Donne committenti donne artiste X. Barral i Altet 2016 PDF

Title Donne committenti donne artiste X. Barral i Altet 2016
Course Storia dell'arte medievale I  
Institution Università degli Studi di Verona
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XAVIER BARRAL I ALTET

DONNE COMMITTENTI E DONNE ARTISTE NEL ROMANICO EUROPEO:
UNA QUESTIONE APERTA DELL’ARTE MEDIEVALE
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MATILDE DI CANOSSA E IL SUO TEMPO Atti del XXI Congresso internazionale di studio sull’alto medioevo in occasione del IX centenario della morte (1115-2015) San Benedetto Po - Revere - Mantova - Quattro Castella, 20-24 ottobre 2015

TOMO PRIMO

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XAVIER BARRAL I ALTET

XAVIER BARRAL I ALTET

DONNE COMMITTENTI E DONNE ARTISTE NEL ROMANICO EUROPEO: UNA QUESTIONE APERTA DELL’ARTE MEDIEVALE Gli studi di genere sono ormai una tendenza disciplinare molto affermata nelle università europee e soprattutto americane, specialmente a seguito dell’azione dei movimenti femministi degli ultimi decenni del secolo scorso. Da parte sua, l’analisi del ruolo della donna nella società e nelle società occidentali ha ormai raggiunto eccellenti risultati da un lato all’altro dell’Atlantico. Ma rispetto a questo fervore di studi va sottolineata una lacuna che si stenta a colmare. Mi riferisco al tema delle donne committenti e delle donne artiste nel Medioevo europeo, e in particolare in quell’arco di tempo che noi storici dell’arte comunemente chiamiamo Romanico 1. Non che non ci siano studi puntuali sui singoli casi soprattutto di committenti, e su quello di Matilde di Canossa in primis 2, ma manca in effetti uno sguardo complessivo a questi fenomeni, che per lo più si ergono isolati nel mare magnum della ricca committenza maschile 3. Quello di cui in verità ci sa1. Sulle donne artiste in generale si veda l’importante Dictionary of Women Artists, 2 voll., London-Chicago, 1997. Tra le molteplici iniziative che hanno preso in esame le singole artiste o determinati ambienti di produzione artistica, segnalo il volume miscella- neo Femmes à l’oeuvre, Paris, 2008 = Histoire de l’art, 63 (2008), e V. FORTUNATI, L’occhio della donna artista: la fondazione a Bologna di un centro di documentazione sulla storia delle donne artiste in Europa dal Medioevo al Novecento, Bologna, 2007. 2. Su questo tema la bibliografia è molto ampia. Si vedano almeno i cataloghi delle mostre Matilde e il tesoro dei Canossa: tra castelli, monasteri e città, a cura di A. CALZONA, Cinisello Balsamo, 2008; Matilde di Canossa: il papato, l’impero, a cura di R. SALVARANI e L. CASTELFRANCHI, Cinisello Balsamo, 2008; L’abbazia di Matilde: arte e storia in un grande monastero dell’Europa Benedettina (1007-2007), a cura di P. GOLINELLI, Bologna, 2008. 3. Per quanto riguarda la Francia si leggano gli interventi generali di F. D UMONT, Théories féministes et questions de genre en histoire de l’art, in Perspective, 4 (2007), pp. 611624; S. SOFIO, Histoire de l’art et études de genre en France: un rendez-vous manqué?, in In-

rebbe bisogno è una messa a punto storiografica e critica che possa consentire di tirare le fila degli aspetti o dei caratteri della produzione artistica voluta dalle donne, o, cosa che sarebbe ancor più interessante, della produzione artistica promossa dalle donne per se stesse o per altre donne. Dall’altro lato, sono ancora molto forti i pregiudizi su quel che le donne nel Medioevo avrebbero potuto fare dal punto di vista artistico: erano soltanto ricamatrici provette 4, come il nostro immaginario moderno è indotto a credere, o vi erano dei casi in cui esercitavano altre abilità? È pur vero, inoltre, che agli storici medievali puri le immagini interessano soprattutto come fonti sussidiarie della ricerca storicoarchivistica, mentre gli storici dell’arte prediligono il più delle volte un approccio cosiddetto filologico-attribuzionistico ai problemi storico-artisti, ed è raro trovare un’analisi delle opere femminili che ne preveda un approccio affine a quello delle scienze sociali o analogo a quello della storia sociale dell’arte. Spesso, infatti, i singoli casi di donne committente e di donne artiste, studiati appunto in maniera monografica, hanno messo da parte il contesto storico o sociale più generale nel quale tale attività di patronato o di produzione artistica veniva ad inserirsi, e viceversa le monografie storiche su donne che si configurano per noi anche come grandi committenti femminili del Medioevo hanno prestato più attenzione agli aspetti sociali e istituzionali delle loro vicende che al loro patronato artistico 5. scriptions/Trasgressions. Kunstgeschichte und Gender Studies, hrsg. von K. IMESCH et alii, Bern, 2008, pp. 149-162. Per dei casi specifici: M. H. C AVINESS, Gender Symbolism and Text Image Relationships: Hildegard of Bingen’s Scivias, in EAD., Art in the Medieval West and Its Audience, Aldershot, 2001, pp. 71-111; A. PERSON, Envisioning Gender in Burgundian Devotional Art, 1350-1530. Experience, Authority, Resistance, Aldershot, 2005. 4. Come dimostrazione puntuale del fatto che le donne fossero presenti con la loro attività in tutti i campi della società medievale si vedano i documenti pubblicati da A. DEL CAMPO GUTIÉRREZ, El status femenino desde el punto di vista del trabajo (Zaragoza, siglo XIV), in Aragón en la Edad Media, 18 (2004), pp. 265-298. 5. Si leggano, ad esempio, B. SOUSTRE DE CONDAT, Pouvoir et mécénat: le rôle des femmes dans le développement des arts religieux en Sicile (XIe- 1ère moitié XIIIe siècle), in Les Cahiers de Saint-Michel de Cuxa, XXXVI (2005), pp. 225-238; K. GÖRICH, Mathilde-Edgith-Adelheid. Ottonische Königinnen als Fürsprecherinnen, in Ottonische Neuanfänge. Symposion zur Austellung “Otto der Grosse”, Magdeburg und Europa, hrsg. von B. SCHNEIDMÜLLER und S. WEINFURTER, Mainz am Rhein, 2001, pp. 251-291.

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A questo discorso va anche aggiunto che parlare di donne nel Medioevo porta con sé il rischio, metodologicamente piuttosto forte, di generalizzare il concetto dell’identità femminile come se si trattasse di un’entità pressoché immutabile, del tutto isolata dalla dimensione economica e sociale delle diverse epoche: una sorta di fantasma, che mi sembra generato più dalla proiezione maschile del pensiero femminile, che proprio nel Medioevo è peraltro fre- quentissima, che non dalla condizione sociale concretamente veri- ficabile delle donne nel Medioevo o dalla situazione di conflitto che la presenza delle donne nella sociètà genera di per se stessa, in quanto alterità rispetto al maschile dominante. Per trattare il tema della donna artista nel Medioevo manca, va precisato, una documentazione contemporanea ai fatti oggetto di studio. La posizione della donna in questo contesto non ci è nota direttamente per se stessa se non in maniera molto indiretta e deformata dai testi agiografici o dai sermoni ecclesiastici, per tempo destinati più a bollare o proibire deviazioni sociali che non a descrivere la realtà vissuta dalle donne. A questo riguardo va ricordato che Georges Duby attirò l’attenzione proprio su ciò che gli uomini del Medioevo avevano scritto sulle donne, promuovendo, con Michèle Perrot, l’ormai famosa Storia delle donne 6. Si trattava, anche in questo caso, di bilanci provvisori, ma forse vi sono alcune tracce in questo quadro, visibili proprio attraverso l’arte, che ci consentono di ipotizzare che il Medioevo non fu globalmente così misogino come spesso abbiamo creduto 7. Le fonti in effetti sono sorprendenti sul tema della bellezza esteriore della donna e l’imperfezione della sua anima. Se osserviamo la ben nota scultura romanica dell’Eva di Autun, forse possiamo comprendere la riflessione sul corpo della donna che gli artisti del periodo romanico elaborarono nelle loro creazioni. Il problema è naturalmente che quasi mai siamo in grado di dire se gli ar-

6. Per l’edizione francese del volume dedicato al Medioevo si veda Histoire des fem- mes en Occident. 2. Le Moyen Âge, sous la direction de C. KLAPISH-ZUBER, Paris, 1991. 7. Mi si consenta di rinviare a X. B ARRAL I ALTET, L’art i la dona. Assaig sobre la voluntat artística femenina, Barcelone, 2010, pp. 53-57; ID., Strategie e specificità della committenza artistica femminile nel Medioevo: ipotesi per un dibattito, in Medioevo: i committenti, a cura di A. C. QUINTAVALLE, Milano, 2011, pp. 77-88.

tefici di tanta bellezza siano stati uomini o donne. Quando proviamo ad avvicinarci a questo tema in relazione alla produzione artistica del Romanico tra XI e XII secolo, non possiamo inoltre ignorare come le fonti testuali contemporanee considerassero la donna, opponendo spesso la sua bellezza esteriore all’imperfezione della sua anima. I corpi sinuosi e perfetti delle Eve scolpite del Romanico francese celavano, secondo il pensiero ecclesiastico, inganno, ambiguità, peccati. Il concetto di femminilità nell’arte romanica sembra basato su modelli e contromodelli. Il Medioevo ha spesso utilizzato l’opposizione tra Eva e Maria, sia dal punto di vista sociale sia da quello artistico, traducendo in immagini tale opposizione, e visualizzandola in base ai criteri dell’ordine e del disordine, della contemplazione paradisiaca da un lato e dei castighi imposti dalle deviazioni dall’altro, come ad esempio si vede nei timpani romanici che espongono il corpo della donna adultera. Eva è il serpente, come nel timpano di Autun, Maria è la purezza inviolata. I due corpi così definiti servivano all’artista medievale per sperimentare l’anatomia femminile, per rappresentare la seduzione e l’erotismo, la verginità e il bene. Nel caso della Madonna, però, l’artista giocherà spesso con il seno nudo, messo in mostra nell’atto dell’allattamento. In quello di Eva, l’artista consentirà agli ecclesiastici di utilizzare le immagini per chiedere ai peccatori se hanno fornicato con donne, in maniera naturale o con l’aggiunta di qualche strumento fatto su misura (maquinamentum, dicono alcuni testi). Oltre ad Eva, l’artista impiegò come modelli femminili la Maddalena e persino Susanna, mostrata come modello di colei che seppe resistire ai vecchioni 8. Se l’amicizia tra uomini e la rappresentazione classica del nudo maschile non ricevono alcun critica durante il periodo romanico, la nudità di Eva nasconde appunto l’idea di deviazione dalla nor- ma e di peccato che la donna portava su se stessa dall’inizio della storia dell’umanità. Dietro questi corpi perfetti e seduttori, pre- sentati in scultura o pittura dagli artisti romanici, si nasconde, di8. X. BARRAL I ALTET, Le sein dévoilé: réflexions sur quelques modèles et anti-modèles de féminité, in Medioevo: immagini e ideologie, a cura di C. A. QUINTAVALLE , Milano, 2005, pp. 619-629.

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cevano gli uomini di Chiesa medievali, l’inganno e l’ambiguità. Non sappiamo se l’artista romanico, donna o uomo che fosse, abbia avuto l’intenzione di correggere con la sua arte il peso del castigo originario. Ma non c’è dubbio che al di là della bellezza esteriore di una donna, molti religiosi medievali immaginavano l’esistenza di una carne in putrefazione. Odilone, il venerabile abate di Cluny del X secolo, così scriveva: « La bellezza del suo corpo risiede tutta nella pelle. Se potessimo vedere cosa si trova sotto, la vista delle donne ci sarebbe nauseabonda ». Quando da questo àmbito ci volgiamo verso quello ipotetico delle donne artiste, la situazione si presenta piuttosto complessa, prima di tutto perché una lunga vicenda storiografica ha generalmente voluto ignorare il ruolo attivo della donna nella creazione artistica medievale. Secondo un’opinione a lungo dominante, architettura, scultura, pittura, costituirebbero tecniche, produzioni, mestieri riservati esclusivamente agli uomini. È vero che molta documentazione va proprio in questa direzione, ma sarebbe opportuno prendere in considerazione anche i silenzi, i non detti e la cancellazione delle personalità femminili da parte degli uomini. Il problema metodologico nasce dal fatto che noi storici dell’arte non possiamo, in quanto storici, argomentare le nostre ipotesi solo attraverso convinzioni personali, e dobbiamo necessariamente disporre di testimonianze scritte, documentarie, o in qualche modo incluse all’interno dell’opera d’arte, per comprovare quanto andiamo ipotizzando. Ma questo tipo di documentazione è quasi del tutto inesistente per il periodo romanico, tanto per le artiste donne che per il loro omologhi maschili. Sono nondimeno del parere che nell’epoca romanica la donna artista potrebbe aver fatto servire degli schemi rappresentativi che implicavano la rappresentazione del proprio corpo nudo come parte del cammino necessario alla sua affermazione come artista e come donna. Non ho le prove che le cose siano andate proprio così, se non le opere d’arte in se stesse. Non c’è alcun dubbio che le donne lodassero Dio, esattamente come gli uomini, dimostrando un amore appassionato attraverso la creazione artistica in generale. Copiste, miniatrici – come la clarissa di un salterio tedesco di Augsburg del XII secolo, che si rappresenta in una lettera Q miniata su pergamena –, pittrici di cavalletto o di pittura murale, scultrici, specialiste dell’arte del me-

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tallo e della ceramica, artiste del tessuto e dei vestiti, dai pochi documenti superstiti in questo campo, sappiamo che le donne creavano arte esattamente come gli uomini: ne abbiamo testimonianza dalle rare firme e delle ben più frequenti raffigurazioni di donne al lavoro in contesti monastici e non monastici 9. A me in questa sede interessa anche riflettere sul perché sappiamo così poco della volontà artistica della committenza al femminile. In poche parole: la donna committente fa produrre, realizzare, eseguire opere d’arte uguali a quelle che fanno fare i committenti maschili, a parità di mezzi economici? L’iconografia commissionata, o la struttura architettonica prescelta, è la stessa, o ci sono chiavi di lettura che non abbiamo ancora messo in opera per comprendere le differenze? La domanda è se la donna committente o artista si sia servita dell’arte, abbia commissionato o prodotto lei stessa un’opera arte, per qualco- s’altro che non fosse solo l’estetica o il racconto. Dobbiamo infatti progressivamente trovare le chiavi di lettura per capire anche i non detti della creazione artistica femminile o di committenza femminile sulla strada dell’affermazione pubblica, o anche della volontà di visibi- lità pubblica della donna medievale in un mondo dominato quotidia- namente da vescovi, chierici, sposi, oltre che dei rappresentanti dei poteri urbani, religiosi, economici e sociali, tutti invariabilmente ma- schili. Nell’ambito di indagine delle donne committenti sarebbe pe- raltro utile se non ci limitassimo alle biografie delle committenti o agli elenchi di opere commissionate dalle donne nel Medioevo, ma se finalmente re-inserissimo le singole scelte compiute dalle donne committenti nel contesto sociale ed economico, e dunque culturale, del Medioevo europeo, perché è solo così che forse ne potremmo individuare o meno l’esistenza di una specificità, sempre che questa esista. Nell’Europa romanica le donne committenti furono sicuramente numerose, in tutti i livelli della società. Come negli altri settori della committenza, conosciamo meglio gli incarichi assegnati dalle classi dominanti. I documenti d’archivio, i testi letterari e le opere stesse ci confermano indiscutibilmente un’attività di 9. C. BERTELSMEIER-KIERST, Handschriften für Frauen und von Frauen. Buchkultur aus norddeutschen Frauenklöstern im 13. Jahrhundert, in C. BERTELSMEIER-KIERST, H. HÄRTEL, H. RÖCKELEIN, E. SCHLOTHEUBER, Die gelehrten Bräute Christi. Geistesleben und Bücher der Nonnen im Mittelalter, Wiesbaden, 2008, pp. 83-122.

committenza nella quale le donne erano le protagoniste. Nella quasi totalità dei casi si tratta di donne appartenenti agli strati più alti della società medievale, aristocratiche, nobildonne, badesse, ma il più delle volte addirittura regine, sovrane, rappresentanti del potere monarchico al livello più elevato, detentrici di un patrimonio economico personale o anche messe in grado di gestire i patrimoni dei loro legittimi consorti, non di rado su richiesta dei loro stessi mariti o dopo la morte di questi ultimi. Dalle testimonianze in nostro possesso veniamo a sapere che le donne committenti intervennero nell’architettura castrale, palaziale e religiosa, sia in contesti urbani che rurali; fecero eseguire di pro- pria iniziativa vetrate, sculture, pitture, monumenti funerari, tap- pezzerie, gioielli, manoscritti. Dall’analisi dei singoli casi non si è ancora riuscito a capire, a mio parere, se la committenza femmini- le avesse una volontà di distinguersi da quella maschile. Il caso di Matilde di Canossa dimostra a chiare lettere quanto l’iniziativa privata delle donne nella committenza di architetture e di opere d’arte sia stata incisiva, ma tale iniziativa, anche quando è fatta per sé stesse o per altre donne, al momento non sembra differenziarsi molto, in effetti, da quella degli uomini. Non voglio dire che non esista questa differenza, ma mi riferisco al fatto che allo stato at- tuale degli studi noi storici dell’arte non disponiamo ancora degli strumenti metodologici per operare un distinguo. Di sicuro, ad esempio, l’architettura di molti monasteri femminili di epoca romanica presentava delle differenze da quella dei monasteri maschili, ma anche in questo caso la diversità dipendeva della tipologia dei monasteri femminili, e non dal fatto che il loro committente fosse un uomo o una donna. Studi recenti hanno in- dividuato tipologie particolari per i monasteri femminili, benedet- tini e, più tardi, francescani o domenicani, ad esempio, cosa che non preoccupava nel passato gli storici dell’architettura monasti- ca 10. Però, neanche nei casi nei quali la committenza femminile rispondeva a particolari esigenze funzionali, non siamo ancora ca10. Tra le molte voci bibliografiche, soprattutto tedesche, segnalo, a titolo esemplificativo, le seguenti: Frauen - Kloster - Kunst. Neue Forschungen zur Kultur geschichte des Mittelalters, Beiträge zum internationalen Kolloquium vom 13. bis 16. Mai 2005, hrsg. von F. HAMBURGER, C. JÄGGI, S. MARTI, H. RÖCKLEIN, Turnhout, 2007; O. SIART , Kreuzgänge mittelalterlicher Frauenklöster: Bildprogramme und Funktionen, Petersberg, 2008;

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paci di riconoscere, per mancanza di studi orientati in questa prospettiva, l’originalità della committenza femminile nell’architettura monastica femminile. Si tratta di una problematica che è chiaramente in relazione a quella della committenza dei programmi iconografici dei monasteri di donne. Ci troviamo di fronte a un problema principalmente teorico. Ma vorrei comunque chiamare in causa qualche esempio concreto, per dare un’idea della questione che ci troviamo ad affrontare e del tipo di documentazione con la quale ci troviamo a fare i conti. Consideriamo il caso delle donatrici di siti o monumenti monastici. È alle donne, infatti, che si deve una parte veramente considerevole di donazioni di monasteri e di terreni alle chiese abbaziali, soprattutto in funzione della celebrazione di messe, tutti ben documentati archivisticamente. Si pensi soltanto all’imperatrice Adelaide, o alla contessa Ida di Borgogna, nipote di Stefano IX, che fondò, tra le altre cose, il priorato di Saint-Michel du Wast, dove scelse di essere inumata, o alle donne che intervennero personalmente numerose a sostenere, dotare, curare l’abbazia di Cluny, soprattutto con lo scopo di conservare la memoria di sé e della propria famiglia. Ancora, nel contesto di quello che definiamo convenzionalmente il primo Romanico meridionale, si valuti l’esempio di Ermessenda di Carcassonne, contessa di Barcellona, Girona e Osona, nata attorno al 972-975, che fu la principale committente donna di architetture romaniche in Catalogna, prima insieme con suo marito Ramon Borrell, fino alla morte di questi nel 1017, poi so- prattutto da sola fino alla sua morte nel 1058 11. Siamo nel perio- do della grande fioritura del Romanico catalano ad opera di per- sonalità eccezionali, come il potente Oliba che fu nello stesso tempo abate di Cuixà e vescovo di Ripoll 12. Proprio negli stessi

O. TARAVILLA, Dones comitents. La promoció femenina als monestirs benedictins , in Els monestirs benedictins a l’antic comtat de Besalú, Besalú, 2009. 11. La comtessa de Barcelona Ermessenda de Carcassona i la seva contribució als inicis de l’art romànic, Lliçó inaugural del curs 2000-2001 a càrrec d’A. P LADEVALL I FONT, me...


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