come lui stesso scrive, componimenti che esprimono situazioni, affezioni, avventure storiche del suo animo, componimenti, cioè, di carattere più intimo, quasi pagine di diario, confessioni personali, che in questi anni si oppongono alle canzoni, di tono e contenuto più eloquente. La denominazione rimanda agli idilli greci, ma la natura di questi componimenti richiama modelli poetici e sentimentali più recenti propri di Goethe, Foscolo e Monti. Negli Idilli è posta sempre in primo piano la figura del poeta solitario, intento ad ascoltare i moti del proprio cuore, mentre del mondo esterno compaiono solo aspetti della natura, testimone e confidente delle sue meditazioni. L’infinito è una testimonianza di quel dissidio tra finito e infinito, tra realtà e ideale, che caratterizza l’uomo romantico. La poesia descrive il poeta solo sul monte Tabor a Recanati. Una siepe impedisce a Leopardi la vista di buona parte dell’orizzonte e questo ostacolo suscita in lui una riflessione su ciò che trascende il reale e fa spaziare nell’immensità. La siepe rappresenta dunque una barriera tra il mondo esterno e i pensieri del poeta. Essa è il simbolo di tutto ciò che è limitante e limitato e quindi stimola l’immaginazione e l’istintivo bisogno, proprio di ogni uomo, di infinito. Stando seduto a osservare, egli immagina spazi interminabili oltre la siepe, silenzi che superano ogni possibilità di comprensione da parte dell’uomo e una quiete assoluta dove il cuore prova quasi smarrimento (“ove per poco il cor non si spaura”). L’improvviso stormire delle foglie lo riporta alla realtà, ma come la siepe gli aveva suggerito l’idea dell’infinito spaziale così il rumore del vento gli suggerisce l’idea dell’eternità, cioè dell’infinito temporale. Le sue riflessioni perdono ogni definizione logica in questo infinito che si estende senza confini nello spazio e nel tempo. Egli si abbandona dolcemente in questa nuova dimensione annullando la propria identità. In questo idillio Leopardi vuole suscitare nel lettore principalmente due sensazioni: una visiva e una uditiva. La prima porterà alla percezione di un infinito spaziale e la seconda temporale. Tali percezioni di infinità non concedono niente alla teologia, alla metafisica e, più in generale, all’ambito del sacro, ma sono tutte interne alla finzione immaginativa e poetica. L’idillio è “un'avventura storica dell'animo” del poeta, che racconta di un'estasi dei sensi, i quali, di fronte alla figurazione momentanea dell’infinito, prima si “spaurano” e poi “naufragano dolcemente”. Per rendere questo duplice piano psicologico-percettivo Leopardi adotta precise tecniche espressive, che esemplificano al meglio la sua idea di poesia “vaga e indefinita” teorizzata a più riprese nello Zibaldone, la quale, a sua volta, trova il principale nucleo ideologico nella famosa "teoria del piacere", dove, tra l’altro, si parla proprio dell’“inclinazione dell’uomo all’infinito”. A parte il primo e l’ultimo verso, i restanti tredici non formano enunciazioni isolabili, ma sono legati tra loro in un “continuum metrico-sintattico”, che abbraccia l’intera poesia. Se guardiamo il totale dei versi, infatti, balza immediatamente all’occhio che ben dieci sono collegati da enjambements, che così contribuiscono a sviluppare un discorso poetico assai “legato” e coeso.

Avverbi, congiunzioni e connettivi in genere abbondano in tutto l’idillio: “ma sedendo” (v. 4), “ove per poco” (v. 7), “e come il vento” (v. 8), “e mi sovvien” (v. 11), “così tra questa immensità” (vv. 14-15), “e il naufragar” (v. 15). La congiunzione, poi, ha un ruolo veramente determinante perché collega per polisindeto tanto i singoli elementi descrittivi (vv. 5-7: “interminati | spazi di là da quella, e sovrumani | silenzi e profondissima quiete”), quanto i passaggi tematici della poesia, trovandosi in quest’ultimo caso sempre in posizione forte di inizio verso o di inizio proposizione (v. 2: “e come il vento”; v. 15: “e il naufragar”). Anche il lessico è volutamente selezionato, così da allontanare le percezioni di finitudine, di concretezza e di precisione a vantaggio di una sensazione indeterminata e dilatata sia nello spazio che nel tempo. Nella prima parte (quella dedicata all’infinito “spaziale”) Leopardi sceglie aggettivi polisillabici, con valore superlativo (“interminati”, v. 4; “sovrumani”, v. 5; “profondissima”, v. 6), accoppiandoli a sostantivi astratti di valore assoluto (“spazi”, v. 5; “silenzi”, v. 6; “quiete”, v. 6). Mantengono lo stesso valore anche i sostantivi della seconda parte (ove predomina l’infinito “temporale”) come “eterno” (v. 11) e “stagioni” (v. 12), affiancati però ad aggettivi con un minor numero di sillabe: non più quadrisillabi o pentasillabi, ma trisillabi: “morte” (v. 12), “presente” (v. 12), “viva” (v. 13). Ancora più brevi le scelte lessicali del momento conclusivo, dove si scende a due sillabe: “dolce” (v. 15) e “mare” (v. 15). Una funzione essenziale rivestono, inoltre, gli aggettivi dimostrativi, che collocano nello spazio l’esperienza psicologica della poesia, che pure trascende uno spazio e un luogo specifici. Inizialmente essi accompagnano riferimenti toponomastici precisi (“quest’ermo colle”, v. 1; “questa siepe”, v. 2; e “queste piante”, v. 9, sono senz’altro quelli che il poeta ha davanti a sé, vale a dire sul Monte Tabor di Recanati, dietro il “paterno ostello”), per poi andare ad affiancare elementi con valenza più generica e indeterminata (“questa immensità”, vv. 1314; “questo mare”, v. 15). Tutto l’idillio è pervaso da un’atmosfera emotivamente vibrante, in cui traspare il coinvolgimento non solo di un io fittizio e impersonale, ma anche di un io interno e effettivamente coinvolto nell’esperienza. Pare insomma che Leopardi, da questi celebri versi, voglia anche lasciar intravedere in filigrana il suo volto, il suo rapporto col luogo da cui si irradia questa esperienza. Lo si può ben osservare nel primo verso dove il “colle”, teatro della scena, è luogo da “sempre caro”, carico quindi di ricordi e di familiarità (confermata dall’incipit di Alla luna, vv. 1-3: “O graziosa luna io mi rammento | che, or volge l’anno, sovra questo colle | io venia pien d’angoscia a rimirarti”). E lo si può notare dall’uso, in seguito ripetuto, del dativo etico o d’affetto espresso dal sintagma “mi”. Dunque un luogo dell’assoluto, ma anche un luogo reale, che fu da sempre “a me” - cioè a Giacomo Leopardi - “caro”, e un “naufragare” dei sensi che “a me”, al poeta e filosofo precocemente impegnato nel disvelamento dell’“arido vero”, non può che riuscire “dolce”. Metrica Componimento di quindici versi, endecasillabi sciolti. L’uso dei dimostrativi permette al poeta di giocare tra il finito e l’indefinito, creando una dialettica tra realtà e immaginazione (“questo” indica vicinanza, “quello” lontananza).

Il poeta utilizza molte figure retoriche e termini di origine latina. I versi dall’11 al 13 sono caratterizzati da un polisindeto (il susseguirsi di 4 congiunzioni: e…e…e…e). L’uso dell’enjambement è elevato e contribuisce a dilatare lo spazio del verso....


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