Domande e risposte diritto penale 20/21 PDF

Title Domande e risposte diritto penale 20/21
Course Diritto penale
Institution Università degli Studi di Palermo
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Differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente: Argomento annoso, poiché il confine tra queste due figure è estremamente labile, non è un confine rigido dalla facile tracciabilità; molto spesso si rischia di esorbitare in situazione di dolo eventuale quando si potrà parlare di colpa cosciente e viceversa. Compito della giurisprudenza è stato quello di tracciare una linea chiara e netta attraverso le varie massime. Ma partiamo dalla nozione di Dolo; Cosa è il Dolo? Il dolo è il criterio di imputazione soggettiva generale del nostro ordinamento; il delitto è DOLOSO; La definizione del dolo si ricava dall'art. 43 c.p.: "Il delitto è ... doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato della azione o omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione" . Il reato doloso costituisce quindi il modello fondamentale di illecito penale. In pratica qualunque reato o contravvenzione che sia, previsto dal codice è sempre punito a titolo di dolo; gli altri criteri di imputazione, cioè la colpa e la preterintenzione, operano solo nei casi previsti espressamente dalla legge; Lo dice espressamente l'articolo 42 comma 2: "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente previsti dalla legge". Il dolo costituisce rappresentazione e volontà del fatto tipico, cioè significa che chi agisce dolosamente non solo si rappresenta nella propria mente gli elementi della fattispecie che dovrà integrare con la propria condotta ma soprattutto, poi li vuole, nel senso che vi è una forte componente volitiva che distingue tale figura da tutte le altre soprattutto da quella colposa. La definizione della colpa si evince sempre dall’art 43 c.p. il quale al comma 3 ci dice che il delitto ‘’è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.’’ La differenza tra dolo e colpa non è poi cosi netta , lo è a parole ma non nella pratica; Il dolo eventuale certamente rappresenta un istituto molto particolare, affascinante poiché nel dolo eventuale il soggetto si rappresenta l’evento lesivo ma lo vuole in misura certamente affievolita nella misura rispetto alle altre forme di dolo, in termini di ‘’intensità’’. Più che lo vuole, accetta il rischio di verificazione dell’evento, l’agente lo fa prefigurandosi come possibile, probabile, l’accadimento dell’evento lesivo; Pero ci chiediamo, se il soggetto lo prevede e accetta il rischio di verificazione, che differenza c’è tra questa figura di dolo e la colpa cosciente, nella quale il soggetto si rappresenta l’evento non lo vuole ma lo prevede come possibile? dottrina e giurisprudenza maggioritaria ritengono che il confine possa essere desunto mediante il criterio dell’accettazione del rischio accompagnato dalla cd formula di Frank; Si intende dire che tutte le volte in cui il soggetto agisce con dolo eventuale, lo fa si dice ‘’costi quel che costi ’’, cioè il soggetto non solo si rappresenta ma accetta anche il rischio della sua verificazione e per poter capire quando il soggetto ne accetti realmente il rischio si utilizza quella che viene definita formula di Frank, cioe una sorta di giudizio al contrario, una sorta di giudizio contro fattuale a livello soggettivo, ossia siamo

dinanzi ad un dolo eventuale piuttosto che colpa cosciente tute le volte in cui si riesce a provare in sede di giudizio che ove l’agente avesse avuto la certezza della verificazione dell’evento egli avrebbe comunque agito, diversamente si avrà colpa cosciente( o con previsione) qualora nella suddetta ipotesi il reo si sarebbe astenuto dal compiere l’azione. Recentemente si è fatta però strada una teoria oggettiva, che tenda di indagare non nelle maglie soggettive, psicologiche di colui che pone in essere la condotta illecita ma che sposta l’accertamento sul versante del rischio, cioè sul versante oggettivo. Una sorte di oggettivazione del dolo, in base alla quale si diceche tutte le volte in cui chi ha agito ha assunto un rischio abnorme, eccessivo rispetto a quelle che sono le normali regole di condotta siamo di fronte al dolo eventuale, qualora il rischio si prefiguri non come abnorme rientreremmo nel campo della colpa cosciente. -Vuoto

di cassa

Il cosiddetto peculato di vuoto cassa( anche noto come ‘’peculato di quantià’’) è una fattispecie che si configura quando l'agente si appropria di una quantità di denaro o cose fungibili con l'intento di restituirle entro il termine del rendiconto .

-Peculato Commette il delitto di peculato il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità di danaro o altra cosa mobile, se ne appropri; disciplinato dall’art. 314 c.p., consiste in una particolare forma di appropriazione indebita da parte del pubblico funzionario. Il peculato può essere commesso solo da un soggetto che rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, trattandosi di reato proprio. Per effetto delle modifiche intervenute a seguito della L. 6 novembre 2012, n. 190, il soggetto agente è punito con la pena della reclusione da “quattro” a dieci anni (mentre originariamente la pena minima era di tre anni). Il bene protetto dalla incriminazione consiste nel buon andamento e nella imparzialità dell’attività amministrativa, pregiudicato dall’attività svolta dal soggetto agente il quale, sfruttando la sua posizione, avvantaggia illecitamente se stesso o un altro soggetto. l'elemento oggettivo del reato di peculato è costituito esclusivamente dall' appropriazione, la quale si realizza con una condotta del tutto incompatibile con il titolo per cui si possiede, da cui deriva una estromissione totale del bene dal patrimonio dell'avente diritto, con il conseguente incameramento dello stesso da parte dell’agente. L’oggetto materiale della condotta consiste nel denaro, ovvero nella carta moneta o nella moneta metallica avente corso legale, o nella cosa mobile, ravvisabile in qualsiasi entità materiale suscettibile di essere trasportata da un luogo ad un altro, secondo la sua funzione sociale. Sia il denaro che la cosa mobile debbono possedere il requisito dell’altruità. Poiché il bene giuridico del reato di peculato, secondo certa impostazione, è l'integrità del patrimonio della p.a. e/o dei privati, se la cosa oggetto di appropriazione ha un valore economico molto modesto, il reato non può profilarsi, mancando un'effettiva lesione patrimoniale; del resto, l'applicazione della sanzione può essere giustificata dall'ordinamento solo quando la rigorosa afflizione stabilita dalla norma incriminatrice sia proporzionata al fatto commesso. La nuova formulazione dell’art. 314 c.p. non prescrive più, come in passato, che il denaro o

la cosa mobile, oggetto del reato, debbano appartenere alla pubblica amministrazione, ma esige solo che queste si trovino nel possesso o nella disponibilità del pubblico funzionario. Il pubblico ufficiale che ha facoltà di disposizione di un bene e non esercita tale potere secundum lege non realizza immediatamente delitto di peculato: occorre verificare se l'esercizio atipico del potere di disposizione comporti "appropriazione" per il soggetto agente o per un terzo.

-Peculato per distrazione Come noto, l’art. 314 c.p. nella sua versione originaria prevedeva che la condotta di peculato potesse consistere, oltre che nell’appropriazione della cosa, anche nella distrazione della stessa a profitto proprio o di altri. La previsione della distrazione quale condotta attiva aveva tuttavia fatto sorgere non pochi problemi interpretativi. Ci si chiedeva in primo luogo il tipo di rapporto tra appropriazione e distrazione e, in secondo luogo, i confini della distrazione quale condotta attiva del reato di peculato. Con la riforma del ’90 il legislatore ha tentato di eliminare le incertezze interpretative sopra menzionate espungendo dalla lettera della norma ogni riferimento alla distrazione con l’obiettivo finale di convogliare nella fattispecie di abuso d’ufficio ciò che prima era punito a titolo di peculato per distrazione. Si è trattato, tuttavia, di una soluzione insoddisfacente dalla quale è derivato unicamente il merito di circoscrivere le ipotesi di distrazione rilevanti identificandole con quelle condotte che distraendo, appunto, il bene dalla sua destinazione pubblicistica, conducono ad un’appropriazione della cosa da parte del pubblico ufficiale.

-Concorso di circostanze Il concorso di circostanze regolamenta quelle ipotesi in cui più circostanze siano applicabili allo stesso reato. Si distingue tra: concorso omogeneo => circostanze tutte dello stesso segno, tutte aggravanti o attenuanti. concorso eterogeneo => circostanze di segno opposto.

CONCORSO OMOGENEO Nell’ipotesi di concorso omogeneo si distinguono diverse situazioni: Se concorrono tutte circostanze proporzionali tutte ad efficacia comune (con esclusione di circostanze ad effetto speciale), si operano tanti aumenti o tante diminuzioni di pena quante sono le circostanze presenti: art. 63.2 => l’aumento o la diminuzione della pena si opera sulla quantità della pena risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente. Se una circostanza ad effetto o efficacia speciale concorre con circostanze ad efficacia comune, si applica la prima circostanza ad effetto o efficacia speciale e poi – sulla pena così determinata – si applicano le altre (art. 63.3). Se concorrono tutte circostanze ad effetto o efficacia speciale, si applica solo quella che comporta la maggiore variazione di pena, in aumento o in diminuzione a seconda che concorrano aggravanti o attenuanti, ma il giudice può aggravare o attenuare la pena (fino ad un terzo) rispettivamente nei 2 casi: art. 63.4 e art. 63.5. Se concorrono più circostanze ad effetto o efficacia speciale con più circostanze ad efficacia comune, prima

si procede come ora detto e poi si applicheranno gli aumenti o le diminuzioni in base all’art. 63.2. I plurimi aumenti o diminuzioni di pena incontrano dei limiti massimi fissati dalla legge oltre i quali non è in ogni caso possibile andare (art. 66 – 67).

CONCORSO ETEROGENEO Nel concorso eterogeneo vige il principio che non sono applicabili cumulativamente aggravanti ed attenuanti, ma il concorso eterogeneo va riportato ad un concorso omogeneo attraverso il cd. giudizio di bilanciamento tra le circostanze di segno opposto. Il giudice deve effettuare una ponderazione, una comparazione tra le circostanze eterogenee per valutare se “pesino” maggiormente quelle aggravanti o quelle attenuanti. Questo giudizio non ha carattere numerico quantitativo ma qualitativo => il giudice non comparerà il numero delle circostanze aggravanti contro quello delle attenuanti, ma cercherà di comprendere quale sia il rispettivo “significato” delle une e delle altre per l’individuazione della gravità complessiva del reato e della intensità della capacità di delinquere del reo: carattere altamente discrezionale di questo giudizio. Triplice esito: può ritenere: prevalenti le aggravanti; prevalenti le attenuanti; equivalenti. Nel caso di giudizio di prevalenza, troveranno applicazione le sole circostanze prevalenti, mentre quelle soccombenti saranno considerate tamquam non essem. Nel caso di giudizio di equivalenza, le circostanze di segno opposto si neutralizzeranno a vicenda, così che il reato sarà considerato come se fosse del tutto privo di circostanze e non si applicherà pertanto nessuna variazione di pena, né in aumento, né in diminuzione. Attualmente, salvo alcune deroghe espresse, sparse nella legislazione penale, tutte le circostanze sono di regola suscettibili di bilanciamento senza distinzione. Il che accentua ulteriormente la distanza tra gli elementi essenziali del reato, che non possono mai perdere la loro rilevanza costitutiva, e le circostanze del reato, che senza più alcuna distinzione di specie possono essere messe nel nulla in caso di concorso eterogeneo.

Responsabilità oggettiva Disciplinata dall’art. 42 comma 3 cp ricorre quando l’agente è chiamato a rispondere dei risultati della sua azione anche se rispetto ad essi non gli può essere mosso nessun rimprovero. Egli risponde infatti del fatto realizzato sulla base del solo rapporto di casualità indipendentemente dal concorso del dolo o della colpa. Vengono tradizionalmente ricondotte nell’ambito della responsabilità oggettiva le seguenti figure : -l’aberratio delictii di cui all’art 83 cp resp. Del partecipe per il reato diverso da quello voluto ex art 116 cp -resp. Dell’extraneus per concorso nel reato proprio Una parte della dottrina distingue due categorie di responsabilità oggettiva : Responsabilità oggettiva Pura in cui il fatto è attribuito sulla base del mero rapporto di casualità prescindendo del tutto dall’elemento soggettivo ad es. i casi sopramenzionati;

-

La

La responsabilità oggettiva mista a dolo o colpa in cui la responsabilità oggettiva si innesta su di una fattispecie dolosa o colposa, ad es. i casi di delitto preterintenzionale, i reati aggravati dall’evento, la resp. per i reati in materia di stampa.

Si è discusso molto sulla compatibilità della responsabilità oggettiva con il principio della personalità della responsabilità penale di cui all’art.27 primo comma Cost; La dottrina attualmente prevalente ritiene invece che poiché l’art 27 sancisce il principio della responsabilità per fatto proprio e colpevole tutti i casi di responsabilità oggettiva presenti nell’ordinamento sono costituzionalmente illegittimi pertanto la problematica si tende a risolvere conferendo ai casi citati un interpretazione compatibile con il principio di colpevolezza.

Oggetto del dolo Il dolo è l’archetipo normativo dell’imputazione soggettiva del reato e la disciplina è rinvenibile nell’art.42 secondo comma C.P. nonché art.43 comma 1 cp; Oggetto del dolo è il fatto tipico, quindi l’oggetto del dolo è costituito da tutti gli elementi obiettivi positivamente richiesti per l’integrazione delle singole figure di reato. Tale opinione trova un riscontro normativo nell’art. 47 che concorre a delineare la disciplina del dolo, confermando l’assunto che la rappresentazione e la volontà devono avere ad oggetto il fatto tipico.

Nesso Casualità Il rapporto di casualità sussiste quando è possibile attribuire un determinato evento offensivo ad una determinata condotta commissiva o omissiva. L’esigenza del nesso di csusalità ricavabile dall’art 40 cp ha indotto la dottrina ad elaborare diverse teorie; Secondo al T.Condizionalistica causa dell’evento è l’insieme degli antecedenti senza quali l’evento non si sarebbe verificato , per tanto i rapporto di casualità sussisterebbe quando l’agente abbia realizaato una condizione qualsiasi dell’evento posto che tutti i fattori causali sono equalmente necessari affinchè l’evento si verifichi. Per accertare l’esistenza di tale nesso causale è sufficiente ricorso al giudizio contro fattuale cioè se eliminando mentalmente la condotta presa in considerazione l’eveneto rimane tale condotta NON è causa dello stesso, se viceversa eliminando mentalmente la condotta viene meno anche l’evento, questo è causato da quella. Tuttavia questa teoria considerando equivalenti tutte le condzioni che concorrono alla produzione di un evento finisce per considerare rilevanti anche gli antecedenti più remoti fino ad arrivare a conclusini paradossali ad es. incriminare per omicidio il commerciante che ha venduto l’arma all’assassino. Secondo la teoria della causalità adeguata causa dell’evento è solo quella condizione che secondo la comune esperienza è la pi idonea a produrlo, per tanto il rapporto di causalità giuridica si ha quando l’agente ha determinato l’evento con un azione che secondo lo sviluppo eziologico normale della vicenda è adeguata a produrlo tuttavia tale teoria finisce con il limitare eccessivamente il campo della responsabilità penale, non solo perché esclude tutte le cause atipiche ma soprattutto perché finisce con il negare rilevanza penale alle ipotesi di sfruttamento doloso di particolari conoscenze individuali. Secondo la teoria della casualità umana esiste una sfera di azione che l’uomo puo dominare grazie ai suoi poteri volitivi e conoscitivi; solo i risultati che rientrano in questa sfera possono considerarsi causati dall’uomo in quanto se anche egli non li ha voluti era comunque in grado di impedirli. Per tanto il rapporto di causalità si ha quando l’uomo ha posto in essere una condizione dell’evento e questo non è il risultato del concorso di fattori eccezionali, tuttavia tale teoria non riesce a sueprare i problemi dogmatici

posti dalla t.condizionalistica relativi alla indimostrabilità del nesso causale nel caso in cui non si conosca priori l’idoneità della condizione a cagioanare il fatto. Secondo della T. della sussunzione a leggi scientifiche, la sussistenza del senso si basa sul ricorso a leggi valide scientificamente , tale indagine non si pone in essere solo sula base dell’esperienza dell’agente ne sulla base dell’esperienza media dell’umanità bensi sulla base della migliore scienze ed esperienza in quel particolare momento storico e in quella determinata materia, per tanto per accertare se un antecedente possa considerarsi causa di u evento successivo sarà necessario accertare che esso rientri nell’insieme di quegli accadimenti che sulla base di una successione regolare conforme ad una legge scientifica cd. Legge di copertura portano ad evento del tipo di quello verificatosi in concreto, trovata la legge di copertura si controlla che il singolo fatto possa essere sussunto sotto di essa.

Differenza tra legittima difesa e stato di necessità Tanto la legittima difesa quanto lo stato di necessità sono chiamate dal nostro ordinamento cause di giustificazione, questa locuzione (identificata anche come scriminante, o esimente) identifica particolari situazioni il cui verificarsi rende lecito un fatto che integra una fattispecie di reato; sono previste dal codice penale italiano agli artt. 50 e seguenti. Secondo i sostenitori della concezione tripartita del reato (dottrina maggioritaria), la presenza di una causa di giustificazione esclude l'antigiuridicità del fatto, cioè il suo rapporto di contraddizione con l'intero ordinamento giuridico. Non sarebbe razionale che il legislatore minacciasse da un lato l'utilizzo della pena tramite la norma penale e dall'altro obbligasse (minacciando a sua volta una pena in caso di mancanza) o lasciasse libero il cittadino di agire in quel modo. Secondo i sostenitori della concezione bipartita del reato (giurisprudenza maggioritaria), invece, le cause di giustificazione rappresentano elementi negativi del fatto, la cui esistenza esclude la configurabilità della fattispecie di reato, con relativa formula assolutoria ex art.530 c.p.p. "perché il fatto non sussiste". Di conseguenza affinché, viceversa, sia configurabile la colpevolezza del reo, non è necessario che questo, all'atto della consumazione del reato, si rappresenti la mancanza della causa di giustificazione, ma è sufficiente che essa oggettivamente manchi, e ciò trova conferma con quanto disposto in tema di imputabilità delle circostanze del reato all'art. 59 c.p.

Lo stato di necessità è la scriminante prevista dall'articolo 54 del codice penale secondo cui "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo". Lo stato di necessità è cosa dive...


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