Eneide libro 6 vv. 752-886 PDF

Title Eneide libro 6 vv. 752-886
Author Marina Fallucca
Course Lingua e letteratura latina i
Institution Università degli Studi di Palermo
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Summary

Riassunto del contenuto dell'eneide sesto libro dal verso 752 al 886...


Description

Libro VI vv.752-886 Spiegazione: La seconda parte del libro è legata al tema del futuro luminoso di Roma, la città che i discendenti di Enea fonderanno. Anchise, il padre di Enea da poco scomparso, si assume il compito di profeta e illustra le anime dei grandi di Roma, incarnando il tema politico della celebrazione della gloria futura e dall'alta missione civilizzatrice. L'opera di Enea sarà dura, richiederà coraggio e forza di sopportazione, sarà segnata dalla vittoria finale, ma anche da numerose sconfitte e gravi dolori: tutto questo gli è richiesto in quanto realizzatore della funzione provvidenziale che il Fato gli ha assegnato. L'incontro tra Enea e Anchise, scopo primario della discesa agli Inferi, chiude significativamente il libro. Alcuni elementi del racconto, quali il ramo d'oro, la porta dell'aldilà da cui Enea ritorna, il viaggio stesso, assumono significati simbolici, difficilmente definibili, ma confermano il destino eccezionale dell'eroe, scelto per questa straordinaria avventura. Il narratore: Il poeta è il regista della narrazione, in cui introduce con sapiente equilibrio le parti descrittive e gli interventi dei personaggi. Tuttavia, nella seconda parte, domina la figura di Anchise, la cui voce (narratore di secondo grado) si sovrappone a quella del poeta, narratore di primo grado, e risulta particolarmente suggestiva perché portatrice di una verità superiore. Lo spazio: Lo spazio esterno del sesto libro è Cuma, unica tappa del viaggio dalla Sicilia alle foci del Tevere, sede di un oracolo di Apollo, e l'Averno, il lago che si riteneva ingresso all'Erebo, vero scopo della sosta di Enea. Il mondo dell'aldilà, nel quale a Enea è concesso di passare vivo dal mondo dei vivi, è segnato dal dolore dei suoi abitanti e dal rimpianto della vita trascorsa e perduta; solo nella scena dei Campi Elisi si apre a una considerazione serena della morte: lo spazio rappresenta perciò soprattutto l'idea che il poeta ha dell'uomo e del suo destino. E inoltre importante osservare che, mentre Odisseo nell'XI dell'Odissea non entra nel mondo dei morti, ma si ferma sulla soglia di esso, Enea attraversa tutto l'aldilà disegnandone una topografia, frutto in gran parte della fantasia di Virgilio, soprattutto per quanto riguarda la divisione del mondo ultraterreno in due aree fondamentali, quella dei dannati e dei beati, oltre a una sorta di "limbo", in cui vagano le anime degli insepolti. Il tempo: La narrazione è lineare, cioè segue la successione cronologica degli avvenimenti; solo la profetica visione di Anchise apre un'ampia prospettiva sul futuro, che anticipa il futuro glorioso di Roma (prolessi). I personaggi: Enea è il capo dei suoi uomini, ha su di sé la responsabilità di fondare la nuova città, che il Fato gli ha destinato; più sfumato è il rilievo dato ai suoi sentimenti e alle sue scelte personali. Sotto questo aspetto, i momenti più sentiti sono l'incontro con Didone, che porta l'eco della passione amorosa anche oltre la vita terrena, la commiserazione dei fanciulli e dei morti giovani o per ingiusti motivi, la tristezza per la morte di Palinuro e di Deifobo, personaggi che rivelano all'eroe pensoso il dramma dell'infelicità e la durezza del Fato. La morte degli individui resta un enigma inspiegabile, mentre la profezia di Anchise ribadisce il valore dell'eroismo in rapporto al piano del Fato: ma anche le parole di Anchise si piegano al compianto quando egli celebra la morte del giovane Marcello: dopo l'esaltazione della gloria e della prosperità, il dolore riporta nel cuore del dilemma del destino umano. il Fato è protagonista di questo libro, filtrato dalle parole di Anchise, che ne rappresenta la mediazione "umana": in nome del Fato il protagonista ha già abbandonato Didone e ripreso il viaggio, in nome del Fato affronterà tutte le prove successive. La presenza della Sibilla, nello stesso tempo profetessa e guida dell'eroe, depositaria di segreti divini, sottolinea che Enea è un uomo chiamato a un destino eccezionale.

Piccolo riassunto: Dopo un viaggio nei campi distesi intorno allo Stige, dove Enea aveva avuto modo di affrontare i fantasmi del suo passato, Enea arriva nelle terre dei beati. In questo luogo il padre Anchise, dopo aver esposto la teoria orfico-pitagorica della reincarnazione, mostra al figlio una lunga serie di personaggi famosi della storia repubblicana, componendo un vero e proprio catalogo che giunge fino ai tempi di Augusto. Questa carrellata si interrompe solo tra i vv. 847-853, in cui troviamo in pochi versi la celebrazione della missione storica di Roma, introdotta da un’elencazione di alternative all’interno delle quali viene inserita l’unica via che deve essere seguita dal popolo romano: reggere i popoli con la propria autorità, imporre la pace risparmiando i supplici e sconfiggendo i superbi. Una sorta di propaganda del regime augusteo, che non a caso aveva fatto della pace uno dei suoi imperativi fondamentali. Dopo questi versi Anchise prosegue la sua descrizione con due personaggi dallo stesso nome, Claudio Marcello. L’opposizione tra i due non potrebbe essere più grande: il primo, vincitore sui Galli e i Cartaginesi, giunse addirittura a portare nel 222 a.C. nel tempio di Giove Feretrio le spoliae opimae di un re vinto in duello 2 mentre le virtù del giovane Marcello, figlio della sorella di Augusto e morto prematuramente nel 23 a.C. a soli diciannove anni, sono solo potenziali e non destinate a venire mai alla luce. Proprio con questo contrasto tra gloria in atto e gloria in potenza si conclude la carrellata dei grandi personaggi della Roma repubblicana: il messaggio di Virgilio è che la storia è fatta di sofferenza e che il dolore è ineliminabile dalla vita umana. Traduzione: Dopo aver detto queste cose, Anchise attira il figlio ed anche la Sibilla in mezzo a gruppi e tra una folla che grida, raggiunge un'altura, da cui potesse vedere tutti davanti in lunga fila e riconoscere i volti dei passanti. vv. 756-787 Orsù adesso la prole dardania e poi quale gloria ne segua, quali siano i nipoti dalla popolazione italica, le anime illustri destinate alla nostra gloria, le spieghierò a parole ed a te rivelerò i tuoidestini. Quel giovane, vedi, che si appoggia alla pura lancia, tiene per sorte i luoghi vicinissimi alla luce, per primo sorge per l'aria celeste, misto di sangue italico, Silvio, nome albano, tua prole postuma, che tardi per te vecchio la sposa Lavinia alleva nei boschi re e padre di re, da cui la nostra stirpe dominerà Alba Longa. E' vicino quel Proca, gloria del popolo troiano, Capi, Numitore e chi ti rinnoverà col nome Silvio Enea, ugualmente famoso per pietà ed armi, se mai riceverà Alba da governare. Che giovani! Guarda quali forze mostrano! E portan le tempie adombrate di quercia civica! Questi ti costruiranno Nomento, Gbi, e la città di Fidene, questi ergeranno sui monti le rocche collatine, Pomezia, il castello d'Inuo, Bola e Cora: Allora questi saranno i nomi, ora son terre senza un nome. Ancora Romolo, figlio di Marte, si unirà come compagno al nonno, la madre Ilia della stirpe di Assaraco lo alleverà. Vedi come le creste s'ergon gemello alla sommità, e lo stesso padre dei celesti lo segna già del suo onore? Ecco, figlio, coi suoi auspici quella famosa Roma:

eguaglierà l'impero alle terre, gli animi all'Olimpo, unica si circonderà le sette rocche di muraglia, fortunata per stirpe d'eroi: come la madre Berecinzia turrita è portata sul cocchio per le città frigie, gioiosa per la nascita di dei, abbracciando cento nipoti, tutti celesti, tutti occupanti le massime altezze. vv. 788-807 Ora volgi qui i tuoi due occhi: osserva questo popolo, i tuoi Romani. Qui c'è Cesare e tutta la stirpe di Iulo, che verrà sotto l'asse del cielo: Qui c'è l'eroe, questi, che più volte ti senti promesso, Cesare Augusto, stirpe del dio, che di nuovo sul Lazio fonderà le età d'oro , per campi un tempo governati da Saturno, porterà il regno sopra i Garamanti e gli Indi: il territorio sta fuori degli astri, fuori dalle vie dell'anno e del sole, dove Atlante, portatore del cielo, regge sulla spalla l'asse ornato di stelle splendenti. Già ora per il suo arrivo i regni del Caspio temono per i responsi degli dei, la terra Meozia e le trepidanti foci del settemplice Nilo si turbano. Neppure l'Alcide affrontò tanta terra anche se trafisse la cerva dagli zoccoli di bronzo e se pacificò i boschi d'Erimanto e se atterrì Lerna con l'arco: ma neppure Libero, che vincitore guida le pariglie con briglie di pampini, spingendo le tigri dall'alta cima di Nisa. E ancora dubitiamo di aumentare l'eroismo con le azioni o la paura impedisce di fermarci in terra ausonia? vv. 808-859 Ma chi è colui, lontano, illustre per i rami d'olivo che reca oggetti sacri? Riconosco i capelli e il mento bianco del re romano, che fonderà l'inizio della città con le leggi, inviato dalla piccola Curi e da povera terra al grande impero. A lui poi subentrerà Tullo, che romperà gli ozi della patria e muoverà alle armi gli uomini pigri e le schiere ormai disabituate ai trionfi. Vicino lo segue più baldanzoso Anco, ora già troppo rallegrandosi dei favori popolari: Vuoi pure vedere i re Tarquini e l'anima fiera di Bruto vendicatore ed i fasci ripresi? Costui riceverà il primo potere di console e le tremende scuri ed il padre chiamerà a morte i figli, che muovono nuove guerre per la bella libertà, infelice, comunque i posteri riferiranno quei fatti. Vincerà l'amor di patria e l'immensa voglia di gloria. Poi osserva lontano i Deci, i Drusi ed il feroce Torquato con la scure e Camillo che riporta le insegne. Ma quelle anime, che vedi risplendere con armi uguali, adesso concordi e finché sono oppressi dalla notte. Ahi, quale guerra tra loro se raggiungeranno le luci della vita, quali eserciti e che strage richiameranno, il suocero discendendo dalle alture alpine e dalla rocca

di Monaco, il genero, armato dall'oriente nemico. No, ragazzi, non abituatevi a tali guerre nei cuori e non rivolgete le energiche forze contro il seno della patria; e tu per primo, t, perdona, che hai il sangue dall'Olimpo, getta le armi dalla mano, o sangue mio. Quello, vinta Corinto, condurrà da vincitore il cocchio all'alto Campidoglio, illustre per gli Achei uccisi. Egli abbatterà Argo e l'agamennonia Micene, lo stesso Eacide, stirpe d'Achille potente nell'armi, vendicando gli avi di Troia ed i templi profanati di Minerva. Chi lascerebbe in silenzio te, grande Catone, o te, Cosso? Chi la stirpe di Gracco o entrambi gli Scipioni, due fulmini di guerra, rovina della Libia o Fabrizio, potente di povertà, o te, Serrano, che semini nel solco? Dove mi trascinate, stanco, o Fabi? Sei tu quel Massimo, che da solo, temporeggiando, rigeneri lo stato? Altri plasmeranno meglio le statue palpitanti, lo credo proprio, trarranno dal marmo volti vivi, tratteranno meglio i processi e descriveranno con lo strumento le strade del cielo e prediranno gli astri nascenti: tu, Romano, ricordati di guidare i popoli col potere. Tu avrai queste arti: imporre usanze di pace, perdonare ai vinti ed abbattere i superbi": Così il padre Anchise ed aggiunge per quelli che stupivano: "Osserva come Marcello, glorioso per le ricche spoglie, avanza e da vincitore supera tutti gli eroi. Costui, da cavaliere, sistemerà lo stato romano, quando un grande tumulto sconvolga, vincerà i Puni ed il Gallo ribelle, ed appenderà per terzo al padre Quirino le armi catturate." vv. 860-887 Ma qui Enea (infatti vedeva insieme procedere un giovane, bello d'aspetto e splendente nelle armi, ma poco lieta la fronte, gli occhi col volto abbassato): "Chi è, padre, colui che accompagna l'eroe che avanza? Il figlio o qualcuno dei nipoti della grande stirpe? Che fervore di compagni, attorno! Quanta maestà in lui! Ma una nera notte attornia il capo di triste ombra". Allora il padre Anchise, spuntate le lacrime, iniziò: "O figlio, con chiedere l'enorme luto dei tuoi: i fatti lo mostreranno soltanto in terra né lasceranno che resti di più. O celesti, la stirpe romana vi sembrò troppo potente se questi doni fossero stati suoi. Quanti gemiti d'eroi provocherà quella piana presso la grande città di Marte! Quali funerali, o Tevere, vedrai, quando scorrerai oltre la tomba fresca. Nessun ragazzo della stirpe di Ilio innalzerà a tanto per speranza gli avi latini, né la terra di Romolo sì glorierà mai tanto di alcun figlio. Oh pietà, oh antica fede, destra invincibile in guerra. A lui armato, nessuno si sarebbe recato contro

impunemente, sia andando contro il nemico da fante, sia che calcasse con gli speroni i fianchi di spumeggiante cavallo. Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati, tu resterai Marcello. Gettate gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei e colmi l'anima del nipote almeno con questi doni e faccia un inutile regalo". Così camminano qua e là per tutta la regione in vaste pianure ariose ed osservano tutto....


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