ANALISI E COMMENTO LA PIOGGIA NEL PINETO PDF

Title ANALISI E COMMENTO LA PIOGGIA NEL PINETO
Author Rebecca Crocetti
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Summary

Analisi e commento elaborato per l'esame di letteratura italiana 2 de "LA PIOGGIA NEL PINETO" di Gabriele d'Annunzio....


Description

ANALISI LA PIOGGIA NEL PINETO Fin dall’incipit del testo appaiono chiari gli effetti pittorico-musicali e la strategia musicale del testo, che si esprime attraverso l’esperienza di sublimazione di sé vissuta nella pineta dal poeta e dalla sua compagna Ermione (pseudonimo che cela in verità Eleonora Duse). Si introduce già in questa prima strofa il tema della pioggia come similitudine col pianto, centrale in tutta la raccolta Alcione e in generale nelle Laudi. La parola “Ermione” si ripete identica in conclusione di tutte e quattro le strofe, con un’epifora (è l’analogo dell’anafora, ma posta a fine verso anziché al suo inizio). L’intera poesia è un’apostrofe alla donna amata, perché faccia silenzio e possa ascoltare il suono della natura, fondendosi sempre più con essa. Esempi della ricercatezza e del ricamo della poesia sono evidenti, come già detto, fin da questi primi versi. Le allitterazioni e i richiami sonori sono numerosissimi: nei soli primi sette versi, s, e, o, g e l ritornano con particolare insistenza; così come calcate sono in particolare le s, r e i ai vv. 10-15. Uniti a questi artifici retorici, anche gli enjambements (ad esempio, vv. 1-2, 2-3, 4-5, 6-7...) contribuiscono a rendere la poesia un flusso continuo e inarrestabile, lento in alcuni tratti e più rapido in altri, che richiama quello della pioggia stessa sulla pineta. Che la pioggia sia incessante è anche data dalle numerose anafore di “piove” (vv. 8, 10, 12, 14, 20 e 22). Ancora, i versi conclusivi (che si riproporranno nella chiusa della poesia), oltre al consueto gioco sonoro, presentano anche un’attenta disposizione lessicale: il parallelismo sostantivo-aggettivo ripetuto in “volti silvani”, “mani ignude” e “vestimenti leggieri” è presto scardinato dal chiasmo “freschi pensieri”. Questa profonda e ricercatissima tessitura formale caratterizza tutti i versi della poesia, tanto che sarebbe impossibile, nella nostra analisi, elencare tutti gli artifici adoperati.

Seconda strofa

Ascolta, senti? La pioggia che cade sulle foglie degli alberi della pineta deserta producono un crepitìo che varia a seconda di quanto è folto il fogliame. Ascolta. Alla pioggia si aggiunge il canto delle cicale: né la pioggia né il cielo cupo lo possono spaventare o fermare in alcun modo. Il pino, il mirto, il ginepro... ogni pianta ha un suo suono, sono come strumenti diversi sotto dita infinite. E ci siamo anche noi, parte della foresta, non più esseri umani ma vivi d’una vita vegetale. E il tuo viso felice, Ermione, creatura terrestre senza nome, è bagnato di pioggia come una foglia, e i tuoi capelli profumano come le ginestre. Si accentua l’attenzione sulla pioggia che cade sul bosco creando differenti suoni in base alle piante che colpisce. Gli effetti sonori aumentano, la pioggia si trasforma in un concerto. La partecipazione e l’emozione del poeta e di Ermione crescono: sono parte della foresta anche loro, in totale fusione panica con la natura. La progressiva compenetrazione e trasformazione tra uomo e natura è sottolineata dalle similitudini usate dal poeta, il cui uso andrà progressivamente crescendo fino al culmine nella quarta e ultima strofa. Terza strofa Ascolta, ascolta. Il canto delle cicale in alto sugli alberi si affievolisce sotto lo scroscio d’acqua, ma vi si mescola un altro canto, più roco, che proviene dall’umida ombra lontana e che si fa sempre più sordo, più debole, rallentando fino a spegnersi. Solo una nota continua a farsi sentire flebilmente, poi tace, suona nuovamente, trema, tace. Non si sente alcun suono arrivare dal mare. Ora riprende lo scroscio dell’acqua che lava, il suono della pioggia cambia a seconda di quali foglie colpiscono le gocce. Ascolta. Ora la cicala non canta più, mentre la rana, nell’acqua chissà dove, gracida forte. E piove sui tuoi occhi, Ermione. Il “motivo” musicale è crescente e aumenta il ritmo. La comunione con la natura si fa sempre più forte, il poeta riconosce “la voce” delle creature viventi nella foresta. Tra le numerose figure retoriche impiegate, vale la pena di soffermarsi sulle due metafore tra loro in opposizione “figlia dell’aria” e “figlia del limo”, usate rispettivamente ai vv. 89 e 90-91 per indicare la cicala (in precedenza, sempre metaforicamente, “aeree”, v. 66) la rana, i cui versi si alternano tra loro e al suono dell’acqua. Non solo: le due creature, prese come esponenti del mondo naturale alto e basso, aereo e terrestre, si pongono come emblemi della fauna intera. Le “ciglia” presenti al v. 95 costituiscono invece una sineddoche: sono usate per intendere gli occhi e, ancor di più, l’intero viso di Ermione, su cui la pioggia continua a cadere. Quarta strofa Piove sulle tua ciglia nere, sui tuoi occhi, e sembra che tu stia piangendo di piacere e quasi resa anche tu una creatura della foresta, tutta verdeggiante e non più con la pelle bianca, che sembri uscire dalla corteccia di un albero, viva. E tutta la nostra linfa vitale è fresca e profumata e il cuore in petto come una pesca intatta, gli occhi tra le palpebre come due pozzanghere d’acqua nell’erba, e i denti come mandorle acerbe. E camminiamo fra le macchie e gli arbusti, nel verde, prima insieme e poi separati, con l’erba che ci arriva alle gambe, fino alle ginocchia. E piove sui nostri volti che ormai sono un tutt’uno con il bosco, su le nostre mani nude, e sui vestiti estivi e leggeri. Piove anche sui pensieri più profondi appena nati dall’anima innamorata, sui sogni e le illusioni che fanno parte della nostra vita, o Ermione. Infine il culmine della poesia vede il poeta e la sua musa trasformarsi completamente, diventare parte integrante della foresta, perdere il loro aspetto umano e acquisire quello più ampio di creature della natura. Qui le similitudini raggiungono l’apice massimo (il sangue è linfa, il cuore un frutto carnoso, gli occhi pozzanghere e i denti mandorle), prima che si ripropongano interamente i versi conclusivi della prima strofa. Un ultimo esempio della cura formale dedicata al testo: i versi tra parentesi (112-114) sono sì una notazione ulteriore e non necessaria, ma sono proprio per questo ancor più emblematici dell’attenzione estetica dannunziana. Il sintagma “verde vigor rude” del v. 112 è praticamente costruito per intero sulle stesse lettere (v, e, r, d), i due versi successivi sono semplicemente una variatio in parallelismo l’uno dell’altro.

La pioggia nel pineto di D’Annunzio: il testo Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti, piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione. Odi? La pioggia cade su la solitaria verdura con un crepitìo che dura e varia nell’aria secondo le fronde più rade, men rade. Ascolta. Risponde al pianto il canto delle cicale che il pianto australe non impaura, né il ciel cinerino. E il pino ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro altro ancóra, stromenti diversi sotto innumerevoli dita. E immersi noi siam nello spirto silvestre, d’arborea vita viventi; e il tuo vólto ebro è molle di pioggia come una foglia, e le tue chiome auliscono come le chiare ginestre, o creatura terrestre che hai nome Ermione. Ascolta, ascolta. L’accordo delle aeree cicale a poco a poco più sordo si fa sotto il pianto che cresce; ma un canto vi si mesce più roco che di laggiù sale, dall’umida ombra remota. Più sordo, e più fioco s’allenta, si spegne. Sola una nota ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne. Non s’ode voce del mare. Or s’ode su tutta la fronda crosciare l’argentea pioggia che monda, il croscio che varia secondo la fronda più folta, men folta. Ascolta. La figlia dell’aria è muta; ma la figlia del limo lontana, la rana, canta nell’ombra più fonda, chi sa dove, chi sa dove!

E piove su le tue ciglia, Ermione. Piove su le tue ciglia nere sì che par tu pianga ma di piacere; non bianca ma quasi fatta virente, par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è come pèsca intatta, tra le pàlpebre gli occhi son come polle tra l’erbe, i denti negli alvèoli son come mandorle acerbe. E andiam di fratta in fratta, or congiunti or disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i mallèoli c’intrica i ginocchi) chi sa dove, chi sa dove! E piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione....


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