Domìnium ex iùre Quirìtium PDF

Title Domìnium ex iùre Quirìtium
Course Diritto Romano 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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Domìnium ex iùre Quirìtium [Proprietà quiritaria] Istituto fondamentale nell’ambito dei rapporti dominicali e paradominicali, derivante in parte dal mancìpium [vedi], per quanto riguarda le res màncipi, in parte della possessio [vedi], per quanto riguarda le res nec màncipi. Rispetto al mancipium il dominium ex iure Quiritium aveva, da una parte un ambito meno esteso, perché aveva ad oggetto solo le res e non le persone (erano pertanto esclusi i filii, le uxores in manu, i liberi in mancipio; erano invece inclusi i servi); ma, dall’altra parte, comportava un allargamento dei confini originari del mancipium, potendo avere ad oggetto sia res mancipi che nec mancipi. Il (—), definito in epoca imperiale anche proprìetas, era un rapporto reale assoluto in senso proprio ed attribuiva al suo titolare (il c.d. dòminus ex iure Quiritium) facoltà illimitata di godimento, della res che ne era oggetto. Il (—) non era soggetto né a limitazioni di carattere pubblicistico, né di natura privatistica, eccezion fatta per quelle scaturenti dalla communio. Nel diritto classico i soli diritti reali che potevano limitare il (—) erano l’usufrutto e le servitù prediali. Se il fondo fosse libero da iura in re aliena, si definiva fundus optimus maximus. Con riferimento ai beni immobili si diceva che il (—) si estendeva ùsque ad cælum et usque ad ìnferos, cioè fino al cielo ed a tutto il sottosuolo: tutto ciò che faceva parte del fondo, o che, comunque, era ad esso incorporato e ne incrementava la consistenza, diventava, per attrazione, oggetto del (—). Poteva avere ad oggetto sia cose mobili che immobili (con la limitazione, per queste ultime, che si trattasse di fondi siti in agro Romano e dal I sec. a.C., di fondi siti in agro Italico). La titolarità del (—) su una res poteva appartenere soltanto a cittadini romani, non anche a peregrìni. Quanto alla limitazione costituita dal divieto di immissioni nell’altrui proprietà, fu solo la giurisprudenza classica ad ammettere lentamente che il proprietario non potesse liberarsi delle acque correnti nel suo fondo riversandole sul fondo sottostante e che non avesse il diritto di riversare il fumo della sua officina sul fondo contiguo: solo Ulpiano delineò in via generale il divieto di arrecare con le attività svolte sul proprio fondo danni al fondo del vicino. Si trattò, comunque di intuizioni sporadiche, che non portarono alla formulazione di un generale divieto di compiere atti emulativi. L’acquisto del (—) poteva avvenire: — a titolo originario, attraverso incrementi fluviali, fruttificazione, accèssio, specificàtio, assegnazione, occupàtio, confusio, usucàpio; — a titolo derivativo, attraverso mancipàtio, in iùre cèssio, tradìtio. Specificatio: Modo di acquisto a titolo originario del domìnium ex iùre Quirìtium. Si aveva, in particolare, (—) nei casi in cui una res, a seguito di lavorazione, perdeva la sua connotazione e struttura iniziale, trasformandosi in una res diversa (c.d. nova species), avente una diversa funzione. Qualora il soggetto specificatore fosse una persona diversa dal proprietario della materia, sorgeva il problema della spettanza della cosa specificata (ad es., della statua ricavata dal marmo): — per i Sabiniani [vedi] la cosa creata per effetto della specificazione apparteneva al proprietario della materia; — per i Proculiani [vedi] che davano rilievo al lavoro, la proprietà spettava allo specificatore; — Giustiniano stabilì che, laddove la cosa poteva ritornare allo stato primitivo, la proprietà spettasse al dòminus della materia; nel caso inverso allo specificatore. A fronte dell’acquisto della proprietà sulla res specificata, il proprietario della materia o lo specificatore avevano l’obbligo di risarcire l’altra parte, rispettivamente per il lavoro prestato o per la materia fornita; in caso contrario, la parte che non aveva ottenuto il risarcimento poteva paralizzare l’eventuale rèi vindicàtio del presunto dominus mediante un’exceptio doli.

Confusio: la (—) consisteva nella mescolanza di più corpi solidi o liquidi, in modo tale che non si verificasse né accessione né specificazione, in quanto il tutto non era cosa che poteva essere distinta dalle parti componenti: ad es., si pensi al caso in cui venivano mescolate due o più quantità di vino. Se le singole cose erano separabili, ognuno dei proprietari conservava la proprietà sulla sua parte e, ottenuta la separazione, poteva esercitare la rèi vindicàtio. Se le materie confuse non erano separabili, i relativi proprietari diventavano condomini pro quota del tutto, se la confusione avveniva per loro volontà; in mancanza, poteva essere esercitata la vindicatio pro parte. Occupatio: aveva luogo attraverso la volontaria presa di possesso di una cosa non oggetto di domìnium o comunque abbandonata (res derelìcta). L’acquisto del dominium ex iure Quiritium non derivava di per sé dall’(—) (che era un mero atto non negoziale, acquisitivo del possesso), ma si verificava in favore dell’occupante, solo se la cosa che ne era oggetto non apparteneva a nessuno. Accessio: Modo d’acquisto della proprietà a titolo originario; si verificava quando una cosa (considerata accessoria) si univa ad un’altra (considerata principale), in modo da costituire una cosa sola. Il principio generale che regolò questi casi fu: “accessorium sequitur principale”. Il proprietario della cosa principale (era considerata tale la cosa dotata di maggiore autonomia) acquistava la proprietà della cosa accessoria, o meglio conservava la proprietà della cosa principale anche dopo l’accrescimento di essa in virtù dell’unione con la cosa accessoria. Il carattere di accessorietà di una cosa rispetto ad un’altra veniva desunto dal suo minor valore, od anche dalla sua minor rilevanza sociale. La ratio lègis o iuris dell’istituto va rinvenuta nell’esigenza di tutelare il dòminus della res di maggior valore economico-sociale, garantendogli l’automatico acquisto della proprietà della res di minor valore economico-sociale. Si distinguevano due forme di (—): — di cosa mobile a cosa mobile: di regola, comportava l’acquisto della cosa altrui da parte del proprietario della res di maggior valore economico, eccettuato il caso di (—) separabile [vedi àctio ad exhibèndum]. Vi rientravano la ferruminatio [vedi], la textura [vedi], la scriptura [vedi], la pictura [vedi] e la tinctura [vedi]; — di cosa mobile a cosa immobile: era retta dal principio “superficies solo cèdit”, in virtù del quale il proprietario del suolo acquistava tutto ciò che era sopra (es. piantagioni, costruzioni) o sotto (es. gallerie, radici) il suolo. Vi rientravano la satio [vedi], l’implantatio [vedi] e l’inædificatio. Fruttificazione: Modo di acquisto a titolo originario del domìnium ex iùre Quirìtium in relazione alle sole res fruttifere, cioè capaci di produrre periodicamente altri beni dotati di una propria autonomia economica (oltre ai frutti delle piante, si pensi alla legna tratta da un bosco ceduo, alla lana, ai parti del bestiame). I frutti appartenevano di regola al proprietario della cosa che li produceva. Qualora sulla cosa fossero stati costituiti diritti reali (usufrutto, enfitèusi, pegno) o di obbligazione (locazione), sorgeva il problema di determinare se l’acquisto era a favore del proprietario o meno. Il semplice distacco dalla cosa fruttifera (separàtio) comportava l’acquisto a favore del possessore dell’àger vectigàlis [vedi] e dell’enfitèuta [vedi emphyteusis]. Affinché l’usufruttuario divenisse proprietario dei frutti, si richiedeva invece la percèptio, cioè l’effettiva apprensione dei frutti. Il locatario acquistava i frutti con la perceptio, ma occorreva la persistenza, anche tacita, della volontà del locatore: infatti per poter cogliere i frutti, il locatario doveva riceverne l’autorizzazione. Se questa mancava, pur rispondendo il locatore in base al rapporto di locàtio-condùctio, il locatario non poteva acquistare la proprietà dei frutti. Infine, il creditore pignoratizio che aveva ricevuto in pegno una res fruttifera, doveva imputare agli interessi dovuti ed eventualmente al capitale, i frutti precepiti. Incrementi fluviali: Categoria relativa a modi d’acquisto della proprietà a titolo originario, di beni immobili (in particolare, fondi rivieraschi). La disciplina degli (—) era basata sul principio che i proprietari rivieraschi (ossia i proprietari di fondi confinanti con corsi d’acqua, non appartenenti a terzi) acquisivano in proprietà

ogni incremento che il corso d’acqua avesse naturalmente apportato ai loro fondi, purché concorressero due requisiti: — il corso d’acqua doveva essere pubblico (flùmen pùblicum); — i fondi rivieraschi dovevano avere un confine individuato dalla riva del corso d’acqua (fundi arcifìnii). Nella categoria generale degli (—), rientravano l’adlùvio, l’avùlsio, l’àlveus derelìctus e l’ìnsula in flùmine nata. Mancipatio: Negozio solenne tipico del iùs civile [vedi], di origini risalenti, traslativo del domìnium ex iùre Quirìtium [vedi] sulle res màncipi [vedi]. La capacità di porre in essere una (—) apparteneva ai soli cittadini romani, patres familiàrum. Definita dalle fonti postclassiche come imaginaria quædam vendìtio (alienazione immaginaria, fittizia: cfr. Gai Inst., 1. 119), la (—) si svolgeva nel modo seguente: alla presenza di cinque testimoni (scelti tra cittadini romani puberi) e di un pesatore pubblico detto lìbripens (di eguale condizione), l’acquirente (mancìpio accìpiens), tenendo tra le mani alcuni pezzi di bronzo, dichiarava solennemente che la cosa oggetto della (—) gli apparteneva. Successivamente colpiva la bilancia del pesatore con il bronzo che poi veniva consegnato, quale prezzo, all’alienante (mancipio dans). La (—) era un actus legitimus, ossia non poteva essere sottoposto né a condizione né a termine: essa comportava, inoltre, l’obbligo di prestare la c.d. obligàtio auctoritàtis [vedi àctio auctoritatis; auctòritas], una sorta di garanzia per l’evizione. Col tempo, le formalità richieste divennero meramente simboliche (si parlò, ad es., di (—) nùmmo uno [vedi], cioè in cambio di una sola moneta): la (—) divenne un negozio astratto di trasferimento del dominium ex iure Quiritium sulle res mancipi, che poteva essere caratterizzata anche da una causa diversa dalla vendita, grazie all’inserimento di apposite clausole (leges mancìpii) o all’aggiunta di dichiarazioni solenni (nuncupationes [vedi nuncupatio] che precisavano quelli che erano gli effetti realmente perseguiti dalle parti. In età repubblicana, peraltro, era invalso l’uso di redigere, per provare l’effettivo espletamento delle formalità, un documento scritto cui venivano apposti i sigilli delle parti (il mancipio dans, alienante, ed il mancipio accipiens, acquirente), dei testimoni e del libripens; questa attestazione documentale finì col prendere il posto dell’effettivo espletamento delle formalità della (—), tanto che in diritto postclassico e giustinianeo la (—) divenne oggetto di una mera clausola apposta dalle parti. In iure cessio: Negozio traslativo del dominium ex iure Quiritium [vedi], applicabile sia alle res mancipi [vedi] che alle res nec mancipi: si poneva in essere utilizzando i principi e le forme della rei vindicàtio [vedi]. In particolare l’acquirente e l’alienante fingevano di voler instaurare una lite sulla proprietà della cosa mediante la lègis àctio sacramènti in rem [vedi], comparendo davanti al magistrato con la cosa o con una parte che la rappresentasse. L’acquirente pronunciava la formula àio hanc rem meam esse ex iùre Quirìtium (dico solennemente che questa cosa è mia) e toccava la cosa con la festuca (bacchetta), simbolo del domìnium. L’alienante, che in un normale giudizio di rèi vindicàtio [vedi] doveva pronunciare la stessa formula, taceva, concretando una confèssio in iure [vedi]; il magistrato dava causa vinta al rivendicante, che in tal modo acquistava la proprietà. La (—) divenne una figura suscettibile di tante applicazioni quante furono le actiònes in rem. Nel diritto postclassico l’istituto scomparve, dal momento che l’introduzione di nuove figure processuali fece dimenticare le legis actiones, e che la tradìtio [vedi] fu considerata idonea a trasferire qualsiasi cosa corporale. È bene tener presente che nella pratica, si usava ricorrere alla (—) quando il ricorso alla mancipàtio [vedi] risultava difficoltoso per la natura del diritto trasmesso: ad esempio, quando si trasferiva una quota di condominio o la nuda proprietà di una cosa sottoposta ad altrui usufrutto. Fu poco usata in età classica per le res mancipi, per evitare l’incomodo di doversi recare davanti al magistrato, come ci ricorda Gaio. Traditio: Era la forma più semplice di trasferimento della proprietà [vedi domìnium ex iùre Quirìtium] (o del possesso [vedi possèssio]) in quanto consisteva nella materiale consegna di una cosa. Essa costituiva il modo di trasmissione specifico delle res nec màncipi [vedi] e non si applicava alle res màncipi [vedi] (se una res mancipi veniva trasferita mediante (—), per acquistarne la proprietà bisognava che si maturasse

l’usucapione. Nel periodo classico, affinché vi fosse il trasferimento della proprietà, occorrevano quattro condizioni: — che si trattasse di una res nec màncipi; — che la cosa fosse di proprietà del tradente; — che il tradente avesse la volontà di trasmettere la cosa e l’accipiente quella di acquistare; — che vi fosse una iusta causa traditiònis, cioè che la (—) fosse posta in essere per conseguire un intento che il diritto oggettivo riteneva valido e sufficiente ai fini della trasmissione di una cosa. Si aveva così un’iusta causa credèndi, se si consegnava una somma in adempimento di un mutuo; un’iusta causa solvèndi, se il debitore pagava il suo debito; un’iusta causa donatiònis, se vi era la volontà di donare. Quanto alla consegna, il diritto antico richiedeva che essa fosse materiale. Il diritto classico ammise che potessero esservi altri modi equivalenti per trasmettere all’accipiente la proprietà (o il possesso); più precisamente: — la (—) symbolica [vedi]; — la (—) longa manu [vedi]; — la (—) brevi manu [vedi]; — il constitùtum possessòrium [vedi]. Il diritto giustinianeo ammise che la (—) potesse realizzarsi simbolicamente, attraverso la consegna dei documenti, per le cose che erano trasferite con atti pubblici; per la (—) di beni immobili, furono, inoltre, previste numerose formalità accessorie atte a tutelare maggiormente le parti ed i terzi; in particolare: — fu introdotto il requisito della scriptura: i documenti venivano redatti in forma scritta; — per i trasferimenti immobiliari si favorì enormemente il ricorso ai c.d. gesta, processi verbali redatti nelle cancellerie imperiali: questi in origine ebbero la funzione di documentare le attività processuali, ma finirono per essere utilizzati nella prassi al fine di dare forma solenne alle dichiarazioni di volontà dei privati....


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