Docsity storia degli antichi stati italiani 13 PDF

Title Docsity storia degli antichi stati italiani 13
Course Storia degli antichi stati italiani
Institution Università degli Studi di Milano
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Riassunto del Manuale per l'esame...


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STORIA DEGLI ANTICHI STATI ITALIANI- Greco/Rosa Capitolo I – Le istituzioni politiche 1. Stabilità e tranquillità. Le istituzioni politiche dell’Italia del Cinquecento Fra il 2 e il 3 aprile 1559 viene firmata la pace fra il re di Spagna Filippo II e quello di Francia Enrico II, pace che prenderà il nome di Cateau-Cambrésis, che segnerà la fine delle guerre d’Italia. Cosimo de Medici chiamò tutta la popolazione a festeggiare, era una tappa importante per il consolidarsi del suo potere. Il raggiungimento di questo accordo porterà a tracciare un profilo degli stati italiani del Cinquecento fondato sul senso di “stabilità” e tranquillità sia sulla vita politica che quella delle istituzioni della penisola. La pax hispanica porterà al consolidarsi di aspetti e equilibri che sopravvivranno per oltre un secolo. Si assiste infatti alla formazione dei cosiddetti “stati regionali” – “regioni economiche” (con al loro interno una gerarchia di luoghi di produzione, consumo, mercato, una fitta rete di relazioni e interdipendenze, l’evolversi delle ragioni di scambio tra grandi aree italiane e europee, una riorganizzazione del potere che avrebbe coinvolto l’intera Italia con esiti diversi, regione per regione). Dopo le guerre d’Italia i processi di costruzione statale trovano momenti significativi di realizzazione: riorganizzazione effettuata dai poteri signorili o dalle dominanti a livello giurisdizionale e fiscale, ridefinizione dei rapporti tra poteri di stato e ecclesiastici, nuove regole e organi amministrativi, controllo dei criteri di legittimazione del governo, relazioni diplomatiche. Dopo la pace di Cateau-Cambrésis avviene in primis la riorganizzazione, avviata dai poteri signorili o dalle città dominanti e degli strumenti di controllo giurisdizionale e fiscale dei loro territori. Alcune dinastie scompaiono: gli Sforza, i Montefeltro, alcuni tentativi di nuovi principati si sviluppano e altri si consolidano (Farnese). Una parte consistente della penisola è ora sotto il diretto controllo degli spagnoli (Milano, Napoli, Sicilia, Sardegna), mentre si afferma un nuovo principato, quello dei Medici. Tuttavia quella che nasce è la vera “ossatura” degli stati cinquecenteschi, caratterizzata da un processo di legittimazione di oligarchie urbane, di élites cittadine, titolari di poteri di governo, strutture di governo che rispondevano a interessi e domande radicati nella società italiana!unione alla dimensione imperiale: organi e apparati di governo in grado di riflettere e ricomporre la molteplicità delle forze e degli interessi territoriali. Le strutture che si vanno formando (Stato Sabaudo, Repubblica di Genova… sembrano rispondere a interessi radicati nella società italiana, a una volontà di pacificazione). Tale stabilità durerà pressoché immutata fino alla crisi dinastica spagnola del 1700. La legittimazione della costituzione di questi protostati è approvata sia dall’esterno, ma ha anche un forte riconoscimento da parte dei ceti dirigenti della società italiana: a Lucca la stabilità politica e istituzionale e il consolidarsi del reggimento oligarchico furono associati al ricompattamento religioso della res publica catholica. Interventi urbani volti alla creazione di strumenti utili al controllo del buon ordine cittadino sono molteplici e conferiscono alle città il loro odierno aspetto (dagli Uffizi, a palazzo Pitti, a Torino, alla piazza del palazzo pretorio di Palermo. Le èlites cittadine troveranno ampiamente riconosciute le loro preminenze sociali e politiche e si attuerà un processo di definizione e stabilizzazione dei ceti di governo, alla base della costituzione di questi stati. La Spagna possiede tutti i regni meridionali e, dopo il 1535 con la morte dell’ultimo degli Sforza, governa anche Milano. Rimangono indipendenti il Marchesato di Mantova (sotto i Gonzaga), la Repubblica di Genova, la Repubblica di Lucca, il Ducato di Urbino (sotto i Della Rovere). I possedimenti spagnoli in Italia richiamano spesso alcuni temi relativi al fiscalismo, al “secolo senza politica”, alla “messa in vendita dello stato”, alla “Macedonia d’Italia”. I regni di Napoli, Sicilia, Sardegna e Milano passarono da Carlo V (asburgo) a Filippo II. In realtà emerge, almeno in parte, la volontà della monarchia di Carlo V e Filippo II di trovare un sostanziale accordo con i ceti dirigenziali di questo territori (a volte gli storici italiani si lasciano dominare dalle passioni, definendolo un periodo di decadenza, quando non lo era), anche con la creazione del Consiglio d’Italia di Madrid (accordi tra gli equilibri interni italiani e la monarchia castigliana). A Milano avremo la costituzione di oligarchie dei contadi riunite e rappresentative dei propri interessi. Soprattutto a Napolino non mancarono momenti di tensioni e scontri Nel Regno di Napoli si assiste, negli anni fra il 1524 e il 1531 (riforma della Cancelleria e della Collaterale), alla crescita della centralità politica di un “ceto civile” composto da magistrati e giuristi. Tale processo trova la propria legittimazione e autorità politica in uno status sociale assai elevato, nella fedeltà alle istituzioni e alle linee politiche di fondo della monarchia. Questo ceto togato avrebbe rappresentato le forze e la cultura migliori della società meridionale. E non sarebbe difficile seguire anche in Sicilia e in Sardegna, oltre che a Milano, la crescita politica e sociale di questo ceto sociale di giuristi e ministri togati. Pur dando vita a un’animata dialettica politica, non ha comunque dato luogo a una creazione di una res publica di togati capace di rappresentare, aldilà della frattura rivoluzionaria del 1647, una reale alternativa al potere sociale e politico dei ceti feudali. La politica italiana della spagna rivela la capacità della monarchia di adattare le scelte politiche alla diversità degli assetti costituzionali e degli equilibri politici e sociali dei suoi domini, e alla dominante presenza di un ceto feudale nei tre regni di Napoli, Sicilia (prammatiche siciliane dei tribunali) e Sardegna, un organico patrizio a Milano (nuove

costituzioni e preminenza del patriziato milanese grazie al controllo del collegio dei giurisperti, nel Senato e nel Magistrato Ordinario). Non stupisce il fatto che spesso la Spagna ricorra a mezzi straordinari e ispezioni (Inquisizione spagnola) per mantenere il controllo di un territorio con un differenziale così alto. Gli sviluppi sotto Asburgo e Valois ovviamente ebbero delle ripercussioni negli assetti interni. A Genova, a seguito dell’impresa di Andrea Doria del 1528, in nome della restaurazione della repubblica dall’ingerenza francese, e col raggiungimento dell’unione della classe dirigente genovese in ventotto “alberghi”, si assiste a una nuova forma di organizzazione della nobiltà cittadina e un più stabile assetto delle istituzioni della Repubblica. Si auspicava ad uno scioglimento delle fazioni. L’estrazione a sorte tra tutti gli iscritti al libro della nobiltà per la composizione del maggior consiglio e l’elezione dei membri delle magistrature erano i due pilastri dell’istituzione genovese. A garantire il rispetto della costituzione e delle magistrature c’era il Supremo consiglio dei cinque sindacatori. Importante fu il riconoscimento politico del Banco di San Giorgio, dove la Signoria ogni anno giurava rispetto per i privilegi del banco. Ricoprire l’ufficio dei Protettori di San Giorgio significava anche essere uno dei nobili che ricopriva le maggiori cariche della repubblica. Le aspre tensioni internazionali e i contrasti interni portarono però, nel 1547, alla congiura di Gianluigi Freschi e alla riforma del garibetto!cooptazione delle cariche, limitando la classe dirigente sotto il controllo della spagna. Il sistema dei 28 alberghi aveva portato a due fazioni: Vecchi e Nuovi nobili. Le Leges novae del 1576 non posero fine a tutte le tensioni, ma furono nel complesso recepite e rappresentarono lo strumento istituzionale attraverso il quale la nobiltà genovese riuscì a rendersi omogenea e stabilizzarsi al comando della Repubblica. A Firenze, la sconfitta della Repubblica oligarchica a opera dell’esercito spagnolo portò a una negoziazione fra papa Clemente VII e Carlo V, che porterà, nel 1530, al governo del duca Alessandro de’ Medici. La costituzione del 1532 istituiva ai vertici del governo un Consiglio di 200 cittadini nominati a vita, un Senato con 40 membri eletti fra i 200, da cui venivano poi eletti 4 “Consiglieri”, al cui capo vi era lo stesso de’ Medici. Evidenti erano i limiti e le contraddizioni di questo stato, con un duca a capo di una repubblica (Magistrato Supremo, Senato dei Quarantotto). Con l’assassinio, nel 1537, di Alessandro ad opera di Lorenzino de’ Medici, e con l’elezione a duca di Cosimo (figlio di Giovanni delle Bande Nere e Maria Salvati), scaturirono delle riforme e nuovi assetti, fondati sul coesistere di magistrature – ancora rette da “cittadini” – e uffici che traevano diretta nomina e legittimità politica dal principe. Gli statuti delle comunità verranno approvati dal principe e un cancelliere nominato dai Nove Conservatori del Dominio e dalla Giurisdizione fiorentina avrebbe dovuto rappresentare il governo mediceo. Vi fu anche la creazione di un ordine militare cavalleresco di Santo Stefano, importante dal punto di vista regionale e internazionale. Si avvia così un processo di costruzione e consolidamento statuale, grazie anche alla costituzione della Corte di Grazia e Giustizia, oltre che all’imponente opera legislativa e di governo di Cosimo, come la riforma delle magistrature e il riordino complessivo dei tribunali (nuove disposizioni in campo civile, penale, economico, produzione di rescritti!strumento efficace e diretto di intervento del duca nel governo dello stato). Si avrà così uno Stato la cui forza risiedeva nelle capacità di comporre al suo interno e nelle strutture politiche e istituzionali gli interessi delle oligarchie cittadine (medici legati a aristocrazie cittadine e provinciali), per quello che fu definito un mélange d’aristocratie, de démocratie et de monarchie.!

Lo Stato Sabaudo rappresenta un esempio di assolutismo simile alle grandi monarchie dell’Europa cinquecentesca. Emanuele Filiberto era un principe che aveva meritato, ad onor del vero, sul campo di battaglia di San Quintino i titoli a governare gli stati che erano fino a vent’anni prima in mano ai Valois di Francia. Ma sbarcando a Nizza nel novembre 1559 e trasferitosi a Torino nel 1563, doveva misurarsi con le novità che la dominazione francese aveva portato, quali l’esistenza di due senati, l’uno a Chambéry e l’altro a Torino, con le medesime prerogative di cui godevano i parlamenti francesi, come varie competenze riguardanti la police e la vita amministrativa, con il relativo potere di presentare rimostranze. Per questo E. Filiberto costituì un Consiglio di Stato, con la presenza di rappresentanti di clero e feudalità. Ma con il consolidarsi della pace fra Spagna e Francia, non esitò a rimaneggiarne la struttura, a danno degli stessi rappresentanti, centrando l’effettivo potere politico in un ristretto gruppo di collaboratori legati a lui da un rapporto di personale fiducia. Il Consiglio finì poi per rivestire, nei Nuovi Ordini del 1561, il carattere di supremo Tribunale di Grazia e Giustizia. Lo stato Piemontese era dotato di un’efficientissima organizzazione militare, fondata su un piccolo esercito di soldati professionisti, alle dirette dipendenze del principe, e sulla creazione di una milizia paesana, una sorta di esercito permanente basato su un reclutamento regionale, con la funzione di difesa del territorio e delle fortezze (quattro colonnellati: Ivrea, Asti, Piemonte, Nizza, età compresa tra i 18 e i 50 anni, alla comunità spettava il carico di provvedere agli armamenti, ka scelta dei comandanti era basata su persone credibili e affidabili per la comunità). Il valore di tale organizzazione militare deve comunque essere inquadrato nel difficile quadro internazionale in cui lo stato sabaudo si trovava, soprattutto in merito alla vicinanza alla monarchia francese (contrasti religiosi cattolici, ugonotti e valdesi!da repressione a compromesso). Nei primi anni 60 si assiste a riforme di carattere istituzionale e legislativo, per materie civili e militari, prove queste di una effettiva volontà alla centralizzazione del potere con una sostanziale modifica degli equilibri politici interni, grazie anche ad una centralizzazione delle finanze, a una politica culturale e all’affermazione di una cultura di corte. Intanto si va affermando una nuova entità statale: i Ducati farnesiani di Parma e Piacenza, frutto della politica nepotistica di Paolo III Farnese. Abbandonata la decisa politica antifeudale del padre Ottavio, cercò soprattutto di controllare il peso della grande feudalità, ricorrendo a numerose nuove infeudazioni e a un’efficace organizzazione dell’amministrazione della giustizia, attraverso la ricostituzione, nel 1558, di un Consiglio di Giustizia. Sarà comunque il duca Ranuccio I che compirà, la fine del 500 e i primi 600, un’importante opera di riorganizzazione del sistema di governo dello Stato, attraverso un deciso incremento delle competenze dei governatori di Parma e Piacenza e attraverso la riaffermazione della corte. Nella Repubblica di Venezia, gli sviluppi delle guerre d’Italia, soprattutto dopo la battaglia di Agnadello del 1509, incisero sugli aspetti politici e istituzionali, segnando anzitutto l’affermazione del potere del ruolo politico del Consiglio dei X coadiuvato da una Zonta di 15 membri prima e di 20 poi. Ma è soprattutto nel rapporto fra oligarchie e contado che le guerre d’Italia segnarono una svolta, che cementerà la coesione dello stato veneziano fino alla sua estinzione. La Repubblica di Lucca aveva avviato la ricomposizione del ceto dirigente intorno ai valori e alle istituzioni della Chiesa cattolica. Il definirsi degli organi di governo secondo moduli fortemente rispettosi della tradizione sembrano rappresentare elementi di un processo volto piuttosto alla salvaguardia degli interessi di un’oligarchia di mercanti, impegnati a garantire la propria sopravvivenza anche a costo di una non facile repressione di forme ed espressioni religiose eterodosse assai diffuse nella società lucchese (uniformità religiosa, doveva garantire tranquillità). Nel 1545 l’istituzione dell’Offizio sulla religione segnalava al mondo cattolico e al cardinale Carafa, anima dell’inquisizione romana, la volontà della Repubblica di reprimere le eresie. Dopo la rivolta degli Straccioni del1531, i provvedimenti del 1538 e del 1556 prescrivevano precisi limiti all’accesso alla cittadinanza e alle cariche, escludendo da queste i forestieri e gli abitanti del contado. Si giunse così a una formale serrata oligarchica (solo nel 1628). Certo anche a Lucca, negli anni fra metà del 500 e i primi 600, si assiste a un grande fervore istituzionale e alla formazione di nuovi organi di governo, tuttavia queste tappe paiono segnare un processo che sembra rispondere più alle esigenze di una società che alle vicende di uno stato specifico. Si voleva pace, dopo le guerre d’Italia.!

Nel ducato gonzaghesco di Mantova sarà invece un evento dinastico – la morte nel 1540 di Federico e il costituirsi di una reggenza (Ercole e Margherita) – ad avviare un profondo mutamento istituzionale: dall’istituzione di un Consiglio segreto e di una Rota nel 1557, alla creazione, nel 1553, di un presidente della Camera, responsabile politico dell’amministrazione finanziaria. Con il duca Guglielmo verrà istituito un senato, sostitutivo della Rota composto da 6 consiglieri del principe in carica a tempo illimitato e la creazione di un Magistrato ducale, a sovrintendere le entrate dello Stato. Nello Stato Pontificio, così come in tutti gli stati italiani, la costruzione di un sistema di centri e apparati di governo e la messa a punto di modi e strumenti di controllo delle comunità, dei loro statuti e dei loro bilanci – attraverso la creazione della Congregazione di Buon Governo e lo sviluppo di una doppia rete di controllo dello Stato – conosce la sua massima diffusione e consolidamento all’interno delle comunità principali dello Stato e dei ceti oligarchici di governo. Aldilà dei momenti di tensione e di scontro che pure non mancano fra i diversi stati, si assiste, in questi anni, a un consolidarsi di quel clima di pace e stabilità che sembra percorrere la società italiana. Pietrificazione dell’equilibrio sociale e del compromesso tra poteri pubblici !nuovo volto delle città: decorazioni, palazzi pubblici, potere istituzionale che rappresenta se stesso e si autocelebra grazie anche a grandi artisti. Queste osservazioni non vogliono, comunque, cancellare la diversità di soluzioni adottate nei vari stati e delle differenze economiche e sociali che queste soluzioni in gran parte rispecchiano. Proprio le vicende relative agli organi preposti all’amministrazione della giustizia possono servire a illustrare il significato di quella stabilizzazione della società italiana cinquecentesca, nella misura in cui le soluzioni adottate nei singoli stati siano state elemento centrale nella costruzione degli assetti nazionali. Il complesso dipanarsi dello scontro per il controllo della legislazione fra potere centrale e ceti dirigenti, ha prodotto esiti evidentemente differenti fra uno stato e l’altro. in molti stati italiani si ebbero nuovi sistemi di giustizia: alcuni voluti da sovrani stranieri, altri rappresentano l’approdo innovativo di un processo di lungo periodo dal quale risultarono la ridefinizione del ruolo delle città e dei loro ceti di governo all’interno di nuove configurazioni del potere statale e la risposta di queste elites alle nuove realtà politiche e territoriali cinquecentesche. Importantissimo è stato il rilievo politico sociale e il valore costituzionale che l’esercizio e il controllo dell’amministrazione della giustizia (Rote civili) hanno avuto nella legittimazione dei nuovi assetti di potere. Importante era anche la volontà dei ceti dei governi cittadini o di stati con a capo un principe di salvaguardare il riconoscimento di pratiche del diritto garanti della loro preminenza sociale e politica e la volontà delle elites di non rinunciare del tutto all’amministrazione della giustizia (ceto togato a Napoli). Si vengono a dipanare riforme nel sistema della giustizia civile e di quella criminale, due sistemi sostanzialmente diversi: la storia degli stati italiani e degli stati europei mostra come l’affermazione di ogni potere territoriale non possa prescindere dall’esercizio diretto della giurisdizione criminale: nomina e controllo dei giudici, apparati di repressione, controllo sociale e politico, e non possa tollerare spazi di esenzione e concorrenti per la giurisdizione criminale. La giustizia civile invece varia in ogni poter territoriale, grazie a diverse fonti legislative: istituti (fidecommessi, contrattazione commerciale, ceti di giuresperiti…) rispondendo così a esigenze che vanno al di là della logica spaziale del potere statale. Va ancora ricordato come all’origine di questi organi vi sia l’esigenza, urgente nella penisola, di procedere a un controllo delle finanze della comunità, ma anche dell’equilibrio complessivo della comunità che una dissennata gestione dei patrimoni e delle entrate poteva compromettere seriamente. Al principe, così come all’oligarchia della città dominante spetta il compito non di governare, ma di verificare che gli organi di governo preposti al controllo delle finanze non mettano a rischio l’integrità patrimoniale (il principe deve controllare che il denaro della comunità sia ben speso o utilizzato nel modo corretto). Gli organi locali potevano quindi intervenire ed esercitare i loro poteri giurisdizionali e hanno segnato un passo per l’integrazione delle oligarchie delle comunità e la mediazione politica negli stati regionali. L’unico comando che poteva esistere negli stati moderni era una convergenza di interessi. Non deve sorprendere, quindi, che ogni scontro politico si manifesti come un conflitto fra membri appartenenti a corpi ciascuno dotato di propri privilegi: tra ecclesiastici, proprietari, il sovrano (legibus soluta: garantiva la distribuzione corretta di privilegi legata allo status). La comune linea ispiratrice fu la volontà di assicurarsi maggiore e regolare introito allargando la tassazione diretta a carico della proprietà agricole (anche per il...


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